Finalmente
possiamo riparlare di Machete, il nostro antieroe preferito
interpretato dal roccioso Danny Trejo nato dall'omonimo fake spot
realizzato da Robert Rodriguez per Grind House. Cattivo, scorretto,
esasperato e “grezzo”, l'antieroe nato da quei pochi ciak si è
guadagnato una pellicola tutta sua con la canonica benedizione
Tarantiniana. Del resto Trejo se lo è meritato un ruolo da
protagonista dopo millenni di parti da “cattivo messicano”. Dopo
i fasti trash della prima pellicola, costata quanto una confezione di
noccioline e latrice di ovazione in tutto l'orbe terracqueo, il
pubblico ha richiesto a gran voce il ritorno del personaggio e
Rodriguez non è certo uno che non ascolta i fans (anche se sta
nicchiando troppo sui dettagli del prossimo Predator).
Richiamato il
cugino (Trejo è di fatto cugino di Rodriguez), il regista ha messo
insieme un cast stellare per la pellicola numero due, dando alla
sceneggiatura, in aggiunta al solito gusto texmez da expoitation
classica, un tocco di James Bond che non guasta mai. Per coerenza il
budget pare sempre fissato intorno al costo della canonica confezione
di noccioline, ma noi amiamo Rodriguez anche per questo.
Cattivo di
lusso, presto al cinema anche in Expendables 3, il
redivivo Mel Gibson, per il quale è stata appositamente cucita la
parte di un eccentrico e potentissimo trafficante d'armi, oscuro
signore di tutti i traffici illegali messicani. Il vecchio eroe di
Braveheart sarà come tutti i nemici di Bond attorniato da un seguito
di variegati scagnozzi e da qualche appetitosa donzella in abiti
succinti.
Di suo Machete, in missione per conto degli Usa contro
Gibson, avrà le sue altrettanto succinte “machete girls” e il
consueto arsenale di coltelli, lanciarazzi e amenità varie che tanto
la hanno fatto amare dalle legioni di fan della prima pellicola (chi
vuole di nuovo vedere il tosaerba?), compresa l'ormai celebre
“budella elastica” (estrarre dal nemico e usarla nel modo più
creativo, da corda per calarsi come da giavellotto). Non manca la
creatività per le armi, autentico marchio di fabbrica di Rodriguez:
già dal trailer in aggiunta alla ormai classica pistola fallica (già
ammirata in Desperado e Dal Tramonto all'alba), possiamo ammirare le
mitraglia-tette. Una citazione nagaiana? Comunque apprezziamo e
ringraziamo. Nutritissimo il cast femminile, che annovera tra una
Michelle Rodriguez e Sofia Vergara (che da Spy Kids è decisamente
cresciuta in tett... cioè in tutti i sensi) anche un'inedita (sul
grande schermo) Lady Gaga. Non ci resta che aspettare la Lucky Red
per la data ufficiale di uscita nel Belpaese. Gli amanti dei B-movie
sono avvisati. Machete sta tornando.
Da novembre al cinema!!! Ma ovviamente parlo del Giappone
Poteva
il mito dei miti non godere di una cazzuta trasposizione
cinematografica? Poteva resistere alla morsa crudele della
cinematografia action giapponese, che non sceglie il protagonista se
non è un emo del cacchio del peso di 39 chilogrammi con un disco di
canzoncine rivolto a smandrappine in uscita? Potevano magari farne un
documentario tipo “Sfide”, per onorare i Tiger Mask
“originali”, westlers professionisti che si sono ispirati al manga?
Potevano, e questo era il minimo sindacale, farne un cartone animato
figo e ultraviolento? Tutte queste domande trovano subitanea risposta
dopo la visione del trailer di cui sopra. Ve la sintetizzo: no.
Antonio Inoki con Tiger Man
Tana
delle Tigri, Naoto Date che riempie di pacchettini regalo orfanelli
intrippati solo dal sangue che elargisce sul ring, Mister X azzurro
per via di qualche strano abuso di viagra, la grafica
“poligonale” (questa per spiegarla mi servono venti righe... ma chi
l'ha capita ora sta ridendo). Niente. A ben vedere già con la
seconda stagione del cartone animato si sub-odorava che tutto stesse
andando a peripatetiche, ma mai mi sarei aspettato questo. Guardo le
immagini e mi pare di rivedere Garo. E piango. Ma porca la pupazza,
almeno far vedere un lottatore di sumo potevano! Nessuno in
giappolandia subisce più il fascino di Antonio Inoki? Inoki all'emo del caçço protagonista gli rompeva la
spina dorsale. Con un rutto. Mestizia.
Kickstarter è una
delle più moderne risorse che la rete propone agli autori, vecchi e
nuovi, per creare materialmente le loro opere. Film, libri,
videogiochi, fumetti, sculture dadaiste e innovativi pearcing
rettali. Tutto si può proporre su kickstarter, basta avere una bella
idea e magari credenziali stratosferiche e la capacità di convincere
gli utenti a produrre direttamente loro il progetto attraverso il
sistema delle donazioni. Il progetto per partire necessita di una
somma-soglia raggiunta la quale tutto può iniziare, ma se si supera
la soglia il progetto può ampliarsi, diventare più corposo e ricco
e tutti sono felici. In un mondo in cui i veri produttori si occupano
solo del sistema più veloce di fare soldi, Kickstarter può davvero
dare voce agli autori e non è poco. Tutti i piccoli mecenate che
hanno però contribuito al traguardo non vengono comunque
dimenticati, a seconda della loro donazione ricevono in genere dai
piccoli omaggi alle cose più assurde. Ma chi è Keiji Inafune e,
soprattutto, cosa mi regala se sgancio i soldini?
1) C'era una
volta un robottino blu. Oggi qualcuno ne ha raccolto i pezzi e li ha
riassemblati
Keiji Inafune è
stato per anni uno dei principali nomi dietro all'etichetta Capcom,
lo è stato quasi per un trentennio. L'occasione per sfondare arriva
quando crea uno strano omino blu. Il mondo di gioco è un futuro
meccanizzato ma molto colorato e buffo. Tra robottini che fanno i
muratori con caschetto di sicurezza di ordinanza e animali da
compagnia metallici, tutto sembra splendente e pacifico. Ma qualcuno
trama nell'ombra e sta costruendo un personale esercito di robot
programmati (anche contro la loro volontà) per distruggere tutto e
tutti. Ma c'è un'ultima carta da giocare per contrastarlo ed è
Rockman (Megaman al di fuori del Giappone), un robottino creato dal
Dr.Light in grado di acquisire i poteri degli altri robot, redimerli
e affrontare il misterioso burattinaio. In un'atmosfera sognante che
richiama Astroboy di Tezuka nuove quindi i primi passi Rockman,
autentica icona videoludica da oltre 30 anni.
Il gameplay è a
tutt'oggi unico e riconoscibile. Il nostro eroe digitale avrà in
dotazione un cannone particellare e sarà messo al centro di una
serie di difficilissimi livelli action platform, pullulanti di
trappole e di robottini, dislocati in zone diverse di un unico
scenario accessibili a piacere. Al termine dei livelli dovrà
vedersela con tostissimi boss sconfiggendo i quali riceverà nuove
armi. Ma solo alcune armi hanno effetto su determinati boss. Il
giocatore è quindi chiamato ad essere al contempo un bravo esperto
di giochi platform, un ottimo combattente e un abile stratega.
Risulta chiaro da subito come il gioco sia difficile e pertanto
incredibilmente appagante per i giocatori più tenaci. Passano gli
anni e le console. Alla serie originale si affianca la più
futuristica “X”, poi la serie in 3d “Legend” e la recente
“Zero”. Titoli che hanno sempre avuto schiere di appassionati
disposti a seguire un brand che nonostante l'età e un gameplay che
poco si innovava (se non con l'introduzione delle armature
componibili introdotte con la serie x) continuava ad appassionare.
