sabato 29 giugno 2013

Dragon Dogma: Dark Arisen



L'Arisen, il prescelto dal drago, non ha ancora finito le sue avventure. È giunto il momento di mettere da parte le calde e bucoliche atmosfere della terra di Gransys e intraprendere il lungo viaggio verso l'oscurità più nera, verso l'isola di Nerabisso, popolata dai suoi demoni e infestata da un pericoloso e immortale avversario, la morte in persona. Per partire occorrerà tornare al villaggio della propria infanzia e perlustrare di notte il pontile. Una dama, forse uno spirito, vi condurrà in un nuovo inferno.

Dragon Dogma è un titolo che mi ha sedotto fin dalle prime immagini divulgate in rete. Un rpg-action nuovo, non un capitolo 25 di una saga già nota. Impostazione dark-occidentale alla Dark-Demon's Souls con un livello di difficoltà non troppo inferiore peraltro (ma comunque abbordabilissimo), ambienti liberalmente esplorabili, un mondo di gioco immenso ma soprattutto un sistema di combattimento che non fa tirare bestemmie. È questo ultimo aspetto quello che ho di più apprezzato e mi ha fatto desiderare da subito il titolo. Basta orpelli demenziali come evoluzioni guidate da “chi è disponibile per esigenza di storia”, basta machiavellici artifici tritapalle (dovuti per lo più al giustificare la paga di un nuovo game design) come “per impartire un ordine devi comprare nella gilda il comando-ordine, ma l'alleato che deve eseguire l'ordine deve apprendere l'ordine con l'esperienza, e l'ordine è guarisciti prima di morire” (Final Fantasy XI), basta spade di burro che si rompono con due colpi. Si può desiderare di più? Ho atteso che scendesse di prezzo, dai suoi granitici 69 euro, fino a che è stata annunciata la corposa espansione Dark Arisen, fino a che è stata annunciata una riedizione del gioco originale, con texture rifinite e ridisegnate in hd, con bug risolti, con l'espansione acclusa a soli 39 euro, in uscita il 26 aprile. Allora non ho più avuto scuse, trovare nei ritagli di tempo la collocazione per questo game è ora impegno arduo ma non parco di soddisfazione. 

 Un mondo fantasy vasto, sul modello di uno Skyrim (di cui il 6 giugno esce la complete edition con dentro tutte le espansioni, da non farsi scappare!), un contesto orientale con derivazioni occidentali, un gameplay veloce e funzionale più simile ai giochi del Signore degli Anelli su ps2 (con suggestioni da Dark Souls) e gestione personaggi alla .hack piuttosto che a un complicato strategico a turni, grafica di buon livello per un “oper world”. Un esperimento insolito per Capcom, ma che per vastità del team di sviluppo e impegno profuso suona più come una dichiarazione di guerra agli rpg occidentali: i giappi ci sono e quando si parla di action-fantasy (Dark Souls, Demon's souls), fantasy sia orientale (Xillia) che occidentale (Dragon Dogma),  MMO (Monster Hunter), Multiplayer-fantasy (Lost Planet 2), hanno comunque da dire la loro. É anche l'ennesima occasione per esibire il proprietario motore Capcom MT Framework, potente e versatile nel descrivere chilometri e chilometri di gameplay, e del fatto che “c'è ancora vita su Capcom”, nonostante le sbagliate politiche dai troppi dlc, nonostante macroscopici errori come Street fighter vs Tekken. La casa di Osaka non poteva che ripartire dal fantasy, come ai tempi di Ghost'n'Goblins, come ai tempi di King of the dragons, non è un caso l'imminente (luglio) uscita di Tower of Doom. Si sono persi pezzi, pensate solo se tutti i titoli di Mikami, Suda 51 e Platinum fossero stati sotto egida Capcom, ma la software house da me più amata ai tempi d'oro sta tornando in forma, si sta rilanciando per innovazione e impegno (come dimostra l'esito felice della join venture con ninja theory per DMC), Dragon Dogma è solo uno degli esempi di questa rinascita, di questa voglia di nuovo così forte da mettere in secondo piano i fronzoli, le rifiniture autoreferenziali, puntare direttamente al cuore del gioco per cavarne il meglio e offrire un'esperienza che nulla ha da invidiare ai colossi Bioware. Dragon Dogma ha dei limiti, ma rappresenta una delle esperienze più longeve ed appaganti di questa next gen.

Tradizione e innovazione.
Sul primo versante Capom crea un gioco solido e velocemente facile da padroneggiare. Molte sono le cose che all'inizio paiono oscure, come la gestione della mappa in relazione alle missioni, come “dove andare”, ma date al gioco una decina di ore e vi sembrerà di non avere fatto altro da anni. Sarà facile passare da un incarico come “trovami un libro che ho perso in questa città” a “trovami un grimorio”, che implicherà spostarsi di continente in continente a piedi e probabilmente morire prematuramente per lo sputo di un mostriciattolo che ha un +1 rispetto a voi. Ma presto capirete “come va il mondo”, vi farete cauti e tattici. Respirerete l'aria di Gransys e deciderete di non andare a rompere le palle a un drago gigante se avete esperienza di nono livello, curerete un compagno debole e soprattutto capirete che le pedine del computer non evolvono e se volete continuare l'avventura dovrete assoldare quelle di livello più alto, se non volete ritrovarvi presto a raccogliere i cadaveri in continuazione. Il gioco elargisce appagamento assicurato per chi dedicherà il giusto tempo a capire le regole ed è facile perderci tanto tempo, grazie ad un gameplay e sistema di combattimento semplice (ma non facile) e divertente da interpretare. 

Ogni personaggio ha secondo la classe di appartenenza aspetti peculiari, ma se non si “sposa” il ruolo che attualmente avete in uso avrete diverse difficoltà anche solo a partire nell'avventura. Siete un cavaliere e volete usare un arco? Scordatevelo, almeno all'inizio, pensate piuttosto a usare il vostro scudo per parare le frecce e affrontate i nemici a distanza ravvicinata! Un approccio di sicuro “integralista”, ma che sa farsi apprezzare e soprattutto motiva a rigiocare vestendo una classe diversa. Essendo un “gioco di ruolo” tale aspetto è per me meritevole e importante (alla faccia di tutti gli sfigati che in Final Fantasy 7 creavano personaggi con caratteri tutti uguali e intercambiabili... e che giustamente sono stati puniti con l'esperienza a classi di Final Fantasy 9, per me il capitolo migliore). Sebbene in giochi di questo tipo la grafica sia in genere un aspetto del tutto secondario, DD è esteticamente valido, ricco di dettagli e grazie al motore di gioco pieno di panorami mozzafiato e un numero davvero consistente di avversari su schermo senza rallentamenti di sorta, tearing e porcherie grafiche varie. Ovviamente non è sul piano grafico di un God of War 3, anche se a livello di combattimenti DD ha le sue carte e le sfrutta a dovere. Si possono concatenare diversi colpi, i partner permettono di eseguire attacchi combinati, la magia è di rapida esecuzione e usare l'arco è dote in grado di stravolgere il gameplay, di trasformarlo in una specie di Lost Planet. Grande varietà quindi, legata a un ricco comparto artistico che pesca dal classico in un modo quasi ecumenico e reverenziale. I mostri sono tutti iconograficamente riprodotti, così come gli animali che troviamo negli scenari, che possiamo cacciare per poi rivendere pelli e carne. C'è da dire che la componente umoristica è del tutto assente, per precise scelte stilistiche. Niente cactus con faccina da affrontare dunque, ma orde di incazzati e bruttissimi goblin, troll, arpie e morti viventi.

