Nuovo mondo, piena era vittoriana. Edith Cushing (Mia Wasikowska) è una ragazza indipendente e vuole fare da grande la scrittrice. Ma non vuole raccontare di giovani donne travolte dalla passione e diventare una nuova Jean, vuole essere la nuova Mary Shelley. Solo che è una donna e nonostante ci sia già la Shelley non è facile per lei imporsi all'attenzione di editori americani modernissimi ma ancora per l'epoca maschilisti. La liquidano subito appena scorgono una grafia ordinata ed elegante tutta cuoricini e storie in cui compaiono elementi fantasy paleo-young-adult come i fantasmi. E non importa se lei specifica a chi legge i suoi manoscritti che i fantasmi rappresentano shakespearianamente le ombre del passato che l'uomo razionale e moderno deve superare. Scrive di fantasmi e la bollano come sognatrice, rigettano le sue opere perché le frivolezze scritte per lo più da damine ottocentesche per damine ottocentesche non vendono in quell'epoca. O forse non abbastanza, sta di fatto che i testi scritto dalle donne li sgamano e cestinano subito. Edith deve "nascondersi" al maschilismo editoriale. Le serve una macchina da scrivere per camuffare la grafia rivelatrice, trovare uno pseudonimo maschile e sperare che chi leggerà le sue opere non la discriminerà più e la pubblicherà senza esitazione. Solo che il padre, Carter Cushing (Jim Beaver), funzionario di una grossa banca, lo sa che sua figlia più che una rivoluzionaria è in fondo una sognatrice in senso classico, che crede nei fantasmi perché da piccola è convinta di averne visto uno e che da romanticona è destinata a cadere tra le braccia del primo bellimbusto tenebroso uscito da un qualsiasi young adult. E il tenebroso arriva. Il baronetto inglese Thomas Sharpe (Tom Hiddleston), rampollo di una decadutussima casata dedita al business dell'argilla. E' un mezzo-inventore ma per lo più ha costruito finora solo giocattoli. E' mingherlino, con l'occhio triste e sogna di salvare il business di famiglia realizzando un escavatore per l'estrazione dell'argilla. Una diavoleria a vapore creata su modello di una locomotiva ultra-steampunk che necessiterà di un sacco di soldi per lo sviluppo, da commissionare anche a esperti internazionali per gli aspetti più complessi. Thomas non incanta col suo fascino il padre di Edith, la sua nomea di esperto ballerino dai modi eleganti non gli basta per concedergli un finanziamento, anche perché, carta canta, già tre banche lo hanno rimbalzato. Il giovane è losco, oltre al fatto che un "baronetto" per i Cushing, arrivato poi dal vecchio mondo, è un parassita sociale che vive sulle spalle di altri. Un pessimo partito senza nemmeno un callo sulle sue lunghe e bianchissime mani, segno che in tutta la vita non ha lavorato neanche una mezz'ora. Un rigurgito di privilegio medioevale ai tempi della riscossa dell'uomo comune. Gli sta così sulle palle che a casa i Cushing lo chiamano lord Fontleroy (citazione da "il piccolo lord"), magari non incanterà nemmeno la figlia. Edith ha già un bel ragazzotto da sposare, il medico dalla pettinatura orribile Alan, un Charlie Hunnam, che era sul set forse perché pensava fosse Pacific Rim 2 e poi è rimasto per le riprese. Alan è affidabile, grosso e muscoloso e già condivide con la ragazza diverse passioni. E invece no. I modi gentili, le braccine molli e il corpicino più minuto, gli occhioni di Thomas affastellati sul visetto pallido da cane bastonato la travolgono come un tir e per una serie di accadimenti infausti Edith finirà per seguire il baronetto nella sua derelitta magione inglese. Un villone sperduto e diroccato allucinante. Fatiscente, marcio, col tetto sfondato e con il pavimento che viene sempre più a sprofondare in una inquietante fanghiglia cremisi, la "argilla rossa Sharpe", astutamente prodotta sotto le fondamenta della abitazione. Un posto sfigato che Edith può sopportare solo per lo sconfinato amore verso il grande sognatore Thomas, ma che diventa presto un luogo da incubo se deve essere condiviso anche con la sorella di Thomas, Lucille (Jessica Chastain). Una donna elegante quanto altera, schizzata e probabilmente pericolosa. Da non contraddire mai per evitare di finire uccisi dalle sue occhiatacce gelide. Vuoi il fascino sinistro del posto, vuoi la paura di trovarsi lontano da casa, presto Edith, la moderna ed emancipata, concreta Edith, perde la razionalità e come gli era già accaduto da bambina, ricomincerà tra quelle mura a vedere dei fantasmi.
