Wyoming
(Sicuri non ci vada anche qui quache "h"? Sicuri sicuri? Vabbeh,
vado avanti.) post guerra civile, quella vera, non la Marvel. Tempo da
lupi. Una maxi tormenta ricopre ogni cosa con molta più neve di quella che la
buonanima di Vincent Vega potrebbe spararsi in sei vite. Una carrozza
ultra-cool appena lucidata e guidata da un cocchiere trasandato, ma con
occhialini hipster e cappello steampunk, incede alla cieca tra vento, stradine
montagno-fangose che vanno su e giù e visibilità zero, finché si imbatte in
Samuel L. Jackson. Sempre cazzutissimo, sempre vestito in modo fighissimo,
seduto in mezzo alla strada su una pila di cadaveri congelati e messi uno sopra
l'altro come i merluzzi findus. Li ha "pescati" lui, col piombo
rovente delle sue pistole scintillanti, sono "roba di lavoro". Sam è un ex pezzo grosso dell'esercito, ora molto attivo pezzo grosso tra i
cacciatori di taglie, e ha appena fatto incetta di brutti ceffi. Il suo
cavallo però è disgraziatamente morto, lasciandolo a piedi in mezzo al niente,
con il problema concreto di come intascare le taglie e secondariamente
sopravvivere alla tormenta di neve. Di abbandonare le taglie non se ne
parla, ovviamente. Un passaggio da quella carrozza con il cocchiere
hipster gli farebbe comodo, magari pagherebbe pure bene per il disturbo, si
potrebbe anche dividere la taglia in modo abbastanza ragionevole. Il cocchiere
Hipster non ha obiezioni, ma vuole prima essere autorizzato dal passeggero
pagante che trasporta, niente meno che Kurt - Jena Plissken - Russell. Anche
lui cacciatore di taglie, anche lui ugualmente leggendario, anche lui
affaccendato con una consegna, ma viva. Una specie di strega indemoniata,
isterica e orribile, dritta impacchettata per il patibolo. La città, Red Rock, è la meta di entrambi i cacciatori di taglie ed è lontana. Un po' di compagnia
non dispiace e i merluzzi sotto la neve, legati sul tetto della carrozza, si
conservano meglio che nel freezer. Una storiella tira l'altra e i due bounty
hunter scoprono di conoscersi, di aver addirittura condiviso insieme una
bistecca a Chattanuga, quindi il viaggio sarà più dolce, non fosse per la
strega urlante che si portano dietro. Non aggiungo altro perché da quando
questi tizi si incontrano e Sam e le sue colt salgono sulla diligenza passano
già quaranta minuti... vi riduco la presentazione del film all'essenziale.
Come
saprete dal trailer, che avrete già visto duecento volte, otto tizi (virgola
qualcosa) si ritroveranno in una locanda a metà strada sulla via per la città,
con un muro di vento e neve che non fa andare oltre nessuno. Staranno lì, ad
aspettare che passi il tempaccio. Ma qualcuno tra gli otto non è chi dice di
essere. Qualcosa di brutto sta per succedere. Come succedeva ne La Cosa di
Carpenter, citata da Tarantino nell'ambientazione e nelle dinamiche di
relazione e auto-citata dallo score di Morricone, con brani che (dicono) il
maestro abbia ripreso e rielaborato per sonorità da quella sua indimenticabile
colonna sonora. Questo film è un bel mix tarantiniano. Il classico
tarantino burger da gustare con frullato da cinque dollari (o se siete in
serata con un bel cocktail Cadillac Kabo Wabo Margarita) con una busta di
tabacco Red Apple servita come sorpresa nell'happy meal (e ovviamente non
parliamo di Mc Donalds ma si Big Kahuna burger). Una pietanza di carne unica.
