Percepire la presenza del “male”: scovarlo istintivamente tra le pieghe di un fascicolo di polizia su un caso non risolto, come individuare una minaccia per la vita nascosta in agguato a pochi metri di distanza.
È questo il “sesto senso” di Lee (Maika Monroe), una giovane agente dell’FBI che sta destando per le sue doti speciali l’interesse di tutto il dipartimento.
Un’infanzia oscura e irrisolta alle spalle, con al centro un terribile trauma di cui sa forse qualcosa solo la stralunata madre Ruth (Alicia Witt). Un futuro prodigioso nella risoluzione dei cold case più violenti ed efferati: quelli con al centro manipolazioni operate da sette sataniche, con le vittime portate a commettere omicidi/suicidi rituali.
C’è un uomo che spesso abita gli incubi di Lee. Ha un volto incipriato, pallido e quasi artificiale. Lineamenti aggraziati, femminili, occhi vitrei vuoti. Porta capelli rossicci spettinati e irti simili a una parrucca, veste con abiti chiari eleganti quasi ottocenteschi. Un uomo che sembra una bambola (Nicolas Cage), che a sua volta vive in una stanza tutta di legno dove costruisce bambole: oggetti molto realistici, simili a bambine reali ritrovate morte a seguito di stragi familiari.
Quell’uomo misterioso e dalla risata a singhiozzo in fondo è con Lee da sempre, da quando era ancora bambina e forse l’ha visto entrare nella sua vita in una notte carica di neve e dolore.
Sente che lui la “sorveglia da lontano” in un modo quasi “magico”, al punto che forse sembra credere che sia stato quest’uomo ad aver influenzato le “doti speciali” con cui Lee oggi lei risolve i crimini. Forse i suoi sensi speciali si sono “attivati” prima di tutto per difendere Lee dall’avvicinarsi in futuro, di nuovo, di questa strana creatura a cui lei ha dato il nome di “Longlegs”: come una distorta versione del mentore occulto di Judy, “Papà Gambalunga”, nel romanzo di Jean Webster.
Lee, dopo essere miracolosamente scampata all’ennesima aggressione grazie al suo istinto, si trova a indagare su degli omicidi/suicidi rituali legati probabilmente dalla stessa mano invisibile, accompagnati ogni volta da messaggi in codice come quelli di Zodiac. Ma c’è di più. Su molte scene del crimini sono state ritrovate delle strane bambole di porcellana. Bambole simili a quelle di Longlegs, con al centro della testa una sfera nera di origine misteriosa.
Per risolvere il caso Lee dovrà prima di ogni cosa riappropriarsi di un passato che con tutte le forze cerca di dimenticare. Tornare a frequentare una madre che da anni vive reclusa nella vecchia casa di famiglia, tra scatoloni e rimpianti. Decidere finalmente se l’uomo dei suoi sogni, in fondo, non è che un essere umano.
Ci sono horror che nascono da inquietudini autobiografiche, con al centro spesso il difficile rapporto dell’autore con la figura paterna.
Spesso è un padre ricco e famoso quando a volte “assente”, fragile o giudicante. Comunque sempre un genitore al quale, anche solo per “riconoscenza”, questi figli sentono di “dovere tutto”, in primis la vita: decidendo infine di stare al loro fianco nonostante situazioni molto difficili per la loro età.
Un padre può essere ricordato come un autentico “incubo”, spingendo un autore a esorcizzarlo proprio attraverso l’arte, scrivendo magari un film horror.
Abbiamo visto di recente il “pastiche” meta-cinematografico The Exorcism - L’ultimo esorcismo, scritto e diretto da Joshua John Miller, figlio dell’attore premio Pulitzer Jason Miller, celebre per essere stato interprete del personaggio di padre Karras ne L’Esorcista di William Friedkin. Per The Exorcism, Joshua Miller raccontava di essersi ispirato proprio al suo difficile rapporto con il padre: andando a rivivere con “fantasia horror” il periodo in cui era diventato vittima dell’alcol. Un padre che nella finzione diventa Russell Crowe, attore in crisi che deve affrontare il demone dell’alcol mentre “per lavoro”, sul set, “affronta il diavolo” come esorcista. Lo affronta con disperazione, ma anche con l’aiuto di una figlia, interpretata da Ryan Simpkins.
