lunedì 27 giugno 2016

Pioggia di ricordi - la nostra recensione!



Taeko è una 27enne single che lavora in un ufficio e vive a Tokyo. Questo fa di lei per la società giapponese del 1991 una esclusa sociale tristemente destinata a essere una pazza gattara con dei tratti somatici propri di una sessantenne invecchiata male. Taeko un giorno chiede al suo capo una cosa stranissima e inconsueta, dei giorni di ferie. Il capo è molto riluttante, ma accetta quando lei gli comunica che li sfrutterà per andare a rompersi la schiena arando dei campi altrui e pagando per questo chi la ospiterà. Taeko è particolarmente euforica alla prospettiva di questo viaggio perché fin da quando era bambina sognava di andare in vacanza in campagna e questo particolare stato mentale fa si che come una pioggia le affiorino dalla memoria i ricordi di quando era una pischellina che andava alle elementari. Ricordi così vividi e fino ad allora sopiti che a un certo punto la Taeko adulta riesce a vedere in giro la se stessa bambina e tutte le sue divertenti avventure formative. Il primo annegamento per incuria parentale, la prima intossicazione alimentare per senso di colpa, le amichette stronze in odore di nazismo gioiose di sputtanarla davanti a tutta la scuola, il primo insuccesso in una relazione sentimentale matematicamente certa, il primo sberlone a cinque dita mano aperta per aver chiesto di non essere abbandona dai genitori una sera a casa da sola, quella volta che la mamma si convinse che avesse un ritardo mentale perché non capiva una questione di matematica e lo urlò in sua presenza a tutta la cittadinanza, quella volta che poteva diventare ricca e famosa ma c'aveva il babbo stronzo che non voleva senza un perché. Ma Taeko rilegge tutto col senno di poi, in questo viaggio interiore. Alla fine si incolpa di tutto e ride a denti stretti di un momento della sua vita che ricorda comunque come "il più felicissimo" della sua esistenza (chissà il resto!!) senza nutrire quell'umano comune sentire che la spingerebbe per spirito di auto conservazione a voler andare a uccidere con un lanciafiamme tutti coloro che le hanno causato quelli che anche a uno psicologo distratto apparirebbero come gravi traumi permanenti. Forse è per questo in fondo che Taeko va a coltivare i campi, per sfogarsi e non commettere una strage della sua stronzissima famiglia. E va a sfogarsi con l'agricoltura in capo al mondo, a diecimila miglia dalla civiltà, per impervie stradine sterrate cariche di tornanti, in una località, Yamagata, dove si coltivano i fiori di Cartamo. 
Apro parentesi. 
Come ampiamente illustrato nella pellicola il Cartamo è un fiore giallo, dal quale però (tra i mille usi) si ricavava, spremendone una quantità gargantuesca, un rossetto rosso rubino favoloso e pregiatissimo. Il perché del colore rosso accesissimo era in realtà una questione aberrante e inquietante, che è calata se non finita del tutto (pare, si spera, non ho indagato) in epoca moderna. Non si sa se a causa di una paga bassissima o di ritmi di lavoro infernali o di mancanza di strumenti idonei al raccolto o combinazione di questi tre fattori ma sta di fatto che la raccolta era frenetica e avveniva senza guanti, al punto che le (stronzissime e acuminatissime) spine (del fiore diabolico) squarciavano di continuo le mani delle raccoglitrici, con la conseguenza che i fiori raccolti erano colmi di sangue umano. La tintura era una spremuta di sangue che la protagonista ricorda come una sorta di tributo dei poveri contadini a vantaggio della bellezza di poche ricche signore. Una bella metafora sulla conquista della parità sociale di genere, unita alla classica critica all'inurbamento e al progresso che Takahata ci ripropone e ri-propina convintamente da sempre, dalla trasposizione animata di Heidi in poi. 
Chiusa parentesi.
Ad accompagnare la nostra eroina nella scoperta del lavoro duro nei campi, tra sessioni di guida del trattore e la raccolta dei fiori, passando dalla cura delle varie colture, c'è Toshio, il cugino del cugino di un parente acquisito, non troppo più giovane di lei (che ripeto è 27enne ma li porta malissimo) e carico di entusiasmo e spirito contadino, che ascolta, presta "effettivamente" e primo al mondo attenzione alla nostra Taeko, e poi mette a palla in auto un cd del gruppo vocale di voci bulgare (vi giuro che sono loro!!) che ha contribuito al Pippero di Elio e le storie tese, perché è un cultore di "musica contadina internazionale". E oltre che cultore e coltore (sognavo di scrivere una frase così da tutta la vita), Toshio è pure un attivista convinto, un politico contadino, che spara con ardore proclami a raffica sull'importanza dell'agricoltura e dell'allevamento per il futuro del Giappone e in una certa misura colpisce, per risolutezza e spirito positivo (quanto per un accento strano, "country ") la nostra salary-girl zitella. Come andrà l'eccitante vacanza di Taeko? Riuscirà a rivivere al meglio i peggiori traumi della sua infanzia mentre sfreccia felice su di un trattore facendo il dito medio alla plutocratica società capitalistica moderna all'ombra dell'imperatore?


