venerdì 27 ottobre 2023

Saw X: la nostra recensione della decima pellicola della saga horror, sulle gesta del giustiziere Jigsaw e dei suoi seguaci, creata da James Wan e con protagonista Tobin Bell

Siamo in America tra il 2004 e il 2005 (per la saga di Saw idealmente tra il primo e il secondo capitolo). Potrebbero essere gli ultimi giorni di vita per l’ingegnere edile John Kramer (Tobin Bell), che sotto l’identità fittizia di Jigsaw Killer da tempo “punisce la società”, costringendo i “colpevoli” a sopravvivere a delle torture di stampo medioevale di sua invenzione. Il tumore al cervello che lo affligge è arrivato all’ultimo stadio, inoperabile. John è sempre più triste e inizia a contare i suoi ultimi giorni. È rimasto giusto il tempo per istruire i suoi successori, su come continuare al meglio la sua opere di redenzione sociale, e nel mentre partecipare un paio di volte a settimana ad un gruppo di sostegno per malati terminali. È qui che John inizia a sentire qualcuno che gli parla di una possibile “speranza”. 

La dottoressa Cecilia Pederson (Synnove Macody Lund), figlia di un luminare premio Nobel osteggiato dai poteri forti perché troppo geniale, ha elaborato un cocktail di pillole, radiazioni ionizzate e operazioni chirurgiche mirate, in grado debellare quasi ogni tipo di tumore. Opera in clandestinità, con equipe in grado di spostarsi in breve tempo per tutto il mondo e ha un posto in agenda anche per John, previa una certa somma di denaro in anticipato e poi a fine intervento, per venire incontro alle difficoltà logistiche. Una santa. 

È così che cade nella più classica delle truffe il super razionale John, che quando è lucido è pur sempre un uomo in grado di scoprire ogni cosa sulla vita di un uomo, con complesse indagini incrociate, come sa costruire, in poco tempo e ovunque, complesse strutture sotterranee, piene di trappole e congegni tecnologici ispirati alle pene bibliche come a Shakespeare.

Prende il biglietto aereo per il Messico, si fa trovare dall’autista preposto, viene trasferito in una villa e poi “curato” in una sala operatoria allestita in una fabbrica abbandonata. È tutto contento e convinto di aver incontrato solo persone bellissime a cui elargire tutti i soldi e la gratitudine che ha disponibili, fino a che si toglie le bende dalla testa e scopre che non gli hanno manco rasato i capelli per l’intervento. 

Forse lo sapeva già prima di partire e stava solo raccogliendo prove in prima persona, per trovare nuova gente da punire attraverso le torture che lui chiama affettuosamente “giochi”. Forse a livello sentimentale ha voluto sperare per l’ultima volta in “qualcosa di diverso”, qualcosa che gli avrebbe fatto vedere il mondo in un modo meno cinico e desolante. Sta di fatto che John, dopo aver chiamato sul campo la sua apprendista Amanda (Shawnee Smith), aver fatto un paio di telefonate al suo detective di fiducia e forse reclutato qualcuno dei suoi infiniti uomini “dietro le quinte”, è ora pronto per trasformare la fabbrica abbandonata, dove lo avrebbero dovuto operare, nel suo nuovo parco giochi a base di torture. 

Tutti, i finti medici, i finti infermieri, i finti luminari e le finte persone per bene coinvolte, vengono così narcotizzati e rapiti da figuri che indossando le classiche maschere di maiale che simboleggiano Jigsaw. Come sempre, John offrirà alle sue vittime la possibilità di redimersi e sopravvivere al “gioco”, a patto che queste siano abbastanza determinate e veloci nell’auto-mutilarsi di qualche parte del loro corpo, prima che le trappole mortali a cui saranno incatenati arriveranno a ucciderli. 

Si dimostreranno più crudeli e coriacei quelli che truffano i malati terminali o il nostro giustiziere?

Chi sopravvivrà al nuovo “gioco” di Jigsaw? 


