Dopo il numero scritto e disegnato da Ambrosini, eccoci davanti a uno scritto da Secchi (figlio d'arte, di Bunker, molto promettente) e disegnato da Puccioni: Il giorno della famiglia. E non è un numero meno strano! L'assunto è una banda di ragazzacci cattivi intenzionata a collezionare cadaveri per truccarli (il come sta a voi scoprirlo), vestirli e assemblarli al fine di ricostruire la copertina di Sgt. Pepper's dei Beatles. Potete pure rileggere più volte la frase che ho appena scritto ma vi giuro che non sembrerà meno folle. Lo trova folle anche il fantasma di una giovane ragazza, che contatta la medium più nota di Londra e mette così il nostro indagatore dell'incubo sulle tracce di questi svitati, scovandoli nella provincia. Finito il momento di esaltazione per la stralunata idea di partenza, ci troviamo a mio parere dinnanzi a un numero molto ben disegnato ma piuttosto verboso, depotenziato e inespresso. Troppe belle premesse e promesse non mantenute. I ragazzacci sono simpatici e abbastanza "fuori", ma noi passeremo più tempo sommersi dai baloons giganteschi partoriti da un vecchietto dolente e logorroico. La tentazione di saltarli è fortissima, anche perché gli sprazi di azione che poi sopraggiungono non sono male. Inutile per me citare Charles Manson e i fab four, inutile partire da un assunto originale e accattivante come il significato di "famiglia" se poi il tutto si riduce a una esecuzione lenta e poco attraente che culmina in un finale privo di mordente. Non mi ha preso, lo dico anche come mio limite personale. Ho fatto fatica a leggerlo. Avrei gradito cattiveria in più, avrei trovato interessante uno scontro / confronto generazionale rimasto solo accennato, avrei apprezzato più splatter e soprattutto meno, meno di quel vecchietto petulante... ma quell'idea iniziale, cavolo, era pura dinamite. Saper partorire trovate di questo tipo, roba da "necro-pop-art", non è da tutti e aspetto con entusiasmo il nuovo lavoro di Secchi. Va "calibrato" ma gli auguro il meglio per il prossimo lavoro, il potenziale c'è. Mi inchino a Puccioni, artista già noto ai fan di Julia, per la sua capacità di tratteggiare personaggi espressivi e ambienti ricchi di dettaglio. Io penso che l'approccio qui da lui usato verta più al giallo che all'horror, ma rimane un ottimo lavoro.
La ninna nanna dell'ultima notte, il numero successivo, è una vera sorpresa, probabilmente la migliore storia della Baraldi finora, disegnata da un Corrado Roi gigantesco. Siamo dalle parti di Sinister e viene affrontato in modo molto coraggioso un tema scottante e impopolare (scomodissimo), il valore e la forza delle fiabe. La cito spesso, ma è una cosa in cui credo, è una scena di Nightmare - Il nuovo incubo. La protagonista sta leggendo Hansel e Gretel al figlio, arriva al momento in cui i fratellini devono mettere la strega nel forno e si ferma. Dice: "Adesso basta, questa scena è troppo violenta!". Il bambino allora la incalza: "Continua, è importante!". I mostri esistono, i pericoli esistono. La madre cerca di non infettare e spaventare il figlio con la rappresentazione di una violenza. Il figlio cerca risposte a un mondo che intuisce violento, ma che è impreparato ad affrontare. La violenza fa parte della vita e deve essere fatta conoscere per insegnare quanto sia sbagliata. Ma come farlo al meglio? Perché di suo, senza filtri morali, la violenza è adrenalina, è potere, è sinistramente affascinante. Ai giorni nostri la violenza delle fiabe così come nei cartoni animati viene epurata e nullificata con l'illusione di preservare per sempre i bambini sotto una campana di vetro. La fiaba perde il valore educativo e rimane solo intrattenimento. Non c'è più il bene o il male, solo stronzi pupazzetti felici del cazzo. Questo è tremendo, perché così le favole sono solo sterile fuga in mondi immaginari, peraltro tutti uguali