Diana (Ilenia Pastorelli) è una ragazza
romana bella tosta, di borgata, con un fisico da urlo e nessuna remora ad
esibirlo con generosità. Vive “tra la luce e il buio”, esercitando la non
facile professione della escort in un appartamentino, aiutata da una colf che
un po’ la odia e un po’ la sopporta. Se qualche cliente esagera Diana è sempre
pronta a mollare calci nelle palle, rimettendolo al suo posto e
ridefinendo le regole “contrattuali”. Nel suo luogo di lavoro c’è sempre una
luce soffusa e forse la sua vita non cambia poi molto da quando un giorno Diana
viene coinvolta in un incidente, terribile e “tarantiniano” (la
citazione è al guilty pleasure A prova di morte) a seguito del quale perde
l’uso della vista. Diana in pochissimo tempo esce dall’ospedale, metabolizza,
si rialza con l’aiuto di una volontaria (Asia Argento) e di un cane e in
seguito si accolla pure l’educazione e il destino di un ragazzino cinese
rimasto orfano nello stesso scontro. Ma nonostante tutta questa grinta, sul
futuro di Diana incombe un misterioso e spietato assassino di prostitute, con
tutta l’intenzione di saldare un conto in sospeso con lei. Saprà questa ragazza
tosta avere la meglio su uno spietato assassino?
Torna al cinema Dario Argento, a molti
anni di distanza dal suo Dracula 3D, con tutta l’intenzione di riportarci alle
atmosfere della sua cinematografia thriller più amata, nello spirito di opere
immortali come Profondo Rosso e Il gatto a nove code. Ne esce un film
crepuscolare sulla difficoltà di decifrare la realtà davanti ai nostri
occhi, fin dalla “carpenteriana” locandina che cita Essi Vivono. Un giallo
che parte come sempre nei territori della logica, per poi verso il secondo atto
fuggire da ogni chiave realistica, all’inseguimento di ossessive atmosfere
oniriche in cui la razionalità dello spettatore può perdersi e contorcersi come
in un incubo. Una purissima liturgia argentiana di vecchio stampo fatta di
personaggi che scompaiono da un momento all’altro, animali notturni che
diventano tanto aggressivi da sembrare mostri, protagonisti che avanzano nel
buio aggrappandosi con eroismo ai pochi spiragli di uscita che gli vengono
concessi. Eroi controvoglia o anti-eroi che spesso oltre a un assassino
misterioso devono fare i conti con uno “stigma”: come essere considerati
“stranieri”, “emarginati”, “portatori di un handicap”. Ilenia Pastorelli, una
delle attrici più interessanti degli ultimi anni specie per l’asfittico “cinema
di genere” che ancora si prova a realizzare nel Belpaese (vedasi anche in
progetti folli come il recente Io e Angela), riesce a incarnare al meglio la
perfetta eroina argentiana adatta a questa storia. Diana è una credibilissima
ragazza che con ironia e grinta vive e sopravvive ai margini della
periferia, non troppo distante dalla Alessia di Lo chiamavano Jeeg Robot, dalla
Sabrina di Non ci resta che il crimine ma anche dalla Luna di Benedetta follia. È una donna che vive “sul confine”, tra chi è in vista e gli
invisibili, destinata per il senso comune (che spesso prende le cantonate) a
“finire male” per le sue scelte sbagliate di vita, magari proprio per via di
qualche cliente particolarmente strano e pericoloso (come il
“voncione” interpretato da Andrea Gherpelli, che dopo averlo visto nei panni del
simpatico fattore nel reality show di Real Time Wild Boys fa davvero strano
vederlo diretto da Argento. Un po’ come se Bruno Barbieri in 4Hotel impazzisse
e diventasse il custode dell’Overlook Hotel..). Diana è una donna
“potenzialmente” fragile e un po’ bambina, ma che al contempo non si arrende ed
è anzi capace di una bella forza interiore che le permette di sopravvivere,
riadattarsi, dimostrarsi generosa verso gli altri. Il film parte con la
bellissima sequenza che descrive un’eclissi e progressivamente ci abitua a
scendere nel “nuovo” buio in cui vive Diana. Sul finale possiamo quasi limitarci
ad affrontare la pellicola con gli occhi chiusi, dopo aver appreso le “regole e
le paranoie” con un la nostra protagonista può affrontare il mondo come non
vedente. La narrazione relativa alla rieducazione della protagonista e al
suo rapporto con il cane guida in questo aspetto risulta ben scritta, frutto di
uno studio e di una sensibilità non banale nel descrivere la disabilità e le
sue sfide. Quando entriamo davvero “nel buio più nero”, nell’ultima parte, in
un paesaggio rurale e acquitrinoso, più da “immaginare” che da seguire
razionalmente, Argento sa giocare con le sue armi più affilate, divertendosi
tra splatter e momenti non sense a rimodellare il reale, calandosi quasi nella
favola.
