Sinossi: Haiti. È una bellissima giornata di sole e il fotografo Victor (Leslie Odom Jr) è intento a riprendere una spiaggia piena di colori e palme, quando la moglie incinta Sorenne (Tracey Graves) gli chiede il permesso di perdersi per i mercatini della vicina cittadina. Mentre è in cerca di vestitini e piccoli oggetti per una bimba che hanno già deciso si chiamerà Angela, la ragazza viene accompagnata da dei bambini a ricevere una benedizione per la nascitura secondo i riti locali. Purtroppo di lì a poco la città viene travolta da un terremoto e Sorenne si trova sotto le macerie di un corridoio dell’albergo a implorare il marito, scampato al crollo, di chiedere ai medici di salvare la loro bambina, nel caso facessero in tempo a intervenire.
Sono passati 13 anni e siamo in America. Victor vive con Angela (Lydia Jewett) in una casetta con giardino di periferia e sebbene non sia un padre perfetto ce la mette tutta e prepara pancake eccezionali. La tragedia che ha coinvolto la moglie ha profondamente cambiato il fotografo, che da allora si è allontanato dalla religione e prova ancora un grande dolore anche solo all’idea di parlare di Sorenne alla figlia, ma il tempo è comunque passato, l’uomo vive all’interno di una comunità calorosa, ha sempre vicino gli amici della palestra dove tira di boxe e per ogni evenienza può fare affidamento sull'anziana e gentile dirimpettaia Ann (Ann Down). Angela è ormai grande, è brava a scuola e inseparabile dalla sua amichetta Kat (Olivia Marcum) e ogni tanto cerca di scoprire in qualche modo chi era la madre, giocherellando tra le foto e i suoi vestiti riposti negli armadi. Proprio per venire incontro a questo desiderio un giorno Angela, su suggerimento di Kat, decide di andare nel bosco, in uno strano posto che sembra scavato sottoterra. Con un monile della mamma, delle candele e una formula da recitare in quel luogo misterioso, le due bambine cercheranno di entrare in contatto con lo spirito della madre scomparsa. Victor è all’oscuro di tutto e sa solo che le bambine saranno fino a sera insieme ad altre compagne, a casa di una di loro, per fare i compiti, ma dopo diverse ore né Kat né Angela fanno ritorno a casa e nessuno dei conoscenti sa dove si trovino. Victor si allarma, contatta i genitori di Kat, Tony (Robert Leo Butz) e Miranda (Jennifer Nettles) e insieme iniziano le ricerche dopo aver allertato anche le forze dell’ordine. Tra paura e notti insonni le bambine saranno ritrovate solo tre giorni dopo, in una fattoria a cinquanta chilometri di distanza, sporche e in stato confusionale, in un recinto di caprette. Dopo i primi accertamenti medici sembrano in buona salute, al di là di strani graffi sul corpo simili ad abrasioni. Non ricordano nulla di quei tre giorni e a loro sembra solo di essersi allontanate da casa per un paio di ore, finendo brevemente nel bosco e poi in una fattoria vicina, per ripararsi dopo l’inizio di un temporale. Le bambine tornano a casa, ma iniziano i veri problemi. Angela è inquieta e sembra in grado di accendere e spegnere a distanza le luci di casa. È aggressiva, spesso colpisce fisicamente il padre e ogni tanto parla con una voce maschile. Kat sembra più tranquilla ma di colpo irrompe nella chiesa protestante che frequenta la sua famiglia, coperta di sangue e parlando in modo blasfemo durante una predica. Angela viene portata in un istituto di igiene mentale, Kat rimane comunque a casa, ma la natura soprannaturale del loro stato di salute presto inizia a palesarsi in modo ancora più evidente. Viene chiamata in causa una esperta di esorcismi, l’ex attrice Chris MacNiel (Ellen Burstyn), che molti anni prima aveva assistito in prima persona alla possessione di sua figlia Regan. Per chiedere al Vaticano il permesso per un esorcismo inizia a muoversi Padre Maddox (E.J.Bonilla), ma interessati a partecipare al rito sono oltre ai genitori delle bambine anche la vicina Ann, che un tempo era una suora, il parroco di Kat, il pastore protestante Revans, (Raphael Sbarge), l’amico della boxe di Vicotor Stuart (Danny McCharthy) e la Dottoressa Beehibe (Okwui Okopokwasili), un medico diventata esperta nella magia bianca silvana dei culti africani. Nonostante alcuni contrattempi il rito ha comunque luogo. Riuscirà questo piccolo esercito a salvare dalla possessione le due bambine?
