sabato 2 novembre 2024

Venom: The Last Dance - la nostra recensione del cinecomic scritto, diretto e co-prodotto da Kelly Marcel, sul celebre anti-eroe Marvel


Premessa: Venom è un personaggio dei fumetti creato da Todd McFarlane e David Micheline, apparso per la prima volta come “costume alieno nero” di Spider-Man in Amazing Spider-Man numero 252 del 1984. Da Amazing Spider-Man 300 del 1988, quando come “simbionte” si impossessa del corpo del lunare giornalista Eddie Brock, Venom inizia una evoluzione autonoma dall’arrampicamuri, dai toni sempre più esagerati, sarcastici e dark. Dal 1993, con la serie Venom: Lethal Protector, il nostro simbionte alieno, sempre più anti-eroe, diventa titolare di una testata tutta sua e continua ancora oggi a essere uno dei personaggi Marvel più amati dal pubblico più giovane, al punto da arrivare anche al cinema.

Venom: The last dance è il terzo film di una saga iniziata nel 2018 con il film diretto da Ruben Fleischer. La storia riparte esattamente da dove finiva la precedente pellicola, Venom: Let there be Carnage del 2021, per la regia di Andy Serkis, ma il film risulta godibile e comprensibile anche senza particolari “ripassi”.


Sinossi: ci eravamo lasciati in un bar nel Messico di un’altra dimensione. Il nostro Eddie (Tom Hardy) era ubriaco, mentre ascoltava assurde storie di alieni viola che schioccando le dita erano in grado di far sparire metà della popolazione mondiale.

Poi si apre un varco dorato e il nostro eroe è di nuovo a casa, in un bar del Messico del suo mondo, con il suo simbionte alieno Venom che è così contento da volersi ubriacare. Basta con le menate dei multiversi!

Venom si fa un cocktail stile Tom Cruise muovendo come una bambola il corpo di Eddie che è ancora ubriaco, rivelando qualcuno dei suoi tentacoli neri al terrorizzato barista locale. La tv richiama i due alla realtà: sono accusati di aver ucciso un poliziotto a seguito della storiaccia con Carnage e ora pure i telespettatori messicani conoscono i suoi casini. Non si può tornare a Los Angeles.

Fuggire da un’altra parte, magari a New York dove forse Eddie può sfoggiare la sua abilità di giornalista e forse incastrare un politico corrotto. Si può anche prendere l’aereo dall’esterno, appiccicandosi alla carlinga con il corpo tentacoloso e appiccicoso di Venom, senza pagare il biglietto. Certo fa un po’ freddo e si può morire malissimo, ma i due sono abbastanza disperati da provarci. 

Il viaggio è orribile e Eddie è ancora sbronzo, quando sull’ala dell’aereo diretto verso la Statua della Libertà compare una creatura aliena insettoide, piena di denti, enorme e minacciosa. Riescono a frullarla tra i motori dell’ala prima che lei se li divori con i suoi denti a motosega, ma quel mostro è del tipo che si riforma come il T1000 di Terminator. È stato creato da chi ha creato anche i simbionti ed è in cerca proprio di loro due, Eddie e Venom, per una strana storia che frulla sfiga, prigioni interdimensionali, chiavi cosmiche ancestrali e il futuro di tutto l’universo.

È un casino, anche perché per il simbionte il mostro tornerà sulle loro tracce appena Eddie e Venom cercheranno di fondersi per le loro classiche “attività da Supereoi”. Bisogna fare qualcosa, prendere tempo, nascondersi.

Scendere dall’aereo con un Venom-paracadute.

Trovare un cavallo per “venomizzarlo” e usarlo come mezzo di trasporto superveloce. Prima o poi si arriverà a New York, non fosse per una nuova grana che incombe presto su di loro. La grana viene dall’area 55, la parte più nascosta dell’area 51 del Nevada: i militari cercano Venom con le telecamere e lo hanno trovato proprio in quel bar in Messico, poi sull’ala di un aereo. Non è che si mimetizzi benissimo e Eddie è sempre sbronzo per aiutare nelle questioni logistiche.

Per fortuna, tra mille inseguimenti e qualche senso di colpa, la coppia incontra una famiglia di hippie stralunati in fissa con gli alieni, capitanati dal visionario Martin (Rhys Ifans) e in gita proprio nell’area 51. La celebre base sta per chiudere per un provvedimento di Washington e loro sono in cerca di souvenir a tema omini verdi. Forse gli hippie, amorevoli, gentilissimi e bravissimi a cantare a cappella Space Oddity di David Bowie, potrebbero dare a Eddie e al suo “socio” (il riferimento al personaggio del “socio” dei libri di Sandrone Dazieri è voluto) un passaggio almeno per Las Vegas.

