Felice (Pierfrancesco Favino), dopo una
vita passata quasi tutta al Cairo nel settore dell’edilizia, torna a Napoli.
Nella vecchia casa presso il rione Sanità dove aveva vissuto fino a poco più
che ragazzino, ora si trova al capezzale della anziana madre (Aurora
Quattrocchi), in un luogo sospeso nel tempo che gli appare oggi distante,
minaccioso quanto misteriosamente ancora accogliente. Felice, che ora fa molta
fatica a parlare in italiano, proverà piano piano a riprendere contatto
con il suo passato, riflettendo sulla possibile di ricominciare una nuova vita
lì, grazie all’aiuto di un prete (Francesco Di Leva). Ma il principale scoglio
a questo progetto sembra costituito dalla necessità e paura di
rincontrare un vecchio amico di infanzia a cui era molto legato (Tommaso
Ragno).
“La conoscenza è nella nostalgia, chi
non si è perso non ne possiede”. Questa è la frase di Pierpaolo Pasolini che
apre l’ultima pellicola di un Mario Martone, autore sempre più innamorato di
una città magica e difficile come Napoli. Una città che negli ultimi anni il
regista ha percorso per mille strade narrative, non ultima attraverso la storia
del suo teatro popolare. Martone nel recente Qui rido io con protagonista
Servillo omaggiava la figura di Eduardo Scarpetta. Un paio di anni prima
forniva un personale adattamento moderno di un testo teatrale di De Filippo, Il
sindaco del rione Sanità, scegliendo allora come protagonista uno straordinario
Francesco di Leva che proprio in Nostalgia torna, incarnando un personaggio
finemente speculare al precedente quanto, “grazie alla magia dello spettacolo”,
umanamente vicino. “Nostalgia” è una parola che deriva dal greco e significa
“dolore del ritorno” e tale definizione, unita alla accezione pasoliniana sopra
espressa, permea in toto il messaggio più profondo della pellicola.
Quella di Martone è una Napoli di periferia asserragliata e in guerra, con
sentinelle che scrutano le strade da ogni finestra, con i motorini delle cosche
che si muovono sparando nel quartiere, con la polizia assente. Le case del
quartiere sono arroccate una sull’altra come muraglie difensive, la popolazione
si sovraccarica sempre di più di immigrati provenienti dai paesi più poveri, si
respira un’aria di tensione costante e sembra a tutti gli effetti un luogo dal quale
fuggire. Eppure c’è un vento caldo ed accogliente che si muove dalla cima dei
palazzi. C’è molta brava gente che vive il quartiere e cerca di valorizzarlo,
c’è una comunità parrocchiale viva e accogliente, c’è sotto l’apparenza
freddezza un calore umano avvolgente. Il luogo da cui il protagonista è dovuto
scappare dolorosamente mentre era ancora ragazzo, riesce così a tornargli
presto vicino e amico. Con la sua gente, i colori e infine una lingua prima del
tutto perduta e ora riscoperta. Questo processo avviene proprio grazie alla
nostalgia con cui Felice, piano a piano, sovrappone le parti solari di questo
presente alla sua Napoli del passato, immaginata da Martone per noi attraverso
flash back realizzati con una fotografia anni ‘70. Un mosaico emozionale che
però non può condividere il personaggio di Oreste, interpretato da Ragno. Un
personaggio “privo della nostalgia” in quanto mai partito da quei luoghi e
vittima di uno stato emotivo di eterno presente, in eterna guerra contro il
mondo e se stesso. Un uomo vuoto che ha sacrificato tutto sull’altare di un
potere quasi assoluto ma che non gli dà alcuna gioia oltre una virile
ostentazione di giovinezza. La chimica impossibile tra i personaggi di Savino e
Ragno diventa per questo presto il vero valore aggiunto della drammaturgia di
Nostalgia. Il primo, straniero nella città dove è nato, di differente lingua e
cultura dopo i molti anni vissuti in Egitto, è in cerca di connessioni e legami
che prima impensabili infine possono apparire possibili. Il secondo, boss
auto-recluso e temuto, frutto di un destino criminale dal quale non è mai
riuscito a scappare, non può che diventare un fantasma autodistruttivo per
tutti, in virtù di una fredda conservazione dello status quo. Al di là di
questa coppia disfunzionale di amici, la pellicola si impregna della grande
umanità e gentilezza del personaggio di Aurora Quattrocchi, della ruvida
empatia del personaggio di un Francesco Di Leva sempre attento nella
costruzione di ruoli molto sfaccettati .
Nostalgia vive di una sceneggiatura moderna, amara quanto commovente. Ci schiaccia sotto il sole di strade che
sembrano trincee ma sa ogni tanto concederci un po’ di fiato per assaporare un
paesaggio del tutto diverso, pieno di luce e di aria. È un film che sa
riflettere in modo non banale sulla situazione della periferia napoletana
attraverso l’arte, colorando la storia dei toni della tragedia ma senza mai
alzare troppo i toni, scegliendo un registro intimo, quasi sussurrato. Molto
bella la fotografia calda rovente e piena di colori accesi. Interessanti
le scelte musicali a cavallo tra passato e presente.
Nostalgia è una nuova perla nella
filmografia di Martone. Un film d’amore più che un film politico e per questo
un film più politicamente onesto e potente.
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