Il nuovo film della saga dell’Esorcista: Usciva nel 1973 L’Esorcista, un film horror diretto dal regista de Il braccio violento della legge William Friedkin e basato sul romanzo best seller del 1971 di William Peter Blatty, che qui figurava anche come sceneggiatore. Al pari di Halloween del 2018, pellicola anch’essa scritta e diretta da David Gordon Green per la casa di produzione Blumhouse, questo L’Esorcista -il credente si pone come seguito diretto di quella storia, un “re-quel/new-quel” (un film idealmente concepito tra il remake e il sequel) dove viene reintrodotto il personaggio della madre della protagonista Regan, interpretato ancora una volta da Ellen Burstyn, con la prospettiva futura di riportare dentro alla trama anche altri personaggi del passato. Questo perché, sempre come per l’Halloween del 2018, anche questo film si pone come prima parte di una trilogia di cui il secondo capitolo è già in pre-produzione.
Al netto di un terzo capitolo non riuscito in pieno, forse per via di una lettura finale troppo “intimista”, la nuova trilogia di Halloween si è dimostrata un’opera piuttosto valida sul piano tecnico quanto per il casting, in grado di rileggere un grande cult del genere horror in una chiave moderna, sensibile all’attuale periodo storico e dotato di una struttura narrativa che a volte virava anche nel “fantasy”. Nello specifico questo accadeva in Halloween Kills, il secondo film, dove l’uomo nero affrontava da solo la folla della cittadina terrorizzata a campo aperto, sembrando quasi Sauron nel prologo del Signore degli Anelli di Jackson. Una prospettiva certamente diversa e meno spiccatamente horror dell’opera originale, che se vogliamo si ricerca pedissequamente anche in questo nuovo film sull’esorcista, in cui fin dall’inizio l’intento dichiarato è proprio fare una pellicola “commercialmente al passo con i tempi”, per minori accompagnati pg13 e non Vm18, con l’intento di confezionare il nuovo film perfetto per la festa di Halloween, che i più piccoli possano guardare tra un dolcetto e uno scherzetto.
La domanda spontanea che da subito sollecita questa produzione è dunque: “si può come per Halloween del 2018 trasformare L’Esorcista in un horror pg13, aggiornato ai tempi odierni di un mondo multi culturale, inclusivo e più rispettoso delle parità di genere, dal sapore più fantasy che spaventoso, da portare al cinema per i prossimi 3 anni nel mese di Halloween?”.
La risposta di pancia può essere inequivocabilmente: “no!”, con il punto esclamativo, a cui magari far seguire una bestemmia, che di sicuro oggi, specie nei film pg13, non è più socialmente pronunciabile. Questo perché i “no!” di pancia che affiorano dopo la visione della pellicola di Green sono davvero tanti e per comprenderli bisogna un po’ partire dall’inizio, da Blatty. Ma non è detto che che tutti i “no” vengano per nuocere…
Un film sull’esorcismo, inteso come rito religioso o come idea o come “magia fantasy”?
Blatty, basandosi su una storia vera e documentata avvenuta nel Maryland (di cui tra le altre cose è stato tratto un film specifico di recente), scriveva un romanzo serissimo, quasi didattico, che illustrava tutti i passaggi per cui in passato si poteva concretamente arrivare a dichiarare la possessione demoniaca di una bambina e conseguentemente richiedere l’intervento di un esorcista specializzato. Quello che sopportavano Regan e la madre era un iter umano quanto burocratico lungo, che passava per la scienza, la psichiatria e la medicina, tantissime certificazioni e accordi di consenso. Arrivato l’esorcista all’uscio della casa della bambina alla fine di questo lungo processo, partivano sessioni serissime e serrate di ore, se non di giorni, in cui il prete “titolato” interpretato dal leggendario attore Max Von Sydow, assistito dal curato locale, eseguiva riti e formule precise fino a liberare la bambina dall’entità maligna, in un epilogo spettacolare quanto davvero drammatico, dal sapore amaro.