È un viaggio quasi rilassante, nel quale Eddie e Venom trovano dopo tanto tempo un po’di quiete, aria di famiglia, cioccolata. Ma l’area 51 incombe sul loro destino, insieme ai molti simbionti come Venom che nasconde al suo interno. Presto la Terra si riempirà di insetti giganti immortali a caccia di simbionti e forse di oscure divinità ultra-dimensionali. 

Ma forse quando ciò accadrà Eddie sarà ancora così sbronzo da non accorgersene.

 


Affilando i denti: Tom Hardy ce lo aveva “minacciato” già nell’agosto del 2018, quando era ancora fresco dell’uscita del primo, sgangherato ma molto divertente film della saga. Ai botteghini era piaciuto e quindi “facciamo almeno tre!!”. 

È nel dicembre del 2021 che Sony, come “regalo di Natale”, inizia effettivamente la produzione del terzo film dedicato a Venom, dopo che il divertente ma forse più sconclusionato capitolo 2 aveva comunque, tra cinema e home video, fatto breccia nel pubblico. 

Era ormai chiaro che il simbionte dentato di casa Marvel al cinema non poteva fallire. Del resto, aveva dimostrato quel “super potere ai botteghini” già con la sua primissima partecipazione in un live action, nel terzo Spider-Man di Raimi del 2007, pur risultando anche lì, per colpa di una sceneggiatura ipertrofica, un personaggio assolutamente, amabilmente “del cavolo”. Venom rubava la scena, anche elargendoci a piene mani alcuni dei momenti più cringe e divertenti della carriera di Tobey Maguire. 

E quindi vai con il numero tre. 

A debuttare nella regia, ma ancora responsabile dello script e della produzione, questa volta è nientemeno che la co-sceneggiatrice dell’intera trilogia di Venom: Kelly Marcel.

Una Kelly Marcel che tra un Saving mr Banks, l’adattamento di Cinquanta sfumature di grigio, Crudelia e la serie fantasy Tera Nova, aveva anche trovato il tempo di collaborare molto bene con Tom Hardy: nel suo film forse più importante per la carriera, il dramma carcerario Bronson, ma anche in un trattamento di Mad Max: Fury Road

Hardy, che co-produce e co-scrive la saga fin dall’inizio, l’aveva voluta fortemente a bordo anche per una forma di riconoscenza nei confronti del “vero committente occulto” di Venom: il piccolo figlio di Tom, Louis Thomas Hardy, classe 2008, all’epoca del primo Venom di anni 10. 

Papà Hardy voleva realizzare un film tutto per lui, che, come tutti i bambini di dieci anni, amava i fumetti di Venom, al punto che il primo film sul simbionte alieno ha preso vita probabilmente da intensi brain-storming tra Kelly e Louis, con Tom che partecipava facendo facce strane. Ce li immaginiamo insieme, lanciare per una stanza del set uno di quei pupazzetti allungabili che si appicciano ai muri, insieme a moto giocattolo, uno shuttle e tante macchinine, per spiegare i momenti drammaturgicamente più intensi di quella pellicola anche ai dirigenti Sony.

Immaginiamo (è sempre una nostra supposizione non avvalorata da fonti) un coinvolgimento attivo di Louis anche nella lavorazione delle successive pellicole: perché c’è una surreale “continuità” tra le scene in cui Eddie ha caldo e per rinfrescarsi entra nell’acquario di un ristorante e la passione di Venom per l’allevamento dei polli che si sviluppa nel secondo capitolo. Un gioioso non-sense.

Forse Louis non era abbastanza in vena di motorette ed esplosioni per Venom 2: del resto i 12 anni e le scuole medie sono un periodo di grandi cambiamenti, goniometri, test invalsi, i brufoli, le prime cotte… Se vogliamo l’aspetto delle “cotte”, che in modo differente affrontano Venom e Carnage, diventa a tutti gli effeti la parte più stuzzicante della seconda portata della saga. Venom 2 è quasi un film di amori adolescenziali alla Makoto Shinkai (stiamo usando una iperbole in modo molto ironico qui, non prendeteci sul serio), scombinati quanto “sentiti”. Del resto alle medie si scoprono spesso gli abitanti “dell’altra parte del mondo”: che più che “gli alieni” sono le donne…