Oltre a ciò, tanti sono gli elementi originali che Dragon Dogma porta in dote: le a.i. “pensanti”,i combattimenti dinamici, mappe complesse alla Gta . Come già in molti gdr possiamo creare un aiutante personale, un personaggio che ci segue nelle nostre avventure (e di cui possiamo cambiare il “carattere” parlando con lui in conversazioni private presso le locande), ma qui si va oltre: possiamo in un certo senso “donargli una vita virtuale”, facendolo utilizzare da altri giocatori condividendolo tramite internet. Mentre noi non giochiamo, la nostra “creatura” viene a infoltire le forze di qualcun altro, viene pagata, impara nuove tecniche, scopre punti deboli di mostri che noi non abbiamo ancora affrontato e quando “torna a giocare con noi” può consigliarci, suggerire tattiche che ha appreso da altri giocatori, condividere i beni con cui è stato “pagato”. Sebbene tutto ciò sia embrionale allo stato di programmazione attuale, sebbene giocare con altri giocatori reali sia spesso più appagante (ma in Dragon Dogma non ancora praticabile, come invece si può fare “parzialmente” in White Knight Chronicles), questa feature è sicuramente esaltante sulla carta, crea delle sia pur binarie mini-intelligenze artificiali. Personaggi in un certo senso unici poi, in quanto se usati da altri come convocati (ogni giocatore può utilizzare personaggio principale, aiutante personale e due convocati presi da internet o dal gioco) una volta che questi defungono saranno morti, non più utilizzabili in seguito. Un aspetto quasi inquietante quanto affascinante.

Sul fronte dei combattimenti dinamici, Dragon Dogma introduce la possibilità, già sperimentata nel classico “Shadow of colossus” di “afferrare e arrampicarsi” sulle creature. Mentre il vostro alleato distrae il nemico, magari una chimera, voi potere attaccarla di spalle e “cavalcarla” colpendola. A volte sembra, con le creature più grosse, che il protagonista si limiti ad attaccarsi mani e piedi come un ragno su una protuberanza del mostro, raggiungendo il poco appagante effetto di apparire, a un osservatore superficiale e malizioso, intento a scoparsi la gamba di un brontosauro (anche se è possibile muoversi durante le arrampicate non spesso è agevole). Spesso invece le cose funzionano a dovere e l'immaginazione più sfrenata viene appagata; sì, potete rimanere attaccati ad un drago mentre vola ed è una figata pazzesca.
Riguardo alle mappe, mettete da parte stilizzazioni folli alla Final Fantasy moderno, immaginate una declinazione fantasy di Red Dead Redempion, con l'ormai consueto alternarsi di giorno e notte (che fa variare anche la presenza delle creature, oltre al fatto che senza torcia di notte non vedrete come se vi trovate in un banco di nebbia più o meno magica), immaginate di poter mettere i segnalibri sulle destinazioni e poterli togliere a piacere, avere gli obiettivi ben visibili, compagni di squadra pronti a consigliare la strada migliore (a volte un po' petulanti, ma non si può avere tutto) e siete ancora lontani. Perché l'esplorazione non è messa da parte, anzi. La mappa si aggiorna in base ai vostri spostamenti su un territorio e arrivare dal punto “a” al “b” spesso comporta guadare paludi, fare fronte a strapiombi che inibiscono il percorso, addentrarsi in posti pericolosi sorvegliati da nemici troppo potenti che sicuramente vi faranno la pelle. È possibile anche spostarsi tramite teletrasporti, ma questi sono abbastanza limitati, sopravvivere ai lunghi viaggi da una località all'altra è la vera sfida del gioco, ed è molto meno irritante di quanto possa sembrarlo sulla carta.
Chi ama le classi, gli alberi delle abilità, la micro-gestione del personaggio troverà in Dragon Dogma pane per i suoi denti, grazie a un sistema di grinding progressivo che nelle fasi più avanzate del gioco si fa rapido da re-inventare e re-immaginare, un sistema appagante e di facile gestione.
Chi ama trafficare tra armature e armi, oppure craftare artefatti, troverà una serie infinita di negozi e artefatti, potrà modellare ogni più piccolo aspetto del personaggio e stare a millare su come variano le statistiche, realizzare l'equilibrio perfetto.
Un gioco ricco, curato graficamente tanto per animazione che varietà di mostri e locazioni, sonoro maestoso, ma che va “capito”... Sapendolo “prendere”, si scopre che il titolo è dotato di un'anima folle, in grado di appagare tanto chi predilige la tattica che chi ama fiondarsi a testa bassa contro un branco di troll, magari usando combo assurde alla devil may cry. Entrate nel mood giusto e ci giocherete per giorni, mesi.

Il problema primcipale di tutta l'operazione è in effetti il brutale “tempo per giocarci” a fronte di asperità concettuali del gameplay. Il gioco può essere davvero eterno se intendete perdervi in tutti i suoi mille anfratti, ma questo stesso aspetto può scoraggiare chi è in cerca di una storia più “presente” per filmati e scene di intermezzo, chi voglia affrontare un'avventura dai contorni più limitati ma al contempo da una trama più solida e appagante. Anche gli inventari sono da “addomesticare”, apparendo a prima vista scomodi a fronte di un manuale che nulla spiega in fatto di limitazioni di peso, preclusione di oggetti, definizioni di oggetti. In tre ore vi muoverete a occhi chiuse tra tabelle, mappe, equipaggiamento e crafting, ma il gioco non fa nulla per venirvi troppo incontro, aspetto che per alcuni potrebbe significare investire tempo e magari soldi su una guida. Anche chi vuole sperimentare ha le sue belle gatte da pelare; il gioco permette di salvare su un unico salvataggio! Pertanto se volete provare un po' a fare il mago, un po' il guerriero et similia sviluppando stili di gioco in parallelo, qui semplicemente (e anche un po' ingiustamente a parer mio) non si può fare! O così o nulla. Siete disposti ad accettarlo, unitamente alla restrizione che il gioco auto-salva come in Dark Souls a ogni vostra uscita ingloriosa (ma con meno “cattiveria”)? So che per molti non poter giocare con i salvataggi è un problema, questo aspetto mi sono sentito quindi di segnalarvelo. Si richiede un atto di fede, la voglia di impegnarsi nel comprendere comandi e aspetti che appaiono, volutamente, nerdamente o hardcoramente oscuri. Una dedizione che al giocatore occasionale può subito provocare per reazione bruciori di stomaco, al punto da spingerlo fra le braccia di qualcosa di più immediato e “immediatamente” appagante, soprattutto in un periodo in cui giochi bellissimi, veloci e appagantissimi escono a nastro (tra God of War, Tomb Raider, il nuovo Bioshock, lo stesso Ni No Kuni che anche se ultra longevo è molto più immediato e graficamente superiore a DD). Infine Dragon Dogma è un gioco, fiero di esserlo, che non aspira a sembrare un film, che punta all'essenzialità dell'esperienza di gioco, questo anche in parziale conflitto con quello che si aspettano oggi certi giocatori. Non per tutti, insomma, ma se saprete apprezzarlo, questo atipico fantasy vi darà di sicuro delle soddisfazioni. Da provare per tutti gli amati dei gdr, soprattutto se si amano le sfide senza mezze misure. Potreste fare fatica a distaccarvene. 
Talk0