A seguito del libro uscì un film che in breve diventò un cult anche per l’occhio quasi documentaristico con cui leggeva la struttura base dell’opera. Quanto narrato, pur in modo spettacolare, era così vicino ai veri esorcismi cattolici che addirittura la Chiesa, in occasione dell’uscita nelle sale, ha parlato pubblicamente dell’esistenza del diavolo e degli esorcisti: una casta di preti “combattenti”, da utilizzarsi solo dopo le suddette tonnellate di accertamenti scientifici, da sempre presenti nell’ordinamento ecclesiastico, i cui rituali si studiavano un tempo nel primo anno degli studi canonici. Di fatto tutte le religioni hanno “i loro esorcisti” e negli anni il cinema ci ha raccontato anche dei riti degli esorcisti ebraici (The Possession), di quelli buddhisti (Incarnation) e degli sciamani coreani (The Wailing). Esiste un film con Anthony Hopkins (Il rito) che racconta nei dettagli il corso aperto al pubblico che si tiene tutti gli anni a Roma sulle pratiche di esorcismo (il libro di Matt Baglio da cui è tratto è ancora più accademico) e quest’anno è uscito il primo film tratto liberamente dalla vita e opere del reale padre Amorth, uno dei più conosciuti esorcisti moderni, interpretato da Russell Crowe ne L’Esorcista del papa.
Parlare di esorcismo ed esorcisti può essere quindi una questione di fede come può essere in certi casi una questione di didattica (si può studiare oggi come materia di approfondimento anche a Giurisprudenza, in diritto canonico ed ecclesiastico) o in altri casi puro folklore. Una materia affascinante anche ad uso e consumo dell’intrattenimento, molto amata dal cinema e dalla letteratura ma anche dal mondo dei fumetti, dei giochi di ruolo e dei videogame.
Tutti o quasi i film che hanno trattato di esorcismo finora, dai più seri alle parodie, hanno portato sulla scena uno scherma narrativo piuttosto liturgico, con la presenza sulla scena almeno di un esorcista di un determinato credo, un rituale religioso e un demone.
L’Esorcista- il credente invece prende una strada differente ed esattamente come in Halloween di David Gordon Green ci porta in una specie di mondo fantasy. Un mondo dove l’esorcismo diventa una contro-magia “standard”, che può improvvisare su due piedi un prete come un esperto di botanica e yoga o un appassionato di boxe. Non servono più esami clinici accurati propedeutici all’ingaggio e al rito, non servono più corsi in Vaticano o una gavetta di 15 anni in medio oriente contro un demone Siriano. Lo può fare chiunque, “ognuno a modo suo”, anche tutti insieme. Potrebbe pure passare un cosplayer vestito da Galdalf del Signore degli Anelli che dice “tu non puoi passare” o Sailor Moon che esorcizza con il cristallo di luna. Vale tutto “con la gusta intenzione”. Ma questa scelta narrativa non la voglio per forza vedere come critica in senso assoluto, perché nasconde un pensiero più sottile.
L’essere “credente” (e rituali e investiture collegate), di fatto l’attitudine spirituale che durante l’esorcismo più contrasta il maligno in tutte le religioni, nella narrazione filmica diventa qualcosa di sfuocato e vago, spesso contraddittorio, improvvisato o episodico. Forse il male oggi, suggerisce la pellicola, si può contrastare anche con valori diversi rispetto alla fede tradizionale, rifacendosi a valori sociali come uno “spirito di comunità” in grado di legare le persone e culture più disparate. Una “fiducia negli altri” che in senso altruistico diventa idealmente più forte della fiducia nel trascendente, andando incontro all’idea di chi percepisce oggi questi due in contrasto, mentre in genere per un religioso non sono distinte. L’equazione diviene: “se il diavolo è presente in tutte le culture, sconfiggerlo è oggi, in un mondo multiculturale, una questione multiculturale”. L’esito nel film di questa equazione, unita alla circostanza della ‘minore presa” della Chiesa sulle comunità, offrono spunti oltremodo interessanti.
Un film su come introdurre esorcisti donna e superare il patriarcato ecclesiastico?