Guillermo Del Toro lascia per un attimo da parte il suo bellissimo giocattolone Pacific Rim per dedicarsi a un progetto più piccolo, un horror classico del passato sul modello Universal e Hammer, girato mentre sta contemporaneamente portando nel futuro il mito dei vampiri con la sua serie multimediale The Strain. Crimson Peak rappresenta un sentito "grazie", un maxi omaggio al genere che ha cresciuto e animato il talento del grande regista. Il nome della protagonista è Cushing, in memoria del grande attore horror Peter Cushing. Lo stile narrativo scelto è horror-vintage gustosamente e gioiosamente sopra le righe, teatrale sia come "staticità" che come rappresentazione (potrebbe domani essere convertito in piece con pochissime variazioni) che in senso di "pomposo". La trama presenta più di un riferimento a Rebecca, la prima moglie, scritta da Daphne du Maurier e diretta nel '40 da Alfred Hitchcock, la magione in cui è ambientata la maggior parte del film è "viva", pulsante e maledetta come nel classico del '63 di Robert Wise, The Haunting - Gli invasati.
Il problema semmai è che la casa è fieramente "troppo" viva e pure un po' baraccona, tra il castello di Greyskull che avete in cantina e il castello di Dracula di Gardaland, come nel remake di The Haunting con Liam Neeson (e una straordinaria Lily Taylor) del 1999 per la regia di Jan de Bont, ma ci torneremo dopo.
Per questa avventura Del Toro torna a lavorare allo script con un vecchio amico, il regista e sceneggiatore Matthew Robbins, che ricordo quando ero piccino dietro alla carinissima commedia per ragazzi con robottini buffi anni ottanta Miracolo sulla ottava strada. Una chicca da recuperare. Con Del Toro partner alla sceneggiatura, Robbins aveva scritto poi Mimic, un horror crepuscolare, uno dei primi successi del futuro regista di Hellboy, con cast sontuoso che annoverava un grande Giannini, all'epoca lanciatissimo in produzioni internazionali. Mimic aveva una storia ambientata sotto una grande città, nel cuore umido delle fogne, tra fumi e lerciume in cui un bambino povero faceva la sgradita conoscenza del "signor scarpe buffe". Una creatura da incubo, un insetto camuffato da uomo, dentro al quale sotto chili di trucco e computer grafica, già si muoveva il mitico attore - mimo Doug Jones, poi interprete di Abe Sapiens in Hellboy, poi corpo del bellissimo e decadente Pan e del terribile uomo pallido in Il labirinto del fauno. Mimic sembrava un film horror - action classico ma non giocava la "carta alien". Lavorava di atmosfere più soffuse, lente, quasi fantasy. Puntava a immergerci in un mondo oscuro e inquietante sul quale strisciavano esseri spaventosi e infidi. Tutto era reso mistico e affascinante, vecchio e decadente, gotico, anche grazie ai colori acidi da direttore della fotografia Dan Laustsen . Un mondo "altro" nascosto dal mondo di superficie. Una formula che con budget più ricco la New Line gli chiese di replicare per Blade II. Del Toro anni dopo e molti successo dopo aveva poi prodotto e sceneggiato, sempre in tandem con Robbins, Non avere paura del buio, affidando la regia allo scrittore di fumetti, esordiente, Troy Nixey. Ancora realtà ai confini della fantasia (tema carissimo a Del Toro) ancora bambini alle prese con creature fantastiche, questa volta esseri minuscoli, che brulicano tra le pareti e le tubature di una grande casa. Una casa che diventa protagonista assoluta della vicenda con le sue stanze sontuose e passaggi segreti. Un'altra favola nera forse meno riuscita di Mimic ma di grande fascino. Forse meno riuscita perché i mondi, reale e immaginario, si mischiavano troppo, perdendo un po'di identità. Forse lo sbaglio che si ripete anche in Crimson Peak.
Molto interessante e vincente la scelta di una attrice come Mia Wasikowska. Una corporatura acerba, goffa e poco slanciata. Ancora bambina nel modo di porsi, con occhioni scuri ed espressivi. Dalle forme burrose incredibilmente sensuali anche se poco slanciate , elegante in vestitini tutti ricami dell'epoca vittoriana. Un'attrice non bella ma affascinante che in breve ha saputo stregare molti registi e produttori. Era già un'interprete perfetta, spontanea e credibile nella serie In Treatment, dove vestiva i panni di un'atleta un po' lolita, Sophie, che si confessava sul lettino dello psicologo Gabriel Byrne. Un'adolescente per una volta credibile (e sono in poche) che è stata scelta dalle major per dare corpo a molte eroine di carta. Come a una cresciuta e indipendente Alice nel sontuoso ma forse troppo pasticciato Alice in Wonderland di Tim Burton, un personaggio che riprenderà a maggio in Attraverso lo specchio, ma senza la regia di Burton. La Wasikowska è stata poi la più recente versione cinematografica di Jane Eyre e di Madame Bovary e riesce a essere perfetta anche come eroina in Crimson Peak. Forte ma vulnerabile, sognatrice quanto concreta, ha alcuni dei dialoghi più belli della pellicola e non si riesce a non volerle bene, a non essere preoccupati per lei.