giovedì 27 giugno 2013

The Expendables 3


Notizie estremamente interessanti dal casting per il terzo capitolo della serie voluta e firmata da Sly Stallone, che nel corso degli ultimi anni ha riportato in auge il genere action anni '80, mettendo insieme il più ricco cast di picchiatori dell'ultimo ventennio. Si pensava che dopo aver inserito l'agognato duello con Van Damme e il cammeo autocelebrativo di Chuck Norris, difficilmente il buon Stallone sarebbe riuscito a fare di meglio. Beh, pare che ci si debba ricredere... esclusi i due attori sopra citati (il primo per ovvi motivi, ma non vorrei spoilerare chi non avesse visto ancora il secondo capitolo, e Norris perché ha ritenuto sufficiente la sua comparsata per dare l'addio al cinema), il cast di questo terzo capitolo sta diventando giorno dopo giorno sempre più ricco. Prima di sparare i nomi nuovi, vi confermo la presenza di Jet Li, Statham, Lundgren, Schwarzenegger e il ritorno di Mickey Rourke nei panni di Tool; al momento mancherebbero all'appello Randy Couture e Terry Crews, ma non vedo grossi impedimenti circa la loro presenza. Di Bruce Willisnulla si sa ad oggi...Ora allacciate le cinture, perché arrivano i pezzi da novanta:
1- Jackie Chan, come da foto qui sopra, ha accettato a patto di avere un ruolo rilevante... duello con Li in vista?
2- Nicholas Cage! Il nostro attore preferito (nonché più grande attore di tutti i tempi)!! Resta da vedere quale tipo di parruchino adotterà per il film.
3- Dopo tre anni di galera torna il mitico Wesley Snipes (il più grande attore di colore di tutti i tempi), che svestirà i panni del vampiro ammazza vampiri per... non si sa ancora...
4- Stallone cercava un personaggio femminile cazzuto, ma allo stesso tempo bellino da vedere; la soluzione era davanti ai suoi occhi da dieci anni! Era il 2002, infatti, quando ha cominciato a fare a pezzi gli zombie sul grande schermo: signore e signori... Milla Jovovich!
5- Per il villain del terzo capitolo gira da qualche settimana una voce, confermata da più parti, che vedrebbe addirittura Mel Gibson, stufo di girare film in lingua Maya...
6- Ultimo, ma non certo per importanza, notiziona fresca fresca, pare che Steven "Aikido" Seagal, starebbe meditando di accettare una parte che già gli era stata offerta in passato!
Che dire? Preparate i pop-corn perché i mercenari stan tornando...
Gianluca

lunedì 24 giugno 2013

Il grande Gatsby



Il giovane di belle speranze Nick Carraway (Tobey Maguire, qui un po' ambiguo bravo ma sovraeccitato, indimenticato in Seabisquit e unico vero Spiderman cinematografico... anche perché l'ultimo Spiderman semplicemente “non è Spiderman”, ma ne riparleremo con analisi e motivazioni, pur opinabili, che saranno debitamente argomentate in un pezzo ad hoc), accantonata in nuce la carriera di scrittore in virtù di una professione meno appagante ma molto più remunerativa, costruisce il suo piccolo nido quattro metri per quattro nel Long Island, a due passi da New York, nella ridente cittadina di West Egg. Un villino grazioso se non fosse l'unica mezza baracca della costa, assolutamente imparagonabile alla magione del suo dirimpettaio, una sorta di castello medioevale fetish nel quale si tengono costantemente degli after hours paura con centinaia di ospiti e tutta la città di New York sempre invitata. 
Non fosse per il figume quasi soffocante che tale maniero del peccato irradia, sarebbe da chiamare costantemente la polizia per rumori molesti ma, si sa, il Long Island non è abitano dai misteriosi figuri che dimorano nei pressi di San Siro, quelli che chiamano l'amministratore per lamentarsi se Springsteen canta oltre un minuto da mezzanotte e loro, che ascoltano gratis, non riescono a dormire. Sull'altro lato della costa risiede in un villone anche Daisy Buchanan, la sua affascinante e aristocratica cugina (interpretata dalla bellissima ma qui un po' imbalsamata Carey Mulligan, attrice dalle grandi potenzialità già vista nell'ottimo Drive), per la quale è pressoché impossibile non avere una mezza cotta. La stessa è sposata con il più classico e scontato idiota-coi-soldi, l'anaffettivo-possessivo aristocratico decaduto Tom (interpretato appropriatamente da Joel Edgerton, ma, anche qui, molto più bravo in Zero Dark Thirty, Warrior dove interpretava il fratello di Tom ”Bane” Hardy e meglio pure nel prequel de La Cosa) decaduto anche come campione di polo, rissoso, fedifrago, violento, inquinante, tamarroso, superficiale, logorroico, diarroico e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia Tom a Nick non sta antipatico, in fondo il primo è un buon amicone con cui condivide un gioioso puttan tour nella Grande Mela. Invitato nel villone della cugina, il giovane Carraway incontra anche la campionessa di tennis Jordan Backer (interpretata dalla bellissima, sublime, seducente stra-figona Elizabeth Debicki), per la quale perde all'istante subito la brocca, nonostante la stessa non paia ugualmente interessata e invece cerchi da Nick notizie sul misterioso proprietario del castello medioevale fetish. 
Il signore del maniero viene chiamato Gatsby (Leonardo Di Caprio, attore che sempre, qualsiasi cosa faccia, mi fa sempre e inesorabilmente cagare. Credo però sia una questione di feromoni. Di Caprio oggettivamente non è un cattivo attore, anzi! Ma a me suscita sempre una inspiegata e atavica antipatia, probabilmente a causa del suo dopobarba... pertanto chiudo tra le barrette di questa parentesi la querelle: Di Caprio è bravo e qui, altri mi confermano fortemente, recita anche bene. Io lo odio, ma è un'altra storia. Ok ho finito... no, dai, ma come fate a d apprezzare quella faccia da perenne bambolotto imbronciato? Ok, ok, ho finito...) è un fanta-miliardario che da dove tiri fuori i soldi non è chiaro (questa l'ho già sentita), organizza maxi-feste (anche questa l'ho già sentita) e non è molto alto di statura (appunto). Contrabbandiere? Mafioso? Alieno? Spia? Mercenario? Idraulico? Nessuno sa bene cosa faccia Gatsby e Nick, vivendoci a 8 metri, potrebbe giustamente indagare. Magari la tennista, mossa a pietà... Ma mentre Nick cerca Gatsby, anche Gatsby cerca Nick e dal molo del suo castello cerca di imbrigliare idealmente con il pugno della mano la luce verde della mega villa di Tom e Daisy. Ma non vi voglio dire altro su Gatsby, voglio che lo scopriate da soli magari assaltando le pagine di uno dei più grandi classici della letteratura americana. Io lo trovo una specie di novello Icaro, che con ali fasulle (corrotte) cerca di avvicinarsi al sole (alla purezza), ma c'è chi ha tutta un'altra idea.
Torna Baz Luhrmann, dopo il colossale zuccherino romanticoso Australia, dopo il barocco retro-futurista Moulin Rouge, dopo il neoromantico Romeo + Giulietta (ecco un film in cui Di Caprio non mi dispiace, come non mi dispiace in The Aviator, guarda tu a ripensarci...). Per l'adattamento dell'opere di Fitzgerald sceglie un'impostazione a “bomba colorata” che ricorda in più momenti proprio le carrellate furiose e vertiginose di Moulin Rouge e che sfrutta con intelligenza anche la nuova tecnologia 3d. Per la prima buona mezzora la pellicola è un inno gioioso al mondo “del futuro” dei primi anni venti del novecento. Tutto è frenetico e veloce, anche se ai margini ben chiara e sottolineata è la “bolla” che determina i confini dorati e lascia fuori le periferie già depresse. A osservare le brulicanti formiche del progresso della luccicosa New York, le pubblicità di una ditta di occhiali, occhi appesi ai muri che osservano, scrutano e in parte giudicano, pur da finti “idoli”, frutto di una febbrile corsa che ha perso nel mentre i valori, il mondo che sta ai loro piedi. 