Takahata è... è... è... pesante. No, forse non è la parola giusta. Takahata è "denso". Nelle sue opere c'è un sacco di roba, messaggi politici, sfumature sociali, racconto interiore, spunti biografici e autobiografici, tradizione cinematografica che va dritta dalle parti di Ozu, amore per la natura e la cultura giapponese. Personalmente faccio in gente fatica a una prima visione ad assimilare tutto, faccio fatica proprio ad arrivare in fondo alla visione. Ma poi il film lo affronto, magari a rate, poi ci ripasso sopra, lo guardo, lo riguardo da un nuovo punto di vista, lo interpreto male, credo di averlo capito, lo stratifico e in genere, alla fine di tutto,  ne rimango rapito. I suoi quindi non sono film facili, anche se strutturalmente lo sembrerebbero, ma spesso proprio per la ricchezza di letture che offrono, sono capolavori da conservare e riprendere spesso in mano, che so mi accompagnano negli anni perché alla fine mi risultano indispensabili, mi ci immedesimo, se fossero dei libri li consumerei a furia di leggerli. E non è esattamente una cosa che possa ritenersi scontata, a pensarci, per me riuscire a immedesimarmi in vita e opere in una bambina delle elementari giapponese. E credo che pure il signor Takahata non fosse da piccino una bambina giapponese delle elementari, i tempi delle sorelle Wachowski sono troppo recenti, ma non divaghiamo. Ma descrive così bene questa piccola vita che almeno in un'altra vita Takahata deve necessariamente essere stato una bambina giapponese. Nella breve sinossi ho scherzato sul "dramma", che è forse il tratto formante dell'approccio realistico, tragico, che Takahata predilige imprime alle sue opere. La tragedia è sempre dietro l'angolo e puntualmente accade, come la carrozzina di Clara che ruzzola giù dalla montagna, come l'epilogo di Una tomba per le lucciole. Ma è anche il modo più rapido con cui il regista ci mette in contatto, ci fa empatizzare, con la sua opera. E più la vita dei protagonisti sarà dolorosa più saranno magici i momenti di gioia o anche solo di "quiete". Ora la vita di Taeko non è poi così orribile come ve l'ho raccontata, perché è la stessa Taeko a smitizzare i drammi che viviamo da bambini, si fa quasi una auto-analisi e ci ride sopra, ma tuttavia la nostra protagonista rimpiange la potenza e purezza di quei sentimenti gridati a squarciagola, un po' teme e un po' ama l'esuberanza della se stessa bambina che di colpo, prepotente quanto "risoluta" arriva a infestare la sua piccola vacanza agreste dicendole senza giri di parole che lei nella vita ha sbagliato tutto, a furia di tenere la testa bassa non è più riuscita a guardare in faccia le altre persone quanto se stessa, sta morendo dentro, è la ventisettenne più vecchia della terra! Ed è commovente la forza esplosiva della piccola Taeko e del suo mondo. Certo ci avrò messo un anno intero a vedere il film completo. La storia di immedesimarsi in una bambina ecc. ecc. mi convinceva poco. La parte quasi pseudo-documentaristica con il lavoro dei campi mi sembrava eterna e meno eccitante di una puntata di Linea Verde. Ma vederlo tutto di seguito facendo i collegamenti e non essendo troppo pigri è davvero una rivoluzione copernicana e da allora ho visto la pellicola almeno sei volte di filato. La stessa cosa più o meno che mi era capitata con Pom poko. 


Visivamente taglio corto, è stupendo. Bellissimi i paesaggi, così dettagliati da essere foto-realistici. Mooolto graziosa la Taeko bambina e tutto il suo mondo di compagni di classe, ananas e bagni termali, canzoncine della tv e borsette alla moda riciclate dalle sorelle maggiori. Molto vitale e tranquilla, in piena comunione con la natura, la vacanza nel verde della Taeko adulta, ti viene davvero una voglia maledetta di andare ad arare un campo e coltivare barbabietole, lasciando da parte le menate assurde del lavoro, le bollette e la città come accadeva dopo la visione di Wolf Children (non a caso Mamoru Hosoda è accreditato come esponente della stessa poetica nel l'animazione giapponese odierna). Come mi capita di dire di frequente in merito delle opere Ghibli, Pioggia di Ricordi fa bene all'anima ed è un delitto non guardarlo. Ne vale troppo la pena. 
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