Funziona benissimo per questo horror gotico anche l'elegante e malinconico Tom Hiddleston, già Loki nei Marvel Comics e uno degli attori "da tenere d'occhio". Ha un guizzo negli occhi che lo fa sembrare un giovane Gene Wilder, è parecchio versatile, teatrale quanto basta e riesce davvero a bucare lo schermo. Mi pare un vero peccato che insistano nell'offrirgli solo ruoli un po' emo di ambiguo doppiogiochista dall'aria triste traumatizzato da un'infanzia infelice. Qui cerca una variante sul tema, ma dietro agli abiti vittoriani pulsa ancora il cuore di Loki. Non che sia un male.
Convince e conquista, probabilmente divertendosi un mondo nel recitare un personaggio tanto sopra le righe come Lucille, la bravissima e bellissima Jessica Chastain. E' come vedere Antony Hopkins interpretare Hannibal Lecter. Ti fai una carriera di personaggi seri e complicati come la sua analista in Zero Dark Thirty e poi di colpo ti lasciano "sfogare" con un personaggio di pura invenzione e totale follia. Il risultato è che ruba la scena a tutto il resto del cast, trucchi e scenografia, effetti speciali, musiche e regia fino a mangiarsi tutto il film, dominando incontrastata la scena. Una furia umana. Lucille è pazza e non fa niente per nasconderlo dal primo momento in cui la vediamo sulla scena. Già nel trailer. Molte delle cose che fa sono oscure e rimarranno misteriose anche alla fine della pellicola. Se ci sarà un seguito sarà probabilmente incentrato su di lei. Da applausi.
Dal punto di vista della sceneggiatura il film non punta a inventare nulla, crede fermamente nel suo essere una "messa cantata" degli horror più classici e amati. Non ci sono reali colpi di scena, la sua forza sta tutta nel fare al meglio, con stile, il suo sporco lavoro di prodotto di intrattenimento. L'ambito in cui la pellicola vuole essere davvero originale è nella cifra stilistica di Del Toro, che risiede nell'atmosfera. La creazione di un mondo "altro", la casa e i suoi fantasmi, un luogo e personaggi in bilico tra passato e presente, architettura vittoriana nelle cui fondamenta si annida la tecnologia steampunk.
Quello che può essere un problema per lo spettatore è che a differenza delle altre opere di Del Toro il confine tra reale e immaginifico qui non c'è, in virtù di una unica realtà alternativa, sul modello di quanto spesso capita, ma con più coerenza, nei sogni gotici di Tim Burton. La villa si dimostra da subito come uno scenario estremamente fittizio. Teatrale, sontuoso e spettacolare ma mai un luogo reale, in cui si può pensare abitino veramente delle persone. La casa nel remake di Hauntig di De Bon era una specie di luna park gotico, con percorsi d'acqua, stanze degli specchi, sale da ballo a carillon e pure giostre di cavalli, ma per lo meno era una casa costruita da un ricco bislacco per far felici (sulla carta) dei bambini. Ma il villone di Crimson Peak sembrerebbe e vorrebbe essere qualcosa di più sobrio e funzionale, solo parzialmente sopra le righe. Ci sta bene che sia nel sottosuolo un groviglio di ingranaggi e tubi costruiti per l'estrazione. Fiumi di argilla che sembrano di sangue con trivelle che sembrano davvero giganteschi trapani a vapore volti a torturare un gigante nel sottosuolo. Ci sta bene che si acceda al sottosuolo con un ascensore rugginoso, ci sta bene che la stanza delle invenzioni di Thomas stia a metà tra il laboratorio di un mad doctor e la cameretta di un bambino. Tutto Favoloso, originale, intrigante . Ma la "parte giorno" come è resa? Il tetto dell'abitazione è sbrindellato e visto che c'è la neve fuori saranno almeno zero gradi. Ma chi ci abita dentro porta una sciarpina, accende il fuoco, sta sotto la copertina sul divano e nulla più. Peraltro dal buco sul tetto sembrano entrare perennemente foglie secche come se fossimo in autunno e ci fossero degli alberi piantati direttamente sul tetto. Foglie che non arrivano al suolo, bellissime ma reali quanto un salva schermo. Nel villone, enorme, vivono letteralmente in due, con un servitore misterioso che va e viene, con il resto del mondo, la civiltà, a quattro ore a piedi da li'. Non è chiaro come facciano a tenere poi tutto pulito anche perché dal sottosuolo sgorga continuamente la argilla rossa che si sta mangiando le fondamenta della abitazione. Staranno tutti impiastrati di rosso? Ma manco per il cavolo, basta dare un pestone alle piastrelle, che sbrodolano argilla come fosse nutella in una singola scena e per il resto del film il problema è dimenticato. Anche nel Labirinto del fauno, negli Hellboy e nel secondo Blade c'erano luoghi da sogno, ma erano più realistici, separati, sembravano dei piccoli mondi paralleli credibili. I personaggi vivevano in un mondo reale e saltuariamente facevano capolino nella "favola". Qui pare invece ci sia gente che vive in una casa ricavata da un plasticoso (e ripeto visivamente favoloso) tunnel degli orrori. Potreste all'istante amare la magia di un set che trasuda eleganza, impegno e ricerca del dettaglio più originale e stiloso. Ammirarlo come ammirereste luna scenografia elegante e sopra le righe di una rappresentazione teatrale. Ma potreste pure trovarlo troppo, troppo assurdo.