Il cinema di intrattenimento di oggi ci parla moltissimo del ruolo della donna nella società. Di fatto le donne nei film horror da sempre diventano i veri eroi della storia, le uniche che, con coraggio e “purezza”, riescono a sconfiggere il male. Statisticamente agli uomini accade molto meno di avere la meglio su un mostro e per questo, per gergo consolidato, è più comune il termine “final girl”. Solo che le donne nella religione cattolica non possono diventare esorciste e di questo fatto si rammarica nella pellicola anche la madre di Regan, che avrebbe benissimo voluto imbracciare Bibbia, acqua santa e croce benedetta per farla pagare a qualche diavolo con lo stesso sguardo da duro del compianto Max Von Sydow. Forse non era opportuno trasformare in un soldato spirituale il personaggio di Chris MacNiel, a conti fatti una delle più estreme bestemmiatrici della storia del cinema, laddove nell’originale Esorcista le sue imprecazioni all’altissimo sono così continue ed estenuanti da far arrossire un plotone di alpini. Bestemmie che narrativamente potrebbero essere state la prima causa per cui il maligno si è impossessato della figlia. Ma nel film di Green c’è anche la tenera ma determinata vicina di casa Ann, ex suora che viene di fatto “investita da esorcista” in un momento concitato della trama e prova a fare al meglio quello che può. Certo il ruolo di Ann non è così centrale da far rinominare la pellicola “LA esorcista”, ma abbiamo visto donne affrontare il maligno con rituali di esorcismo anche in The Nun e The Conjuring e la possibilità “concreta” di una esorcista donna è di fatto un tema interessate, sviluppato anche dal recente Gli occhi del diavolo di Stamm (regista anche de L’ultimo esorcismo, un vero affezionato al tema). Comunque la risposta del demone al tentativo di Chris di fare lo sguardo di Max Von Sydow è abbastanza eloquente.
Un film blasfemo e splatter adatto a un pubblico di minori?
Senza nasconderci dietro un dito, al di là del magnifico lavoro di Friedkin, di cast e tecnici, L’Esorcista originale è ricordato negli anni anche per la sua messa in scena disturbante in termini di blasfemia e momenti volutamente sensazionalistici. Ho poco sopra menzionato la passione di Chris per le bestemmie un po’ gratuite, ma c’è di più. Una ostentazione del blasfemo che a volte a livello produttivo è sfociata nel “tamarro compiaciuto”, come nella riedizione del cult nel 2001 con la celebre scena tagliata di “Regan che fa il ragno sulle scale”. In breve: dalla versione del ‘72 era stata tagliata questa scena con la bambina posseduta che percorre le scale di schiena con la testa rovesciata. Era stata tagliata perché bisognava affinare gli effetti speciali, ma soprattutto perché non aveva alcun senso narrativo. Pur di buttarla dentro per rivendere il film con qualcosa di nuovo, il montaggio del 2021 ficca questa scena prima che la mamma di Regan decida di portare la figlia dal pediatra, come se muoversi a ragno con il collo fuori asse fosse qualcosa di simile alla varicella. Fa un po’ ridere ma l’effetto finale è stato blasfemo e tamarro come si voleva. Come erano terrificanti quanto scollegate ai fini narrativi tutte le immagini subliminali diaboliche che ogni tanto fanno capolino tra gli incubi di padre Daminen: scene che dal 1972 ti trapanavano il cervello e che solo con il fermo immagine, anni dopo, ti accertavi che le avevi viste e non sognate. C’era poi la famosa scena blasfema con il crocefisso che si ricordano ancora tutti dopo anni, c’era il trucco di Regan da indemoniata che diventava davvero “putrido” quando la ragazzina iniziava a vomitare crema di piselli come un idrante per poi inzaccherarsi da testa a piedi della suddetta sostanza. Il film di Friedkin osava giocare sul campo del disturbante con una libertà che oggi non si arrogano nemmeno i film vietati ai 18 anni. Ovvio che pure questo film del 2023, classificato per minori accompagnati, non può permettersi tanta libertà espressiva. Le bambine come la signora Chirs non possono ovviamente oggi bestemmiare, ma hanno limitazioni pure nuove sulle invettive religiose, un dress code che non permette crema di piselli sul vestito, devono essere caratterizzate da un trucco non troppo spaventoso per non essere scambiate per membri