Sì, quasi i cartelloni “Obey” del carpenteriano Essi Vivono, che però qui sottolineano il lato conservatore, o bigotto, che si nasconde negli animi dei personaggi, pronti a ubriacarsi di futuro alla sera, ma allo stesso modo a distaccarsene con ribrezzo e disgusto alla mattina. Rapito dalle luci colorate, il pubblico in sala gode di tanto sfarzo, così come dei fuochi d'artificio, coriandoli e immagini di lusso gioioso che vengono letteralmente ficcate nei loro occhi a forza. Tutto perfetto anche se fin troppo accelerato, più o meno fino al palesarsi in scena di Gatsby, con qualche strascico anche successivo, è una unica corsa sulle montagne russe, un autentico assalto visivo-sonoro alle povere capacità percezionali degli spettatori che, muniti degli occhialini 3d, aspettano inevitabile che prima o poi il vomito arrivi per le troppe scosse (ma in senso buono, ovvio).
 Poi il film trova il suo ritmo, compensa eccessi scenografici e cut indiavolati, movimenti meno veloci di camera permettono di apprezzare la recitazione dei personaggi, la pellicola comincia a respirare e possiamo riflettere sulla bontà complessiva dello script nel descrivere personaggi dalla forte accezione iconica, dal buon carisma, anche grazie alla buona (ma mai ottima) interpretazione, ai costumi e modi di ricercata storicità in coniugio con un pizzico di spirito moderno. Parrebbe che non solo di estetica è fatto il Grande Gatsby. È proprio allora, quando tutto gira, che si fanno ahimè largo i limiti di uno scritto matriciale che regala molto, ma non troppo e lascia molti personaggi “al palo”, non riuscendoli a sviluppare a dovere. La storia si potrebbe banalizzare a poche battute di sintesi, cessato il vorticare. La “massa” si riduce ad uno sterile unico personaggio e chi è davvero protagonista si conta sulle dita di una mano monca e non “mutando” mai banalizza il tutto: l'intreccio è troppo prematuramente chiaro e fin troppo succintamente definito. Così il film si ferma, ingolfa-arranca, cerca di ri-definirsi facendo ampio uso del flash-back alla ricerca di un'anima nera latente, ma che fatica a farsi palese, non graffia quanto dovrebbe e mutua a suggestioni meglio espresse altrove (vedi Il talento di mr. Ripley). Questo percorso narrativo vuole anche essere simulacro degli anni venti del novecento e della successiva crisi del '29 che portò New York dalle stelle alle stalle (emblematico l'aereo acrobatico che solca la grande mela, prima in ascesa e poi in picchiata sui palazzi) e di cui i pochi personaggi in cerca d'autore di Fitzgerald sono ovviamente simbolo-vittime. Ma anche qui manca qualcosa e se nella parte finale tutto si movimenta di nuovo, tornano in gioco le ragioni stesse dello scritto come della pellicola il tutto lascia quasi, assurdamente, indifferenti. Colpa di personaggi che, sebbene sfolgoranti al colpo d'occhio, non riescono a narrarsi oltre l'icona che rappresentano, non riescono a esserci davvero vicini. E poi c'è la scena della notte al molo. Qualcosa di semplicemente indecente per collocazione temporale e toni, così male espressa da essere in grado (con me lo ha fatto) di fare disinnamorare della pellicola. 
Da grandi poteri derivano gradi responsabilità (Spiderman cit.) e la pellicola di Luhrmann alla forza muscolare dell'impianto, al potenziale dei personaggi e dei luoghi non lega la giusta innovazione che permette di assaltare oltre all'occhio anche il cuore dello spettatore. Sbilanciato, eccessivo ma nonostante tutto affascinante, il tutto ha infine l'aspetto di un cartellone pubblicitario americano anni 50 sui cereali: bello, ma un po' vuoto. Accettato questo, il film rimane godibile e degno di essere rivisto, vuoi solo per colori e montaggio, costumi ed effetti, musiche e scenografie e quant'altro affascina l'occhio e l'orecchio, se non accarezza il cuore. A onor del vero molti in sala erano comunque contenti dello spettacolo pertanto, nonostante tutti i caratteri sprecati nella scrittura-lettura, non me la sento si sconsigliarne la visione. Colpa del mio odio per Di Caprio...
Talk0

domenica 23 giugno 2013

Steins; Gate

Annunciato da Dynit insieme a GITS Arise (e noi ci abbiamo beccato!)


Si può viaggiare nel tempo? Quali sono le conseguenze, anche bellico-politiche, se c'è di mezzo un'associazione malvagia che mira a conquistare il mondo (e se questa fosse nientemeno che il Cern europeo, che pubblica informazioni discordanti dalle reali scoperte che sta raggiungendo ai fini di diventare una superpotenza)? Chi è John Titor, sedicente viaggiatore del tempo apparso sul web nel 2000 e che dichiara di venire dal 2036? 

Può uno scienziato decisamente pazzo (non troppo dissimile dal suo epigono di “Piovono polpette”... di cui presto in uscita in capitolo 2...), bevitore abituale di Dr.Pepper (quanto mi manca la Dr. Pepper, un tempo remoto c'era pure in Italia ma la odiavano tutti perché troppo zuccherina... stolti! E dire che un tempo in Italia c'erano pure le fruzzy pazzy... ma sto divagando...), assistito da una svampita cosplayer e da un super-hacker-nerd riuscire a risolvere l'ingarbuglio o girerà a vuoto tra paradossi temporali e paranoia senza capirci nulla, convinto di aver realizzato per primo un micro-onde, attivabile tramite cellulare, in grado di trasportare nel tempo un casco di banane e quindi essere lui stesso l'ideatore della prima e funzionante macchina del tempo (nome provvisorio micro-onde telefonico)? 

Abbassate i sedili reclinabili, allacciate le cinture e mettetevi in posizione comoda con in mano qualcosa di fresco, magari una Dr. Pepper. Benvenuti nel delirante mondo si Steins; Gate. Ricominciamo da capo con più calma (ma meno nello spirito di questa opera catastrofi-comica del 2011). Dopo una conferenza sui viaggi nel tempo lo scienziato pazzo (per gli amici Okarin, ma non ama che gli amici lo chiamino così) scopre il cadavere di una ricercatrice. Invia un sms al suo amico-sottoposto hacker circa l'accaduto, ma al momento dell'invio qualcosa cambia, tutto sparisce intorno a lui, la realtà è stata alterata. Lui se lo ricorda, ma non c'è stata alcuna conferenza sulle macchine del tempo quella mattina, in quanto un satellite si è misteriosamente schiantato sul palazzo di Akihabara in cui si sarebbe tenuto l'incontro. Le sorprese maggiori arrivano però quando scopre che il messaggio che ha spedito all'amico è in realtà arrivato a lui una settimana prima del momento dell'invio e che la ricercatrice uccisa è viva e vegeta. Qualcuno lo sta facendo impazzire o forse il fatto che il cellulare con cui ha inviato il messaggio sia lo stesso con cui manda indietro nel tempo le banane non è del tutto casuale. Certo non aiuta il fatto che la stessa ricercatrice tenga subito dopo una conferenza nella quale mette alle spalle al muro il nostro Okarin confutando la completa impossibilità scientifica delle macchine del tempo.