E poi c'è Doug Jones, che da corpo ai fantasmi. Si muove in modo inquietante, funziona nel suo incedere sempre originale e scattoso, acrobatico quanto doloroso, ma i fantasmi che incarna hanno gli stessi difetti della casa, stanno in un mondo tutto loro, un luogo che con il realismo fa a cazzotti. Avete presente la cacarella che vi viene quando vedere un fantasma al cinema? Presente Le verità nascoste di Zemekis? Non so come capita a voi, ma per me, che non mi fanno particolare impressione gli insetti o gli animali, i mostri cinematografici che mi spaventano di più presentano delle connotazioni, pur limitate, che rimandano a una parvenza di umanità, anche se contorta. Se manca questo input o ci sono elementi caricaturali nella sua rappresentazione (come i fantasmi di Ghost Busters o La Madre del film omonimo, guarda caso prodotto da Del Toro) io troverò un mostro magari bellissimo, ma ho più voglia che paura di vederlo. Sono curioso ed esaltato dagli effetti speciali più che atterrito. Mi diverte e non spaventa. Ora, i fantasmi di Crimson Peak sono per me una versione più "horror " della Sposa Cadavere di Tim Burton. Braccia allungate, corpi filiformi o recisi, pure gli occhioni a volte. Comprerei oggi tutte le action figures, li trovo bellissimi, tutti ben caratterizzati. Ma non mi fanno paura, non avverto la tensione salirmi al loro arrivo e mi viene da pensare che sia per chiara scelta registica, che Del Toro anche qui non abbandoni il suo dictat "io sto con i mostri". La paura e tensione arriva comunque dai veri mostri delle pellicola, gli umani, ma può un horror di stampo classico rinunciare all'impatto dei fantasmi per spaventare, relegandoli a creature più fantasy che horror?
Forse Crimson Peak nella sua ricercata originalità rischia di buttare per aria il modello di film che vuole omaggiate.
Se vogliamo c'è un esempio ideale di film horror moderno che rievoca al meglio lo stile vintage della Hammer ed è The Woman in Black di Watkins. Ambienti gotici ma vissuti, recitazione sopra le righe ma senza che l'azione si fermi prima che il personaggio abbia tempo di pronunciare la sua battuta, elementi soprannaturali che fanno realmente paura. Una formula non facile da replicare, tanto che lo stesso seguito di The woman in black, L'angelo della morte, che esce da noi in questi giorni in home video in ritardissimo e senza essere passato dal cinema, non ha avuto i fasti del primo capitolo.
Crimson Peak manca di quell'equilibrio perfetto tra merletti e spaventi e in genere risulta troppo sognante per risultare davvero minaccioso. Ma personalmente l'ho trovato un più che valido intrattenimento, un bellissimo giocattolo colorato e rifinito con una componente splatter da non sottovalutare. Si esce dalla sala contenti, segnando sul taccuino il nome di Jessica Chastain come nuova femme macabre, da mettere subito in top accanto a un'altra Jessica, la Lange di American Horror Story. Non è il film più riuscito di Del Toro, ma se siete fan del regista gli vorrete ugualmente bene. Le ragazzine amanti dei gotico romantico lo adoreranno comunque. Chi cerca un horror che spaventi a raffica rimarrà deluso. Gli amanti del fantasy e di Tim Burton potrebbero trovarlo più che gradevole.
Meglio Crimson Peak o The Haunting? Non riesco a dirlo, giocano di fatto nello stesso campionato ma vanno in direzioni così opposte da non poterli sovrapporre. A me piacciono entrambi nel loro esagerato, grandioso e gotico mondo di case da incubo, tanto sovraccariche di dettagli quanto artisticamente sontuose.
Talk0
Purtroppo mi manca... L'Horror di Del Toro lo vedo normalmente, di solito sono un fifone ahah
RispondiEliminaNon dovresti trovarlo così terrorizzante ;)
RispondiElimina