Poi qualcosa si è rotto ed è successo nel recente. In un periodo in
cui Megaman spaccava al punto da vendere anche in versioni ultra-old
style ispirate alla grafica e controlli 8-bit si mette in cantiere
Megaman Universe. È la risposta di Capcom a Little Big Planet, gioco
platform che permette agli utenti di creare da zero dei quadri di
gioco attraverso un gioco-nel-gioco così bello da ricordare i lego.
LBP riempie i server di nuovi e infiniti livelli e Capcom pensa sia
la strada giusta da seguire. Poi arrivano i primi artwork, invero
bruttini, poi arriva il primo tv trailer, invero bruttino. Poi tutto
tace. Pollice verso nei test. Tutto congelato. C'è da dire che
Inafune non era più dietro alle avventure dell'omino blu. Dal 29
ottobre ha lasciato la casa di Osaka in profondo disaccordo con i
vertici Capcom, rei di aver perso identità lasciando a terze parti
(soprattutto occidentali) lo sviluppo di giochi che, anche alla prova
dei fatti, si sono rivelati brutti e, soprattutto, del tutto alieni
al marchio. Un duro colpo per Capcom, compagnia che racchiudeva tra le
sue fila un tempo gente come Mikami, ma anche alcune delle figure di
maggiore spicco di Platinum Games e GlassHopper e che solo oggi, dopo
molti alti e bassi, sta cercando di ritrovare se stessa. Forse non
si poteva riavere Inafune a gestire Megaman, ma si poteva fare di più
per Megaman Universe.
La gente non ha
dimenticato Megaman, ma il marchio è fermamente in mano a Capcom.
Ecco quindi che Inafune rimette insieme gran parte degli artisti che
nella storia hanno dato vita a Megaman e fa sì che questi si
rimettano al lavoro su quello che la gente tanto amava, nella formula
che più i fan preferivano. Non si può chiamare Megaman, ma nulla
impedisce di fare un gioco con meccaniche simili: nessuno può
mettere il marchio “brevettato” su un platform come su uno
sparatutto, nessuno può obbligare un chara design a utilizzare il
suo stile di disegno personale per creare un progetto diverso da
quello per cui ha lavorato in passato, nessuno può obbligare un
compositore a non comporre più se passa ad un'etichetta diversa. Ma
la gente vuole davvero giocare ancora con robottini colorati o è
solo una voglia inespressa, un “bello ai miei tempi, ma oggi gioco
ad altro”? Ecco quindi che Inafune decide di rivolgersi a
kickstarter, guardando direttamente nelle palle degli occhi i fan che
tuttora lo assediano per un autografo tra le vie di Tokyo. Il primo
passo è un video pubblicato anche su you tube.
Ma chi realizzerà
concretamente questo sogno?
2)Keiji Inafune
e lo staff: i magnifici 9 in carne e ossa.
Il capo progetto:
Ha un'aria sbarazzina e dimostra di sicuro meno anni di quanti
effettivamente abbia, ma quello che vedete in foto è il papà
di Megaman-Rockman, uno dei più famosi personaggi dei videogiochi di
sempre. Se ciò non vi basta, sappiate che è anche l'uomo dietro
alla saga di Onimusha e Dead Rising!
Keiji Inafune
Il Game designer:
Naoya Tomita ha lavorato su Megaman 2 per poi diventare chara
designer del 5 e 6. Doveva essere anche assistente di produzione di
Megaman Legends 3 e Megaman Universe, i capitoli che Capcom ha
cassato.
Il chara designer:
Kimo – Kimo. Un grande. L'uomo che ha caratterizzato personaggi
memorabili per giochi come Street Fighter Alpha 3, Darkstalkers 3 e
Red Earth (picchiaduro quest'ultimo mai uscito su console, ma dei
quale alcuni chara sono stati riportati in Capcom Fighting Jam e
Super Puzzle Fighter).
Musica: Manami
Matsumae è la gentil donzella a cui si deve l'accompagnamento e gli
fx del primo Megaman e di un numero imprecisato di suoi sequel.
Pertanto stiamo parlando dell “mamma” delle sonorità del
robottino con il caschetto blu.
Direttore
artistico: Shinsuke Komaki. È nella “famiglia” di Megaman da
Megaman x 3 per snes e si è distinto come chara e mecha design per
la serie Legend (quella il 3d partita su psx, splendida) e spin off
correlati.
Sviluppatori:
Takuya Aizu e il suo Inti Creates co. Faranno il lavoro sporco, lo
faranno al meglio. Aizu ha già prodotto e e programmato un gran
numero di Megaman, 9 e 10 compresi.
Il direttore Koji
Imaeda e il produttore Yu Yu, l'advisor Ben Judd: Il primo all'opera
sui Megaman più recenti, il secondo, giovanissimo, per ora ha in
curriculum Yaiba: samurai z, di futura pubblicazione. Il terzo è il
produttore che ha riportato in auge Bionic Commando con la serie
Rearmed. Sono il “sangue giovane”, indispensabile per infondere
nuova linfa al progetto.
Tutto questo per
dire che Megaman è ancora vivo, nonostante Capcom lo abbia messo in
soffitta nella sua recente e autodistruttiva direzione aziendale. Gli
uomini ci sono, i fan duri e puri li acclamano e questo ha fatto sì
che quello che direttamente segue si sia realizzato senza troppi
intoppi.
3)Una raccolta
fondi già clamorosa che potete seguire a questo link
partita il 31
agosto con conclusione il 1 ottobre, la campagna per Mighty n.9 ha
già raccolto neiprimi quattro giorni giorni la considerevole somma di un milione
e 600 mila dollari e al momento si attesta sui quasi tre milioni!! Era stata scelta una raccolta fondi a tappe.
900.000,00 dollari per produrre il gioco su pc, un milione e due per
aggiungervi due livelli extra, 1.350.000,00 per la verisione
linux-mac, 1.5000.000,00 per opzioni avanzate di gioco. Le soglie
successive sono 1.750.000,00 per un making off (sì. Questa è un
po' una paraculata...) e poi a 2-200.000,00 (ormai superato) il traguardo più atteso, la
versione console ps3, xbox360 e wii. E non è ancora finita, se si
arriverà ad oltre potrebbe arrivare anche la versione non solo
scaricabile ma anche quella scatolata! E mancano ancora un po' di giorni!!! Potenza della rete! Certo che magari qualcuno ha
potuto esprimere con la raccolta fondi alcune sue manie di
grandezza,nello specifico:
4)Voglio il mio
boss nel gioco e e sukiyaki per tutti!!!
Come dicevamo a
inizio articolo, chi dona qualcosa al progetto ha diritto a ricchi
premi e cotillons. Si può donare dai 5 dollari ai 10.000,00 con
benefit a scalare. Se con 5 dollari si ha accesso al forum di
discussione del progetto, già con 20 si può ricevere una copia
digitale del gioco (che quindi sarà poi venduto su psn o xbla per la
stessa somma... pertanto se il gioco comunque lo prenderete poi
potreste pre-ordinarlo prima contribuendo con le donazioni), con 40
avrete anche l'art book, con 60 anche lo scatolato. A donazioni
maggiori corrispondono accesso alla beta di prova, t-shirt, poster ma
le cose pazzesche iniziano dopo la soglia dei 5.000,00. Si va dalla
propria voce inserita nella end song del gioco (!), alla propria
faccia inserita nel gioco (sperando non sul deretano di un boss),
alla richiesta di aiutare lo staff nella creazione di un nemico
(credo che non si vada oltre al “vuoi il caschetto verde o rosso”,
ma potrei sbagliarmi), fino (disponibile ancora per 3 posti, con 6
persone che hanno già aderito), per chi sgancia la ragguardevole
somma di 10.000,00 dollari, alla luculliana cena con Inafune a Tokyo
nel febbraio 2014!!! Una nota precisa che comunque viaggio a Tokyo,
albergo, taxi e primo giro di sake stanno a carico vostro... Braccino
corto i Jappi...
Kickstarter come
anche Indiegogo si dimostrano quindi mezzi estremamente potenti e vi
invito a seguirli, perché trovereste cose assurde e inaspettate.
