-Sinossi
fatta male: Futuro. In una tentacolare Megalopoli "bladerunneriana"
la sezione 9 di Pubblica Sicurezza è la squadra più hi-tech impegnata nella
lotta alle nuove forme di criminalità. Cyborg terroristi con chele metalliche
impiantate nelle braccia, hacker in grado di controllare a distanza le persone
agendo sul cloud collegato al loro cervello, enormi robot ragni-formi
pesantemente armati disponibili sul mercato nero. Il male 2.0 ha mille forme e
la sezione 9 risponde con supersoldati potenziati, strateghi e maghi
dell'elettronica. Sotto la guida di un integerrimo poliziotto e politico come
quella vecchia volpe Aramaki (uno straordinario Takeshi Kitano), il braccio
armato della sezione è guidato dal Maggiore Mira Killian (Scarlett Johansson,
perfetta nella parte), un cyborg dalle straordinarie capacità belliche e
cerebrali confezionato dalla Hanka Robotics con la migliore tecnologia
all'avanguardia e i resti di una ragazza recuperati da un incidente
navale. Mira è letale e risoluta sul lavoro, ma soffre di una forte crisi
interiore, alimentata dal fatto di non ricordare nulla della sua vita
precedente con l'incidente. Il numero due del Maggiore è il roccioso Batou (Pilou Asbaek, preciso alla versione anime pure lui), un ex militare americano,
gigantesco, cyberneticamente potenziato pure lui ma dal grande sorriso. Il
nuovo cyber-criminale che sta impazzando in città si chiama Kuze (Michael
Pitt, davvero bravo), ama fare "il burattinaio" e ha nel mirino
proprio la Hanka Robotics.
-Ai
giapponesi è piaciuto: arriva nelle sale, per la Universal, anticipato da un
uragano di malumori, il nuovo film di Rupert Sanders, regista di Biancaneve e
il Cacciatore. Sanders già all'epoca di quella pellicola aveva dimostrato
il suo amore per l'animazione e la cultura giapponese, creando per la seconda
parte una magnifica foresta incantata con un'atmosfera fatata che pescava a
piene mani tanto da Princess Mononoke e un mare verde con suggestioni della
celebre Aokigahara. Sanders era l'uomo giusto per tradurre visivamente l'opera
mass-mediatica iniziata con il manga di Masamune Shirow e resa grande dal film
di Mamoru Oshii e sul lato visivo azzecca in pieno l'atmosfera. La Johansson
era il volto internazionale giusto per il Maggiore, un'attrice che poteva
traghettare su questo "cinemanga" l'attenzione degli
appassionati dei cinecomics e che per curricula aveva le carte giuste per la
parte. Era stata donna forte e combattente vestendo i panni della Vedova Nera
Marvel, era stata un corpo alieno e in mutazione in Under the skin e Lucy, era
stata "macchina" in Her (sua la voce del computer senziente
nell'omonimo film in versione originale). E Scarlett è perfetta nel trasmettere
la bellezza plastica e l'aria assente del "guscio" del Maggiore, è "pelle"
(o "bambolona", se preferite) che nasconde qualcosa di altro e
insondabile che abita al di sotto della superficie. Per Aramaki non si poteva
immaginare un attore diverso da Kitano a mio parere (sarebbe stato perfetto
Pat Morita) e il geniale attore / regista giapponese è straordinario nel
costruire un commissario capo riflessivo ma con tutto l'istinto e i riflessi
dei terribili yakuza da lui interpretati in mille film. Curiosissimo il fatto
che parli in giapponese (è sottotitolato) in una società che sembra del tutto
omologata ad una lingua unica (o si capiscono in virtù dei chip cerebrali che nel futuro dovrebbero portare tutti), ma la sua performance non può che
guadagnarne. La trama è diversa, molto più semplificata rispetto al modello di
riferimento, ma le scene chiave, per lo più tratte dal primo film di Oshii, ci
sono tutte e visivamente sono rese al meglio. E soprattutto, lo ribadisco dopo
aver letto i dati e le interviste uscire da poche ore, è piaciuto ai
giapponesi.