Riconoscibile, gustosa, con la salsa speciale piccante (stand-off) messicana, cotta rigorosamente "grondante sangue". Un piatto da paninoteca
cinematografica che vale come dieci da ristorante, il film di genere che si
veste da film d'autore. La ricetta è quella consueta, quella "della
casa". Anche questo film è un thriller, anche qui c'è uno spruzzo di
giallo da risolvere e qualcuno che fa finta di essere chi non è, anche qui c'è
una situazione che si prolunga tirandosi come una corda di violino, fino allo
sfinimento, fino a che si spezzerà in modo liberatorio, quando cederanno i
nervi a tutti e canteranno pistole e coltelli. Anche qui si avverte un senso
forte di claustrofobia e si viene travolti da un fiume di parole incessante e
inarrestabile, anche qui si riconosce la nota malinconica propria dello yakuza
movie, che negli anni ha sempre più avvicinato la sensibilità di Tarantino
a quella di Kitano. Tornano i tipacci anti-non-eroi, declinati e
digeriti dalla affettuosa grammatica tarantiniana a "uomini comuni",
bastardi sì ma col cuore, col codice morale, che un secondo prima sfogano la
loro natura bestiale, da "iene" pronte a uccidere, ma un secondo dopo
ci fanno empatizzare con loro, raccontandoci intimità e amabili difetti, al punto
che ci diventano quasi familiari, se non amici, se non addirittura, in un
breve istante, migliori di noi, cavalieri senza macchia, eroi pronti
quasi a sacrificarsi per cose assurde ma "grandi" come onore e amore.
I "soliti" amabili psicopatici dal cuore d'oro che si muovono come
sempre immersi nel sangue, qui con una nota emoglobinica extra-strong, addirittura mistica, che rimanda per magia nelle scene più riuscite alla migliore
rappresentazione dell'horror splatter, se non proprio a diavoli e streghe.
Perché c'è al centro della scena, più sporca di sangue di tutti e quindi per
regola matematica più pericolosa, proprio una donna.
Jennifer Jason Leigh,
struccata e spettinata, ridotta a informe sacco da pugni sgualcito da un fin
troppo crudele Kurt Russell, spiritata, spaventosa e repellente, ma forse
in fondo innocente-vittima, almeno ai nostri occhi di spettatori esterni,
come la versione adulta della Linda Blair de L'esorcista e della povera Sissy
Spacek di Carrie lo sguardo di Satana.
SPOILER
Come il
contenuto della valigetta di Marcellus Wallace, noi non sapremo mai cosa abbia
fatto per meritarsi il cappio e tanta violenza e riusciamo al contempo a capire
l'amore per lei del suo gruppo, qualcosa che non si può offrire in modo così
totale per quello che dovrebbe essere un mostro. Ma anche se fosse un mostro,
ora che è catturata, può giustificarsi tutta la violenza che subisce, come
essere umano? Tarantino non ci dà una risposta (o forse ce la dà senza
dircelo, tra le righe) come del resto spesso noi non proviamo pietà per
un assassino sbattuto in prima pagina. Sappiamo che deve essere punito e basta.
FINE SPOILER
La presenza
"diabolica" della Leight va a nozze con la vena horror-splatter
tarantiniana, la suggestiona ed espande, la rende più gustosa e attesa, per il
deflagrante finale, anche perché arrivarci è lunga ed è tutto un
crescendo seduttivo tra noi è la pellicola.
La storia
parte lenta-lentissima, puro western dagli spazi immensi, con una apertura che
è tutto un paesaggio fordiano fotografato in modo splendido e crepuscolare.
Nella seconda parte si avverte "il mostro che sta arrivando",
strisciante come nel miglior Carpenter. Il ritmo cambia. E' Tarantino stesso a
dircelo con la voce fuori campo, in un momento di puro genio
meta-cinematografico. Siamo passati dal giallo al thriller, a 10 piccoli
indiani e ci siamo distratti nel mente. Qualcosa è successo sulla scena,
sullo sfondo, noi non ce ne siamo accorti ed è il regista a farcelo notare.
Tarantino "piega la trama a suo volere", cambia le dinamiche dei
personaggi, ci "mente" sulle nostre percezioni e lo farà almeno due volte, prendendosi amabilmente gioco della nostra tardiva esigenza di diventare
piccoli detective per sbrogliare enigmisticamente, decifrare una scena vista di
sfuggita. Poi arriva liberatoria la terza parte del film, che inizia con un bel
twist e accelera come sulla rampa di un Rollercoaster che ora all'apice
emozionale prende la prima discesa a rotta di collo. Una folle e godibilmente
insensata corsa che accompagna, esalta e sorprende lo spettatore fino
alla fine della pellicola. Una corsa esagerata che spaventa, fa ridere, fa incazzare e fa riflettere pure, per un istante
dell'epilogo, in modo cinico e grottesco, sul senso della vita.
