Dylan
è nel suo ufficio open - space della Ghost Enterprise, sommerso di pratiche
fino al collo. Vorrebbe tornare a casa dopo un'ora e mezza oltre la fine
dell'orario di lavoro, ma sarebbe il primo a tornare a casa, il
primo ad abbandonare un ufficio brulicante di capi chini che con entusiasmo e
abnegazione danno la vita per la prosperità dell'azienda. Questo
"tradimento" comporta la compilazione di infiniti moduli sulla soddisfazione dell'impiegato e l'additamento pubblico ma lui non
demorde, perché è giusto vivere anchenal di fuori del lavoro.
Sbrigata la burocrazia è quindi libero di tornare a casa a guardare i dvd e
giocare con la sua ultima console, godere dell'agognato tempo libero. Ma,
stanco, crolla in un sonno profondo, dal quale si risveglia solo il giorno dopo,
all'ultimo minuto, in ritardo anche per prendere il pullman al volo. Sarà
crocifisso in sala mensa? L'effrazione la sconta invece in una sorta di camera
detentiva senza finestre, un luogo angusto e squallido in cui arrivano continue
pratiche da compilare. Un non - luogo in cui sembrano passare dei giorni senza
cibo e senza sonno. Fino a che la pena è sufficiente, con il nostro eroe reso
finalmente libero, diventato un guscio vuoto di se stesso. Dylan un minuto
dopo ha giusto il tempo per scambiare qualche battuta con i colleghi e
partecipare alla obbligatoria gita al centro commerciale della Ghost, dove
poter trovare occasioni ghiotte per il suo tempo libero, spendendo
entusiasticamente tutti i suoi pochi soldi. "Lo facci per la ditta, Dogghi!!".
E Dogghi... cioè Dylan è pronto a spendere, anche se con la dovuta
preoccupazione. Perché di fatto con il lavoro d'ufficio non ha guadagnato fino
a ora granché, al punto che per sopravvivere sta già vendendo il mobilio di
casa. Ma le occasioni del Ghost store sono troppo ghiotte. Forse però la vita
può cambiare o diventare più sopportabile, con poco. E senza possedere dvd
impacchettati che non si ha il tempo di vedere. E' un trucco che qualcuno gli ha
insegnato. Basta, durante il lavoro, rimanere con gli occhi fissi sullo schermo
del pc, ma senza guardarlo davvero. Concentrarsi solo su un puntino dello
schermo del pc e lasciare che i pensieri si focalizzino e spirino in quel punto. D'un tratto diviene magicamente possibile decontestualizzare il mondo,
immaginare di essere in un luogo diverso, una persona diversa. Magari,
addirittura, è possibile sognare di essere un cacciatore di fantasmi che si
trova in quella ditta per affrontare un caso, ma che per qualche motivo ha
perso la memoria. Per un attimo, come direbbe Marzullo, si potrà sognare
che la realtà è un sogno e forse i sogni ci aiuteranno a vivere meglio. Per poi
tornare con i piedi per terra, dentro la macchina lavorativa.
Sì pero'...
Che tristezza... Certo la dimensione del single, depresso e solitario
lavoratore aziendale, spesso è questa. Ma grazie al cielo ci sono a volte anche
gli amici o i familiari "là fuori dal lavoro". In fondo qualcuno va
al lavoro sperando di tornare a casa, anche per pochi secondi, per abbracciare
i propri cari o farsi una bevuta tra amici? Qualcuno va al lavoro sperando che
i propri sforzi permettano a un figlio di crescere e diventare adulto o anche
solo per permettere alla mamma di comprarci una pagnotta? Ci sono delle vite da
proteggere, sorrisi e abbracci da ricevere! Perché, come canta qualcun altro,
chi si spacca la schiena sul lavoro in fondo è tutt'altro che uno sfigato...
Ma
spesso non si riesce a essere eroi e non è nemmeno il caso in cui "il
ragazzo non ci si impegna abbastanza". Non si trova materialmente il tempo
per costruirsi una vita e fare gli eroi è difficile, soprattutto per chi non ha
mai preteso di esserlo.
Come si comporterà quindi il nostro Dylan, anti-eroe per eccellenza,
nell'ingranaggio chapliniano della macchina umana?