Magari qualcuno sta cercando fondi per realizzare il gioco che avete
sempre sognato o il film o la serie tv dei vostri sogni...
Ecco la foto-killer in grado di uccidere
all'istante in un mare di saliva tutti gli X-men fan... Sembra il
parto di un modellista, Adam Ross, impiegato sul set di Wolverine –
L'immortale. Parrebbe che la produzione (PAZZI!!!!!!) abbia deciso
alla fine di non introdurla nella pellicola. Ma dalle dichiarazioni
di Hugh Jackman in quel del Comicon di San Diego pare che nel
prossimo strato-film mutante il costume ci sarà. A tutti gli
X-feticisti distratti che ancora non si erano imbattuti in questo
capolavoro, ricordo che salivare sui led dei monitor non aiuta alla
corretta conservazione dei componenti elettronici.
Lapponia. Terra
nota per i popolari frutti di bosco e per i pali della luce. È la
fine di novembre del 1933. Le strade sono invase dalla neve mentre
una vettura incede silenziosa verso un posto sperduto, un albergo per
la cura termale. Ian Stevenson annota meticolosamente ogni dettaglio,
le sue lettere sono destinate alla sorella Lucille. È catturato
dalla stranezza del paesaggio quanto dagli strani ospiti con cui
dividerà il soggiorno. Non sa per quanto tempo si protrarrà la
assenza da casa, ma le terme, l'idroterapia, dovrebbero giovare alla
sua schiena malandata e il medico, il dottor Growall, pare una brava
persona. Si dice che il freddo aiuti a ritemprare corpo e anima, ma
non sempre si può curare tutto. Soprattutto quando paure, angosce e
ossessioni scaturiscono dalla mente. Ma se un luogo si riempie di
follia dove si può fuggire, se oltre la soglia dell'ingresso non c'è
altro che una infinita distesa di neve?
La collana “Le
storie” muta di nuovo pelle, la storia narrata nell'undicesima
uscita è dramma-horror dalle tinte smorzate, quasi una ghost story,
un intreccio che si insinua sotto la pelle riportandoci in questi
giorni ancora di sole il presagio del pungente gelo invernale. La
sceneggiatura, opera del bravo Di Gregorio, una delle migliori penne
di Dylan Dog, incede con calma e ordine nella descrizione di un
meccanismo narrativo circolare, semplice quanto brutale. Ognuno dei
personaggi è strettamente funzionale all'economia del racconto,
ognuno costituisce un indizio per il lettore, prezioso quanto
inizialmente fuorviante ed è una vera gioia perdersi tra le pieghe
del narrato, rincorrere il significato finale, limpido e coerente
come non mai. Come l'acqua delle terme, verrebbe da dire, specchio
rivelatore, forse l'unico elemento in tutto il racconto al quale
possiamo credere senza indugio. È nell'acqua che sono davvero a nudo
i personaggi. Un'ottima prova d'autore quella di Di Gregorio. Il
disegno dell'ottimo Ripoli vive dell'effetto totalizzante
dell'immensa distesa bianca dei paesaggi, dalla neve alle acque
termali ai camici degli inservienti. Scenario e dettagli mettono così
a nudo, come colpiti dalle luci sul palco di un teatro, gli strani
personaggi in scena, brandelli di umanità persi in se stessi,
incapaci di guardare al di fuori delle proprie piccole e spaventose
prigioni mentali. Vittime-carnefici che gelosamente lottano per
continuare a esistere, per non finire risucchiati dal bianco
infinito. L'albergo costituisce personaggio a sé. Parco di
rifiniture ma asettico, sulle sue superfici, ornamenti e finestre
regna una ossessiva ricerca di perfezione geometrica, i corridoi non
possono che riportarci a Shining. Ma quello che davvero colpisce è
il tratto. nSi gioca sull'identità grafica del racconto, lo stile muta
e tratteggia in una geniale intuizione i tre piani del “reale”.
Guardate il tratto usato per il racconto fin dall'inizio, il classico
“italiano” alla Bonelli che si sposa con suggestioni del fumetto
francese, elegante e preciso, ricco di dettagli ossessivi palesati,
per esempio, nel ricercato disegno degli abiti, nelle levigature del
legno. Osservate come muti nello stile che riproduce le foto, dove
appare la mezzatinta e la colorazione a matita. Confrontate infine
come trasfiguri nelle scene che mettono in luce il passato, tra le
pieghe dei ricordi del protagonista, con le linee che si fanno vive e
imprecise, con i dettagli che si sfocano. Eccezionale.
Faccio sempre
maggiore fatica a sistemare la mia personale top 10 dei migliori
racconti della collana “Le storie”. Il lungo inverno è
l'ennesima perla di questa collana e un fumetto imperdibile per
tutti.
Si fa sempre più vicina la data fissata per la prima del settimo episodio sulle macchine truzze, fissata per il 10 luglio 2014. E con l'approssimarsi della data, sempre più dettagli appaiono in rete (e con rete intendo Imdb, solitamente piuttosto preciso). Confermata la presenza del trio delle meraviglie Vin Diesel - Paul Walker - The Rock così come quella del fidato Tyrese Gibson e della bella Michelle Rodriguez nei panni di Letty. Villain dell'episodio in questione sarà il mitico Jason Statham; nessuna sorpresa per chi ha visto la parte sesta fin dopo i titoli di coda. Ora arriviamo alle chicche: Kurt Russell pare sarà del film, ma nessuna conferma ufficiale per ora, pertanto non si conoscono neppure i dettagli del suo personaggio. Tornerà invece Lukas Black, lo sfigatone protagonista di Tokyo Drift. Il cast di gnocche si completa con Nathalie Emmanuel (classe '89, la Missandei del trono di spade) e Deepika Padukone, stupenda attrice Bollywoodiana. Niente di speciale? Allora via al finale col botto: Tony "muay thai" Jaa, protagonista di orrende pellicole tailandesi, ma forse uno degli atleti più impressionanti mai visti su schermo! Cominciamo a contare i giorni allora...
Quando tutto va a
rotoli che c'è di meglio di una bella vacanza? Così Wolverine
(sempre Hugh Jackman, sempre stra-palestratissimo) dopo che la fenice
nera ha semi distrutto la razza mutante in X-men conflitto finale opta
per il classico. Un bell' agriturismo in Alaska per stare a contatto
con la natura, seguito dal viaggetto a Tokyo dove riempirsi di manga e
tradizione locale, ingolfarsi di ramen e poter molestare le cameriere
vestite da manga in quel di Akihabara (beh, si sa, il target è
sempre quello dei nerd...). Ora non è che accada “esattamente
così”, ma ci siamo abbastanza vicini. C'è un antefatto. Durante
la seconda guerra mondiale Wolverine salvò la vita a un ufficiale
giapponese prossimo al canonico seppuku mentre le atomiche americane
dimostravano alla storia come il paese rubato ai pellerossa a colpi
di revolver fosse l'ideale e auspicabile garante della pace mondiale.
Il giappo è oltremodo grato al canadese, al punto che lo va a
cercare in Alaska, dove il nostro si è ritirato per vivere insieme a
orsi e lupi come in Twilight. L'ormai anziano ufficiale vuole che
Wolverine sia presente al suo imminente funerale per donargli
qualcosa di importante. Divenuto un pezzo grosso nell'industria ha
forse scoperto un modo per rendere l'artigliato finalmente mortale.
Non una cattiva prospettiva per il nostro Logan, che ultimamente vive
di angosciosi e pazzeschi incubi in cui gli compare Jean Grey in
biancheria intima e atteggiamenti da porca (Framke Janssen). È
terribile non potersi trombare i sogni e il nostro ne patisce. Senza
sapere ancora del “regalo” il canadese (ma quanti sinonimi sto
utilizzando in questo articolo? È che sono stanco e sto elaborando
tutto a pensierini di terza elementare...) prende un aereo in compagnia
della classica gnappetta con gli occhi a mandorla e i capelli
multicolore vestita in uno stile emo-retrò con cromatismi sparati
alla Yattaman. Il Giappone lo aspetta. E i nerd esultano. Non vi dico
il resto perché in questo film non è poi che accadano moltissime
cose e in tre righe rischierei di raccontarvelo tutto.