-Ma
perché sarebbe piaciuto ai giapponesi? Io amo il modo di pensare dei
giapponesi, soprattutto perché sfuggono dalle facili definizioni. Ogni
riflessione su un argomento genera un nuovo punto di vista che arricchisce
ulteriormente, senza mai "completare" un argomento. Go Nagai ha
declinato in cinquecento modi diversi il suo Mazinga, Captain Harlock ha
vissuto decine di vite diverse e tutte in contraddizione temporale l'una con
l'altra e lo stesso vale per Lupin 3, Kyashan, Ken il Guerriero. Questo capita
anche per quel mosaico in continua ri-definizione che è Ghost in the Shell.
Prendete il manga, confrontatelo con l'anime della Production I.G. e con il
dittico cinematografico di Oshii, prendete la serie Arise. Il contesto cambia,
la tecnologia cambia, in grado di "umorismo" e "sessualità
cambiano", ma i personaggi sono quelli e vengono arricchiti da nuove
letture e prospettive. In occidente c'è invece questa mania definitoria e
classificatoria, da archivisti sfigati in cerca di certezze universali, che
tende ostinatamente e con rabbia a cercare un ordine unico e definitivo nelle
cose. Credo che c'entri un po' anche la religione (e il fatto che in Giappone
ci sia il più totale politeismo Pacifico). Conosciamo qualcuno di interessante
e vogliamo sapere a tutti i costi tutto il suo passato e tutto il suo futuro e
non ammettiamo che ci siano versioni diverse dei fatti, interpretazioni
criptiche. Anche a livello di "morale declinata all'intrattenimento":
mentre vediamo un film ci "confortiamo" a dividere tutti in
"buoni vs cattivi", mentre nel cinema asiatico si coltivano i dubbi
e gli eroi possono essere criminali e i criminali eroi. Cosa succede quindi
quando Ghost in the Shell diventa un blockbuster americano? Succedono tutte le
menate che succedono per la produzione di un blockbuster americano oggi. Si
mettono da parte registi e sceneggiatori, che per troppo estro o originalità
potrebbero "confondere le ampie masse" e salgono in cattedra i
producers e gli esperti di marketing con le loro "vincenti"
strategie di lungo corso. I film che incassano di più sono categoria PG13, e quindi in grado di complessità e violenza di un qualsiasi
prodotto deve essere intellegibile per un 13 enne. Siccome è il primo capitolo
di un possibile brand che ""pare"" supereroistico, serve
che sia una origin story per spiegare chi sono i personaggi, chi i buoni
e chi i cattivi, con minori sfumature possibili che possano confondere i
ragazzini. Quindi cosa succede a Ghost in the Shell? Che mentre in Giappone
ancora oggi sappiano pochissimo su chi sia il maggiore (background,
orientamento sessuale, famiglia, passioni), nel film americano sappiamo già
tutto il suo passato. Mentre in Giappone ci sono poteri oscuri che tramano
nell'ombra facendo il bello e cattivo tempo, qui si capisce chi sono i buoni e
chi i cattivi. Mentre in Giappone parlare di cyborg significa parlare di anima
disgiunta dal corpo (Il "ghost" nel "guscio" da cui viene
il titolo), di possibile evoluzione umana nella rete informatica, di filosofia
applicata a una conoscenza del sapere alla portata di tutti, parlare di Cyborg
in America è più declinarlo al "rape and revenge movie": che sia Il
Corvo o Robocop, lo "spirito" punta a reimpossessarsi del corpo e
della sua vita terrena passata (compiendo una involuzione del tutto opposta al
personaggio originale). Tutto è più semplice, più colorato, più veloce.
Meno estremo, meno cerebrale, più "chiaro".
Come può
perdere il giapponese tutto questo "travisamento"? Come una versione
"alternativa", delle molte versioni alternative di Ghost in the Shell
che già esistono, interessante per quello che ha da offrire di diverso. E
qualcosa di interessante anche a livello di trama questa pellicola ce l'ha. Si
parla di "scelte etniche" nella costruzione di un corpo artificiale,
si parla di "consenso informato" se non vere e proprie PEC per
l'accesso al proprio cervello potenziato (ed è un tema attualissimo nelle
comunicazioni ufficiali on-line), si parla di conservazione della memoria e del
valore dei ricordi. Spunti scaturiti dalla attualità e da una diversa visione
del mondo (quella occidentale) che non fanno che rendere Ghost in the Shell
più "grande". E se escludiamo la sceneggiatura in sé, a livello di
scene d'azione, di interpretazione, effetti e scenografie la pellicola è molto
valida.
