mercoledì 25 settembre 2013

Le Storie vol.11: il Lungo inverno

testo: Di Gregorio disegni: Ripoli

Lapponia. Terra nota per i popolari frutti di bosco e per i pali della luce. È la fine di novembre del 1933. Le strade sono invase dalla neve mentre una vettura incede silenziosa verso un posto sperduto, un albergo per la cura termale. Ian Stevenson annota meticolosamente ogni dettaglio, le sue lettere sono destinate alla sorella Lucille. È catturato dalla stranezza del paesaggio quanto dagli strani ospiti con cui dividerà il soggiorno. Non sa per quanto tempo si protrarrà la assenza da casa, ma le terme, l'idroterapia, dovrebbero giovare alla sua schiena malandata e il medico, il dottor Growall, pare una brava persona. Si dice che il freddo aiuti a ritemprare corpo e anima, ma non sempre si può curare tutto. Soprattutto quando paure, angosce e ossessioni scaturiscono dalla mente. Ma se un luogo si riempie di follia dove si può fuggire, se oltre la soglia dell'ingresso non c'è altro che una infinita distesa di neve?

La collana “Le storie” muta di nuovo pelle, la storia narrata nell'undicesima uscita è dramma-horror dalle tinte smorzate, quasi una ghost story, un intreccio che si insinua sotto la pelle riportandoci in questi giorni ancora di sole il presagio del pungente gelo invernale. La sceneggiatura, opera del bravo Di Gregorio, una delle migliori penne di Dylan Dog, incede con calma e ordine nella descrizione di un meccanismo narrativo circolare, semplice quanto brutale. Ognuno dei personaggi è strettamente funzionale all'economia del racconto, ognuno costituisce un indizio per il lettore, prezioso quanto inizialmente fuorviante ed è una vera gioia perdersi tra le pieghe del narrato, rincorrere il significato finale, limpido e coerente come non mai. Come l'acqua delle terme, verrebbe da dire, specchio rivelatore, forse l'unico elemento in tutto il racconto al quale possiamo credere senza indugio. È nell'acqua che sono davvero a nudo i personaggi. Un'ottima prova d'autore quella di Di Gregorio. Il disegno dell'ottimo Ripoli vive dell'effetto totalizzante dell'immensa distesa bianca dei paesaggi, dalla neve alle acque termali ai camici degli inservienti. Scenario e dettagli mettono così a nudo, come colpiti dalle luci sul palco di un teatro, gli strani personaggi in scena, brandelli di umanità persi in se stessi, incapaci di guardare al di fuori delle proprie piccole e spaventose prigioni mentali. Vittime-carnefici che gelosamente lottano per continuare a esistere, per non finire risucchiati dal bianco infinito. L'albergo costituisce personaggio a sé. Parco di rifiniture ma asettico, sulle sue superfici, ornamenti e finestre regna una ossessiva ricerca di perfezione geometrica, i corridoi non possono che riportarci a Shining. Ma quello che davvero colpisce è il tratto. nSi gioca sull'identità grafica del racconto, lo stile muta e tratteggia in una geniale intuizione i tre piani del “reale”. Guardate il tratto usato per il racconto fin dall'inizio, il classico “italiano” alla Bonelli che si sposa con suggestioni del fumetto francese, elegante e preciso, ricco di dettagli ossessivi palesati, per esempio, nel ricercato disegno degli abiti, nelle levigature del legno. Osservate come muti nello stile che riproduce le foto, dove appare la mezzatinta e la colorazione a matita. Confrontate infine come trasfiguri nelle scene che mettono in luce il passato, tra le pieghe dei ricordi del protagonista, con le linee che si fanno vive e imprecise, con i dettagli che si sfocano. Eccezionale.

Faccio sempre maggiore fatica a sistemare la mia personale top 10 dei migliori racconti della collana “Le storie”. Il lungo inverno è l'ennesima perla di questa collana e un fumetto imperdibile per tutti. 
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