Era il 2004 quando arrivava nelle sale italiane, come un fulmine a ciel sereno e già accolto da recensioni internazionali esaltanti, il primo film di quella che in futuro sarebbe stata la saga di Saw l’enigmista. La messa in scena, quasi minimale, vedeva due uomini ammanettati ai lati in uno scantinato fatiscente, con un terzo uomo defunto al centro. Mentre un detective della polizia (Danny Glover) indagava sul caso cercando di salvarli, attraverso gli indizi sparsi per la stanza i due progressivamente scoprivano i motivi per cui si trovavano lì, come l’unico doloroso modo possibile concesso loro per andarsene: tagliarsi un arto da soli con una sega. Il fatto che sulla scena ci fossero attori molto bravi come Cary Elwes e Michael Emerson, il carisma indiscutibile di Tobin Bell che nell’oscurità guidava i giochi, una trama geniale a prova di bomba, tanto sangue e splatter e grandi riconoscimenti a festival come il Sundance, fecero affezionare in breve il pubblico e decollare il film ai botteghini. 1 milione di dollari di budget, un incasso di 104 milioni e che ancora oggi sale. Produceva il tutto la Lions Gate e dopo il box Office la piccola Twisted Pictures, fondata per racimolare quel milione iniziale, divenne una importante realtà nel panorama horror indipendente, producendo oltre alla saga di Saw anche Catacombs, Dead Silence (sempre di Wan ma inspiegabilmente sottovalutato), Chained.

Il regista James Wan, alla sua prima prova, diventava con Saw già la figura creativa e produttiva di culto che avrebbe in seguito reso grande la Blumhouse con la saga di Insidious, come avrebbe riportato sulla strada dell’horror la New Line (la casa di Freddy Krueger) con la saga di The Conjuring (che da Annabelle è co-prodotta pure da Atomic Monster, casa dello stesso Wan). Oggi, mentre gli viene affidata dalle major la direzione di pellicole da centinaia di milioni di dollari come Fast & Furious e Aquaman, Wan continua a produrre tutti i suoi franchise e nel mentre crea nuovi possibili proprietà intellettuali horror come Malignant e M3gan. Le sue ricette sono sempre semplici quanto accattivanti, di fatto in gran parte mutuate dall’horror della Hammer, ma debitamente rese moderne da un linguaggio fresco e da una messa in scena visivamente impattante, che nello specifico di Saw si traduce in tante trappole mortali truculente, ideate e gestite da un antieroe sadico quanto spinto da un perverso senso di giustizia, che non ha problemi letteralmente a “triturare” pezzo per pezzo le sue vittime. 


Torture e “valori” che devono aver particolarmente impattato sul pubblico anche in seguito, perché sempre sotto la guida produttiva di Wan la complessiva saga di Saw, pur cambiando i registi e in parte gli interpreti, contando i dvd, i video game e le altre proprietà intellettuali collegate, si stima abbia in dieci film per ora generato un miliardo di dollari. Merito di Wan come del suo assistente e co-autore di riferimento, il mitico Leigh Whannell (poi diventato anche regista di Insidious 2 e 3, di Upgrade e The invisibile Man), ma anche merito di chi è riuscito a seguirne ed espanderne le intuizioni. Come Darren Lynn Bousman, regista del musical horror Repo! the generic opera, che ha diretto e co-sceneggiato i capitoli 2, 3, 4 e il “prequel” Spiral. Merito anche di David Hackl, cresciuto nel reparto seconda unità della saga e che infine ha diretto Saw 5, merito dei fratelli australiani Spierig, registi della matta zombie commedia Undead del 2004, che hanno diretto il complesso Saw Legacy. Merito di Kevin Greutert, autore anche di una pellicola interessante come Jessabelle e che di recente a collaborato anche al magnifico Barbarian di Zack Cregger, che ha diretto Saw 6, Saw 3D e questo Saw X