di una band gothic-metal e le scene di sangue e contorsione che le riguardano divengono accettabili solo se particolarmente minimali. Certo il regista ogni tanto si ribella e gioca a farci immaginare quello che avviene “ai margini di una scena” che non può essere troppo sanguinolenta, magari ricordandoci che per terra c’è un cadavere. Se riesce, inserisce quando può dei diavoli come immagini subliminali, pur in momenti più necessariamente contestualizzati di prima. Dove può, sa usare i classici trucchetti da film horror come le luci che si spengono e gli specchi, fa parlare come minimo sindacale le bambine con il vocione distorto di un mostro. Se proprio la zuppa di piselli da vomito non gliela danno, lui prova a fare qualcosa di simile con il bianco e nero. Ci prova, ma sembra chiaro che vorrebbe una libertà come quella concessa oggi al registi che i film vm18 li possono ancora fare, come Ari Aster, Robert Eggers, Aronofsky, Von Trier o Winding Refn o anche il Guadagnino di Suspiria. A Green per via delle scelte produttive di Blumhouse non è concesso “mordere con le immagini” e giocoforza la sua pellicola sul piano visivo non ha molto per impattare nell’immaginario, nemmeno per via della attuale censura nel senso di un appoggio stilistico al film del ‘72. A meno che qualcosa non si aggiusti con le parti due e tre di questa saga annunciata, niente zuppa di piselli a questo giro.
Conclusioni: David Gordon Green dirige una pellicola sul piano narrativo strana, piena di istanze contraddittorie che se vogliamo la rendono anche un prodotto originale, ma che nell’insieme non riescono tutte a coordinarsi al meglio. Al di là degli intenti, il cast non riesce sempre a dare l’interpretazione migliore, con un Leslie Odom Jr molto chiuso in se stesso che fatica a diventare il personaggio attraverso cui il pubblico dovrebbe immedesimarsi e districarsi nel caos della vicenda. Ellen Burstyn entra sulla scena con la sicurezza di Jamie Lee Curtis nell’Halloween del 2018 o di Linda Hamilton in Terminator Destino Oscuro. Sa che dovrebbe divorarsi da sola la scena ma il film non glielo permette, costringendola troppo presto a sedersi in panchina fino al prossimo capitolo. È un peccato. Come è un peccato lo sviluppo contratto del personaggio della pur brava Okwui Okopokwasili, che nella “calca generale” dell’esorcismo finisce per risultare quello più esotico e strano, quasi una winx finita nel live action sbagliato. Anche Robert Leo Butz e Jennifer Nettles, nonostante il buon affiatamento e la sfida riuscita di interpretare non banalmente la classica famiglia per bene un po’ antipatica, danno vita a personaggi di cui alla fine sappiamo davvero ancora troppo poco. Le due bambine indemoniate, poco truccate da mostri e poco blasfeme, fanno un po’ di tenerezza, ma si compensa il loro racconto con un paio di bei diavoloni “subliminali” ben diversi per iconografia dal signore delle mosche del primo film. Con la prospettiva di avere davanti ancora due film, sappiamo che Green ha la possibilità di migliorare il tiro, cosa che gli è peraltro riuscita molto bene con Halloween Kills. Speriamo che il film in uscita sappia maggiormente trasmettere la tensione e paura dell’originale, pur nei limiti progettuali della saga già sopra espressi. Sul lato tecnico/effettistico il film non ha particolari sbavature e pur non presedendo evidenti guizzi è visivamente ben confezionato. A livello di ritmo una prima parte un po’ compassata si scontra con un secondo tempo fin troppo disordinato e caotico, ma nell’insieme la formula è divertente.
Era un grosso azzardo prendere uno dei film più importanti del genere horror di sempre e riscriverlo come pellicola per il grande pubblico di oggi. Green ci prova, anche rischiando molto, sposando l’ottica dell’omaggio e assolvendo a tutte le richieste dei film horror più commerciali di oggi, senza porsi troppo il problema del confronto diretto con l’originale e mescolando bene le carte in vista degli sviluppi futuri della trama, dove proverà magari ad aggiustare il tiro.
Un po’ scombussolati da un paio di scene, aspettiamo con interesse il numero 2, fiduciosi o per lo meno con la curiosità di capire come questa saga andrà a svilupparsi.
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