Peccato che tutto l’affascinante
potenziale di Occhiali Neri si perda un po’ troppo durante la messa in scena,
specie se si decide di guardare il film “con gli occhi aperti”. L’atmosfera
c’è, ma si perde presto dietro ad attori secondari non al meglio della loro
forma, un villain non all’altezza del potenziale orrorifico richiesto,
situazioni che nonostante la giusta spinta onirica risultano a tratti davvero
davvero “troppo surreali” (spoiler come
quella del bambino che correndo nel buio cade da qualche parte senza emettere
nemmeno un gemito, per poi ricomparire come se niente fosse). Ogni tanto
arrivano pure momenti super trash, peraltro figli della difficoltà di rendere
credibili su schermo alcune paranoie dovute alla difficoltà di vedere.
Situazioni che per assurdo non sarebbero trash, ma anzi formidabili, se
con una punta di coraggio in più Argento avesse deciso di girarle completamente
al buio, dalla prospettiva della protagonista. Così le anguille di fiume
del territorio laziale le vediamo in grado di saltare tre metri da terra per
strangolare un essere umano. Così accade che dei poliziotti che si mettano a
sparare nel pieno del traffico alla vista di un possibile indiziato. Così
arriviamo ad una scena di “tiro al bersaglio” dai toni inspiegabilmente
“calmi”. Pur accettando l’onirico come linguaggio di elezione per
“supplire” alla cecità, spesso l’effetto finale è davvero troppo surreale e la
platea affronta certe scene con più ironia che turbamento.
Non mancando nella storia del cinema
film thriller con protagonisti dei non vedenti, proprio a partire dal
bellissimo Gatto a nove code di Argento. Film, pescando tra i più recenti, come
Hush di Flanagan, Man in the dark di Alvarez, il coreano Blind di Ahn
Sang-hoon. Occhiali neri cerca di dire qualcosa di originale sul tema con il
volo di Icaro di anguille che fanno balzi di tre metri cercando di strozzarci.
Quello che mi fa profondamente star male quando ritorno a questa immagine del
film, è il fatto che sia una magnifica idea che poteva essere sviluppata
meglio. Così com’è, pare un momento di Mai dire Banzai e il pubblico in sala
ride o viene preso come me dallo sconforto. Quando invece il cane guida
ringhia e lo vediamo quasi trascendere, con la stessa interpretazione “onirica”
della non vedente, in una specie di cerbero assetato di sangue latore di
momenti grandguignoleschi, il film vince, convince, ma lascia l’amaro in bocca
per le scene sviluppate male di cui sopra. Un vero peccato.
Occhiali neri si regge letteralmente tutto sulle spalle della Pastorelli, su alcune felici intuizioni di fotografia e su un paio di momenti splatter/onirici davvero gustosi. Un po’ poco, anche se personalmente ho gradito di più questo Dario Argento rispetto ai suoi ultimi lavori. Forse gli ho voluto bene vedendolo stilisticamente vicino al “buio perenne” della periferia romana più “onirica”, negli ultimi anni esplorata da Morituris di Picchio o di Tulpa di Zampaglione. I film sul “buio” e sui “confini”, trovo che offrano un territorio molto fertile alla nuova cinematografia italiana, dall’ottimo buio di Oltre il guado di Lorenzo Bianchini al meraviglioso Il nido di Roberto De Feo. Pupi Avati ha saputo rinnovare alcune suggestioni del suo cinema (da La casa dalle finestre che ridono al più recente Il nascondiglio) con Il signor diavolo, Dario Argento prova qualcosa di simile e a tratti ci fa ben sperare, ma purtroppo il gioco non funziona del tutto. Peccato.
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