- Come
può prendere il fan - medio-occidentale dell'anime / manga originale
questa pellicola? La risposta è "un po'come gli pare".
Gli
integralisti "più estremi" si sono lamentati della scelta della
Johansson "in quanto non attrice giapponese", quando ai giapponesi
l'idea è piaciuta molto e lo stesso Oshii nelle pellicole la ha caratterizzata
con dei tratti non orientali. Ma uno può amare le opere giapponesi anche in
quanto "dentro ci stanno solo i giapponesi" e non importa se
l'ambientazione è la Francia del 1400. I gusti sono gusti.
Gli
integralisti "medi" hanno lamentato la mancanza di complessità della
trama, che era una cifra stilistica per loro importante. Gli risponderei che
spesso (soprattutto nella serie TV e Arise) la trama è resa complessa in modo
artificioso e posticcio (con esiti spesso ridondanti e che ridefiniscono il
concetto di "noia"), ma non posso di massima che concordare con
loro. L'opera-base è molto stratificata nei significati e culturalmente ricca,
mentre il film è omogeneizzato per essere assimilato come un cinecomics.
Ma questo non esclude che si potrebbe andare più in profondità sulle
suggestioni orientali con i capitoli successivi, magari arrivando al punto da
riallinearsi in tutto con lo spirito originale. Certo riporre questo tipo di
fiducia è come accettare una cambiale in bianco, ma sostenere pellicole come
questa potrebbe aprire la porta a progetti originali con possibilità di
discostarsi dai cinecomics e creare un po' di varietà di mercato.
L'integralista
"base" si lamenta della operazione tout-cour perché c'è un solo
originale ed è un capolavoro irreplicabile. E ha ragione anche lui e per me può
murarsi vivo in un bunker riguardando all'infinito l'anima originale. Ma
potrebbe anche considerare il fatto che i film di Oshii (soprattutto) non verranno
certo cancellati da questo blockbuster, anche perché il regista è così
ossequioso del prodotto che ha voluto intervenire esteticamente a livello
minimale (per la sceneggiatura ha invece dovuto un po' genuflettersi ai
produttori, ma se non ti chiami James Cameron capita il 98% delle volte che fai
un film dall'alto budget... citofonare a Guillermo Del Toro per avere la sua
opinione). Da fan, opinione mia personale, guardare le immagini più belle del
film di Oshii così trasposte dal vivo da Hollywood, pure in un contesto
dissimile, provoca solo una cosa: orgasmi multipli. Però siete liberissimi di
non guardare la pellicola.
- in
conclusione: ha senso oggi Ghost in the Shell? E ha senso questa
"rilettura" americana? Per me sì, rimane attualissimo. Ma la
mia è l'opinione di un fan che non ha mai smesso di leggere/vedere/ giocare (con i videogame) a un'opera multimediale che ha conosciuto la prima volta nel
1992 su Kappa Magazine. Vi mentirei se vi dicessi che già dalle prime scene di
questo film non mi è tornato alla memoria un periodo della mia vita in cui
Ghost in the Shell di Oshii appariva, come trailer, sui mega schermi della
città del videogame di Syndicate Wars. Ho vissuto quel periodo floridissimo per
il cyberpunk, lo ho amato quanto si è fuso nel pessimismo millennarista e credo
abbia ancora molto da dire in un mondo in cui iniziamo ad andare in giro con
dei visori per la realtà virtuale. C'è da dire poi che il linguaggio del
cinecomics oggi è imperante e chissà mai che qualcuno che ha visto questa pellicola
ne sia rimasto così affascinato da andare a ripescare il materiale originale.
Insomma, questo Ghost in the Shell a parer mio non è per nulla il disastro che
molti su internet stanno cercando di vendervi. Non è al livello di quei due
film / capolavoro di Oshii e purtroppo non ha dietro un regista come Cameron,
Nolan o Cuaron ma rimane un film visivamente davvero valido, con una trama
forse troppo semplice ma "solida" (... e in un'epoca dove esce Batman
v Superman non è più scontato che si facciano trame coerenti) con dei bravi
attori in parte e con tanta azione ed esplosioni. Se sarà il vostro primo
contatto con il mondo di Ghost in the Shell e vi piacerà, benvenuti in famiglia,
scoprirete uno dei mondi più affascinanti che l'arte nipponica abbia mai
creato. E scoprirete che la tana del bianconiglio è molto più profonda di come
appare in superficie.
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