Sono bello palestrato!
Tra tutti i
mutanti, l'artigliato canadese è forse il personaggio più duttile,
il chara con cui si può letteralmente fare “di tutto”. Vuoi una
bella scazzottata tra ubriaconi in un contesto goliardico? Vuoi
drammi esistenziali? Supereroismo spiccio? Vuoi azione splatter senza
pietà? Vuoi sentimentalismo? Rapporti intergenerazionali? Storie
ecologiste e sul rispetto degli animali? Wolverine è adatto a tutto,
gli autori lo ficcano a forza dentro tutto. Al punto che una vera
autonoma direzione creativa del personaggio non esiste ed è
perfettamente possibile che Logan al contempo esca in edicola su una
testata in cui incarna il perfetto insegnante-genitore per giovani
mutanti (Wolverine e gli X-men, davvero una serie ben fatta), su una
testata poco adatta ai più piccoli in cui affetta e uccide criminali
spargendo tanto sangue e pratica sesso libero (X-force), su una (o
più) testata in cui fa parte degli Avengers e un'altra (o più) in
cui fa parte deli X men, senza dimenticare le testate in cui si parla
solo di lui (Wolverine, più o meno). Wolverine al pari di Spiderman
è la “puttana” dell'editoria Marvel. Lo ficcano ovunque e nessuno
ha le idee chiare su di lui. Salvo per un paio di dritte che autori
del calibro di Claremont, Miller, Jenkins e Windsor-Smith hanno
impresso a fuoco nell'immaginario dei fans con splendide, chirurgiche
saghe che hanno visto l'artigliato muoversi stand alone: Arma X,
Wolverine origins, il noto ciclo “giapponese”. Non serve
altro. Storie universalmente richiamate milioni di volte, a volte
leggermente modificate per introdurre nuovi filoni narrativi, topoi
di facile memoria. Cose che chi bazzica fumetti americani si è visto
sbattere in faccia milioni di volte da legioni di appassionati con il
monito del “devi leggerlo”! Racconti quindi nel dna di ogni nerd.
Buoni per i fumetti, ottimi per il cinema. Il primo film di Wolverine
in solitaria si prestava così benissimo a tracciare il nuovo
orizzonte filmico mutante, introducendo il
filone prequel “le origini”. Oggi questo secondo film di
Wolverine viene invece in soccorso della trilogia filmica originale,
servendo da ponte per il nuovo Giorni di un futuro passato (di cui
già vi abbiamo parlato fino allo sfinimento...); é un buon fim?
Il primo film di
Wolverine non era un brutto film. Certo non era neanche un film
“pazzesco”. Divertente, con tanta azione, ma pieno di
sbrodolamenti sentimentali e lungaggini, incongruenze con la
continuity delle altre pellicole, scelte infelici prima fra tutte il
pessimo utilizzo del mitico Deadpool. Ma tuttavia il prodotto vende e
pure tanto, al punto da portare gli studios alla decisone di X-Men
First class (o X-men le origini). Lo spunto era il ciclo origini e
arma x. Questo significa che per questo secondo film di Wolverine si
poteva ancora utilizzare l'acclamato arco narrativo giapponese, che
di fatto si può collocare temporalmente quando cacchio si vuole
(l'importante è che non si replichi MAI un Dark Wolverine... questa è
una parentesi per i soli addetti ai lavori, non tormentiamo
spettatori ignari con i nostri peggiori incubi cartacei). La genesi
di questo ciclo a fumetti è emblematica. A Miller stava sulle palle
Wolverine, lo trovava un personaggio ingestibile e bidimensionale
incapace di esprimersi oltre lo sguainare gli artigli e ringhiare
(opinione condivisa da molti autori, vedasi anche la parodia che ne
fa Ennis in The Boys). Claremont, padre spirituale dei mutanti ha
così preso da parte Miller e gli ha detto: “pensalo come un
samuari giapponese”. È allora che Miller ha deciso di mandare in
viaggio a Tokyo il nostro eroe, creandone un background autonomo che
direttamente pesca dalla tradizione orientale. Una storia assolo che
da sola impreziosisce di molto il nostro personaggio e che presenta
un innovativo mix grafico in bilico tra occidente e oriente. Ma di
fatto una storia difficilmente traducibile in pieno sul grande
schermo.
Il brodo va allungato, bisogna modernizzare l'intreccio,
considerare pure di infilare a forza altri personaggi Marvel per il
famoso “mondo coeso”. James Mangold, regista di film molto belli
come il remake di Quel treno per Yuma, Copland e Identià si assume
quindi il rischio con la revisione del classico
clarfemontiano-milleriano ad opera di Christopher McQuarrie
(sceneggiatore dei Soliti Sospetti nonché di Protocollo Fantasma e di
recente anche regista), Mark Bomback (che ha in curriculum
Unstoppable, il brutto Die Hard 4 e l'osceno remake di Total Recall) e
Scott Frank. La scrittura che ne esce è simpatica e veloce, la regia
appropriata e attenta anche se un po' da “cartolina”, ma il tutto,
nonostante una considerevole dose di botti e giochi di luce, appare
abbastanza prevedibile, per non dire sottotono. É apprezzabile anche
l'idea di sviluppare una sotto-trama sentimentale meno appiccicaticcia
dell'originale. Hugh Jackman ci mette passione e così tutto il cast,
le scene d'azione sono ben coreografate e anche interessanti in
alcuni casi, gli effetti visivi sono discreti e i cattivi più
originali del solito (con strizzata d'occhio a chi conosce i fumetti
bene). Manca però la cattiveria, il cinismo di Wolverine, cifra che
davvero poteva fare la differenza. Tutto appare al più come un
compito ben fatto, un sicuro intrito anche per l'home video, ma
davvero nulla di più, nulla di epico da ricordare negli annali.
Intrattiene ma appare superfluo esattamente come il primo film di
Wolverine. Ma il superfluo può sempre divertire, non dimentichiamolo,
e in fondo il lavoro sporco di intrattenere la pellicola lo fa. Per
questo non la sconsiglio affatto e potete trovarvi anche degli
aspetti interessanti se siete amanti della ambientazione nipponiche e
dei ninja. E trovatemi qualcuno che non ami i ninja! Come già detto
altrove, aspettate i titoli di coda per qualcosa di interessante.
Proseguono con
grande slancio le avventure di… zzz... Dicevo, proseguono con
incredibili colpi di scena le storie di ...zzz...Va bene: cafferino,
Red Bull, un po' di buona volontà e si par... zzz.
