mercoledì 15 giugno 2022

Occhiali neri: la nostra recensione del nuovo film di Dario Argento con protagonista Ilenia Pastorelli

 


Diana (Ilenia Pastorelli) è una ragazza romana bella tosta, di borgata, con un fisico da urlo e nessuna remora ad esibirlo con generosità. Vive “tra la luce e il buio”, esercitando la non facile professione della escort in un appartamentino, aiutata da una colf che un po’ la odia e un po’ la sopporta. Se qualche cliente esagera Diana è sempre pronta a mollare calci nelle palle,  rimettendolo al suo posto e ridefinendo le regole “contrattuali”. Nel suo luogo di lavoro c’è sempre una luce soffusa e forse la sua vita non cambia poi molto da quando un giorno Diana viene coinvolta in un incidente, terribile e “tarantiniano” (la citazione è al guilty pleasure A prova di morte) a seguito del quale perde l’uso della vista. Diana in pochissimo tempo esce dall’ospedale, metabolizza, si rialza con l’aiuto di una volontaria (Asia Argento) e di un cane e in seguito si accolla pure l’educazione e il destino di un ragazzino cinese rimasto orfano nello stesso scontro. Ma nonostante tutta questa grinta, sul futuro di Diana incombe un misterioso e spietato assassino di prostitute, con tutta l’intenzione di saldare un conto in sospeso con lei. Saprà questa ragazza tosta avere la meglio su uno spietato assassino?


Torna al cinema Dario Argento, a molti anni di distanza dal suo Dracula 3D, con tutta l’intenzione di riportarci alle atmosfere della sua cinematografia thriller più amata, nello spirito di opere immortali come Profondo Rosso e Il gatto a nove code. Ne esce un film crepuscolare sulla difficoltà di decifrare la realtà davanti ai nostri occhi, fin dalla “carpenteriana” locandina che cita Essi Vivono. Un giallo che parte come sempre nei territori della logica, per poi verso il secondo atto fuggire da ogni chiave realistica, all’inseguimento di ossessive atmosfere oniriche in cui la razionalità dello spettatore può perdersi e contorcersi come in un incubo. Una purissima liturgia argentiana di vecchio stampo fatta di personaggi che scompaiono da un momento all’altro, animali notturni che diventano tanto aggressivi da sembrare mostri, protagonisti che avanzano nel buio aggrappandosi con eroismo ai pochi spiragli di uscita che gli vengono concessi. Eroi controvoglia o anti-eroi che spesso oltre a un assassino misterioso devono fare i conti con uno “stigma”: come essere considerati “stranieri”, “emarginati”, “portatori di un handicap”. Ilenia Pastorelli, una delle attrici più interessanti degli ultimi anni specie per l’asfittico “cinema di genere” che ancora si prova a realizzare nel Belpaese (vedasi anche in progetti folli come il recente Io e Angela), riesce a incarnare al meglio la perfetta eroina argentiana adatta a questa storia. Diana è una credibilissima ragazza  che con ironia e grinta vive e sopravvive ai margini della periferia, non troppo distante dalla Alessia di Lo chiamavano Jeeg Robot, dalla Sabrina di Non ci resta che il crimine ma anche dalla Luna di Benedetta follia. È una donna che vive “sul confine”, tra chi è in vista e gli invisibili, destinata per il senso comune (che spesso prende le cantonate) a “finire male” per le sue scelte sbagliate di vita, magari proprio per via di qualche cliente particolarmente strano e pericoloso (come il “voncione” interpretato da Andrea Gherpelli, che dopo averlo visto nei panni del simpatico fattore nel reality show di Real Time Wild Boys fa davvero strano vederlo diretto da Argento. Un po’ come se Bruno Barbieri in 4Hotel impazzisse e diventasse il custode dell’Overlook Hotel..). Diana è una donna “potenzialmente” fragile e un po’ bambina, ma che al contempo non si arrende ed è anzi capace di una bella forza interiore che le permette di sopravvivere, riadattarsi, dimostrarsi generosa verso gli altri. Il film parte con la bellissima sequenza che descrive un’eclissi e progressivamente ci abitua a scendere nel “nuovo” buio in cui vive Diana. Sul finale possiamo quasi limitarci ad affrontare la pellicola con gli occhi chiusi, dopo aver appreso le “regole e le paranoie” con un la nostra protagonista può affrontare il mondo come non vedente. La narrazione relativa alla rieducazione della protagonista e al suo rapporto con il cane guida in questo aspetto risulta ben scritta, frutto di uno studio e di una sensibilità non banale nel descrivere la disabilità e le sue sfide. Quando entriamo davvero “nel buio più nero”, nell’ultima parte, in un paesaggio rurale e acquitrinoso, più da “immaginare” che da seguire razionalmente, Argento sa giocare con le sue armi più affilate, divertendosi tra splatter e momenti non sense a rimodellare il reale, calandosi quasi nella favola. 