Certo che
per salire sulla giostra bisogna aspettare una coda-attesa infinita, ma in
fondo è una coda che si fa a "Disneyland", non in coda alle poste. Il
modello di riferimento dichiarato è Le Iene, ma idealmente immaginate di più
la scena della taverna di Inglorious Basterds, solo espansa della durata di tre
ore, con un'ora intera, una cacchio di ora dannatamente intera, dedicata alla
"mattanza" più assurda immaginabile. Quell'ultima ora se amate il
cinema più sanguigno e turbolento è da prendere e incorniciare come uno dei
momenti più Fighi degli ultimi dieci anni. Il top del tamarro, del gratuito,
dell'insensato, del sadico, dell'auto ironico, del cool. Una dannata bomba
audio visiva da diecimila chilotoni. Insomma, la situazione tipo per cui quando
incontrerò Tarantino non potrò esimermi dall'offrirgli almeno una camionata di
birra dopo averlo abbracciato come il fratello che non ho mai avuto. Wow.
Quindi funziona tutto alla perfezione in questa giostra? Mica troppo. Tagliamo
la testa al toro subito sul "comparto tecnico". I 70 mm sono una
strana, curiosa anomalia feticistica ma anche uno sballo, perché aumentano
l'immersività dello spettatore sulla scena e fanno risaltare i dettagli della
certosina scenografia e dei sontuosi costumi. Che ci sia una sedia in un punto
della sala o un candelabro sul tavolo, un'insegna o una brocca sul fuoco,
tutto è pianificato, ci si imprime nella retina e ci tornerà alla memoria più
avanti. La rappresentazione scenica è perfettamente funzionale alla trama. La
musica è da horror più che da western e funziona davvero bene, diventando
ancillare quando serve e prendendo alla bisogna il polso della situazione. I
costumi sono fantastici, Morricone è gigantesco e infatti ha vinto l'oscar, le
scenografie sono da urlo, gli effetti visivi sono assurdi, grottesci e
"viscosi", analogicamente amabili. Visivamente e all'ascolto il film
è impeccabile. Gli attori, chiamati a uno sforzo non da poco, cercano di
esprimersi al meglio e ci riescono per lo più. La Leigh è la dea che mi
ricordavo dai tempi di Inserzione pericolosa (e incidentalmente
assomigliava lì a una mia grossa cotta adolescenziale). Riesce incredibile
pensare a come il personaggio che interpreta non fosse scritto per lei, che
fosse in realtà un uomo, un ciccione attempato e arrogante stile John Goodman o
Boss Hogg di Hazzard. La Leigh domina la scena, è l'unica donna ed è "potente"
come la Furiosa di Charlize Theron. Rabbiosa e indistruttibile come una strega
di Raimi, Patricia Tallman ne L'armata delle tenebre. Dietro la
scorza di creatura satanica nasconde qualcosa di più e mi fa quasi male la
determinazione assoluta che hanno nel farla fuori. Oltre alla Leigh mi sono
piaciuti molto Russell e Jackson, Goggins e Bichir.
Russell si muove come un
gigante arrabbiato, imponente e maestoso. In un attimo è in grado di sparare
lampi dagli occhi e uccidere chiunque a mani nude. Ma subito dopo riesce ad
assumere i tratti di un bambinone ingenuo, un puro di cuore che crede
nell'onore e nella bandiera. Jackson è puro "zen", potrebbe morire in
qualsiasi momento senza avere nemmeno un rimpianto e per questo sta sempre al
limite. Sembra troppo duro e troppo crudele, ma anche lui nasconde qualcosa di
più nel suo atteggiamento. E Samuel Jackson (opinione personale, del resto
come tutte qui espresse) in ogni parte che fa non riesce che a essere troppo
cool. Granitico. Goggins interpreta al quadrato il suo Shane di The Shield.
