Esiste una bizzarra legge in Italia, caso unico in tutta la comunità europea, in ragione della quale tutti i figli non riconosciuti, i cosiddetti “figli di N.N.”, possono avere accesso ai dati sull’identità dei propri genitori biologici solo una volta compiuti i 100 anni di età. C’è in atto una leeeeeeeeenta manovra di modifica i cui ultimi afflati inascoltati risalgono almeno al 2015, ma a tutt’oggi la situazione non è cambiata. Per sollecitare la politica si è formata un'associazione che ha deciso di mettere in atto un'azione di protesta e dignità: il giovane figlio di N.N. Giovanni (Valerio Ludini) accompagnerà a Roma il novantanovenne figlio di N.N., Gustavo (Sergio Castellitto), perché dopo il suo compleanno possa rivendicare presso un giudice, primo nella storia italiana, la conoscenza dei dati relativi ai suoi genitori biologici. Tutto spesato a carico dell'associazione, vitto e alloggio. Solo che Gustavo non fa parte di quella associazione e forse non gli interessa nemmeno conoscere il nome dei suoi genitori, che comunque ora ritiene di poter riabbracciare solo sotto forma di lapide. Di fatto ha passato gran parte della sua vita da solo o presso abitazioni per orfani gestite da suore e ora si trova almeno da 10 anni di nuovo in un ricovero gestito da suore. Da piccolo era così solo che per giocare a calcio arrivava a trafugare dalla canonica il crocefisso di legno per posizionarlo al centro della porta e giocare così nel campetto dietro l’istituto. In genere seguivano poi punizioni da parte delle onnipresenti suore, che anche ora che ha 100 anni gli impediscono “per il suo bene” di mangiare dolci, carboidrati, alcol e decine di altre cose, oltre a riempirlo di medicine e iniezioni da ripetere più volte al giorno. Gustavo ne ha viste tante e forse troppe e ora combatte la quotidianità con ironia e sprezzo delle regole appena è possibile, per cui arriva ben contento a questa grande occasione di sottrarsi a tanto affetto per uno strano viaggio burocratico on the road a fianco di questo timido e introverso ragazzo di nome Giovanni. Se l’anziano ha voglia di distrarsi e cerca ogni secondo per trasgredire alle bibliche tavole sulla alimentazione e salute imposte dalle suore, Giovanni è ben preoccupato che l’anziano compagno di viaggio arrivi a destinazione per lo meno intero. Gustavo è per lui come una specie di bottiglia di nitroglicerina perennemente sul punto di esplodere e di conseguenza cerca di non agitarlo mai troppo, assecondandolo e venendo incontro a tutti i suoi bisogni, come se stesse effettivamente trasportando una bomba più che con una persona con dei sentimenti. Rigido fino alla morte, Giovanni subisce come un'onta alla sua missione ogni minimo contrattempo, mentre Gustavo non fa altro che dilatare i tempi, cambiare l’itinerario e richiedere fermate fuori programma, procacciare incidenti, mangiare cibi che non può mangiare, perdere le medicine. Giovanni combatte per una questione per lui diventata esistenziale, in un momento in cui è sicuro di non assomigliare a nessuno ed è per questo in cerca di radici, di risposte sul suo destino. Gustavo, radicato da cento anni in una vita in cui gli hanno ricordato per ogni instante di essere orfano o comandato da delle suore, guarda in modo benevolo ma a volte “cattivello” questo giovane rigidamente confuso e troppo arrabbiato, simile quasi a una bottiglia di nitroglicerina perennemente sul punto di esplodere.
Alessandro Bardani portava a teatro qualche anno fa una piece teatrale dal titolo Il più bel secolo della mia vita, una commedia agrodolce in cui il ruolo di Giovanni era interpretato da Francesco Montanari e quello dell’anziano Gustavo da Giorgio Colangeli. Era uno spettacolo in cui un giovane dal carattere “da vecchio” e un vecchio dal carattere “da giovane” si confrontavano sul mondo e sulla quotidianità, spesso parlando in un parco, fino a che l’anziano decideva di voler conoscere i suoi genitori e iniziare il viaggio. Era una piece molto divertente e spiritosa, in cui i due protagonisti scoprivano presto, al di là delle proprie divergenze, di essere come le due facce della stessa medaglia, quasi fratelli, parlando di Spice Girls, malattie veneree, di appuntamenti organizzati tramite social come di temi esistenziali. Parlavano e finivano con il passare la notte a guardare le stelle, da amici. Si possono trovare molte sequenze di questa versione teatrale su internet, verrebbe voglia di rivedere questa coppia e questo testo a teatro.