In Longlegs succede qualcosa di simile. Troviamo alla regia e alla sceneggiatura Osgood “Oz” Perkins, come pure troviamo alla straordinaria colonna sonora il musicista elettronico “Zilgi”, pseudonimo di Elvis Perkins. Entrambi sono figli dell’attore Anthony Perkins, interprete di Norman Bates in Psycho di Hitchcock. Il film prende principalmente spunto da un famoso quanto terribile caso di cronaca nera degli anni ‘50, l’omicidio irrisolto di JonBenet Ramsey. Un fatto di sangue in seguito al quale fu recapitato ai genitori della vittima, a Natale, uno strano pacchetto al cui interno c’era una bambola con le fattezze della figlia. Ma Osgood Perkins stesso ha dichiarato che un’altra fonte di ispirazione per il ruolo del villain è stato proprio suo padre: una figura irrisolta, spesso sfuggente e solitaria. Si dice anche a seguito di una controversa “cura dall’omosessualità”, avvenuta prima che Anthony si sposasse, alterando il carattere e il rapporto con gli altri, rendendolo una figura quasi indecifrabile per i figli.
Ancora una volta “l’ombra del personaggio di un grande film horror” che si sovrappone all’immagine paterna.
Oz Perkins sceglie per protagonista la brava Maika Monroe, ex atleta che ha esordito come attrice in un altro capolavoro horror degli ultimi tempi, It Follows di David Mitchell, del 2014 (si dice seguito confermato nel 2025).
Lee è una detective che per molti versi richiama la Clarisse de Il silenzio degli innocenti, quando l’agente Carter di Twin Peaks: un personaggio sospeso tra realtà e incubo proprio a seguito di un trauma familiare. Tragica come eroica proprio in ragione di una infanzia frantumata e irrisolta, della quale sta ancora raccogliendo i cocci per dare un significato alla propria esistenza, nel frattempo risolvendo altri “puzzle” criminali.
Se il personaggio di Lee ha il dono di “intuire le cose” prima di comprenderle, anche la struttura narrativa stessa di Longlegs, per metterci ancora più in profondità nei suoi panni, si frantuma in infiniti puzzle visivi e labirinti narrativi. Puzzle che lo spettatore deve cercare di comprendere, come in un racconto dark fantasy, senza riuscire però mai ad arrivare a un nocciolo che, per sua natura stessa, può apparire ”umanamente” inaccessibile. È proprio in virtù di questa “cervellotica” quando originale impostazione se Longlegs appare distante da un film del Conjuring Universe di James Was, pur avendone in comune moltissimi aspetti e suggestioni, arrivando invece a sfiorare le atmosfere criptiche dello Shining di Kubrick. Un Kubrick inseguito da Oz Perkins anche nella costruzione geometrica/asettica dei luoghi, nella scelta di luci “fredde”, nell’uso di immagini subliminali. Uno “Shining” che che insegue anche Zilgi nella costruzione di una colonna sonora che, tra sussurri sotterranei ed esplosioni di trombe e archi, riesce a colpirci in profondità sul piano emotivo. Zilgi una la musica come “forma di premonizione”: rendendoci partecipi di una inquietudine che colpisce l’orecchio prima ancora che una azione si sia svolta sul piano visivo.
Longlegs, più che raccontato nella sua trama “di genere”, va quindi vissuto a livello sensoriale: assaporando il senso di smarrimento che prova la protagonista sulla pelle, muovendosi tra paure e incertezze che si confondono tra conscio e inconscio.
Maika Monroe e la Witt riescono molto bene a maneggiare dei personaggi davvero complessi, vividi, in grado di emozionare quanto atterrire per le loro fragilità e ostinazioni. Cage offre una delle sue interpretazioni più leggendarie: una creatura fatta di puro orrore e incomunicabilità, aliena quanto terribile.
Per il suo particolare linguaggio frammentato e per le molte intuizioni sonore e visive, Longlegs ha tutte le carte in regola per diventare un cult. Di sicuro è un film affascinante e da non farsi scappare.
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