Nato come visual novel nel 2009 (ho fatto la rima) una sorta di fumetto interattivo (l'interattività è per lo più relegata nella scelta di mandare o meno dei messaggi con il sopramenzionato cellulare-temporale) ovviamente fruibile solo in Giappone, creato da Nitroplus con 5pb, parte centrale di un progetto più vasto, questo anime, classe 2011, realizzato da White Fox (studio che ai più non dirà molto se non per partecipazioni alle animazioni di Pokemon bianco e per una collaborazione con Gundam 00) ha mietuto un mare di consensi per la sua trama cervellotica e per l'eccentricità dei suoi personaggi. I capitoli compongono un intricato puzzle narrativo in cui è facile perdersi, supportato per via di una dirompente vena comica che fa di tutto per distrarci. Una volta entrati nella logica contorta degli episodi è difficile uscirne, complice la simpatia che subito suscita il cast e una realizzazione di buon livello, con un chara progettato per far risaltare al meglio i lati comici e ammiccanti di un nutrito cast femminile. Il chara originale è di Huke, già noto su queste pagine per il lavoro su Black Rock Shooter, alla regia anche un pezzo grosso come Takuya Sato, che alcuni ricorderanno per NieA7 e molti per Fate/stay Night. Oltre alla serie c'è anche un film ambientato tempo dopo gli eventi principali.
Più di un appassionato di anime era rimasto perplesso ad ascoltare una risposta al “question-time” di Dynit durante una convention di Lucca di un paio di anni fa. L'editore avrebbe portato in Italia Puella Magi Madoka Magica (di cui colpevolmente non ho ancora parlato), ma non avrebbe fatto altrettanto per uno degli anime più famosi e richiesti dal giappone, Steins; Gate.

Ecco che invece Dynit ci ripensa e porta da noi l'opera completa, immagino, di oav e film. Di sicuro un bel regalo per i molti appassionati dell'opera e per gli appassionati tutti di anime e fantascienza. Steins; Gate è leggero, appassionate e divertente e probabilmente godrà anche di un passaggio televisivo su rai4.
Di recente, un annetto fa, Dynit ha ri-sconvolto tutti dicendo di non essere interessata a portare da noi Tiger e Bunny e anche in questo caso speriamo (io spero molto) di essere smentiti.

Parlavamo non troppo tempo fa di Arise, nuova incarnazione del brand relativo a Ghost in the Shell, una serie di film che, similmente a Code Geass: Akito the Exiled, passeranno prima al cinema (in Giappone), per poi essere trasposti in home video. La storia sarà un prequel e si parla già di alleggerimento delle plumbee atmosfere della serie (e meno male), ai lavori sempre la premiata ditta Production I.G.. 
Per il resto è tutto ancora abbastanza blindato e vi faremo sapere solo quando ne sapremo un po' di più. Non è ancora uscita la prima pellicola che già Dynit ne ha accaparrato i diritti e noi, che abbiamo ancora una volta suggerito l'acquisto, non siamo che felicissimi circa le nostre portentose doti di chiaroveggenza. Sarà pure un caso, ma ci fa piacere pensarlo e quindi vogliamo rilanciare! Cara Dynit, che ne pensi di portarci Rahxephon (di cui penso i diritti Shin Vision essere scaduti essendo passato oltre un decennio), magari come da nuova fiammante riedizione blu ray da poco uscita in Giappone? Chissà mai che non ci diano ascolto di nuovo...
Talk0

venerdì 21 giugno 2013

Arc Systems Works

25 anni sull'onda
Superficiale storia degli ultimi tempi della Arc System Works:
Guilty Gear Xrd – SIGN e BlazBlue Chrono Phantasma passando per Persona 4 Arena

Seconda parte...


Purtroppo tutte le belle storie incappano in un passo falso e per GG fu Fatale il capitolo Isuka. Quattro giocatori potevano darsele di santa ragione contemporaneamente, ma per inserire questa feature è stato compiuto il più grande errore che la storia del picchiaduro abbia mai visto (anche se in passato era già successo, di fatto). Per scegliere meglio il proprio avversari tra gli altri tre, in un contesto in cui tutti saltano a destra e sinistra a cavallo di draghi verdi, la Arc decide incautamente di designare un tasto per far girare il proprio avatar verso il lato dello schermo che preferisce. In un picchiaduro in cui è già difficile gestire combo, cancel, astral e soci tale aggiunta è davvero troppo, il livello di difficoltà si impenna oltre il limite dell'umano ma, soprattutto, il tasto “girello” si attira l'odio di tutte le generazioni presenti e future. È qui che Arc perde la bussola. Pubblica un picchiaduro a scorrimento su GG con poco mordente, pubblica un episodio di GG per DS con meccaniche quasi platform. Disastro. Arriva la next Gen, arriva play 3. Arc System crea un nuovo brand, sperimentano anche qualcosa in ambito 3d, ma che non si caga nessuno


Di Battle Fantasia troverete facilmente una copia dal rivenditore di fiducia, usato sui 9 euro o meno. Bisogna tornare al successo e quale mezzo migliore che solcare la strada intrapresa da GG, magari dando di nuovo pieni poteri ad Ishiwatari per sbizzarrirsi al meglio in un nuovo contesto e nuovi personaggi? Tra tradizione ed evoluzione, con una grafica bidimensionale sempre più pazzesca, nasce BlazBlue. Ancora un tizio truce, questa volta dai capelli bianchi e dagli occhi bicolore (dettagli che si notano corretti anche se cambiate direzione dello schermo, e chi conosce i picchiaduro 2d bidimensionali sa che questa è una sciccheria inaspettata). Ancora un tizio biondo, ma decisamente pazzoide, che per conto di una qualche casta religiosa lo insegue. Ancora fuoco contro ghiaccio. Ma il contesto è diverso, gli scenari fanno pensare ad un mondo creato dallo studio Ghibli, tutti gli eventi sono relativi alle zone di una fantascientifica città.

Fin dalla prima intro animata poi, iniziano a girare voci di un adattamento anime


Il successo è pazzesco, al primo capitolo segue un secondo e una versione estesa dello stesso. La storia si fa tosta da seguire, ma intrigante e per completare lo story mode si parla di 20 ore di gioco!!! Se siete interessati, ma non capite una cippa di inglese, vi consiglio l'acquisto di BlazBlue: Continuum Shift versione europea; non è il capitolo più recente (e perciò niente Relius Clover per voi), ma è tutto sottotitolato in italiano e presenta gli story mode completi di Calamity Trigger (primo capitolo) e Continuum Shift (secondo). Lo risottolineo, la trama non è qui un orpello, è interessante, merita di essere seguita capitolo dopo capitolo. Tanto che anche l'ultimo uscito Continuum Shift extended ha una sua trama (oltre al figherrimo Relius e altre belle cosine).
Tra marionette senzienti, cavalieri bianchi, diavoli poliziotto, ombre deformi, ragazze vampiro con servitori uomini lupo, donne gatto e bombe nucleari incarnate anche BlazBlue ha il suo piccolo vasto mondo bidimensionale. Recensioni stratosferiche (sta sempre oltre il 90), folla in delirio. BlazBlue prima esce in sala giochi (che in nipponia sono vive e vegete), poi dopo 6-sette mesi arriva pure su ps3 (non su xbox purtroppo, ma tutte le altre opere ark mi pare si trovino anche per la piattaforma Microsoft). Diventa per gli occhi a mandorla svuotarsi di monetine prima e acquistare sereni poi. Un gran popolo che sostiene attivamente il divertimento videoludico. Hanno anche un alto tasso di suicidi, ma questa è un'altra storia.

Alcuni volevano un cross-over Guilty Gear-BlazBlue, avere tutta l'ammucchiata di personaggi insieme. Arc non ci sente ed è meglio così, in quanto tali questuanti forse non sono massimi cultori delle saghe al di là del dato grafico, non comprendono quanto siano diverse le meccaniche di gioco, la concezione delle finisher e la distanza d'impatto, overdrive e combo cancel, astral e distorsion, rebel e heaven or hell . I lavori degli Arc sono ceselli ultrabilanciati che vivono di aggiunte chirurgiche, di ri-bilanciamenti costanti verso il paradiso della perfezione. In Giappone il genere dei picchiaduro 2d non è morto, da noi arriva davvero poco, ma almeno giungono le perle della Arc System.
Così è giunto anche da noi, ma nessuno se ne è accorto, anche un porting da sala giochi realizzato da Arc per console, (in origine è della Examu) il lolloso e ultranipponico Arcana Heart 3.