Ian e compagni
hanno intrapreso un lungo e “divertentissimo” viaggio per scoprire
come fermare il traffico clandestino del fango pirico. I nostri hanno
scoperto che qualcuno ha riciclato la vecchia formula in cui si era
imbattuto Ian da giovane e la sta vendendo ai clan più rissosi e
guerrafondai degli orchi. Il traffico avviene attraverso dei
falconetti protetti da degli amuleti. Il saggio (e noiosissimo)
mago Alben scopre che tali amuleti li fabbrica un particolare clan di
impuri, una specie di satanisti spellati ricoperti di latex. Alben
dona una mongolfiera al gruppo e questo si dirige sull'isola degli
Impuri, che ha il solito nome impronunciabile del cacchio tipo
Vttkkatthkàhhjjh a sud di Dffffrthjkatkkkhcg (ma perché queste cose
piacciono agli amanti del fantasy? Mistero...). Manco venti pagine e
gli impuri sono gambe all'aria, con buona pace del costumista del
Mucca Assassina. I nostri ora sono pronti a seguire un falconetto
che, non sapendo di essere più invisibile, porterà i nostri dritti
dritti all'Heisenberg del fango pirico, la cui identità sarà un
“incredibile” colpo di scena. Prosegue la prima saga di Dragonero
edizione serie regolare, ai testi ancora Vietti ed Enoch, ai disegni
l'ottimo Matteoni. Il prossimo numero darà la conclusione a questo
primo arco. Odio ancora indistintamente tutti i personaggi, ma ho un
puntiglio che mi dice che il più detestabile sarà il mago, se per
ogni racconto toccherà farsi 70 pagine di viaggio per andare a
consultarlo. C'è da dire che l'azione si movimenta un po' con questa
terza uscita e noi godiamo immensamente di ciò. Certo l'artifizio
con cui si risolve la questione dell'occultamento poteva essere
meglio rappresentato, ma chissene. Nonostante quasi 300 pagine la
storia comunque non morde l'attenzione come si vorrebbe. Ho parlato
con un mio caro amico amante del fantasy. Usando un garbato giro di
parole mi ha spiegato che la decompressione della trama nel fantasy è
tipica quanto i cactus nel western. Pertanto aspettarsi una
evoluzione lenta e meditata è quanto maggiormente agognano i fan del
fantasy in genere. O per lo meno è qualcosa che tacitamente
accettano senza rimostranza. Io ho ribattuto che quando giocavo a D&D più che picchiare ferocemente goblin non facevo e il mio pg non si
è mai rollato una paglia a contemplare il paesaggio o la narrazione
decompressa. Mi ha garbatamente risposto, essendo stato in giovane
età lui il mio dungeon master, che il tempo passa ma del fantasy non
ho ancora capito una sega. Sul perché dei nomi impronunciabili delle
location invece non ha saputo dirmi molto. Pertanto, con innato
spirito zen, decido di astenermi ancora dal giudicare prematuramente
questo racconto, aspettando invece con vivo
fervore... zzz... scusate... la conclusione del racconto prevista per il
prossimo volume. Cheppalle però...
La dolce
attesa: Martedì 17, Mediaworld, intorno alle 19.30. L'area
informazioni del settore home video – videogiochi è presa
d'assedio. Un serpentone chilometrico formato da una variegata
umanità mi separa dall'addetto ai preordini, l'unico uomo sulla Terra che potrà tramutare un pezzo di carta (il mio preordine) in
uno sconto del 10% su GTA 5. Il gioco più atteso nella storia, il
gioco che è costato quasi 300 milioni di dollari e probabilmente ne
incasserà il quintuplo, il gioco che già su metacritic è schizzato
in testa per i voti migliori in assoluto.
Possiamo
aspettarci un trionfo. Sì
Perchè tutto è
stato studiato e pianificato da anni, Rockstar ha preso il suo
cavallo di battaglia, il campione di incassi GTA 4, ne ha
modernizzato il motore e ha frullato con le parti migliori dei suoi
giochi di maggiore successo. Da Max Payne e Red Dead Redemption
arriva la trama intrecciata su più livelli narrativi, il gameplay
degli scontri a fuoco “a piedi” e il bullet time. Da Midnight Club
arriva la possibilità di elaborare l'auto nei minimi dettagli. Da
L.A. Noire prende la maggiore intelligenza artificiale dei pedoni,
che ora cercano nel possibile di non farsi investire, da Manhunt
ricalca il sistema di furtività, la capacità di muoversi
rapidamente alle spalle dei nostri avversari, da The Warriors gli
effetti psichedelici delle droghe sulla visuale e i movimenti.
Rockstar non butta niente e sta costruendo mattone su mattone il
titolo perfetto. Per finire tutto è stato poi tirato a lucido e la
grafica modellata per attestarsi all'apice delle potenzialità di
ogni console (la versione pc non c'è ancora) e si calcolano oltre
cento ore di gioco su una mappa di proporzioni epiche e si potranno
impersonare diversi personaggi con autonome storie.
Può in un pezzo
di plastica essere presente tanta magnificenza? Possono generazioni
di fan sbavare davanti al televisore pad alla mano mentre mogli,
madri e sorelle li guardano come se si fossero auto-lobotomizzati?
Temo di sì, e non tutti capiranno.
Come sempre nei
grandi eventi, nella fila c'è un mucchio di gente che si è messa in
coda così, senza un perché, guardando altra gente che prima di loro
si è messa in coda, giusto per non perdere il posto. Questi una
volta giunti allo sportello, delusi che non ci sia gnocca, scoprono
che è attiva la prevendita di Fifa 14: prezzo ridotto da 69 a 19
eurini se porti giochi usati. Di conseguenza lor signori chiedono se
possono avere Fifa 14 a 19 euro portando in cambio Fifa 1997, delle
figurine dei Pokemon parzialmente ingerite e ricoperte di moccio e
una trottola di latta, regalo del nonno. Ignorano che stanno solo
rompendo le palle a chi è in coda per gta 5 e che per accedere
all'offerta di fifa devono portare come usato oltre che la
console-unica-che-hanno e con cui giocano, un power stick, due titoli
nuovi (e di quelli belli, mica le cagate) pagati almeno 74 euro
sette ore prima sempre al Mediaworld, di cui uno dei titoli è fifa
14. La scena si ripete due, cinque, settantaquattro volte. In genere
chi si trova subito dopo in fila a quello che è allo sportello
ripete all'addetto la stessa identica domanda sulla prevendita, per
avere una risposta personalizzata e non sentirsi discriminato. Ma il
cultore di Gta 5 non bada ai fifaroli, è un elitario che ha
prenotato da mesi la sua copia e per non leggere, sentire, vedere
nulla che potesse rovinargli il titolo della sua vita si è recato in
isolamento nei Carpazi, in un eremo privo di acqua calda, dal quale
finalmente solo oggi è tornato, giusto per il tempo che basta ad
accaparrarsi il giochino e tornare in isolamento. Cosa sono due,
cinque, settantaquattro fifaroli a confronto di notti insonni nei
Carpazi a combattere contro branchi di lupi che assediano la vostra
magione in affitto pur di avere una copia di GTA 5? Non sono nulla.
Perché Gta è un'esperienza concepita per essere immersiva quanto
quella offerta dai lettini da sole di Avatar, solo che più figa.
Rockstar concede ai poveri mortali di inserire il pezzo di plastica
fatato e di catapultarsi in un attimo in una realtà alternativa dove
vivere come nei film ammmericani.