Tarantino è qui più clemente con lui di quanto lo sia stato in Django, perché
è un attore che veste a pennello i suoi personaggi. Il suo "sceriffo" è un amabile e incoerente "fesso", uno sbruffone innocuo, odioso solo
a parole, che spara come una mitraglia. Goggins ha una vera faccia da canaglia
e dona molta umanità al personaggio. Gli altri personaggi non funzionano
altrettanto bene. Troppo bolso Dern, troppo addormentato Madsen, troppo
inconsistente e incoerente Roth (ed è un peccato quasi mortale), chissà perché
relegato a imitatore di Christop Waltz quasi come un sagomato di cartone. La
regia, pur nella "scelta di discontinuità" di cambiare genere a
ogni capitolo, in pieno stile Kill Bill, è la consueta, lenta (ma in
accelerazione costante) e appagante cifra stilistica di Tarantino. Il regista
gioca con i generi, dilata i tempi a suo piacere, cita e omaggia a spron
battuto, firma con la sicurezza propria dei grandi ogni singola inquadratura.
Quello che per me funziona di meno è purtroppo la sceneggiatura, nello
specifico la scelta, ripresa da Le Iene, di utilizzare un registro narrativo di
impostazione eccessivamente teatrale. ,"Ma anche questo è un marchio
tatantiniano!", sento già dire qualcuno. Ed è vero, solo che guardando Le
iene avevamo più occasioni di "uscire dallo scantinato" e
"correre all'aperto a giocare", a guardie e ladri. Ogni personaggio
aveva un suo bel flashback, anche se velocissimo, che descriveva cosa era
successo durante l'infausta rapina e andava a sparigliare la finta staticità di
una scena che faceva ribollire gli animi più che in una pentola a pressione. Un
contrappunto alla narrazione perfettamente ritmato nello svolgersi narrativo.
In Hateful 8 salvo uno specifico punto, questa magia manca. Non supportati da
"immagini" che ci portino per un istante in luoghi
"diversi", fissi nella splendida messa in scena teatrale, i
personaggi si raccontano solo a parole. In un numero infinito di parole.
Sarebbe stato davvero bello vedere dei flashback sui personaggi di Samuel
Jackson e Kurt Russell ma Tarantino sceglie consciamente di non farlo e la
prima parte della pellicola ci soffoca di parole. E' tutto un: "Ma tu sei
il grande Tizio, quello che bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla
bla bla bla bla bla bla bla bla!!" a cui segue: "Sono io, lo giuro!
E se non mi sbaglio tu sei Caio, quello che bla bla bla bla bla bla bla bla
bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla!!". Poi entra in scena Sempronio e dice: "Tizio, ma tu lo conosci
davvero bene Caio? Tu lo sai che lui bla bla bla bla bla bla bak bla bla bla
bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla!". E Tizio: "Ma dai! Non
è possibile! Tu menti e sei uno sfigato, ti conosco di fama perché conosco la
storia della tua famiglia e si sa per certo che bla bla bla bla bla bla bla bla
bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla!". Poi entrano nella
baita, i nostri anti eroi vedono un altro tizio seduto e ovviamente qualcuno lo
riconosce e vai di dieci minuti di dialogo. Insomma, nel Waihoming (o come
cavolo si scrive) tutti conoscono tutti e hanno almeno dieci minuti buoni
per confrontarsi le informazioni. Certo, è il trionfo della semplice parola
sulle immagini, la dimostrazione che Tarantino conserva il superpotere di farci
amare i suoi personaggi anche per le storie che raccontano. Tra storie di
massaggi ai piedi fatti alla donna sbagliata e leggende metropolitane di
squadroni della morte americani che fanno scalpi di soldati nazisti. Personaggi
che prendono forma quasi più per quello che ci viene detto di loro che quanto
ci viene mostrato in scena. E ci può stare, il parlare a raffica dei
personaggi tarantinati, anche in un "western non western" come questo. Perché probabilmente nel farwest, lontano dalle balere, ci si faceva due
palle così e per ammazzare il tempo erano tutti delle mezze comari di paese che
si informavano sui cacchi degli altri. Ma a fronte di questo sapere
enciclopedico "della qualunque", noto anche all'ultimo uomo della
strada con particolari che saprebbe solo Alfonso Signorini, in questo caso ci
sono delle magagne. Nella specie, come è possibile che si verifichino almeno
due situazioni che contraddicono questa regola del "tutti sanno
tutto", se non davvero il buonsenso in genere?