Molti appassionati di anime non dovrebbero lasciarlo sugli scaffali del gamestop...
È recente da noi poi l'arrivo del loro nuovo picchiaduro, Persona 4 arena (uscito ora con oltre un anno di ritardo). Un capitolo della famosa serie di gdr della Atlus legato al mondo di Persona 4 sviluppato tutto in picchiaduro, con una trama anch'esso di oltre una ventina di ore, ahinoi del tutto in inglese (ma con un dizionario ce la si cava sempre). Anche qui Arc non sembra aver lesinato in grafica e sonoro. Le recensioni sono unanime, vedasi metacritic, sul fatto che sia un pezzo da 90. Guardacaso c'è qualcosa (la collaborazione con creature soprannaturali dei personaggi) nelle meccaniche di gioco che rimanda ad Arcana Heart 3, come a Jojo della Capom, e tale feature è strabiliante per tutte le implicazioni di gameplay che fa scaturire.


Se amate gli anime (e non temete l'inglese) sapete quindi qual è l'acquisto del periodo da fare (sta sui 49 euro mi pare, ma prima recuperate i BlazBlu magari, li trovate a poco). Vorrei aprire una parentesi anche sul modo indegno in cui Persona, la saga gdr di Atlus, sia stata sponsorizzata in Italia, sul fatto che proprio persona 4 sia stato commercializzato in 3 copie scarse tanto per il capitolo 1 che per il 2, ma che comunque grazie al Vita qualcuno possa oggi godere di questa indiscussa gemma di programmazione. Vorrei e nelle righe precedenti di fatto lo ho già fatto.
Guilty Gear, Guilty Gear. Arc System si tormenta se tornare o meno sui suoi passi. Le vendite on-line sul playstation store del primissimo Guilty Gear in porting dalla psx vanno da paura. I giappi finalmente si decidono ed eccoci al filmato che ha elettrizzato tutti qualche giorno fa.
Ora sta tornando il mito, dopo mille richieste e preghiere, Guilty Gear è di nuovo tra le mani dei programmatori.


Completamente ridisegnato, rinnovato nei controlli, ancora più fico e definito. E come sempre, musiche che spaccano by il nostro amato director Ishiwatari (che deve aver ascoltato molto Bon Jovi ultimamente...). Definitivo andrebbe da aggiungere, ma non poniamo limiti all'eccellenza. Tutto ciò che sappiamo per ora di questo nuovo progetto è racchiuso in questi pochi avvincenti secondi, ma già la salivazione è nulla tra i fan, già l'attesa spasmodica.
Per chi ama Arc System è un bel momento oltre al resuscitato Guilty Gear è in arrivo, probabilmente per inizio anno prossimo anche in Europa, anche il nuovo capitolo di Blaz Blue, che già sta spopolando nelle sale per il trend giappo che sopra già ho descritto, il “Chrono phantasma”.


E novità delle novità, BlazBlue avrà a settembre anche la sua bella serie animata, “alter memory”, di cui vi posterò un trailer appena si troverà per vie ufficiali. A luglio pure la graphic novel collegata X-blaze, ma temo che un tale prodotto oltre il Giappone faremo davvero fatica a vederlo.
Fa veramente incazzare il fatto che questi prodotti siano per lo più di nicchia, noti e apprezzati, ma da pochi. Perché si tratta di alcuni dei migliori picchiaduro di sempre: difficilissimi e appaganti da padroneggiare, bellissimi fino quasi a sembrare cartoni animati in movimento sotto l'aspetto grafico, dotati di colonne sonore fiche da spararsi nell'ipod a palla. Aspetto non secondario, ogni personaggio che troverete nei picchiaduro Arc è “unico”, riuscire a padroneggiarne uno significa dover ripartire da zero comunque se si vuole trarre il massimo dal secondo: ci sono titolo con rooster chilometrici in altri picchiaduro, ma spesso più della metà sono cloni; nei giochi Arc non accade quasi mai e portare a termine un titolo con tutti i personaggi è davvero una sfida, lunga e difficile-appagante. Opere che per anni sono state preferite dolosamente ai più “moderni” picchiaduro in 3d, che vengono (non a tutti i torti in questo caso) bandite da tornei canonici locali in quanto troppo ostici per il giocatore medio, bollandole “vilmente” per “giapponesate” da chi di fatto non è in grado di giocarci. Ma non è compito di questo censore divagare di mode, preferisce aggredire il midollo del digitale artefatto. Onore al merito di Arc System e al suo impegno ultra-decennale per farci divertire e spendere sereni un po' di soldini. Buon venticinquesimo compleanno!! E il pubblico esulta. 
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Nota: Arc ha fatto anche un fico remake di Contra, animoso e difficilissimo, ma se ne parlerà altrove...

mercoledì 19 giugno 2013

Arc System Works

25 anni sull'onda
Superficiale storia degli ultimi tempi della Arc System Works:
Guilty Gear Xrd – SIGN e BlazBlue Chrono Phantasma passando per Persona 4 Arena

Daisuke Ishiwatari nasce a Johannesburg nel 1973 ed è un giovane di belle speranze, fan dei Queen. È nell'anno di grazia 1998 che diventa un mito. 
Arc System Works, base a Yokohama, è una delle più note e attive software house nel campo dei picchiaduro, tra le sue fila hanno militato gli autori di quel prodigio della tecnica nel 1988 prendeva il nome di double dragon, ma è sempre stata, almeno in occidente “dietro le quinte”.







É il 1998. Daisuke Ishiwatari diventa uno dei più grandi illustratori, game designer, musicisti, compositori e doppiatori di tutti i tempi e tutto per un unico lavoro. Arc System Works grazie a quello stesso lavoro è sulla bocca di tutti e non più dietro le quinte perché ha creato qualcosa di folle, graficamente fuori standard, dalla giocabilità infinita e assolutamente cool: nemmeno Capcom, Sega e Neo Geo avevano mai fatto tanto godere. Il nome del progetto è Guilty Gear e in Giappone non c'è nessuno che non ci abbia giocato almeno una volta al cabinato o possieda la versione per playstation.



Il contesto fantascientifico permette di sviluppare una trama che non fa ostaggi e si esprime follemente in tutte le direzioni. Al centro di tutto c'è un tizio truce dal nome Sol Badguy (doppiato dallo stesso Ishiwatari), un ricercato di spaventoso potere che è cura di una organizzazione futuristico-templare riportare sulla retta via, ossia dietro le sbarre. Guerrieri anziani che ringiovaniscono fisicamente portando a segno colpi potenti, uomini posseduti da fantasmi ringhianti che li fanno muovere come ragni, piratesse dell'aria armate di ancora, epigoni samurai di zorro, medici armati con bisturi giganti con una busta di carta in testa, giocatori di biliardo satanisti, cacciatori di mostri dalla dubbia sessualità, eroine che combattono con capelli acuminati, dei della morte con tanto di falce, cyborg russi con passione per i fiori e il culturismo, streghe sexy armate di chitarra metal, preti pazzi, incarnazioni di draghi futuristi. 
Un bell'hellzapoppin a cui si aggiungono samurai occhialuti, cyborg di ogni risma e divina estrazione, mummie dinoccolate, una delle più estreme follie visive viste in un picchiaduro dai tempi di Vampire della Capcom. Personaggi rigorosamente bidimensionali ma in alta definizione, ma è restrittivo, GG è un autentico cartone animato in movimento. Un gioco pressocchè alieno in un periodo in cui dominavano le combo ragionate di Tekken. Molti in occidente se ne sono allontanati schifati, non concependo che il loro personaggio potesse essere colpito da un pollo di gomma gigante o un drago di fuoco. Sono tempi di botte poligonali in fondo e così mentre in molti giocano a cose così