Qui inizia una
mega pippa. Questione pesa, paranoica, ma che voglio toccare. La
dannata violenza dei videgiochi trattata in un unico paragrafo che
potete già da qui agilmente saltare se ne avete gli zebedei
pieni.Via il dente via il dolore. Non è gioco adatto ai minori. Ho
visto mille volte ragazzetti circuire i genitori con il sociologico
“ma ce l'hanno anche i miei amici” o il pragmatico “ma lo so che
è un mondo finto” o l'esasperante “ma io lo voglio” o il
definitivo “ma l'ho già pagato”. Nonostante i piagnistei che in
genere i bimbi manifestano pur di averlo, non è gioco pensato per
loro. Gta ci mette nei panni di stereotipi da film per adulti, gente
cattiva o dalla morale alquanto dubbia che abitualmente ruba auto,
picchia, dice parolacce. Gente che uccide, se costretta. Gente che
trova normale passare tempo nei night club o costituire una Gang. Si
parla di droga in Gta, pur con tutta l'ironia del caso si parla di
razzismo, di degrado, di superficialità e vizi umani e serve la
giusta testa per capire le cose. Tutto è condito con dosi massicce
di umorismo tali da mettere alla berlina anche i personaggi più
cattivi, ma è possibile che i più piccoli non lo capiscano
semplicemente perché questo gioco “non è fatto per i più
piccoli”. Chiaro che gli “eroi” di gta compiono scorribande che
nessuno sano di mente farebbe nel mondo reale, ma è questo il bello
che il titolo offre, il trasgredire, l'offrire una autentica “vacanza
mentale” da ipocrosie e morale dei giorni nostri proposta in un
ammasso di poligono colorati che diverte, rilassa, appaga e fa
pensare quanto la visione di Scarface con Al Pacino (del resto chi
non vorrebbe una tigre in giardino?) o una puntata dei
Soprano. Naturalmente ironia e satira non sono concetti popolari per
un mondo che ancora ritiene che i videogiochi siano per bambini
perchè “sono cose da bambini, bambini piccoli”. I censori si
immaginano sempre bambini di 6 annni che stuprano e uccidono a
mitragliate i compagni di classe perchè visto su qualche fantomatico
giochino del computer delegando ai videogiochi un lavoro da
educatore-babysitter non retribuito che non possono (sempre) avere. È
una realtà, ci sono giochi per adulti e giochi per bambini. Sulla
confezione è specicato per che età è adatto il gioco. Al genitore
“basta” guarare la confezione per sapere se il gioco non è
adatto. Sui giornali titoli come Gta vengono spesso imputati quale
causa del degrado giovanile, della violenza negli stadi, della
disoccupazione e delle coppie di fatto con il superficiale, ottuso e
becero sottotesto “la bambinaia virtuale è impazzita”. Quando
qualcuno si accorgerà che + 18 sulla confezione in copertina
significa che se siete un genitore e permettete che vostro figlio
giochi a Gta siete passibili di perdere l'affidamento, vivremo in un
mondo migliore. Perchè è un gioco per adulti e metterlo in mano al
tuo bambino minorenne equivale a regalargli un porno. Come si dice
“montagna assassina” in luogo di “alpinista pirla”, la
società comunque oggi preferisce dire “gioco assassino” al posto
di “genitore incapace”. Al fan (che dovrebbe essere adulto) di
Gta solo il fatto di avere in mano Gta 5 provoca felicità, pur
malsana e adulta. Ma stavolta ci grazieranno dal solito servizio
giornalistico che paragona l'ultimo videogioco per adulti all'avvento
dell'anticristo? No ovviamente, accattatevillo
Ripeto come un
insano di mente con la bava alla bocca: perché l'associazione
genitori dovrebbe occuparsi di un gioco vietato ai minori invece di
provvedere a piani di legge che prevedano affido minori e castrazione
chimica a danno dei genitori che permettono ai figli di trastullarsi
con oggetti che sono loro vietati? Educare è anche controllare
quanto entra in casa con il pargolo e, se il caso, eliminare gli
oggetti pericolosi pur di imbattersi in qualche piagnisteo, come
fanno in Airport Security quei cagacazzo australiani.
Fine della
megapippa, torniamo virtualmente in coda con la nostra copia in
mano.
Indugiare con lo
sguardo tra la coda e vedere suoi simili provoca al vero fan un
inaspettato senso di appartenenza e gli fa per un attimo
riconsiderare il significato dell'espressione “il mio posto nel
mondo”. Perché c'è un fan di Gta per qualsiasi età, ceto, sesso
e religione e tutti sono in fila con lui, a rompersi le palle mentre
il fifaro chiede per l'ennesima volta se fifa 14 è uscito
(basterebbe che Mediaworld esponesse un cartello con scritto “Esce
il 27 settembre”, senza precisare che si tratta di Fifa e tutti gli
interessati capirebbero) e vuole averlo dando in cambio il gioco
“del basket” che gli ha prestato ieri il cugino. Perché Gta poi
non è solo sparare e uccidere, cacchio! Riconosco in fila tra chi ha
ben salda una copia di Gta un avvocato di cinquant'anni, che esclama
impazzito “oggi gioco, oggi gioco ca°°o!!”, lui ama Gta da
quando nel gioco è possibile prendere un aereo e paracadutarsi nel
vuoto. Lo segue un commercialista in lacrime, nel vecchio Gta ha
terminato tutte le missioni che gli facevano impersonare un pompiere,
un tassista e il ragazzo che consegna le pizze. Segue il padre con
l'anima sporca che rabbonisce la moglie: “è per Gianni! Tutti i
suoi amichetti dell'asilo ce l'hanno”, con Gta gioca a golf nei
suoi campi virtuali. In Gta puoi andare a vedere uno spettacolo di
cabaret, puoi giocare a tennis, puoi startene sul divano a guardare la
tv (ci sono una marea di finte trasmissioni e cartoni animati “dentro
il gioco”), puoi perderci delle ore senza fare un minuto di storia,
puoi anche solo “esserci dentro”. La Rockstar è grande e potente
più che mai oggi al Mediaworld, qualche temerario in assenza di una
copia per xbox, esaurita, compra una playtation 3 e gioco correlati
per poter senza aspettare divorare il gioco in nottata. Sono 49
minuti d'attesa ma è come non sentirli, siamo tutti anestetizzati
dal sogno che stiamo per vivere. Arrivo a casa, faccio partire
l'istallazione (quasi 9 giga), vado nel mentre a rifocillarmi. Poi ci
siamo solo io e il gioco. Per un numero “x” di ore che saranno
depredate al sonno.
Tutto quanto
andava già bene negli episodi passati è qui perfetto. Ci troviamo
di fronte ad uno dei titoli più belli mai creati. Divertente, vario,
longevo, bello anche solo da vedere. Tra tutte le mille modifiche e
miglioramenti ho apprezzato il nuovo sistema di pattugliamento della
polizia, con le autovetture che una volta allertate seguono il
sospettato in virtù del loro raggio di visuale, permettendo al
giocatore di non rimanere esposto se non quando interviene
l'elicottero. Le sezioni a piedi, con le ottime implementazioni da Max
payne 3 e Red Dead Redemption semplificano molto i comandi, rendendo
l'azione di gioco più chiara e appagante. Poi c'è la storia, ed è
un'autentica figata. Vorrei dirvi diecimila cose ma voglio che siate
voi a scoprirle perché non potete nemmeno immaginare come il gioco
si elevi al di sopra di ogni aspettativa. Non permettete a nessuno di
parlarvi di questo titolo prima del tempo, vivetelo in prima persona.
Ne varrà la pena.
P.S. Mi avverte
Beppe che non tutti i giocatori di Fifa si rispecchiano con la
descrizione invereconda di loro fornita nel post. Tengo a precisare
che quanto riportato è drammaticamente riferito a quanto i miei
increduli occhi hanno visto di persona (quando la realtà è più
allucinante della finzione), ma nonostante questo sottolineo che
nessun giocatore di fifa è stato maltrattato durante la redazione di
questo pezzo.
Tanto tempo fa
prima che tutto andasse in malora il regno della luna era governato
da una dea bellissima. Ma un brutto giorno l'orsacchiotto della dea
rubò due dei suoi tesori, la gemma nera lunare e un paio di forbici
magiche, chiamate calibrus. Dopo essersi autoproclamato sovrano, il
nuovo re orso della luna notte dopo notte privò i bambini delle loro
anime, trasformandoli in burattini a difesa del suo castello. Un
altro giorno, un'altra anima. La fame era insaziabile. Fino a che non
toccò a Kutaro che ebbe la sfortuna, un attimo dopo essere tornato
in vita nel corpo di legno di un burattino, di trovarsi direttamente
nelle grinfie del re orso. L'oscuro sovrano gli chiese di diventare
suo amico e il ragazzo, spaventato, annuì più volte. Ma l'orso non
gli credette e con i suoi denti aguzzi si avventò sul collo del
ragazzo burattino decapitandolo e ingoiando la sua testa. Dopodiché il mostro gettò quel che restava di Kutaro lontano da sé,
prorompendo in una crassa risata cattiva. Fu il gatto della regina a
soccorrere il nostro eroe, a dargli il potere di utilizzare delle
strane teste di legno per poter sopravvivere e cercare di
reimpossessarsi della sua perduta. Ma giunti nella stanza del trono
del re orso, trovarono che questa era sgombra, deserta. Non fosse che
per quel paio di forbici magiche. Un'arma potente, l'oggetto occulto
in grado di piegare la realtà. Con Calibrus ora Kotaro può davvero
avere qualche possibilità contro il re orso.