Ma ora Louis, che supponiamo ironicamente ancora dietro alle storie cinematografiche di Venom, è un sedicenne americano medio e pensa anche ad altro. Lo immaginiamo diventato un grande appassionato di biologia e scienze naturali, assiduo consumare di Tolkien, magari frugale appassionato delle storie on-the road di Jack Kerouac. Forse anche Michael Crichton o Christopher Paolini hanno iniziato così. Probabilmente non ha usato più dei pupazzi allungabili per spiegare junghianamente la dualità dell’animo umano in “salsa McFarlane”. Ma la voglia di divertirsi insieme a papà e alla Kelly nell’immaginare nuovi simbionti ibridati con animali o nel portare su schermo creature alla Starship Troopers non deve essere finita. Me li vedo tutti e tre a lanciarsi addosso “cavalli-Venom” o “aquile-Venom”, rane ed elefanti Venom, debitamente cospargendoli prima di slime color nero notte e poi di slime di tutti i colori, con Hardy che continua a fare voci buffe, simula sbronze e prova a parlare con un Venom immaginario come un ventriloquo, usando un calzino per fingere il suo volto dentuto. Perché anche se hai sedici anni, se trovi un barattolino di slime e non hai ancora “ucciso” quel “fanciullino interiore” che secondo Pascoli dimora in ognuno di noi, con lo slime ci giochi. Ci giochi e torni di colpo a quando avevi 10 anni. 

Tutta l’operazione Marvel/Disney/Sony/Columbia legata a Venom, ridotta all’osso, è in sostanza da sempre basata sull’idea di farci “giocare al cinema” con un simpatico barattolino di slime con i denti. Certo non è l’unico Venom possibile, non è per nulla il migliore immaginabile: ma è comunque un Venom con cui hanno “giocato” un padre e un figlio, divertendosi un mondo.   

 


Chine e pennelli: Il direttore della fotografia è uno che ci piace: Fabian Wagner. Ha fatto un buon lavoro sui “due” Justice League di Snyder, sul Frankenstein con Daniel Redcliffe, ma anche nell’originale Overlord di Avery. Ha una predilezione per le tinte scure e i forti contrasti cromatici, riuscendo a trasmettere bene l’atmosfera tipica dei fumetti che su Venom calza ovviamente a pennello.  

Il montaggio è invece affidato a Mark Sanger: una carriera negli effetti visivi e poi il debutto all’editing con Gravity di Cuaron, seguito a breve da un film molto “fumettoso” (direi quasi un manga shakespaeriano) come Last Knights di Kazuki Kiriya e poi da un altro mega-fumettone come Transformers: the Last Knight. Più di recente ha lavorato a Jurassic World Dominion e di fatto continua a interessarsi a film con al centro tantissime creature animate, gestendo spesso scene quasi da cartone animato digitale. 

La colonna sonora curata da Dan Deacon si accompagna con una track list di lusso da classico film “on the road”, tra Cat Stevens e David Bowie (il “momento Space Oddity” è forse la parte più bella di tutto il film), passando per gli Abba e con intrusioni gustosissime dei Linkin Park.

Naturalmente torna in scena nel ruolo da protagonista e mattatore assoluto Tom Hardy, ormai indistinguibile tra versione umana e “aliena”, ma il cast annovera anche il bravo Chiwetel Ejiofor, già “personaggio a fumetti” come Karl Mordo in Doctor Strange, ma pure premio Oscar per 12 anni schiavo. C’è la bravissima Juno Temple, che abbiamo apprezzato nella serie Ted Lasso di Apple+ ma è stata anche lei in passato un “personaggio a fumetti”: nel secondo (un po’ sfortunato) film di Sin City del 2014. Alla voce “ritorni attesi”, c’è Rhys Ifans, che per i fan di spider-Man dovrebbe ricordare già per qualcosa, come ritorna Stephen Graham in un ruolo che è qui destinato a diventare molto importante. Non poteva mancare l’amarissima Peggy Lu e la sua già iconica Mrs Chen: che abbiamo potuto ammirare in una scena di ballo già molto reclamizzata nei trailer. La presenza di Kelly Marcel e Tom Hardy alla sceneggiatura, con la Marcel che esordisce alla regia, garantiscono una forte continuità con le pellicole precedenti.

 


In sala: Il primo Venom sembrava a tutti gli effetti una elaborazione più ironica di Life di Daniel Espinosa: tanta “voglia di Alien”, quanto voglia di un umorismo sopra le righe ma sotto controllo, quasi “Troma per famiglie”.