SPOILER
Perché lo sceriffo
di Goggins, che è (all'apparenza) un compiaciuto razzista, che conosce e
sa che Samuel Jackson è un ammazzarazzisti (così spettacolare da aver dato
fuoco, secondo un racconto riportato dallo stesso sceriffo, a una quarantina
di razzisti suoi commilitoni!!!!) e che è pure fan del mega generale ultra razzista
interpretato da Dern (non lo chiama "papà" ma ci manca poco) non fa
niente di niente quando Samuel Jackson, platealmente e lungamente, provoca
l'ufficiale suddetto fino a spingerlo a duellare con lui? E ammettendo che lo
sceriffo non sia un fulmine, non sia in fondo così razzista e forse è solo un
bonaccione, possibile che lo stracazzuto cacciatore di taglie Samuel Jackson,
in una società in cui le informazioni viaggiano più veloci di Twitter, sveli
al primo sconosciuto il segreto della sua particolare "lettera di
referenze", quella che gli ha permesso di vivere fino ad allora in un
mondo che non ama ancora troppo la gente di colore? Ed è possibile che sempre
lo stesso Jackson (che fa qui il "detective", cacchio!!!) non
si ricordi, forse per una improvvisa carenza di fosforo, di persone che già
dovrebbe conoscere per volto, nome, soprannome e gusti di vestiario (anche
perché "con taglia")? Persone che ha davanti per ore e ore, verso le
quali nutre pure parecchi sospetti e che solo infine riconosce, in un
improvviso ritorno di fosforo, quasi al punto da ricordare il numero di scarpe
che portano e piatto preferito? Ma come diavolo è possibile???
FINE SPOILER
Certo
poi si arriva alla terza parte e tra sangue, splatter e colpi fortuiti diventa
tutto un orgiastico hellzapoppin. Un po' ci scordiamo di queste
"manipolazioni logiche - registiche da gran burattinaio
meta-testuale" (come direbbero i Tarantiniani duri e puri) se non proprio
"svarioni del cacchio" (come direbbero tutti gli altri). Ma queste
incongruenze, volute o meno, permangono e buttano (forse) un'ombra sinistra
sulla credibilità dei personaggi se non proprio sulla loro caratterizzazione.
SPOILER
Allora ci
accorgiamo che la questione della fantomatica lettera di Samuel Jackson
"giocata male" serve, malamente, per prendersi gioco dell'animo un
po' da boy-scout del comunque bastardissimo Kurt Russell. Aspetto che
affettuosamente nobilita il suo personaggio. Pur di schernirlo - elevarlo -
farcelo amare, Tarantino accetta che Jackson distrugga la sua carta
"migliore", la lettera di Lincoln, sprecata nell'ottica
meta-cinematografica che "questa non è davvero la vita ma un film, stiamo
tutti giocando e il personaggio di Jackson non vivrà oltre i minuti della
pellicola, la lettera non gli servirà più". Ugualmente lo
sceriffo, che dovrebbe essere razzista, ma il regista vede come eroe
"positivo" di punto in bianco si allea senza problemi con Jackson per
un finale inutilmente autodistruttivo, assurdo, grottesco e strampalato, ma
anche in qualche modo "moralista", con un suo senso dell'onore (un
po' gioiosamente distorto dalla bromance che "Russell aveva dei principi e
va così onorato").
FINE SPOILER
Che
fine ha fatto la logica? Per affrontare al meglio una prospettiva così strana,
dobbiamo per me immaginare Tarantino come una mamma preoccupata per i suoi
bambini, innamorato come è (alla follia) dei personaggi che ha creato, a cui
non vuole che capiti niente di male. Tarantino lascia "giocare
i suoi bambini", lascia che si dicano tra loro le parolacce e si alzino
addosso le mani, che trasmettano appassionatamente le loro emozioni, ma non
vuole mai (o quasi mai) che si facciano davvero male prima del tempo. Sa che
finiranno quasi tutti male, perché nei suoi film è questo che succede, ma vuole
che compiano un percorso, che se ne vadano via tutti almeno con una buona
azione, con una riflessione sulla loro vita, con qualcosa di onorevole,
positivo se non grandioso.
