È nato nel 1974 a Bristol, secondo Wikipedia. La sua vera identità è sconosciuta, ma è uno dei massimi esponenti della Street Art dei nostri tempi. Muove i primi passi nella sua città, seguendo la “seconda ondata” di una florida e acclamata corrente di writers tra le cui file militava il celebre Robert “3D” De Naja, futuro leader del gruppo musicale Massive Attack. Arte e sociale si fondono creando una sinergia che il piccolo Banksy apprende seguendo nelle incursioni gli artisti più grandi. Passa presto dai graffiti agli “Stancil”, disegni a bomboletta realizzati con l’uso di mascherini in cartone che ne delineano già le forme. È una tecnica che permette di lavorare senza essere scoperti troppo in fretta, in quanto sembra all’esterno l’attività di chi affigge dei manifesti, ma al contempo richiede una grande preparazione in studio per la creazione dei materiali. Banksy fonde gli stili, diventa il massimo esperto di questa tecnica. Apprende quanto più possibile dai massimi maestri internazionali come Blek le Rat, coniuga presto la rapidità e clandestinità dei writers con una forma d’arte in grado di fare critica e satira del territorio e della politica. Un modo per regalare una risata ai passanti nella grande cornice urbana, arte gratis per tutti. Dona vita ai muri di Bristol attraverso una serie di murales popolati da scimmie pensose, topolini intenti a segnalare qualcosa di rotto, poliziotti alle prese con piccoli monelli, bambine con palloncini. Arriva a portare al British Museum le sue opere, appendendole abusivamente. Poi scoppia come fenomeno e diventa “virale”. Decide di vendere la sua arte a tutti, in tutte le forme, utilizzando in modo sapiente i media. Lo spirito è quello di avere per clienti chi non avrebbe i soldi per comprare abitualmente dei quadri, creando litografie per degli eventi nel periodo natalizio. Poi inizia a creare dei veri percorsi artistici, spazi in cui dipinge anche su animali vivi (rigorosamente con prodotti non pericolosi per gli animali), decide di valorizzare il museo locale e si getta in imprese sempre più grandi, trattando temi sempre di più vasta scala: le guerre, le disuguaglianze e i molti “muri” che circondano le persone. Ma che in fondo sono ottime tele per la sua arte. In breve diventa uno dei principali comunicatori artistici del nuovo millennio, crea esposizioni internazionali di grande successo, porta nel mondo la sua arte in molte forme e tecniche diverse, come un albergo trasformato in opera d’arte a Betlemme, arriva a interessare i collezionisti di Hollywood come i “Brangelina”, Jude Law. Fino a che, momento scelto dal documentario per iniziare la narrazione, un suo quadro viene battuto all’asta di Sotheby per una somma folle. È una riproduzione di uno dei suoi murales più noti, La bambina con il palloncino, opera le cui copie anni prima vendeva come “arte per tutti” realizzate nei sottotetti di Bristol, realizzandone una decina di copie in pochi minuti, proprio grazie alla tecnica degli stencil. Ora, 6 ottobre 2018, la vende con una particolare è strana cornice, viene battuta per un milione di sterline. Ma appena il martelletto assegna la vendita parte un meccanismo a distanza. La cornice si trasforma in un distruggi-documenti e La bambina con palloncino inizia a uscire tritata in linee verticali verso il basso, fino a che qualcuno non ferma la distruzione a metà. È una vendetta sul prezzo dell’arte, sul fatto che anche se periodicamente vende ancora le sue litografie a due lire in un evento “per tutti”, c’è qualcuno che il giorno dopo le rivende su ebay al triplo del prezzo. Senza parlare di chi decide di vendere i muri cittadini stessi dei suoi lavori. Risultato? L’opera è stata rivenduta a due milioni di dollari e oggi Banksy sta utilizzando i suoi soldi per intraprendere azioni su più vasta scala, come comprare una nave e l’equipaggio necessario per aiutare i migranti nel mediterraneo.
Chi è quindi Banksy?
Un artista di strada che “fa il palo”
per i writer più grandi di Bristol, mentre riempiono di colori un edificio
abbandonato, che diventa capofila di un movimento artistico e politico, per poi
diffondere la sua arte nel mondo e sovvertire ogni regola precostituita sul
commercio dell’arte, diventando icona e fonte di ispirazione per molti. Il
soggetto ideale per un film, in quando la storia artistica di Banksy è così
sorprendente e multiforme che sembra incredibile, è eccitante, trasgressiva.
Elio Espana, che produce, scrive e dirige questo Banksy - l’arte della
ribellione è un documentarista esperto, che ha narrato la vita di Prince, Bob
Dylan, The Grateful Dead, Robert Plant, Stevie Nicks, gli Smiths e tanti altri
musicisti, si è dedicato a musical come Hamilton e alla storia criminale. Il
suo film sull’arte di Banksy ha un montaggio veloce, molta ironia, offre una
lunga e accurata descrizione delle sue imprese più celebri. Si avvale delle
interviste di molti artisti ed esperti d’arte e soprattutto ritrae al meglio le
opere, davvero bellissime sul grande schermo, grazie alla fotografia di Peter
Lowden e David Sampedro e all’accompagnamento dalla colonna sonora di Pete
Weitz.
Banksy - l’arte della ribellione è un documentario da seguire dal primo all’ultimo minuto, un compendio indispensabile per approcciare il vasto mondo dell’artista di Bristol e uno degli appuntamenti immancabili in questa asfittica, traballante ma in qualche modo eroica stagione cinematografia di convivenza con il Covid.
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