Il successo di Saw in larga parte si basa proprio sulle torture che vengono rappresentate sulla scena, spesso frutto di meccanismi ingegneristicamente complessi quanto brutalmente medievali. Sono congegni spesso legati tra loro fino a comporre articolate Escape room, diventando dei non-luoghi labirintici simili a suburbani gironi danteschi. Crea una tensione costante, il fatto che a chi si trovi all’interno di questi ingranaggi venga comunque data una piccola e spesso infruttuosa possibilità di salvezza, pur ricoprendola di un ampio strato di sofferenza e dolore. Un dolore che scenicamente viene amplificato da un movimento della macchina da presa che si fa sincopato e da una colonna sonora stile heavy metal, che stordiscono e confondono pensieri e parole delle vittime come del pubblico. Vittime che rimangono solo nel migliore dei casi più morte che vive. Un pubblico che si sente pervaso da una strana adrenalina, attirato e al contempo atterrito da quanto succede sulla scena. 

Il successo di Saw è anche merito indiscusso degli attori coinvolti. John Kramer è un personaggio che grazie alla calma e presenza scenica di Bell ha saputo re-interpretare il fascino perverso della figura del giustiziere. Sa essere un teatrale fantasma dell’opera quanto lo era Vincent Price, ma possiede una calma e controllo dei sentimenti assoluti, quasi da asceta. Usa una perversa quando “sincera” empatia per le persone che sottopone lui stesso a torture degne di Torquemada. Tanto carnefice quanto misericordioso, possiede un fascino tale che più volte è possibile, pur con voli pindarici folli, scambiarlo per un personaggio “”quasi positivo””, un Batman 2.0 con velleità da inquisitore: un genio alla Da Vinci dietro la realizzazione di trappole mortali sempre più spietate ma percepite “distortamente giuste” secondo leggi del trapasso quasi dantesche. 

Tobin Bell con Saw ha dato sempre il massimo ed è così diventato famoso quanto Robert Englund, uno dei volti più riconosciuti e amati dai fan degli horror moderni. 

Ma anche gli “altri Jigsaw” sono stati particolarmente apprezzati. 


Prima tra tutti la meravigliosa Shawnee Smith, che con la sua Amanda ha dato vita a un personaggio estremamente differente, complesso e conflittuale, a volte crudele come a volte spinta da sinceri nonché “estremi” atti di altruismo. Meno esperta a livello di progettazione e realizzazione delle trappole, rispetto a Kramer a volte crea congegni che non funzionano a dovere o si rivelano tragicamente oggetti unicamente mortali. 

C’è poi l’attore Costas Mandylor, che dà corpo all’enorme e oscuro Hoffman, il Jigsaw più brutale e “inaspettato”, capace di trasformare le trappole in armi da difesa personale, se non di assalto, da usare anche contro i poliziotti e in piena antitesi con la perversa morale “salvifica” di Kramer. Hoffman è un giustiziere maldestro le cui trappole sono spesso del tutto impossibili da superare per l’eccesso di violenza che ci infonde dentro: se Kramer può sembrare un chirurgo che opera con il bisturi, Hoffman è un taglialegna che fa uso di motoseghe e lame circolari. Il successo della saga di Saw è dovuto quindi anche al modo in cui questi tre personaggi continuamente si confrontato sul senso di giustizia e di peccato, in dialoghi che avvengono faccia a faccia come attraverso flashback e memorie, trappole e appunti. Ognuno di loro, ed è una cosa particolarmente originale e interessante, ha infatti una sua etica e debolezze che traspaiono anche dalla stessa natura degli strumenti di morte che creano. Oggetti che sono riconoscibili e ricorrenti di capitolo in capitolo, andando a creare un piccolo museo delle torture. Solo che purtroppo il personaggio di Kramer, nevralgico è indispensabile alla trama, moriva all’inizio del film numero 4, che si apriva proprio con la sua autopsia. Tobin Bell rimaneva nell’aria, compariva nei flashback, ma mancava tantissimo sulla scena, al punto che capitolo dopo capitolo, pur mutando pelle in modo positivo e originale, la saga è finita per andare da tutt’altra parte, fino a pasticciarsi un po’. Fino a far desiderare i produttori che si potesse ripartire da zero, con il simpatico ma poco riuscito Spiral.