SPOILER
perfino il generale
di Dern, che se ne va cercano di "vendicare la memoria per il
figlio", perfino Roth e Madsen, che accettano di essere "intascati da
morti come taglie", al posto di voi sapete chi
FINE SPOILER
Con
questo obiettivo per lui si può manipolare anche la realtà e la logica, perché
la "storia del film" non deve comprimere troppo le
"singole storie personali". In genere io apprezzo questa
impostazione, la trovo una delle cifre stilistiche più interessanti di
Tarantino. Per fare un altro esempio, l'uscita di scena di Christoph Waltz in
Django Unchained è qualcosa di totalmente insensato. C'erano mille modi per
uscire da quella situazione in modo pulito, ragionare a mente fredda, dopo, se
si voleva risolvere diversamente ma con lo stesso risultato finale. Solo che a
livello filmico, di puro ritmo narrativo, il modo scelto da Tarantino per
quanto il più illogico, era per me il migliore possibile in quel momento, il
"messaggio" dietro a quel gesto sconsiderato era giusto e potente e
perfetto per realizzarsi in quel modo, senza curarsi delle conseguenze. Per
realizzare questa "magia cinematografica" addirittura in Bastardi
senza gloria - Inglorious Basterds non si limitava a piegare la "storia
del film" alla "storia dei personaggi", ma andava addirittura a
cambiare la Storia, quella con la "S" maiuscola, nella più titanica
delle rappresentazioni possibili: il cinema che vince sulla Storia. Forse
questa "magia" non si realizza così bene per me in Hateful Eight e
pure da ultra-fan di Tarantino (sì, io mi schierò incondizionatamente tra i
fan) ho avvertito delle forti stonature il questo eccessivo amore dei
personaggi. Questa mia lunga e contorta riflessione sulla sceneggiatura
significa che alla fine io non ho apprezzato quindi, nel complesso, l'ottavo film
di Tarantino? Direi di no. Dovreste in fondo averlo già capito dopo questo
incessante fiume in piena di parole. Certo incide e non mi fa elogiare questo
come il miglior film in assoluto di Tarantino. Anche il ritmo narrativo, almeno
nella prima parte, è per me troppo blando, sia pur volutamente, dilatato. C'è
da dire però che è un film che "cresce" ogni volta che si ripensa a
lui, diventa sempre più Figo "nella testa" di chi lo vede e ora che è
uscito in dvd, se lo avete già amato al cinema, lo vorrete vedere altre
settemila volte, per scovare tutti i particolari visivi, i rimandi
citazionisti. Rimane un film di Tarantino e solo per questo per me, da fan,
superiore di diverse asticelle a gran parte di quello che oggi si vede nelle
sale. Anche se forse tra gli otto è per me il meno riuscito o più imperfetto,
sullo stesso piano di A Prova di Morte almeno nella sua versione
"gonfiata nel minutaggio"). Poi ovviamente questo è un mio gusto
personale. Ma avercene, di film "brutti" come questi. Parimenti
per i detrattori di Tarantino non è assolutamente il film che gli farà cambiare
idea sul regista.
Quella
home video purtroppo non è la Roadshow edition, la versione allungata di un bel
po' di minuti destinata a sale in 70 mm. La Roadshow è per volontà del regista
rimasta un ricordo prezioso di cui ha potuto goderne nelle poche e fortunate
sale selezionate. Ma l'home video, confezionato dalla Leone Film Group e 01 Rai
rimane davvero ottimo, di pura classe, con una definizione dell'immagine
poderosa. Non tantissimi gli extra, ma questo è in pieno "stile
Tarantino", il regista non vuole che ci trastulliamo troppo con roba che
non è "il film". Rimane un home video assolutamente imperdibile, per
tutti, fan e detrattori.
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