Benvenuti al
teatro dei burattini! La storia poc'anzi raccontata di fatto sarebbe
davvero spaventosa, non fosse per il fatto che si tratta di una
storia di pupazzi animati buffi e tenerosi (anche se sinistramente
inquietanti). Come sono “finti” i protagonisti, finto, di legno e
illuminato da fari artificiali, è anche il variopinto scenario in
cui si svolgono le nostre avventure: un autentico palco del teatro sul
quale vengono allestite via via le scene. A rendere ancor più forte
da sensazione di trovarsi a teatro è il sonoro, che alterna a una
splendida e malinconica colonna sonora gli applausi e le risate di un
pubblico. Il nostro eroe infatti procederà da un capo all'alto dello
scenario per poi passare “dietro le quinte” in attesa che sia
riallestito dal nero del palco la nuova scenografia e se il tempo di
allestimento sarà più lungo calerà un sipario. Tranquilli però,
nonostante tutte queste stranezze il tutto si svolge come in un
platform bidimensionale semplice e immediato!
Con lo stick
sinistro muoveremo il personaggio, con l2 lo faremo rotolare e con x
saltare. Con lo stick destro muoveremo il gatto, che letteralmente
fluttua nell'aria, facendolo interagire con gli oggetti con il tasto
r2. Kutaro può “indossare” più teste, ognuna delle quali gli
conferisce un potere diverso (il gioco mi ricorda Kid Kamaleon per
megadrive... per quelli che se lo ricordano... in salva
littlebigplanesca) e spesso assurdo (con la maschera-testa del
teschio potremo “ballare con gli scheletri”, con la
maschera-testa del ragno potremo evocare un mega ragno che ci porta
in zone segrete). Le teste si gestiscono con il cursore a croce:
destra o sinistra per scegliere la testa, tasto in basso per usane la
peculiare abilità. Attenzione però, bisogna sempre restare con
almeno una testa a fronte di nemici che con un singolo colpo sono in
grado di “decapitarvi”. Rimanere per troppo tempo senza testa,
così come cadere nel vuoto, fa perdere una vita, ma se siete
fortunati dopo la decapitazione avrete tempo per inseguire la
capoccia dipartita e riacciuffarla. Infine vengono le forbici, con le
quali, tenendo premuto il tasto rettangolo, è possibile muoversi in
tutte le direzioni sulle superfici di stoffa o tagliare i fili. Un
sistema di comandi quindi originale ma davvero semplice da
padroneggiare.
Il gameplay non
sembra troppo punitivo (anche se temo ci sarà da scomodare i santi
per un paio di piattaforme bislacche qua e là), ma su questo potrò
pronunciarmi solo con la versione definitiva, in uscita a metà mese.
Di sicuro gli stimoli ad andare avanti non mancano, perché Puppeteer
è un autentico incanto visivo. Colori sgargianti, texture molto
definite, personaggi a volte giganteschi, scenari che sembrano
partoriti da Terry Gilliam, dettagli e animazioni allo stato
dell'arte. Applausi scroscianti. Il doppiaggio in italiano è davvero
simpatico e ben fatto.
Puppeteer è un
progetto strano, trasuda amore e talento e sono certo che prima o poi
farà parte della mia collezione. Forse però rimasto nel cassetto
per troppo tempo, di fatto esce oggi in un mercato quasi saturo,
anche se non mi sento di dire ancora superato. Di sicuro le
peculiarità del titolo lo fanno emergere, rendendolo riconoscibile e
appetibile per una autonoma fascia di pubblico. I littleplanetari lo
adoreranno. Se mai sono le tempistiche dell'uscita a essere infelici.
Anche se la ritengo una pratica deprecabile, gli economisti valutano
oggi un videogioco in base a quanti pezzi vende o pre-vende
nell'imminenza dell'uscita. Settembre significa per la ps3 Diablo,
Fifa e un certo GTA V che, guarda caso, esce lo stesso giorno di
Pupeteer. prevedo un bagno di sangue, ma magari una scia favorevole
sul lungo periodo, magari a Natale. Sempre che tutti non si siano già
teletrasportati su ps4 dal 29 novembre. Di sicuro prima o poi lo
aggiungerò alla mia collezione.
Mondo del domani
domani (Mad Max. Cit.). Los Angeles. La città degli angeli è un
groviglio di macerie e palazzi abbandonati con le quattro frecce
(Brumotti Cit.). L'umanità, poverissima, è allo sbando e le strade
pullulano di bambini assalta-tasche come in un film della serie
Hostel. L'ordine pubblico è garantito da agenti robotici piuttosto
insensibili. Chi non lavora delinque. Chi delinque lavora in
fabbriche che producono robot piuttosto insensibili. I costumi si
sono così imbarbariti che tutti parlano la lingua che vogliono in
una specie di Babele e i crimini impazzano. Tuttavia qualcuno che sta
bene c'è. Una elite di spocchiosi riccastri che risiede su una
colonia extramondo di Zioniana foggia a solo 19 minuti di Shuttle.
Questo posto è extra-comfort deluxe, è verde e ha i cigni di
plastica come Milano 2, tutti vestono Armani. Ma quello che davvero
fa la differenza tra chi sta in alto e chi sta in basso è una specie
di lettino solare presente in ogni abitazione, dopo l'ingresso a
destra prima del bagno (guardare il film per credere). Il lettino
cura di tutto, anche i mali più brutti. In sostanza la gente di
sotto lavora per conto della gente di sopra, lavora umilmente e
patisce stenti pazzeschi, ma i secondi alla sola idea di concedere un
lettino solare ai primi escono pazzi, al punto di aver inibito
l'utilizzo del lettuccio a chiunque non sia cittadino di Elysium.
Normale che quelli di sotto cerchino di andare di sopra, non per i
cigni di plastica, non per il feng shui, non per ammirare i culi
tristi dei loro padroni quanto per fare uso di quel lettino
che cura senza problemi chiunque in 10 dannati secondi. Ovviamente
alle astronavi-barconi della speranza della morente Los Angeles
rispondono missili teleguidati. Non missili provenienti da Elysium,
che non si insozza del sangue dei poveri così, ma missili sparati
direttamente dalla Terra sul deretano degli immigrati dalle sapienti
manine di agenti infiltrati di Elysium, rozzi criminali che vivono da
bulletti sulla Terra marcia.
Matt Damon (attore che adoro e che ha la sola colpa di aver portato ad Hollywood
quel parassita di Ben Affleck... che però in Argo ha dimostrato di
essere un grande, bravo Ben!) è Max. Brutto passato alle spalle e un
amico, Julio (Diego Luna) che vuole farlo tornare sulla cattiva
strada. L'unica gioia il ricordo di un'infanzia lontana, in cui
viveva felice in un mondo che non sembrava così brutto, insieme alla
bella Frey. Lavora come operaio assembla robot per il ricco cittadino
di Elysium Carlyle (William Fichtner, sempre roccioso, molto
versatile ma che pare nato per i ruoli “stronzi”, come in questa
pellicola). Ha da poco reincontrato Frey (Alice Braga, bellissima e
già vista nello splendido City of God, ne Il Rito e nel mitico
Predators) dopo una vita, il suo piccolo e difficile mondo può ora
cambiare. Poi tutto precipita. Max finisce per un incidente dentro a un locale della fabbrica in cui infondono radiazioni ai componenti.
Gli viene diagnosticata una settimana di vita e dato in mano un
flacone di antidolorifici. Grazie per aver partecipato. Se solo quel
particolare lettino solare fosse alla sua portata. Con questo pallino
Max torna a delinquere e finisce nell'orbita di Spider (Wagner Moura,
nientemeno che il mitico Nascimento di Tropa D'elite 1, 2, una
leggenda, che qui crea un personaggio dalle mille sfaccettature, che
mescola in modo quasi randomico bene e male, davvero interessante),
trafficone e sedicente rivoluzionario che per dare una mano a Max gli
affida una missione suicida e lo mette nelle linde (!) manine di
Manuel (Adrian Holmes, bravissimo), hacker e impiantatore di
esoscheletri all'occorrenza, che letteralmente corazzerà il povero
Max non solo permettendogli di camminare, situazione tutt'altro che
scontata nel suo stato di futuro morto per radiazioni, ma anche di
sferrare qualche pugno e calcio significativi.