Il secondo film facendo leva su Woody Harrelson puntava altissimo cercando di rielaborare Natural Born Killers di Stone: si perdeva un po’, trovava momenti interessanti proprio sul lato “sentimentale” della vicenda, riproponeva ancora tantissimi effetti speciali “mostruosamente innocui” per la felicità di grandi e piccini.

Venom The Last Dance ha la struttura del classico film on the road ambientato ai margini del deserto americano, con la “variabile alieni” che a tratti lo avvicina al divertente Paul della coppia Simon Pegg e Nick Frost. Ma nella seconda parte la pellicola subisce una trasformazione/evoluzione esaltante, quasi da incubo lovecraftiano alla Southbound.

Il “cacciatore di simbionti” diventa qui mattatore quasi assoluto, dimostrandosi una creatura davvero spaventosa con cui la lotta si fa sempre più estrema e disperata, frenetica come a gravità zero, nonché sempre condita da momenti splatter di forte impatto. Il “rumore” con cui la creatura “trita” i nemici che ingoia è un effetto sonoro che rimane impresso nella memoria e dimostra l’incredibile bravura del comparto effetti sonori.

Permane il divertimento, le trasformazioni buffe e l’umorismo adolescenziale, ma la tragedia piano piano si fa largo, quasi riuscendo a trasformare Venom in un personaggio davvero epico. Nell’ombra intanto si fa largo con convinzione un villain, animato da Andy “Gollum” Serkis, che non avrebbe nulla da invidiare al Thanos gioiosamente “preso in giro” in un paio di battute a inizio film. Tutta l’iconografia di Knull, il mondo-prigione in cui vive e lo sterminato potere di cui può disporre, profumano molto di Signore degli Anelli.

Alla fine, anche il dissacrante Venom si è fatto epico, ma nell’evoluzione generale del personaggio è una tappa che grazie al buon equilibrio della sceneggiatura non stona.

Tom Hardy indossa ormai alla perfezione i panni tanto del simbionte che del giornalista “bollito” Brook: la “follia a due” che lega Eddie a Venom, trasformandoli a volte in amici fraterni, a volte quasi in una coppia di fatto, a volte “uno burattino dell’altro”, è sempre divertente, carica di momenti surreali quanto di “divertite” interazioni nelle scene action.

Ma è tutto il cast a funzionare.

Rhyan Ifans nei panni dello spirituale quanto stralunato Martin è davvero irresistibile, ma colpiscono in positivo anche il granitico e serissimo militare di Chiwetel Ejofor, il misteriosissimo personaggio interpretato da Juno Temple e la curiosa scienziata dall’animo empatico con il volto di Clark Backo.

Buoni gli effetti speciali, molto riuscite tutte le creature digitali multiforma e multicolore, tra cui si segnala un “tritone” che sembra uscito direttamente da un film di Guillermo Del Toro.

Conclusione: Fin dalle note di produzione, questo Venom si è dimostrato un film in forte continuità con i capitoli precedenti, ma anche in grado di portare il personaggio a una interessane maturità. Permangono l’ironia, una messa in scena fracassona quanto ricca di esagerazioni, i momenti carichi di non sense, i combattimenti super colorati in cui il simbionte si fonde e trasforma con l’ambiente.

La sceneggiatura non è priva di sbavature quanto ricca delle “semplificazioni” tipiche dei fumettoni cinematografici del passato: specie di quelli degli “anni 80/90”, alla Spawn (non a caso come Venom un altro personaggio di McFarlane), che sono stati il brodo di cultura del personaggio di Venom.

Se non vi scoraggia la profonda quanto “liberatoria” ingenuità di fondo del soggetto,  se siete “vittime” dell’indubbio carisma di un anti-eroe esagerato quanto esagitato come il simbionte alieno di Marvel, rimarrete incantati per un paio d’ore nell’osservare questo alieno gommoso/allungabile, pieno di denti e muscoli, che urla e fa cose assurde su schermo.  Un po’ goffo e un po’ minaccioso: come il Taz dei Looney Tunes, come gli assurdi Street SharksI personaggi anni '80 pieni di denti e con il caratteraccio piacciono sempre a grandi e piccini.

Ovviamente “vade retro” se cercate qualcosa di più profondo di un personaggio pensato “ab origine”, qui effettivamente, da un bambino di dieci anni.

Ma se volete tornare bambini, tra amanti dello slime di più generazioni, siete nella sala cinematografica giusta.  

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