Dopo essersi dedicato per combattere i "Mali interiori" al social
work con procedure da manuale (vedasi recensione ultimo numero, testo
più commenti), facendoci intuire (e non è la prima volta) che sia diventato
una specie di "assistente sociale dell'incubo", oggi Dylan si connette
con un altro classico malessere esistenziale, quello dei colletti bianchi. Un
tema che non passa mai di moda. Open-space fatti di cantucci brulicanti di
umana depressione, l'incubo del non rinnovo del contratto, lo sconforto di una
vita non vissuta, il massimo orrore di finire in mezzo a una strada perché
troppo vecchi o troppo giovani e quindi "sacrificabili".
Dylan Dog incontra così l'horror per autonomasia del cinema italiano:
l'immortale Fantozzi (e il correttore automatico mi ha appena
tradotto Fantozzi in Fantocci, ve li giuro). Nonostante le
evidenti parti comiche, il capolavoro di Paolo Villaggio è infatti la più
spietata, efficace e realistica critica alla condizione di vita dei colletti
bianchi. Certo è un problema autentico e reale, tutto il mondo del lavoro si
sta estremizzando, chiedendo sempre più ore e ore di lavoro extra, andando a
risucchiare il capitale umano in un vortice senza uscita. Manca il tempo,
mancano i soldi, manca la voglia di ribellarsi, manca una qualsiasi dimensione
di futuro al di fuori della lotta titanica per accumulare quanto basta per
estinguere un mutuo o garantire almeno la scuola ai propri figli. I familiari
alla fine si vedono per sei minuti al giorno (almeno da svegli) e i legami si
assottigliano, spesso si spezzano e resta solo il lavoro come condanna a vita.
L'uomo è ridotto davvero a ingranaggio del sistema oggi esattamente come
lo era ieri. anche se sono cambiate le "forme esteriori", anche se
sono state vinte importati battaglie sindacali e umane, anche se si vive di più
e ragionevolmente meglio, l'uomo è sempre più vittima e succube del suo lavoro,
al punto da nullificare il resto della sua vita.
Cosa c'è "di più horror" di questa esistenza meccanizzata?
Qual e' la via d'uscita?
Se il lavoro d'ufficio è un mostro, riuscirà Dylan a combatterlo con i suoi
nuovi "superpoteri" di assistente sociale (ormai la moda è
questa, non che sia un male)? Anche qui Dylan si "connette con il
problema", anche se non ci viene detto come tutto è partito e ce lo
ritroviamo fin dall'inizio ficcato nel problema dalla testa ai piedi. Dylan è
già da subito un colletto bianco, auto - convinto di esserlo, da sempre, dai mostruosi e alienanti schemi di lavoro della Ghost Enterprise.
Il lavoro di Bilotta è originale e forte al punto da scuotere e fare calare
completamente nella storia una grossa fascia dei lettori. Chi si lamentava
dell'incapacità di Dylan Dog di trattare temi di attualità qui potrebbe almeno
un po' ricredersi (in fondo è realtà fantozziana, ma fin troppo attuale). I
disegni del bravissimo (da applauso) Fabrizio De Tommaso, copertinista
ufficiale di Morgan Lost (di cui prima o poi vorrei parlare) sono splendidi. I
tratti somatici sono ruvidi, stilizzati, forti. Le tavole cariche di impiegati
geometricamente ingabbiati in "non-luoghi aziendali", con
una ricerca di bidimensionalità grafica che ricade sul loro piano esistenziale,
con splash page "di sfogo e di fuga" che caricano di colore (il nero)
l'ambiente del tutto asettico e impersonale della Ghost Enterprise. C'è una
vena di grottesco e un tocco di involontario umoristico sui volti dei
personaggi, uno spirito indomito e un po' folle negli occhi. C'è la tragedia
dietro l'angolo, ci sono i mostri finti e i "veri" nascosti a più
livelli narrativi, non si riesce a scovare una razionale via d'uscita a questo
incubo.
Visivamente il numero è davvero bello. Mentre narrativamente è addirittura
sconcertante, in positivo, anche se un po' mi indispone.
In effetti questo lavoro di Bilotta (ve lo dico da subito, questo numero a
livello narrativo è davvero molto valido, non fraintendetemi per quelli che
preciserò dopo) è una di quelle cose che mi fanno spaccare in due la testa. Un
rebus senza soluzione su quello che io davvero mi aspetto da un fumetto, nel
connubio tra fantasia e realtà.