altri giocano a GG

Non è neanche questione di gusti, sono mondi completamente diversi. I picchia-picchia in 3d hanno meccaniche e ritmi diversi, sono anche più simulativi. Qualcuno arrischia ma trova un paragone calzante, i picchia-picchia 2d sono più simili alla morra cinese. Costui è pazzo ma non di troppo, nei 2d tutto è basato sul calcolo del danno, sulla giusta strategia da usare (imparare le mezzelune è la base, la strategia viene una volta che si padroneggia tutto l'arsenale). L'esecuzione del colpo nei 2d conta di più del dato grafico che si sia effettuato un calcio o un pugno, ogni colpo è ad “area” e finalizzato a far decrescere punti energia all'avversario, differenti nel caso pari o meno il colpo. Nel 3d invece un pugno è “un pugno” ed ha effetti localizzati sulla sola zona d'impatto, niente area, e hanno più senso logiche di “schivata” (di fatto la massima innovazione del 3d, se escludiamo le pseudo-schivate di Fatal Fury, dato anche di realismo nella maggior parte della lotta reale) che di contromossa (peraltro anche nel 3d presenti ma non facili da padroneggiare). Oggi le schivate vanno meno di moda, nonostante Tekken Tag Tournament sia fichissimo e Streetfighter vs Tekken un abominio... ma queste sono eccezioni che confermano la regola. Oggi c'è un grande ritorno alle meccaniche 2d, che di fatto permettono una rappresentazione più spettacolare dei duelli. I nuovi picchiaduro Capcom (streetfighter 4, marvel vs capcom 3) e midway... cioè Warner (l'ultimo bellissimo Mortal Kombat e il folgorante Injustice) ne sono la prova, oltre al ritorno nell'arena videoludica di Neo Geo (King of Fighters). E io godo. Ma allora (anno domini 1997) gli integralisti occidentali del nuovo Tekken hanno di fatto tarpato le ali a un prodotto che in Giappone ha spopolato. Una nicchia di estimatori è comunque nata anche da noi, fedele e riconoscente, anche in virtù del fatto che Guilty Gear è un gioco tecnico, appagante, difficilissimo da padroneggiare e magnifico da guardare. Un gioco con alle spalle un mondo dalla trama ingarbugliata ma tosta, con personaggi davvero bellissimi ed estremi, con una colonna sonora hard rock -metal che ha fatto vendere milioni di dischi (sì, nel Sol Levante sempre). In pochi sono riusciti a far fronte ai boss finali, solo i più temerari e disciplinati hanno avuto ragione di Justice. Ma quei pochi hanno svoltato, hanno davvero appreso quanto di meglio il titolo aveva da offrire: solo con l'impegno e la passione si può arrivare in fondo al gioco, molti casual gamer non sanno quanto sia appagante sbattere i denti contro sfide difficili ma che con determinazione si possono vincere. Molti preferiscono il single player di Tekken in cui con il calcio volante moltiplicato alla “n” si può iniziare e finire il gioco in 7 minuti. Provate ad affrontare una certa strega con chitarra o il cyborg dai capelli lunghi di Guilty Gear, provate a batterli. È tutta un'altra storia.
Epoca ps2 . Guilty Gear si reitera all'infinito e raggiunge l'apice con il capitolo Guilty Gear X2, forse il più bello. Oltre ad un aspetto grafico rinnovato vi è qui un'intrigante componente storia, composta da lunghi dialoghi da leggere con bei disegni al seguito oltre ad una modalità a missioni davvero tosta. Il mondo intero esulta e tutti imprecano la difficoltà folle dello scontro finale contro la strega maiala I-No.


che figata... come dite? E la grafica in-game? Eccovela! E qui potete apprezzare anche un po' di colonna sonora (che ricordo in Giappone vende a se stante)



Non contenti del successo, pubblicano anche tie in da paura, rigorosamente in veste di picchiaduro bidimensionali


non manca neppure una versione ds di guilty gear, rigorosamente super deformed! E pure con un seguito!



Continua...

lunedì 17 giugno 2013

La Casa

Ataque de pànico. Un corto del 2009 visibile su you tube. Ve lo linko senza metterlo direttamente qui essendo un'opera completa di 5 minuti... 


è con questo micro-colossal che Fede Alvarez ha convinto Raimi delle sue potenzialità. Il grande cineasta deve aver rivisto in Alvarez qualcosa di lui, la capacità con poco di realizzare grandi cose, una precisione tecnica non usuale nel narrare in immagini. Raimi decide di affidargli il suo bambino più caro, la pellicola che lo ha reso celebre, perché Alvarez la reinventi, la modernizzi e le doni quel tratto realistico e malinconico che già pervade Ataque de pànico. Così lo script di Evil Dead, da noi "La casa", arriva nelle mani del giovane regista uruguaiano che accoglie l'invito con il giusto rispetto, mentre (immaginiamo) gli tremano le gambe. Raimi non vuole solo che Alvarez diriga, vuole che riscriva tutto, che faccia l'opera sua. Lo affascina il realismo che il ragazzo riesce a trasmettere nelle sue opere, nonostante siano fantastiche, una prospettiva nuova per La casa, che ha sempre puntato più sul goliardico che sul drammatico. Alvarez ci prova, imbrocca qualcosa e perde la rotta in alcuni punti, scrive e riscrive ma Raimi segue da vicino i lavori, lo esorta e incoraggia a dare il meglio, gli affianca Diablo Cody per dargli la motivazione giusta: vuoi per la sua grande capacità di sceneggiatrice, vuoi perché è una ex lap dancer (e cosa può stimolare di più di una lap dancer con una bella testa?). 

Lo script è pronto ed è perfetto. Perché cinque persone dovrebbero oggi ritrovarsi in una baracca tra i boschi il fine settimana? Ai tempi di Raimi la risposta sarebbe stata che era l'unica location disponibile per il budget, pertanto i personaggi avevano un'inclinazione hippy che gli permetteva di divertirsi con poco, magari con qualche aiutino etilico. Ai giorni nostri la casa nel bosco diventa invece luogo di recupero, una finestra a diretto contatto con la natura dove una ragazza può sperare di riuscire a disintossicarsi, sempre che l'atmosfera di isolamento non rechi troppa angoscia e l'astinenza riempia di incubi e allucinazioni il percorso di rehab.



Scherzetto! Il trailer è del film Shrooms, classe 2006. di fatto molto simile come atmosfera alla pellicola di cui stiamo parlando oggi tanto per ambientazione che presupposti: i mostri sono allucinazioni da abuso di stupefacenti o sono reali? Se riuscite recuperate Shrooms (distribuito da noi dalla Eagle, credo si trovi ancora agilmente in dvd).
Ma torniamo a noi. 5 amici si ritrovano in una baracca nei boschi. Ecco il trailer vero


Ok, scherzavo di nuovo. Niente Thor in questa pellicola. Ma Quella casa nel bosco è un dannato capolavoro che dovete assolutamente vedere!
Ricominciamo... c'è una casa nel bosco che nasconde qualcosa di inquietante...


inquietante e pure un po'noioso... fine della ricreazione, ecco il trailer ufficiale de La Casa, remake di Fede Alvarez.