Peccato che tutto l’affascinante potenziale di Occhiali Neri si perda un po’ troppo durante la messa in scena, specie se si decide di guardare il film “con gli occhi aperti”. L’atmosfera c’è, ma si perde presto dietro ad attori secondari non al meglio della loro forma, un villain non all’altezza del potenziale orrorifico richiesto, situazioni che nonostante la giusta spinta onirica risultano a tratti davvero davvero “troppo surreali” (spoiler come quella del bambino che correndo nel buio cade da qualche parte senza emettere nemmeno un gemito, per poi ricomparire come se niente fosse). Ogni tanto arrivano pure momenti super trash, peraltro figli della difficoltà di rendere credibili su schermo alcune paranoie dovute alla difficoltà di vedere. Situazioni che per assurdo non sarebbero trash, ma anzi formidabili, se con una punta di coraggio in più Argento avesse deciso di girarle completamente al buio, dalla prospettiva della protagonista. Così  le anguille di fiume del territorio laziale le vediamo in grado di saltare tre metri da terra per strangolare un essere umano. Così accade che dei poliziotti che si mettano a sparare nel pieno del traffico alla vista di un possibile indiziato. Così arriviamo ad una scena di “tiro al bersaglio” dai toni inspiegabilmente “calmi”. Pur accettando l’onirico come linguaggio di elezione per “supplire” alla cecità, spesso l’effetto finale è davvero troppo surreale e la platea affronta certe scene con più ironia che turbamento.

Non mancando nella storia del cinema film thriller con protagonisti dei non vedenti, proprio a partire dal bellissimo Gatto a nove code di Argento. Film, pescando tra i più recenti, come Hush di Flanagan, Man in the dark di Alvarez, il coreano Blind di Ahn Sang-hoon. Occhiali neri cerca di dire qualcosa di originale sul tema con il volo di Icaro di anguille che fanno balzi di tre metri cercando di strozzarci. Quello che mi fa profondamente star male quando ritorno a questa immagine del film, è il fatto che sia una magnifica idea che poteva essere sviluppata meglio. Così com’è, pare un momento di Mai dire Banzai e il pubblico in sala ride o viene preso come me dallo sconforto. Quando invece il cane guida ringhia e lo vediamo quasi trascendere, con la stessa interpretazione “onirica” della non vedente, in una specie di cerbero assetato di sangue latore di momenti grandguignoleschi, il film vince, convince, ma lascia l’amaro in bocca per le scene sviluppate male di cui sopra. Un vero peccato. 

Occhiali neri si regge letteralmente tutto sulle spalle della Pastorelli, su alcune felici intuizioni di fotografia e su un paio di momenti splatter/onirici davvero gustosi. Un po’ poco, anche se personalmente ho gradito di più questo Dario Argento rispetto ai suoi ultimi lavori. Forse gli ho voluto bene vedendolo stilisticamente vicino al “buio perenne” della periferia romana più “onirica”, negli ultimi anni esplorata da Morituris di Picchio o di Tulpa di Zampaglione. I film sul “buio” e sui “confini”, trovo che offrano un territorio molto fertile alla nuova cinematografia italiana, dall’ottimo buio di Oltre il guado di Lorenzo Bianchini al meraviglioso Il nido di Roberto De Feo. Pupi Avati ha saputo rinnovare alcune suggestioni del suo cinema (da La casa dalle finestre che ridono al più recente Il nascondiglio) con Il signor diavolo, Dario Argento prova qualcosa di simile e a tratti ci fa ben sperare, ma purtroppo il gioco non funziona del tutto. Peccato. 

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