martedì 26 agosto 2025

Dangerous Animals: la nostra recensione del divertente horror estivo a base di squali e pazzi di Midnight Factory, con per matto mattatore un sorprendente Jay Courtney. Regia del grande Sean “Devil’s Candy” Byrne, nuovo talento dell’horror australiano.

Tempo di vacanze in Australia, dalle parti di una delle coste più belle ed amate dai surfisti di tutto il mondo. 

In cerca dei brividi estremi nella più torrida delle stagioni estive, una coppietta molto legata e molto lontana da casa (interpretata da  Lian Greinke e Ella Newton) non si accontenta di guardare coloratissimi pesci tropicali negli acquari di Sea World, ma decide di stare a fissare gli squali “senza vetro”, direttamente a pochi centimetri dalle loro zanne, guardandoli reciprocamente nelle palle degli occhi, in immersione, dentro una gabbia metallica. 

Tutto sicuro o quasi. 

La barca che offre questo servizio è un catafalco rugginoso ma solido. La loro “guida”, Bruce Tucker (Jay Courtney), un torvo omone pieno di muscoli, dal discutibile umorismo, ma dagli occhi gentili.

L’argano è mezzo rotto, ma la gabbia è spessa e soprattutto è una bellissima giornata di sole.

Al largo il motore si ferma, al centro del nulla, calma e silenzio assoluto. 

Bruce da secchiacci enormi e logori getta in acqua delle frattaglie di pesce miste a budella e tanta, tantissima emoglobina, per attirare i predatori.

Il mare inizia a tingersi di sangue e la coppietta di colpo ripensa ai vantaggi di Sea World. La barca un po’ trema e lo fanno pure i suoi ospiti.  Bruce tranquillizza tutti intonando con loro “Baby Shark” e quando i sorrisi tornano sul volto partono le procedure di immersione: tute da sub, imbracature di sicurezza, bombole e macchine fotografiche per souvenir. Inseriti tra le comode sbarre di metallo e calati lentamente dall’argano. 

Sotto il tetro velo di acqua cremesi, tutto però è bellissimo. Un piccolo branco di squali si avvicina calmo e armonioso: si muove con la grazia in un balletto classico, hanno occhioni da Pokémon, quasi allungano una pinna in segno di amicizia. 

La coppietta a fine tour è davvero al settimo cielo. Al ragazzo viene spontaneo abbracciare con gioia e gratitudine il torvo barcaiolo, come fosse il migliore amico che la vita gli ha messo davanti. 

Bruce sorride, ricambia.

Poi accoltella. 

Il ragazzo cade, mezzo morto e mezzo incredulo è a terra, come alcuni dei pesci, pezzi e frattaglie usati per richiamare gli squali che ancora sono sul ponte. La ragazza urlante spezza il meraviglioso silenzio di quell’angolo di mondo e grida ancora mentre è trascinata sotto coperta come un quarto di bue, in una specie di prigione segreta, dove viene legata a un letto metallico. 

Non ha invece mai amato prigioni e legami di qualsiasi tipo una surfista bionda che si fa chiamare Zephyr (Hassie Harrison). Libera come il vento e tutte le ventenni, forse da troppo tempo, batte la costa da sola, con il suo furgone pieno di tavole da surf e musica rock, in cerca di onde e forse nient’altro. 

Forse nascondendo qualcosa di inconfessabile. 

Ogni tanto le si avvicina tra i flutti qualcuno come l’imbranato surfista per caso Moses (Josh Heuston): un tipo buffo e gentile, ma pressante, che fa troppe domande personali che la fanno inevitabilmente scappare. All’ennesima fuga da un Moses poco romantico ma “particolarmente pressante”, che inizia a cercarla  quasi come un serial killer confrontando targhe di furgoni nei database della motorizzazione e provando a visionare videocamere poste vicino ai parcheggi delle spiagge, Zephyr finisce in un parcheggio decisamente isolato, in piena notte. Un luogo da lupi dove viene inevitabilmente stordita, rapita e poi portata sulla sua barca per turismo proprio da quel vecchio lupo di mare di Bruce. 


Zephyr si sveglia legata a un letto di ferro in una stanza che abbiamo già visto. Al suo fianco, su un altro letto una ragazza in fin di vita che forse riconosciamo. Incisi alle pareti tanti, troppi nomi, di donne che come loro sono state lì: per poi diventare parte dei “veri show” che Bruce ama filmare professionalmente con la sua telecamera: niente roba per turisti, qualcosa forse da rivendere nel dark web. Spettacoli in cui il barcaiolo attacca a un gancio metallico come quarti di bue vittime umane ancora vive, per poi farle calare in acqua lentamente, gocciolanti, “al sangue”, senza gabbie di ferro che possano infastidire la masticazione degli squali. Bocconi così ghiotti che, per assaporarli, qualche squalo è pure disposto a saltare a favore di camera più in alto del solito, come un delfino davanti al pubblico. Chi voleva andare a Sea World? Chi vuole ora cantare insieme Baby Shark? 

Riuscirà Zephyr a sopravvivere, magari facendo affidamento su qualche skill che le ha donato la sua vita solitaria? 