Bardani cambia la sua opera e la trasforma in questo viaggio on the road dal ritmo più sincopato, girato in poco meno di un mese, dove i due protagonisti, a dire il vero più gli interpreti che i rispettivi personaggi, paiono perennemente incazzati e sul punto di volersi uccidere a vicenda. Forse anche perché insieme agli interpreti lo stesso ritmo narrativo è cambiato e non c’è più il tempo che si strutturi una amicizia in questo caso. Laddove Colangeli non portava alcuna maschera a teatro per dimostrare la sua età, Castellitto è chiamato a quattro ore di trucco giornaliero che metterebbero di cattivo umore pure il Gary Oldman di Dracula e forse per questo quando arriva sul set, come dichiarato in seguito nelle interviste, per alleggerire lo stress si divertiva a fare degli scherzi a Ludini, improvvisando continuamente le battute e le situazioni. Valerio Ludini di suo, alla prima prova cinematografia nel ruolo di co-protagonista, un po’ spaesato (anche legittimamente!) in quanto in un’opera non scritta e diretta da lui personalmente, nelle interviste ha dichiarato parimenti di aver fatto fatica a comprendere i tempi delle riprese e delle interazioni con Castellitto, rimarcando (pur con ironia) che se avesse saputo da un testo scritto alcune delle cose che avrebbe poi fatto con l’improvvisazione il suo compagno sulla scena, il suo agente non avrebbe acconsentito al Ciak. Ci sono diverse interviste in rete che raccontato tra le righe quello che assomiglia parecchio a un clima “un po’ complicato” durante le riprese. Nelle intenzioni del povero Bardani, sentendo quelle stesse interviste, il film avrebbe dovuto rievocare atmosfere generazionali di “bromance” come Profumo di Donna o Quasi amici. Più volte i colori e le situazioni sono stati diretti anche dalle parti di Bianco, Rosso e Verdone, con Castellitto idealmente nel ruolo della Sora Lella e Ludini in quello del Mimmo di Verdone. C’è poi per forza fisiologicamente, a un certo punto un momento di avvicinamento tra i due personaggi, ma in questo on the road risulta qualcosa di estremamente davvero difficile e macchinoso. I personaggi sono totalmente arroccati sulle loro rispettive idee di “missione” o “vacanza”, distanti al punto di annichilire ogni forma di empatia verso il loro “opposto”, a favore del solo irrigidimento dei rispettivi ruoli. Sempre più alimentati da rabbia e malinconia, Giovanni e Gustavo diventano davvero dei personaggi antitetici rispetto alle controparti teatrali: creature complicate e tormentate che vivono quasi solo di reciproco autosabotaggio. Bardani deve aver valutato la “magmaticità“ di questo rapporto anche come un'occasione per esplorare lati nuovi della sua opera, in questo effettivamente trovando una dinamica originale tra i due protagonisti. Il personaggio di Ludini, che avrebbe dovuto forse nelle intenzioni della pellicola rivestire il ruolo del cosiddetto “comico bianco”, ossia il personaggio che reagisce con compostezza e garbo alle follie di un personaggio troppo esuberante, sembra sempre più irritato, musone e acido. Il tormento interiore del suo personaggio non esce mai allo scoperto e quando accade “accidentalmente” una rivelazione sul suo conto, lo iniziamo a percepire con ancora meno chiarezza. Il personaggio di Castellitto, dopo la parentesi tragica sul suo passato, da macchietta esuberate passa prima a essere luciferino e poi troppo sentimentale, come se tutto il film dovesse sostenerlo da solo senza aiuto, ricercando in Ludini un appoggio che non arriva mai.
Il più bel secolo della mia vita ci presenza un Valerio Ludini tragico, in un’opera che per la prima volta non è sua al 100%, e anzi si pone in forte dissonanza rispetto al suo repertorio televisivo, al suo modo di creare arte comica surreale e spiazzante. Si può giustamente valutare come questa per Ludini sia stata anche una prima prova di avvicinamento, non banale, a un mondo del cinema che ha solo iniziato a masticare e che magari presto potrebbe leggere meglio da solo, magari come autore completo, spingendo al meglio così il suo potenziale dopo aver imparato qualche trucco del mestiere. Si può ragionare sull’utilità effettiva di infliggere 4 ore di trucco giornaliero per il povero Castellitto, a cui è conseguito fisiologicamente un forte stress. Ma il risultato finale di questa pellicola è sicuramente inaspettato, tragicomico se non tragico, spiazzante, perennemente belligerante anche nelle situazioni che sulla carta apparivano più semplici per via della conflittualità a senso unico dei due personaggi. Una pellicola dai toni forti e spesso eccessivi, non accomodante ma per questo anche interessante e originale.
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