e senza mordente, noiosi per lo scopo "altro" di far magari appisolare il pupo. Le fiabe, che sono in fondo la versione moderna dei racconti davanti al fuoco, erano concepite per preparare i più giovani alla violenza che c'è nel mondo. Il loro scopo era far scegliere la strada giusta, evitare i pericoli e saper riconoscere il bene dal male. Ma come fare in modo che le fiabe insegnino il coraggio e non trasmettano solo la paura? È uno dei più grandi misteri dell' "educare", ma è una battaglia che ogni buon genitore non dovrebbe eludere. Il racconto della Baraldi parla esattamente di questo. Di bambini che, come in Sinister, si avvicinano al culto della violenza senza sapere esattamente cosa sia, a causa della noia e della indifferenza che vedono da parte dei genitori nei loro confronti. Scoprono che è adrenalina, che li rende indipendenti, forti e uniti. Come fermarli? La soluzione a questa situazione, con derive orrorifiche ben gestite, è semplice quanto brillante, dolorosa ma necessaria, assolutamente "impopolare". Ma è questo l'horror come deve essere. È questa la materia magmatica e scomoda che si deve aver il coraggio di maneggiare. Interessante come il nostro eroe per questo caso si metta a dialogare con un operatore sociale, come la pedagogia esplori l'horror. La Baraldi fa un grande lavoro nella descrizione psicologica dei personaggi e crea una figura, il marionettista, davvero immensa, tragica e romantica, necessaria quanto terrorizzante. Il nostro Dylan appare combattuto come non mai nella scelta della decisione più giusta. E così in fondo mi sono sentito pure io come lettore, anche grazie al mondo di incubo costruito da un Roi quantomai tetro e ispirato ( la parte finale nel Lunapark è eccezionale).
Il passo dell'angelo. C'è una storia horror che mi ha da sempre buttato addosso una paura maledetta, il cartone animato: Il grande sogno di Maya. Protagonista è questa giovane attrice masochista che incontra un'insegnante quantomai sadica ossessionata dalla perfezione totale assoluta. Entrambe sono pazze terminali ovviamente e vivono di drammi esistenziali assurdi e continui al ricerca di quel "non si sa cosa (che sia un colpo speciale, una danza, una interpretazione, un bonsai) eseguito da Dio". Tana delle tigri? Troppo piena di ottimismo a confronto. Avete presente Il Cigno nero di Darren Aronofsky? Non è niente al confronto, troppo autocompiaciuto nel simbolismo. Pensate a Whiplash di Damien Chazelle? Siete forse più vicini, ma lì la pazzia è più sana... forse. In questo Dylan Dog, scritto da un Gigi Simeoni autore completo, ho trovato quella follia tipica di "Il sogno di Maya", arricchita da un'ambientazione folgorante stile Dario Argento prima maniera. L'ossessione per la rappresentazione artistica definitiva, qui incarnata nella capacità di eseguire in danza il fantomatico passo dell'angelo, si sposa alla perfezione con le atmosfere horror architettate da Simeoni. Quindi c'è una scuola di danza classica esclusiva, c'è una maestra intransigente depositaria della perfezione artistica definitiva, ci sono delle allieve che scompaiono nel nulla. Allieve forse distratte e poche coinvolte nell'impegno necessario, ma pure allieve allieve provette. Dylan indaga sotto copertura, ma senza tutù. Peccato, sarebbe stato spettacolare. Il passo dell'angelo fa molto horror anni '70, dalle parti di Phenomena e Suspiria (ma con una punta moderna alla Del Toro), e Simeoni ci fa respirare a piene mani dentro quegli ambienti austeri e asettici popolati da da giovani donne e consunti mostri. Il ritmo narrativo funziona, il versante grafico fa il resto. È una storia semplice ma che funziona bene, diverte e lascia l'occhio appagato. È meno potente di Nel fumo della battaglia, forse uno dei suoi numeri recenti migliori, ma mi ritengo soddisfatto.
Continua...
Nessun commento:
Posta un commento