Taeko è una 27enne single che lavora in un ufficio e vive a Tokyo. Questo fa di lei
per la società giapponese del 1991 una esclusa sociale tristemente destinata a essere una pazza gattara con dei tratti somatici propri di una sessantenne
invecchiata male. Taeko un giorno chiede al suo capo una cosa stranissima
e inconsueta, dei giorni di ferie. Il capo è molto riluttante, ma accetta quando
lei gli comunica che li sfrutterà per andare a rompersi la schiena arando dei
campi altrui e pagando per questo chi la ospiterà. Taeko è particolarmente
euforica alla prospettiva di questo viaggio perché fin da quando era bambina
sognava di andare in vacanza in campagna e questo particolare stato mentale fa
si che come una pioggia le affiorino dalla memoria i ricordi di quando era una
pischellina che andava alle elementari. Ricordi così vividi e fino ad
allora sopiti che a un certo punto la Taeko adulta riesce a vedere in giro
la se stessa bambina e tutte le sue divertenti avventure formative. Il primo
annegamento per incuria parentale, la prima intossicazione alimentare per
senso di colpa, le amichette stronze in odore di nazismo gioiose di
sputtanarla davanti a tutta la scuola, il primo insuccesso in una relazione
sentimentale matematicamente certa, il primo sberlone a cinque dita mano aperta
per aver chiesto di non essere abbandona dai genitori una sera a casa da sola,
quella volta che la mamma si convinse che avesse un ritardo mentale perché non
capiva una questione di matematica e lo urlò in sua presenza a tutta la
cittadinanza, quella volta che poteva diventare ricca e famosa ma c'aveva il
babbo stronzo che non voleva senza un perché. Ma Taeko rilegge tutto col senno
di poi, in questo viaggio interiore. Alla fine si incolpa di tutto e ride a
denti stretti di un momento della sua vita che ricorda comunque come "il
più felicissimo" della sua esistenza (chissà il resto!!) senza
nutrire quell'umano comune sentire che la spingerebbe per spirito di auto
conservazione a voler andare a uccidere con un lanciafiamme tutti coloro che le
hanno causato quelli che anche a uno psicologo distratto apparirebbero come
gravi traumi permanenti. Forse è per questo in fondo che Taeko va a coltivare i
campi, per sfogarsi e non commettere una strage della sua stronzissima
famiglia. E va a sfogarsi con l'agricoltura in capo al mondo, a diecimila
miglia dalla civiltà, per impervie stradine sterrate cariche di tornanti,
in una località, Yamagata, dove si coltivano i fiori di Cartamo.
Apro parentesi.
Come ampiamente illustrato nella pellicola il Cartamo è un
fiore giallo, dal quale però (tra i mille usi) si ricavava, spremendone una
quantità gargantuesca, un rossetto rosso rubino favoloso e pregiatissimo. Il
perché del colore rosso accesissimo era in realtà una questione aberrante e inquietante,
che è calata se non finita del tutto (pare, si spera, non ho indagato) in
epoca moderna. Non si sa se a causa di una paga bassissima o di ritmi di
lavoro infernali o di mancanza di strumenti idonei al raccolto o
combinazione di questi tre fattori ma sta di fatto che la raccolta era
frenetica e avveniva senza guanti, al punto che le (stronzissime e acuminatissime) spine (del fiore diabolico) squarciavano di continuo le mani
delle raccoglitrici, con la conseguenza che i fiori raccolti erano colmi
di sangue umano. La tintura era una spremuta di sangue che la protagonista
ricorda come una sorta di tributo dei poveri contadini a vantaggio
della bellezza di poche ricche signore. Una bella metafora sulla conquista
della parità sociale di genere, unita alla classica critica all'inurbamento e
al progresso che Takahata ci ripropone e ri-propina convintamente da
sempre, dalla trasposizione animata di Heidi in poi.
Chiusa parentesi.
Ad
accompagnare la nostra eroina nella scoperta del lavoro duro nei campi, tra
sessioni di guida del trattore e la raccolta dei fiori, passando dalla cura
delle varie colture, c'è Toshio, il cugino del cugino di un parente acquisito,
non troppo più giovane di lei (che ripeto è 27enne ma li porta malissimo) e carico
di entusiasmo e spirito contadino, che ascolta, presta "effettivamente" e primo al mondo attenzione alla nostra Taeko, e poi mette a palla in
auto un cd del gruppo vocale di voci bulgare (vi giuro che sono loro!!) che ha
contribuito al Pippero di Elio e le storie tese, perché è un cultore di
"musica contadina internazionale". E oltre che cultore e coltore (sognavo di scrivere una frase così da tutta la vita), Toshio è pure un
attivista convinto, un politico contadino, che spara con ardore proclami a
raffica sull'importanza dell'agricoltura e dell'allevamento per il futuro del
Giappone e in una certa misura colpisce, per risolutezza e spirito positivo (quanto per un accento strano, "country ") la nostra salary-girl
zitella. Come andrà l'eccitante vacanza di Taeko? Riuscirà a rivivere al meglio
i peggiori traumi della sua infanzia mentre sfreccia felice su di un trattore
facendo il dito medio alla plutocratica società capitalistica moderna all'ombra
dell'imperatore?