David (Shiloh Fernandez) se ne è andato di casa da un po', si è fatto la sua vita, ha lasciato la famiglia nei guai. Dopo la morte della madre, la sorella Mia (Jane Levy) è finita sulla cattiva strada, ha iniziato a drogarsi e nonostante i propositi non è riuscita a ripulirsi senza ricadere per più di un pomeriggio. Spinto agli amici di infanzia Eric (Lou Taylor Pucci), Olivia (Jessica Lucas) e dalla fidanzata Nathalie (Elizabeth Blackmore),  David decide di assistere la sorella in un doloroso percorso di disintossicazione, che si svolgerà in quella baracca nei boschi. David dovrà essere forte, nel gruppo c'è chi è infermiere e può intervenire prontamente in caso di bisogno, ma per la maggior parte del tempo Mia sarà incontrollabile. Piangerà, urlerà e si dimenerà, forse aggredirà qualcuno ma se tutto va bene, se non ricadrà nell'eroina, ci sarà forse una vita migliore ad attendere la ragazza. Peccato che la casa non la pensi così e abbia ben altri piani per il gruppo di amici. Spinti da un odore disgusto proveniente dalla cantina, vengono scoperti animali morti disposti ai capi di un glifo disegnato sul pavimento, penzolanti su ganci ancorati al soffitto in legno. Al centro un altare sacrificale sporco di sangue e nascosto nei pressi un oggetto spettrale, che attira l'attenzione di Eric, che lo chiama a sé. David ripulisce e sotterra le carogne, torna al piano di sopra e si concentra sul motivo reale per cui si trovano lì. Eric è quasi ipnotizzato dalla cantina, fino a che non trova un libro ritenuto così pericoloso dai precedenti proprietari da essere chiuso e sigillato con metri di fil di ferro. Eric con una pinza riesce a snudare lo scritto dalla sua corazza. La sensazione al tatto è sconvolgente così come atterrisce un'analisi più accurata del materiale di cui è composto. 

Pagine in pelle umana intrecciata a capelli, parole scritte con il sangue. Ma Eric non desiste, si trova quasi in uno stato di trans. Mentre Mia al piano di sopra affronta l'inferno dell'astinenza forzata, Eric legge parole in una lingua sconosciuta, evoca qualcosa che è rimasta in agguato per anni, una forza inumana e vendicativa che subito si scaglia sulla mente più debole del gruppo, su Mia, per impossessarsene. La ragazza tenta la fuga, ma nulla può fuggire all'occhio della creatura evocata, in grado di comandare la natura, di abbattere i ponti con il mondo esterno pur di cibarsi delle sue vittime. Mia cerca di resistere ma non vi è ribellione possibile. Vorrebbe comunicare agli altri di andarsene da quel posto maledetto, ma i ragazzi al piano di sopra pensano che lo stato allucinato della ragazza dipenda dall'astinenza, cercano di intervenire con sedativi ma sono impreparati ad altro. Così il mostro evocato da Eric si fa strada dentro Mia, trasfigurandone l'aspetto, mutandone la voce. La ragazza posseduta si avventa sull'amica Olivia e le apre la bocca con la forza, allarga il palato con le mani, schiude la mandibola e dentro vi vomita sangue nero. I ragazzi spaventati rinchiudono Mia in cantina, assicurano la botola d'ingresso con delle catene, sono nel panico. Olivia inizia a mutare. La cosa che si è impossessata del corpo di Mia ride sinistramente e osserva con ghigno raccapricciante, da sotto la botola, le sue prossime vittime, schiudendo felice i suoi nuovi occhi rossi. Sarà una notte di sangue.

È difficile girare i remake nonostante siano una pratica produttiva abusata. Se il pubblico viene in sala con le aspettative di un prodotto sicuro-collaudato-metabolizzato, contento di mangiare sempre la stessa minestra, saltuariamente capitano bocconi indigesti e la corazzata produttiva può pure vacillare, distruggendo di fatto la gallina dalle uova d'oro. Le vittime illustri della modernariato dello strillo sono molteplici, da Amityville all'ultimo Freddy, passando per pasticciati L'ultima casa a sinistra e rinnovamenti senza palle come l'esteticamente eccelso ma senza troppa convinzione The Grudge, la cui ultimissima reiterazione è davvero da sconforto collettivo. Ogni tanto però le resurrezioni accadono, vedasi i superficiali ma comunque piacevoli Non aprite quella porta di Nispel, Le colline hanno gli occhi di Aja, lo stesso Piranha 3d sempre di Nispel (che anche se è “nuovo” è piuttosto derivativo da certi film anni '70), ma prontamente ecco che viene messo degli stessi in produzione un sequel, che disintegra tutto, svuota il senso, fa ridere i polli. Spesso di notte mi sveglio madido di sudore pensando a Le colline hanno gli occhi 2. Ogni tanto la resurrezione dà nuova linfa al brand. Sono casi rari ma documentati come il dittico di Halloween di Zombie, non a caso poco capito dal pubblico. Il remake de La casa di Alvarez è un buon prodotto e sta confortevolmente una spanna sopra alla media dei remake classici. Gli attori sono validi e ben calati nella parte, le scene splatter e le mostruose aberrazioni da possessione demoniaca sono magistrali e frutto di un lavoro certosino di truccatori-artigiani, professionisti dell'intaglio nel lattice che sono stati preferiti alla computer grafica e hanno davvero dato il meglio di loro. La cinepresa fa il suo dovere, il divertimento è garantito da spaventi costanti e ben gestiti. 
Un plauso alle attrici Lana Levy e Jessica Lucas, ma sarebbe ingiusto non parlare bene anche del resto della compagine degli allegri 5. Ma è davvero il film più spaventoso di tutti i tempi, come locandina vuole? No. 

È una bella giostra dalle trovate visive interessanti e da mille ester eggs per i fan della serie classica di Raimi. Musica e montaggio sparano a mille le emozioni. La fotografia, trucco e scenografie sono molto belle e dettagliate. La storia è buona e, cosa non banale, nemmeno idiota. Ma se volete spaventarvi di brutto c'è di peggio, almeno secondo la mia modesta opinione, perché il film difetta in quello che per molti è un pregio: è troppo patinato. É un vezzo dei tempi, ma troppa accuratezza visiva non fa che rendere un prodotto ammaliante laddove dovrebbe essere tetro. Lo sbaglio arriva dritto dal remake di Non aprite quella porta di Nispel. L'originale film sui cannibali descriveva ambienti sporchi e rugginosi, faceva sentire allo spettatore l'olezzo di carni in putrefazione, tagliava a documentario le scene facendo partire l'immedesimazione. Nispel aveva preso appunti, ma il suo scenario re-interpretato aveva una fotografia virata color terra, raggi di sole ad illuminare un prato di fatto rigoglioso, ambienti così curati nel dettaglio da essere, mi si perdoni l'orribile parola, fasulli. Un bellissimo set per una casa di streghe, ma niente più. Anche La Casa è troppo bello da vedere, troppo curato nei dettagli, ma questo fa esclamare “cavolo quanto sono stati bravi i truccatori!” invece di lasciarci terrorizzati e senza parole, tremanti, a coprire gli occhi con le mani. Di contro il remake di Alvarez è molto più splatter e cattivo del lunapark di Nispel, ma l'aria che tira è però quella. Il realismo è altrove, magari in qualche pellicola spagnola come Rec, magari nel vecchio Esorcista, tra la moquette baganata di sangue di Shining, tra il fango e le viscere di Cannibal Holocaust, nello specchio nascosto tra i quadri di Profondo Rosso, tra i ghiacci de La cosa, tra la raccolta di feticci anatomici de La Mosca.

Ma se non ambite a cercare il film definitivo di paura, ecco che il film di Alvarez comunque saprà intrattenervi e divertirvi sulle sue montagne russe. E questo ve lo garantiamo. Vale i soldi del biglietto e di tanti pop corn. 
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