Questo Saw X di fatto è un secondo tentativo in questo senso: un capitolo che si infila tra il primo e secondo film secondo logiche similari agli ultimi Scream ed Halloween. Un capitolo 1 e 1/2, ambientato in una linea narrativa in cui Kramer è ancora in vita e può relazionarsi direttamente con Amanda, con la prospettiva di magari espandersi in futuro in in capitolo 1 e 3/4 o 1 e 15/16. È un’idea che a conti fatti ci porta qualcosa di nuovo e interessante, perché per una volta in Saw X vediamo John Kramer davvero al centro della scena e attivo, senza essere troppo “coperto” dalle torture, la teatralità, le maschere e i pupazzi animatronici diabolici di cui fa ampio uso nella saga. È un Kramer più umano e più vecchio, ma pur sempre imponente nei momenti che contano. Un Kramer che in una scena viene sottoposto a una delle sue stesse torture e la affronta a testa alta, da prestigiatore escapista, come se fosse Harry Houdini. Anche Amanda è diversa e tra le mille spigolature del suo carattere ci fa percepire anche la sua profonda (e spesso ben nascosta) dolcezza di fondo. È un film su John e Amanda, che in coppia funzionano così bene che i fan della coppia apprezzeranno. Sia Bell che la Smith si trovano perfettamente a loro agio sulla scena, ricordando a tratti nella teatralità, quanto nelle dinamiche affettuose e spietate, il Johnny Depp e la Helena Bonham Carter in Sweeney Todd. E naturalmente anche le trappole mortali, come negli altri film, “esprimono” i loro personaggi e stato d’animo: sono oggetti nella totalità dei casi risolvibili senza la morte delle vittime, funzionanti quanto precisi. In questo caso Kramer sembra particolarmente ossessionato da pesi e misurini, come se stesse calcolando con la sua “particolare arte”, il peso dell’anima, alla maniera del Mercante di Venezia di Shakespeare. Solo che a sopravvivere saranno sempre in pochissimi, per il panico come per la poca forza di volontà o per essersi attardati di pochi secondi, facendo di Saw X uno dei capitolo più sanguinolenti e cattivi del franchise. 

Purtroppo, al di là di queste “gioie”, pur contando di una location nuova e suggestiva (dove, per gradire, si parla e ci si ispira, nella realizzazione visiva di due trappole, pure ai sacrifici umani dei Maya) quanto di prove del cast anche interessanti (come il ruolo ambiguo e quasi luciferino della brava Synnove Macody Lund), in film non riesce a dare il meglio sul piano narrativo. Una certa ripetitività di schema è di fatto intrinseca in tutti i capitoli di Saw, almeno dal terzo in poi, ma giunti al capitolo dieci abbiamo anche visto quasi tutto sulla struttura “investigativa” che richiama le Escape Room, il funzionamento diretto e indiretto delle trappole, la tipologia caratteriale delle vittime e delle relazioni interpersonali tra di esse e i giustizieri, così come il fatto di aspettarsi un certo tipo di colpo di scena, che arriva sempre e puntale come un treno a Tokyo. In questo caso la trama non ci prova neanche un attimo a farsi complessa e “tira veramente dritto”, dando consciamente più spazio possibile al classico spettacolo splatter da grand guignol quanto allo sviluppo del rapporto tra Amanda e John. È una scelta, che scontenterà sicuramene la parte del pubblico che era affascinata anche dall’intreccio generale sottile che legava le indagini e i personaggi, dando alla saga un sapore simile ai capitoli di un ordinato e consequenziale telefilm di genere crime. È una scelta che di fatto un po’ svilisce un’opera che però si saprà far perdonare ampiamente dai fan, in virtù delle cose buone che comunque offre. 

Saw torna al cinema per un capitolo certamente rivolto ai fan, per alcuni aspetti involuto ma molto appagante per chi cerca lo splatter e la tensione delle trappole mortali di Jigsaw, in questo caso davvero truculente. 

I primi capitoli rimangono inarrivabili, ma per una volta abbiamo sotto i riflettori Kramer e Amanda e la loro interazione ci è piaciuta molto, facendoci sorvolare sulla eccessiva linearità e mancanza di colpi di scena della trama. 

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