Takahata è... è... è... pesante. No, forse non è la parola
giusta. Takahata è "denso". Nelle sue opere c'è un sacco di roba,
messaggi politici, sfumature sociali, racconto interiore, spunti biografici e
autobiografici, tradizione cinematografica che va dritta dalle parti di Ozu,
amore per la natura e la cultura giapponese. Personalmente faccio in gente
fatica a una prima visione ad assimilare tutto, faccio fatica proprio ad
arrivare in fondo alla visione. Ma poi il film lo affronto, magari a rate, poi
ci ripasso sopra, lo guardo, lo riguardo da un nuovo punto di vista, lo
interpreto male, credo di averlo capito, lo stratifico e in genere, alla fine
di tutto, ne rimango rapito. I suoi quindi non sono film facili, anche se
strutturalmente lo sembrerebbero, ma spesso proprio per la ricchezza di letture
che offrono, sono capolavori da conservare e riprendere spesso in mano, che so
mi accompagnano negli anni perché alla fine mi risultano indispensabili, mi
ci immedesimo, se fossero dei libri li consumerei a furia di leggerli. E non è
esattamente una cosa che possa ritenersi scontata, a pensarci, per me riuscire
a immedesimarmi in vita e opere in una bambina delle elementari giapponese. E
credo che pure il signor Takahata non fosse da piccino una bambina giapponese
delle elementari, i tempi delle sorelle Wachowski sono troppo recenti, ma non
divaghiamo. Ma descrive così bene questa piccola vita che almeno in un'altra
vita Takahata deve necessariamente essere stato una bambina giapponese. Nella breve
sinossi ho scherzato sul "dramma", che è forse il tratto formante
dell'approccio realistico, tragico, che Takahata predilige imprime alle sue
opere. La tragedia è sempre dietro l'angolo e puntualmente accade, come la
carrozzina di Clara che ruzzola giù dalla montagna, come l'epilogo di Una tomba
per le lucciole. Ma è anche il modo più rapido con cui il regista ci mette in
contatto, ci fa empatizzare, con la sua opera. E più la vita dei protagonisti
sarà dolorosa più saranno magici i momenti di gioia o anche solo di
"quiete". Ora la vita di Taeko non è poi così orribile come ve l'ho
raccontata, perché è la stessa Taeko a smitizzare i drammi che viviamo da
bambini, si fa quasi una auto-analisi e ci ride sopra, ma tuttavia la nostra
protagonista rimpiange la potenza e purezza di quei sentimenti gridati a
squarciagola, un po' teme e un po' ama l'esuberanza della se stessa bambina che
di colpo, prepotente quanto "risoluta" arriva a infestare la sua
piccola vacanza agreste dicendole senza giri di parole che lei nella vita ha
sbagliato tutto, a furia di tenere la testa bassa non è più riuscita a guardare
in faccia le altre persone quanto se stessa, sta morendo dentro, è la
ventisettenne più vecchia della terra! Ed è commovente la forza esplosiva della
piccola Taeko e del suo mondo. Certo ci avrò messo un anno intero a vedere il
film completo. La storia di immedesimarsi in una bambina ecc. ecc. mi
convinceva poco. La parte quasi pseudo-documentaristica con il lavoro dei campi
mi sembrava eterna e meno eccitante di una
puntata di Linea Verde. Ma vederlo tutto di seguito facendo i collegamenti e
non essendo troppo pigri è davvero una rivoluzione copernicana e da allora ho
visto la pellicola almeno sei volte di filato. La stessa cosa più o meno che
mi era capitata con Pom poko.
Visivamente
taglio corto, è stupendo. Bellissimi i paesaggi, così dettagliati da essere
foto-realistici. Mooolto graziosa la Taeko bambina e tutto il suo mondo di
compagni di classe, ananas e bagni termali, canzoncine della tv e borsette alla
moda riciclate dalle sorelle maggiori. Molto vitale e tranquilla, in piena
comunione con la natura, la vacanza nel verde della Taeko adulta, ti viene
davvero una voglia maledetta di andare ad arare un campo e coltivare
barbabietole, lasciando da parte le menate assurde del lavoro, le bollette e la
città come accadeva dopo la visione di Wolf Children (non a caso Mamoru Hosoda
è accreditato come esponente della stessa poetica nel l'animazione giapponese
odierna). Come mi capita di dire di frequente in merito delle opere Ghibli,
Pioggia di Ricordi fa bene all'anima ed è un delitto non guardarlo. Ne vale
troppo la pena.
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