Jodie Foster
(sempre eccelsa) è l'algida Delacourt, ministro della difesa di
Elysium e seguace della filosofia della tolleranza zero in materia di
immigrazione. Come tutti su Elysium è per lo più imbelle e
schizzinosa, motivo per cui per fare pulizia etnica si affida al
tremendo Kruger (Sharlto Copley, già meraviglioso protagonista di
District 9 nonché Murdock nel remake dell'A-Team e qui il Elysium
letteralmente stratosferico, il personaggio più bello di tutti:
brutale, rozzo e letale) e al suo schifoso manipolo di mercenari
armati pesantemente con i meglio giocattoli futuristici atti allo
sventramento. La Delacount ha in ballo una rischiosa scalata di
potere.
Strano come il
destino intessi le trame.
Opera numero 2 per
l'immenso, bravissimo Neill Blomkamp. Il regista di Johannesburg ha
sorpreso tutta la stampa internazionale con il suo travolgente film
di esordio, lo strepitoso District 9 e con questo Elysium si
riconferma solido, coerente e originale narratore per immagini. Una
cultura cinematografica che rimanda a Verhoeven per cinismo e
brutalità e a Cameron per la solidità e coerenza della messa in
scena e dell'amore cyberpunk per i dettagli bellici: armi pesanti
coerenti e studiate, affascinati veicoli antropomorfi, endo ed
esoscheletri. Elysium riprende dal miglior Verhoeven le macerie e la
ruggine di Robocop, la folle accettazione come in Starship Troopers
che gli uomini sono nient'altro che sagome di carne facili da
aprire-terminare come quarti di bue. Elysiur riprende da Cameron
l'assurda pulsione-unione della carne all'acciaio propria di
Terminator, gli scontri con armi futuristiche come le astronavi
griffate come aerei da guerra di Aliens. E c'è da dire che la
tecnologia tanto in District 9 quanto in Elysium è fantascientifica, ma inserita in un contesto del tutto credibile e plausibile. Ma
l'autore che più fa venire in mente Blomkamp è la leggenda John
Carpenter, tanto per l'unità del contesto narrativo (pellicole con
scansione narrativa rigida e veloce, la cui trama si dipana in un
periodo di tempo molto conciso) tanto per l'uso creativo del rapporto
tra micro e macro cosmo (sono i più deboli e reietti quelli in grado
di cambiare il mondo e una singola battaglia combattuta da pochi ha
il sapore etico, migliore, di una guerra su scala mondiale). Come
Carpenter anche Blomkamp spara, e spesso colpisce, sulle ipocrisie
del mondo moderno attraverso i suoi putridi eroi-perdenti ricoperti
di sangue.
Soggettacci da B-movie ma le cui storie presentano una
profondità unica, un “messaggio nascosto”. La politica è così
nascosta dietro agli alieni in Essi vivono, i freak ricconi di Fuga
da Los Angeles, regnano da presunti sovrani ma pur sadici sono
imbelli pupazzi rispetto ai veri criminali. Allo stesso modo in
District 9 sembrava si parlasse per lo più della paura dell'altro,
dell'estraneo come dell'alieno, ma al contempo il punto di vista che
osservavamo, originale, era quello del carnefice piccolo-burocrate e
si metteva a nudo in reale nemico, al di là delle ipocrisie, la
criminalità organizzata che da sempre sfrutta la povera gente, gli
ultimi senza speranza e senza patria, per i suoi loschi traffici
(arrivano a far prostituire le donne con gli alieni!). Se in Elysium
il tema sembra essere solo “ricchi contro poveri” ecco che
guardando più in profondità si parla di diritto alla salute, non
della salute “elitaria”, ma di quella alla portata di tutte le
tasche, da sempre negato alla maggior parte della popolazione
mondiale. Così allo stesso modo si parla della stupidità del potere
che, pur di sopravvivere, si mette (di nuovo) nelle mani di una
criminalità che non potrà mai effettivamente controllare. È per
questo che lo spettatore non deve troppo indugiare sulla pettinatura
perfetta e il look patinato dei pavoni di Elysium, ma dovrebbe
guardare invece al tremendo Kruger, personaggio che letteralmente
impedisce alla trama di volare, anche pindaricamente, verso l'atto
finale, uccisore di sogni e speranze.
Ho sentito
critiche assurde rivolte a questa pellicola. La peggiore è che le
scene d'azione siano girate male. Al di là dei gusti personali, a
mio modesto modo di vedere, le scene d'azione di Elysium hanno una
spiccata personalità e riconoscibilità riuscendo ad essere, cosa
rara, anche piuttosto originali. È una linea di pensiero che
sviluppa di fatto quanto già visto in District 9, dando quindi una
precisa continuità al lavoro registico di Blomkamp. Sono sparatorie
lunghe e coreografate? No. Incedono troppo nel rallenty? Sì. Mi
piacciono come stile? Di brutto! Tanto nel loro essere originali
(anche per l'esosità dell'armamentario) quanto istantanee le scene
con armi da fuoco, tanto nell'essere prolungate e “cattive” quelle
all'arma bianca. C'è chi critica il mondo futuristico in quanto non
“così tanto futuristico”. Io ci ho visto una citazione alla Mad
Max e ne sono rimasto piuttosto contento. Si può dire che tutta la
tecnologia futura sia stata investita per costruire la colonia
spaziale, la quale con molta classe ha creato un mondo patinato
similare al ventunesimo secolo. Il mondo di sotto, inquinato e
“incompleto” è frutto della sovrappopolazione, di probabili
guerre e di tantissima miseria e presenta un dato
“fantascientifico” di sicuro interesse, la disgregazione della
lingua comune, e quindi dell'unità e senso della nazione, a fronte
di un barbarico e incontrollato imbarbarimento multilinguistico (non
ai livelli di Cloud Atlas ma abbastanza vicino). Altra critica, ma ce
ne sono molte (i film belli in genere creano vivacità culturale..) è
che il personaggio di Kruger sia sovradimensionato. Chi ha questa
idea, lo dico fuori dai denti, per me non ha capito una fava della
pellicola. Come sempre comunque, questione di gusti come del modo di
fruire del media. Avessi visto la pellicola su piccolo schermo
rispondendo a degli sms mentre parlo dell'ultimo acquisto del Milan e
mangio pop corn magari la avrei giudicata diversamente, e magari
avrei fatto un lavoro del cavolo.
Elysium è quindi
per me un'ottima pellicola, se vogliamo meno cruda di District 9, più """positiva""". Ho apprezzato tutto, dall'ambientazione agli
attori agli effetti. C'è chi si aspettava magari un film “più
grosso”, dato anche l'investimento hollywoodiano. Blomkamp ha
voluto di fatto rimanere fedele alla poetica e dimensione di District
9. Forse poteva rischiare di più, poteva dilatare e fare una
esalogia, ma il film avrebbe perso di freschezza, immediatezza. Ha
deciso di essere più autorale, al punto da aver pure fatto un lungo
tira e molla per avere come protagonista non la star Matt Damon, ma il
rapper Ninja dei Die Antwoord, simbolo della contro-cultura del suo
sud-Africa. Non riuscendoci, ha chiesto quindi per la parte Eminem,
ma questo ha glissato perché il film non era girato a Detroit (non è
che Eminem dovesse stare in esilio per 3 anni in Siberia, ma Eminen
ha comunque glissato). Voleva quindi personaggi abituati a raccontare
la gente ai margini, non estranei alle logiche del Ghetto. Damon è
stato bravo nella parte, ma anche sotto questo aspetto possiamo
valutare come Blomkamp abbia idee precise, come curi con amore i suoi
progetti e li personalizzi alle sue esperienze di vita. Un autore
integralista quindi, ma credo che sarà proprio questo integralismo a
sedimentare e farne negli anni uno dei registi più grandi nel
firmamento della science fiction. Già sogno di vedere in futuro un
suo Alien, un suo Robocop o Predator, ma qualcosa mi dice che non li
farà, che si dedicherà a continuare il suo percorso originale,
anche se non a tutti piace.