Cercherò di esprimermi nel modo spero meno contorto
possibile, ma non fatevi illusioni, non ci si capirà nulla... diciamo che ho due
punti di vista contrastanti...
1) Primo punto di vista: mi piacciono i fumetti che affrontano di petto la realtà ricordandosi di essere "solo fumetti". In uno storico numero di Hulk scritto da Peter David di molti anni fa si affrontava il tema dell'Aids, che all'epoca, anche per via di una tecnologia medica diversa dalla attuale, era di forte attualità. La storia non era sulla prevenzione stile il "cartone animato contro la droga", il taglio era diverso, più adulto, c'era un personaggio legato alla trama principale che si scopriva malato e prossimo alla morte. Forse si poteva salvare con una iniezione del super sangue di Hulk (all'epoca eroe stabile e intelligentissimo nella versione "the professor", ma non divaghiamo), ma Peter David "abbatteva la quarta parete" e in qualche modo faceva ragionare sul fatto che Hulk non esiste, che è solo un fumetto. Allo stesso modo, nello storico numero di Spiderman sull'11 settembre 2001, John Romita Jr e J.M. Straczynski tutti gli eroi e villain Marvel sono intenti ad aiutare le vittime e a spostare i detriti di New York. Non ci sono più buoni e cattivi, il Dottor Destino piange. Gli eroi di carta si affiancano ai pompieri, paramedici, volontari e addetti delle forze dell'ordine. Perché sono, appunto, eroi di carta che tutti i mesi distruggono le città per finta, mentre i veri eroi dell'11 settembre (nella splash page finale) sono i soccorritori delle Twin Towers. La realtà spinge a chiudere il mondo dei fumetti su se stesso, diviene un limite invalicabile.
2) Secondo punto di vista: mi piacciono anche i fumetti che "non sanno di essere fumetti". Mi piace che l'immaginazione possa "vincere" sulla realtà. Non sto parlando di un "caos mentale" che integra reale e fantastico, non mi aspetto di trovare Silver Surfer che scorrazza sopra il Duomo di Milano per protestare a una manifestazione politica. Ma del fatto che spesso i lettori sanno già che la realtà è orribile, non modificabile e "reale" e cerchino nei fumetti proprio una fuga impossibile, controllata e fasulla, un placebo allo stress quotidiano. Voglio che l'eroe di carta, almeno lui, possa vincere. Ed è un po' quello che si aspettavano gli spettatori dei film poliziotteschi degli anni settanta: la criminalità imperava ma un prefetto di ferro riusciva a frenarla. Mentre sono in bagno in una pausa fisiologica mi piace immaginare invasioni zombie ed eroi che riescono a vincerle.
Non vi dico che punto di vista adotti il fumetto scritto da Bilotta, lo lascio a voi scoprire, ma quella tensione emotiva che sopra vi ho descritto l'ho avvertita. E non è stata un male. E essere tesi emotivamente è cosa buona se si sta leggendo un horror.
A fare giusto i pignoli, e qui oltremodo mi esprimo a carattere personale, c'è un aspetto "politico" dell'autore che non riesco a condividere in pieno , ve lo espongo sotto
SPOILER
Alla fine il cliente di Dylan che lo ha messo in tutto il casino dice che lui è riuscito a "fuggire" trovando un impiego meno remunerativo e molto più tranquillo, in una libreria di provincia. In qualche modo l'autore avvalla la teoria che gli impiegati-schiavi della Ghost Enterprise siano vittime congiuntamente di capitalismo e consumismo. Dei gioghi che si potrebbero facilmente togliere se accettassero di vivere un po' più poveri ma in un ambiente in cui la qualità di vita è migliore (in fondo il consumismo si sviluppa anche come reazione compensativa a una vita non appagata). Il che sarebbe auspicabile, certo, ma attualmente è anche possibile? Mi piacerebbe che ci fossero milioni di librerie in paesini di provincia, magari in Toscana o Emilia Romagna, dove ricollocare impiegati resi "burnout" dal lavoro in grandi aziende, tutti i disoccupati e "pure me"! Ma attualmente, sarò pessimista io, non riesco a trovarle sugli annunci di lavoro. Ma magari sono io che guardo male.