Ma soprattutto, se mai arriverà Moses a salvarla, sarà davvero una condizione migliore che finire sulla barca di Bruce?


Questa estate Midnight Factory, per tornare trionfalmente in sala nel periodo più amato dai fan dell’horror, ha deciso di puntare su un cavallo decisamente vincente: il regista australiano Sean Byrne, autore di quello straordinario Devil’s Candy che da tempo è uno dei più pregiati titoli del loro catalogo. Un film divertente, psichedelico, chiaro e preciso nella costruzione della tensione. In Devil’s Candy soprattutto Byrne si è dimostrato molto bravo nella costruzione della messa in scena e nella direzione degli attori, regalandoci un “villain” davvero speciale, che ha saputo valorizzare al meglio la fisicità ambigua e la recitazione sottile del mai troppo celebrato Pruitt Taylor Vince: un attore caratterista già apprezzatissimo (come nello psico-thriller Identità) che qui per la prima volta riesce a porsi al centro della scena, regalando una performance davvero unica. 

Per Dangerous Animals Byrne sceglie come villain di puntare sul bravo ma poco fortunato Jay Courtney: un attore “grosso” ma dallo “sguardo fanciullesco” ,che nonostante le partecipazioni a serie come Spartacus, Terminator e Die Hard non è mai riuscito a emergere, finendo anche lui per lo più in ruoli da caratterista.

In Dangerous Animals tornano di fatto molti degli elementi della crew che hanno reso così grande e iconico Devil’s Candy: dall’autore della sua straordinaria colonna sonora “dark metal”, Michael Yezerski, al direttore del suo montaggio “sincopato/subliminale” Andy Canny, fino al direttore della sua “psichedelico/mistico” fotografia Simon Chapman.

Questa volta Byrne non si occupa direttamente della sceneggiatura, affidandosi all’esordiente Nick Leopard.

Per “final girl” è stata scelta invece Hassie Harrison, attrice che si è fatta notare nella serie Yellowstone ma anche nel 2015 per quella piccola bomba horror australiano/lovecraftiana di Southbound (che potete trovare anch’essa nel catalogo Midnight Factory).

In sala, Dangerous Animals conferma molte delle buone sensazioni che riponevamo nella pellicola. 

Un horror fresco, semplice nella costruzione ma in grado di essere diretto e incisivo,  pieno di colpi di scena quanto “gioiosamente sanguinolento”, divertente e autoironico, in grado di tenerci attaccati allo schermo dal primo all’ultimo minuto grazie a un'atmosfera che non cala mai. La sceneggiatura di Leopard nella costruzione del villain strizza un occhio a un altro classico dell’horror australiano, il Wolf Creek di Greg McLean, con un Jay Courtney che sa giocare bene e amabilmente nell’alternare affabilità quando spietatezza, umorismo e cinismo, vulnerabilità e disumanità. Il suo è un vero e proprio One Man Show ed è un vero piacere guardarlo giganteggiare davanti a una telecamera che lo segue così da vicino che quasi non riesce a contenerlo, allo stesso modo in cui appare quasi troppo grosso e impiccato tra gli stretti corridoi in metallo della sua nave-prigione. Una nave-prigione grottescamente bellissima: che ci racconta la “sua storia” tra i mille dettagli della scenografia, tra quadri ricavati da vecchi quotidiani e scritte sui muri realizzati da unghie umane cariche di angoscia, troppi liquori e una vasta collezione di archivi video realizzati, all’inizio, forse in cerca di grandi “domande esistenziali”. Uno scenario da tragedia, ma anche da incubo, che spesso viene percorso dagli occhi e muscoli tesi di una bellissima e convincente Hassie Harrison: in cerca di vie d’uscita impossibili mentre da spettatrice è chiamata più volte ad assistere sul ponte a performance degne del grand guignol che di sicuro faranno la felicità degli amanti dello splatter. In attesa di un confronto con l’enorme personaggio di Jay Courtney, che fin dall’inizio ci appare davvero impari. Sul piano visivo e sonoro la crew di Byrne si conferma eccezionale quanto versatile: Dangerous Animals ha colori e suoni molto differenti da Devil’s Candy, ma il livello è sempre alto, convince e conquista attraverso una visione e ritmo ancora una volta precisi, distintivi. Ci sembra quasi di avvertire la puzza di frattaglie, di sentire i polsi legati al letto di ferro in una morsa che non tende a cedere. Dal mare sentiamo emergere e circondarci alla cintola denti bianchissimi di squalo.

Un piccolo gioiello per tutti gli amanti dell’horror “balneare” più “slasher” e ludico. Imprescindibile se amate i film ad alta tensione e magari siete un po’ orfani di quel “florido filone” su persone distratte che a vario titolo finiscono di punto in bianco in mare, senza poter tornare indietro. Qui però non ci sono tempi morti e soprattutto siamo in compagnia di un barcaiolo terribile di lusso. 

Un tuffo nel blu rosso sangue per chi apprezza ancora uno slasher vecchia scuola anni ‘80. 

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