Trama:
cinque pazienti di lungo corso di uno psicologo vengono da questo invitati a una particolare terapia di gruppo, a bordo della barca "Andarevia".
Marco (Matteo Quinzi) ha trent'anni e soffre di attacchi d'ira
improvvisi, Eva (Sara Lazzaro) una ragazzina che soffre di amnesie,
Stefania (Patrizia Volpe) una donna affetta da rupofobia, Valerio (Alessandro
Calabrese) è un ragazzo con delle turbe psichiche e infine c'è Pablo (Andrea
Vergoni), un anziano che non parla più da diverso tempo. Ad aiutare lo
psicologo c'è uno skipper. Non si fa in tempo a partire per il largo che subito
arrivano i problemi. Le due "guide" vengono in qualche modo
"eliminate" da una combinazione di caso/mistero/rimosso che viene
subito accettato senza troppi patemi dal resto dell'equipaggio. Insomma, non se
ne parla e punto. Quindi i cinque sono in grado di "liberarsi dai vincoli
del mondo per dedicarsi a se stessi", come appunto gli aveva suggerito il
loro psicologo... probabilmente ucciso da uno o più di loro, ma appunto non se
ne parla. Così complice il bellissimo mare della Sardegna (regione che ha pure
investito soldi in questo progetto) i nostri cinque personaggi in cerca di
guarigione iniziano a guardarsi intorno e vedere che in fondo qualcosa sanno
fare, possono magari pure pensare di affrontare qualcuno dei loro demoni
personali. La barca andrà alla deriva come in un horror di serie b o qualcuno
di loro prenderà in mano il timone?
Un
regista da prendere a sberle: Claudio di Biagio, regista della web serie
"Freaks!", con fondi Rai (leggi: "nostri") e fondi
regionali (ri-leggi: "nostri") mette insieme questo suo progetto sul
"disagio mentale". Siccome è giovane e anche figo, lui non ama i
lieto fine, non apprezza la scrittura canonica di una sceneggiatura, non è
incline a offrire spiegazioni anche solo visive agli spettatori circa quello
che sta succedendo. Ammaliato dalla possibilità di esprimere al meglio con una
pellicola l'incomunicabilità e solitudine del "disagio mentale", ci
getta tutti in una nebulosa linea narrativa dominata dal caos, credendo nella
possibilità che le patologie mentali si svelino come dei bubboni sulla pelle e
inizino a relazionarsi tra loro creando delle sequenze e magari delle soluzioni
meta/ narrative. Una bella "terapia d'urto" per i nostri cinque eroi
di cui sopra che dimostri magari pure, per critica sociale, come i percorsi di
guarigione spesso siano inefficaci e gli operatori preposti dei simpatici
e pericolosi incapaci. Wow. Questa è ambizione e non è sbagliato essere
ambiziosi con il cinema, perché è un mezzo prende. Di Biagio peraltro si avvale
di buone capacità tecniche e riesce a gestire bene la "nebbia
emotiva" che anarchicamente muove la pellicola. Il film è potente, tra
l'horror e il drammatico, è claustrofobico nonostante si svolga tutto in luoghi
aperti, ti dà una voglia matta di sapere quello che succede dopo. Sono che non
c'è un vero "dopo". Perché il nostro regista - eroe si è dimenticato
di sviluppare i personaggi al pari delle loro patologie, al punto che questi
si muovono quasi fossero degli zombie. Interessante ma al contempo troppo
assurdo e "inumano". Inoltre, siccome Di Biagio è un seguace di Refn
e dei "criptici" in genere, a un certo punto la pellicola
finisce e... e basta. Di Biagio non fa una "restituzione" (in senso
diagnostico... certo lui è chiaro che aborrisce una cosa del genere ) né tanto
meno una chiusa narrativa di qualsiasi tipo, perché per lui è roba da sfigati.
I personaggi non evolvono, il mondo se ne frega, questo è cinema - verità. E
invece no, questo non lo è proprio. Questo prodotto è solo un arrogante
agglomerato di pensierini di terza elementare che non vanno da nessuna parte. È
una bozza pretenziosa e presuntuosa che non fa minimamente giustizia delle
persone e dei disagi che vorrebbe raccontare. Non si può parlare di malati
riducendoli unicamente alla loro malattia perché è il più capitale dei peccati,
è una oggettificazione. Certo c'è del coraggio alla base di questo
"Andarevia", la voglia potente di rompere gli schemi e la capacità di
far arrabbiare il pubblico, di farlo reagire emotivamente. Nel suo rozzo
incedere di continue omissioni narrative e di personaggi che si perdono nel
percorso e nella logica c'è autentica e titanica potenza espressiva. Questo
film sa provocare reazioni e le relazioni non sono merce di poco conto. E
quindi alla fine non posso che fare un plauso a questo prodotto così imperfetto
e così curioso nella forma. Pur nella completa, totale antipatia che questa
pellicola mi suscita, riconosco che è una più che interessante opera prima.
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