FINE SPOILER
1) Primo punto di vista: mi piacciono i fumetti che affrontano di petto la realtà ricordandosi di essere "solo fumetti". In uno storico numero di Hulk scritto da Peter David di molti anni fa si affrontava il tema dell'Aids, che all'epoca, anche per via di una tecnologia medica diversa dalla attuale, era di forte attualità. La storia non era sulla prevenzione stile il "cartone animato contro la droga", il taglio era diverso, più adulto, c'era un personaggio legato alla trama principale che si scopriva malato e prossimo alla morte. Forse si poteva salvare con una iniezione del super sangue di Hulk (all'epoca eroe stabile e intelligentissimo nella versione "the professor", ma non divaghiamo), ma Peter David "abbatteva la quarta parete" e in qualche modo faceva ragionare sul fatto che Hulk non esiste, che è solo un fumetto. Allo stesso modo, nello storico numero di Spiderman sull'11 settembre 2001, John Romita Jr e J.M. Straczynski tutti gli eroi e villain Marvel sono intenti ad aiutare le vittime e a spostare i detriti di New York. Non ci sono più buoni e cattivi, il Dottor Destino piange. Gli eroi di carta si affiancano ai pompieri, paramedici, volontari e addetti delle forze dell'ordine. Perché sono, appunto, eroi di carta che tutti i mesi distruggono le città per finta, mentre i veri eroi dell'11 settembre (nella splash page finale) sono i soccorritori delle Twin Towers. La realtà spinge a chiudere il mondo dei fumetti su se stesso, diviene un limite invalicabile.
2) Secondo punto di vista: mi piacciono anche i fumetti che "non sanno di essere fumetti". Mi piace che l'immaginazione possa "vincere" sulla realtà. Non sto parlando di un "caos mentale" che integra reale e fantastico, non mi aspetto di trovare Silver Surfer che scorrazza sopra il Duomo di Milano per protestare a una manifestazione politica. Ma del fatto che spesso i lettori sanno già che la realtà è orribile, non modificabile e "reale" e cerchino nei fumetti proprio una fuga impossibile, controllata e fasulla, un placebo allo stress quotidiano. Voglio che l'eroe di carta, almeno lui, possa vincere. Ed è un po' quello che si aspettavano gli spettatori dei film poliziotteschi degli anni settanta: la criminalità imperava ma un prefetto di ferro riusciva a frenarla. Mentre sono in bagno in una pausa fisiologica mi piace immaginare invasioni zombie ed eroi che riescono a vincerle.
Non vi dico che punto di vista adotti il fumetto scritto da Bilotta, lo lascio a voi scoprire, ma quella tensione emotiva che sopra vi ho descritto l'ho avvertita. E non è stata un male. E essere tesi emotivamente è cosa buona se si sta leggendo un horror.
A fare giusto i pignoli, e qui oltremodo mi esprimo a carattere personale, c'è un aspetto "politico" dell'autore che non riesco a condividere in pieno , ve lo espongo sotto
SPOILER
Alla fine il cliente di Dylan che lo ha messo in tutto il casino dice che lui è riuscito a "fuggire" trovando un impiego meno remunerativo e molto più tranquillo, in una libreria di provincia. In qualche modo l'autore avvalla la teoria che gli impiegati-schiavi della Ghost Enterprise siano vittime congiuntamente di capitalismo e consumismo. Dei gioghi che si potrebbero facilmente togliere se accettassero di vivere un po' più poveri ma in un ambiente in cui la qualità di vita è migliore (in fondo il consumismo si sviluppa anche come reazione compensativa a una vita non appagata). Il che sarebbe auspicabile, certo, ma attualmente è anche possibile? Mi piacerebbe che ci fossero milioni di librerie in paesini di provincia, magari in Toscana o Emilia Romagna, dove ricollocare impiegati resi "burnout" dal lavoro in grandi aziende, tutti i disoccupati e "pure me"! Ma attualmente, sarò pessimista io, non riesco a trovarle sugli annunci di lavoro. Ma magari sono io che guardo male.
FINE SPOILER
Insomma.
Alla fine decisamente un ottimo numero. Ben disegnato, ben scritto, crudo e
spietato come un vero horror dovrebbe essere. Decisamente uno dei migliori
numeri degli ultimi tempi.
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Condivido: uno dei migliori DD degli ultimi tempi. Dylan conferma di essere strumento ideale per affrontare temi sociali di attualità
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