Nella provincia italiana di una Trento dei giorni nostri, l’introverso Mattia (Luka Zunic) lavora tutto il giorno a testa bassa in fabbrica, la sera canta la sua rabbia con la musica rap che autoproduce.
Ha solo 17 anni, ha lasciato la scuola anche se era bravo.
Lo ha fatto per cercare in qualche modo di “continuare la vita” di un fratello maggiore, amatissimo dal padre, che lavorava in quella stessa fabbrica prima di morire in seguito a un incidente. Ha cercato di sostituirlo, forse per riuscire a sentirlo emotivamente ancora vicino.
La famiglia non sembra capirlo, nonostante una madre preoccupata cerchi sempre modi possibili di comunicare con lui. Il padre (Fabrizio Ferracane) quasi non gli parla. Sul posto di lavoro si trova male: è sempre in ritardo e fa errori, anche perché viene costantemente cazziato da un superiore a cui non importa nulla della sua storia personale.
A volte anche la musica non basta più e Mattia si perde: covando dentro di sé un malessere che lo spinge quasi ad annullarsi, perdendosi in un senso di vuoto.
In cerca di una mano tesa, la trova un giorno sul lavoro, durante la pausa per una sigaretta. Murad (Abdessamad Bannaq), è un simpatico ragazzotto di origine marocchina, che presto con la sua amicizia lo tira fuori dalla tristezza. Lo aiuta a vincere la timidezza e parlare con le ragazze. Riesce a farlo tornare a sorridere e pensare al futuro, magari in compagnia di Laura (Francesca Rabbi), che forse ama già da anni.
La positività contagiosa di Murad deriva forse anche dalla sua religione, così l’amico decide di iniziare a frequentare anche lui la moschea: scoprendo una spiritualità che lo arricchisce, una comunità accogliente, la ritualità confortante della preghiera. Molto accogliente nei suoi confronti è soprattutto Rashid (Lawrence Hachem Ebaji), il fratello di Murad, un ragazzo posato e gentile, più empatico anche se meno giocherellone. Rashid sembra capire in profondità Matteo: è fortemente interessato alla rabbia che esprime con il rap, capisce il suo desiderio di rivalsa, la sua ricerca di equilibrio in un mondo che sembra rendere tutti sempre più soli, perennemente “sconfitti” .
Segue una bellissima vacanza in Marocco. Arriva la decisione di abbracciare l’Islam. Mattia infine lascia la sua famiglia per vivere da solo, magari trovarsi una ragazza.
Il gentile Rashid pone però di colpo l’amico davanti a una strada importate quanto terribile. Entrambi devono fare qualcosa di concreto per cambiare il mondo. Gli dà una pistola e un telefono non rintracciabile a cui rispondere, per avere istruzioni quando “sarà il momento”.
Rashid si è radicalizzato, Matteo non trova tra la famiglia, Laura e gli amici sufficienti motivi per non esserlo.
Chiuso nel buio di una stanza con le tapparelle abbassate aspetta, insonne.
Il ragazzo si trova di nuovo prigioniero di quel vuoto da cui era riuscito a fuggire grazie a Murad.
In Merica, del 2007, raccontava le difficili storie reali di emigrati italiani Veneti che a fine ottocento si spostavano a cercare fortuna in America Latina, confrontandole con le storie di chi immigra in Italia oggi. Affioravano, anche con sorpresa, difficoltà nell’integrazione che in più aspetti sono molto simili.
Ne Il Varco, del 2019, usando archivi visivi della seconda guerra mondiale, Ferrone raccontava il 1941 come l’anno in cui l’esercito italiano vedeva l’infrangersi dei sogni di vittoria, con l’arrivo di un convoglio militare in Ucraina, nel pieno dell’inverno russo. Con Il treno per Mosca, attraverso i filmati di una super 8 e i racconti personali di un barbiere, raccontava quella che è stata la caduta del sogno del comunismo.
Per costruire la storia de La cosa migliore, Ferrone dal 2010 si è interessato alle storie raccontate dai “foreign fighters” che partivano per la Siria o l’Iraq. Un caleidoscopio umano che il regista descrive come incredibilmente variegato per età, etnia, posizione sociale, ma forse tutto accomunato dalla necessità profonda delle persone di dare “un senso alla propria vita”, all’interno di un mondo presente caratterizzato prima di tutto da un vuoto spirituale imperante. Una spiritualità combattuta e ormai negata per anni in Occidente, in virtù di una preferenza ““ontologia”” nei confronti delle “logiche di Mercato”, ma di cui forse qualcuno ha ancora così bisogno da spingersi fino all’estremismo.
Luka Zunic, il protagonista della pellicola, è un giovane e promettente attore di 23 anni, che ha avuto già modo di confrontarsi con personaggi molto complessi. Uno di questi era Marcello, il protagonista del film drammatico Non Odiare, diretto nel 2020 da Mauro Mancini. Nella pellicola, Zunic era un giovane cresciuto all’interno dell’estremismo di destra per motivi anche strettamente familiari. Un giovane quasi “pre-destinato” a cadere in una spirale di odio e vendetta, che però partiva “per uno scherzo del destino” proprio da chi si sentiva contrario a quella scelta politica: il co-protagonista del film, interpretato da Alessandro Gassman.
Il personaggio di Mattia in La cosa migliore è forse attraversato dalla stessa rabbia di Marcello di Non Odiare, ma Zunic questa volta ha deciso di focalizzarsi molto di può sul senso di solitudine e smarrimento di un personaggio in grado di dare voce a molti giovani d’oggi. Giovani “dimenticati”, dallo Stato, dal mondo del lavoro e a volte pure dalla famiglia, che quasi senza rendersene conto finiscono per cadere vittime di meccanismi anche autodistruttivi: magari per assecondare i sogni delle poche persone che hanno dimostrato (anche mentendo) di vedere in loro, nei fatti, un valore.
Il film di Ferrone non è un film contro l’estremismo islamico, quanto piuttosto un film che affronta di petto quel “vuoto spirituale”, ormai insediatosi nella cultura moderna. La principale causa per cui persone di tutte le età, religioni ed estrazioni sociali possono oggi diventare dei Foreign Fighters, ma anche la ragione per cui oggi serpeggia un odio, quasi viscerale, per chiunque non la pensi allo stesso modo.
Ferrone, che abita in Turchia dal 2018 e vive a stretto contatto con la comunità araba, tiene molto nella sua opera a raccontare il lato umano, la spiritualità e accoglienza di un mondo che per molti in Occidente è bollato come “pericoloso” a prescindere, spesso per diffidenza, a volte per ignoranza, a volte perché manca la stessa “attitudine a parlare” tra chi è percepito di una cultura diversa (in una scena in Marocco a Mattia è impedito di entrare in moschea) .
Ferrone non si sottrae però a guardare l’estremismo negli occhi: denunciando con fermezza “quanto sia facile”, pur con le migliori intenzioni di un personaggio “rivoluzionario gentile” come Rashid che si arrivi al peggio. Per affrontare la “rabbia sociale”, l’empatia si trasformi di colpo in manipolazione, per poi arrivare a peggio in breve tempo. La soluzione che il regista suggerisce per affrontare questo “effetto valanga”, che colpisce soprattutto i giovani, è semplice quanto gentile: tornare a dare un valore alle persone rimettendo al primo posto la famiglia e la rete di amici. Mettere al primo posto l’ascolto e la comprensione, scalzando dalle priorità la “competitività a tutti i costi” e il senso di superiorità che questa implica. Una strada complessa ma che si può affrontare, forse con la spontaneità che esprime un personaggio ben strutturato come quello di Murad.
La cosa migliore è un film duro, ma può essere anche un film di speranza.
Bravissimi gli attori coinvolti. Una trama semplice e lineare, implacabile nella evoluzione drammatica della vicenda ma mai banale o ridondante.
Il film viaggia veloce ma lascia il segno, offrendo un nuovo modo di vedere il prospettiva i problemi dell’attualità.
Tanto Ferrone che un interprete valido come Zunic sono da tenere d’occhio.
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