Sinossi
a cento km orari: la Giulia guida le gr che è una scheggia, il babbo ci crede e
investe tutto su di lei, pure la casa. Poi il babbo incontra un infarto e la
Giulia per pagare i debiti, salvare la casa e non finire in affido insieme al
fratello, perché entrambi minorenni, deve sperare nell'insperabile. Avere una
mano dal suo vecchio, drogatissimo e scapestrato fratello Loris.
Appena
uscito e già invisibile: E' proprio una storia brutta, sai? Che io ci vado nella
videoteca fighetta, mi ci tuffo dentro, di testa tra le patatine da scaldare, i
pupazzi dell'Harry Potter, i libri di Papa Francesco. Alla fine ci trovo
"anche" i dvd. Ma Veloce come il vento, oh, non lo si trova! E allora
mi ci ficco con l'impegno, con il computer, tra i consegna in tempo zero di
Amazon, i mercatini di Ebay, i professionisti di Terminalvideo, ma zioladro
niente, Veloce come il vento non lo si trova! E' esaurito, sta in ristampa, chi
l'ha mai visto, forse è catalogato male, sarà Natale. Ma non c'è il verso
che esce fuori, e io come un pazzo sto a buttar giù a bestemmie tutto il
paradiso, urlando alla luna e facendo girare i maroni alla gente che dormino
(cit.). Che è un gran peccato che mi esce un film così e se lo cagano in
cinque.
Io c'ero
andato, biglietto in mano, a vederlo in sala, posti prenotati. Perché sentivo
la fragranza delle corse sfrenate nei piccoli borghi dei polizziotteschi,
perché c'era dietro una storia di sport e famiglia che più che le gomme
bruciate di Giorni di Tuono profumava di Rocky, perché non si può dire di no a
una ragazza con i capelli azzurri nel cinema italiano, dai tempi del Nirvana
di Salvatores. E mi è piaciuto un botto.
Due
parole due, ma di cuore: Accorsi che mi torna a fare Freccia, o comunque il suo
zio ipotetico, lo scombinato e lunare Loris "Il ballerino" De Martino è da spellare le mani di applausi. Poche balle, questo film l'è il suo
one-man-show, a dimostrazione che è un grande, uno che sa caricarsi sulle
spalle tutta la baracca e sta dietro a un personaggio che non è uno scherzo.
Veste da straccione, ha il capello sporco e il sorriso che mostra solo denti
marci. Ha l'occhio spento che ti guarda male, le ciabatte perennemente ai
piedi, l'aria di chi dorme per terra. Loris diverte (l'Emilia Romagna ha
cadenze che gerenano in automatico simpatia), è fuori come un balcone, un po' scemo e un po' pericoloso nel suo modo di porsi un po' da bambino e
un po' da lupo approfittatore. Ma è soprattutto un perdente. È lurido,
perennemente sballato, cinico, opportunista. Dietro alla melma di facciata che
si è costruito con anni di sballi e di sbagli, Loris nasconde un cuore, ma un
cuore che deve avere le palle di imporsi sul suo cervello fuso. La pellicola
ruota sulla sfida, che è anche sfida sociale, di dargli una nuova possibilità,
investire sul suo cambiamento. E in questo Veloce come il vento non può che
ricordare la sua pellicola - gemella di quest'anno, Lo chiamavano Jeeg Robot:
il nuovo cinema di genere italiano si basa sul messaggio forte di fidarci degli
inaffidabili, dare fiducia ai derelitti e dimenticati, perché costruiscano loro
la società del futuro. Ed è una questione forte, importante e attuale: siamo
tutti un po' perdenti e un po' inadeguati in questo mondo, oggi, e abbiamo
bisogno di storie che ci portino via da questo sconforto, che ci facciamo per
lo meno sognare, per lo meno al cinema, di poterci migliorare e riuscire a
salvare noi stessi, se non il nostro mondo (e per questo motivo film come Noi e la Giulia dovrebbero finire diversamente).
Veloce come
il vento ha tanto cuore e non è solo Accorsi a dare il massimo. Perché c'è da
innamorarsi all'istante della Giulia de Martino di Matilda De Angelis. Un
concentrato di forza e fragilità racchiuse in una donna anagraficamente e
fisicamente ancora stretta in un corpo da bambina. Una bambina che tiene
insieme da sola, con la disperazione e i pugni stretti, la sua piccola
famiglia. Un personaggio positivo, una giovane che riesce ancora, pur con la
strada lastricata di merda che la attende, a credere nel domani. La De Angelis è straordinaria, possiede una sensualità acerba e riesce a passare, in modo non
artefatto, dall'essere bambina a donna. Dona credibilità e spessore al suo
personaggio con la sua fisicità e i suoi occhi grandi, con vestiti troppo da
grande per lei e con quel ciuffo ribelle di capelli blu, che le fa credere
ancora alle favole. Ed è davvero un volto nuovo su cui investire per il nostro
cinema. Fosse nata all'estero reciterebbe già ne Il trono di spade. C'era da
piangere per l'Annarella di Roberta Mattei, quasi un angelo ma dalle ali
spezzate, per via di una vita di eccessi. Vive in un mondo alternativo e
strano, non solo una diversa percezione del reale (inquietante il
"palazzone" dove si riuniscono i tossici), ma cerca disperatamente dei
legami sani, anela a una normalità forse per lei ancora troppo difficile. È un
personaggio tragico a cui ci si affeziona facilmente che Roberta Mattei
costruisce con grande trasporto e attenzione, lavorando con il suo corpo minuto
e fragile fino a far commuovere. E poi ci sono le corse, il motore non sono
emotivo della storia, una continua ricerca di adrenalina ma anche di riscatto.
Le gare costituiscono i momenti più liberatori quanto tesi della
pellicola, quelli in cui Accorsi riesce a dare il meglio. Non c'è il budget
della alta produzione hollywoodiana, siamo più dalle parti di Velocità Massima
con Santamaria, ma tutto funziona e sembra di scorgere la rinascita della
grande scuola anni 69/70 degli stunt-man italiani specializzati negli
inseguimenti. Un marchio di fabbrica e orgoglio nazionale che dobbiamo
recuperare, perché sorprendente ancora oggi. Che siano sui circuiti nazionali o
per le vie cittadine, le corse in auto sono sempre appaganti e divertenti da
vedere, veloci e non scontate. Matteo Rovere gira uno dei suoi film più belli
(anche Gli Sfiorati non era male), ha uno stile asciutto e sintetico (lontano
dal patetismo di molti registi italiani, che con un soggetto come questo ci
avrebbero sguazzato tantissimo), utilizza molto la musica (in scene di
"training" alla Rocky) e riesce al meglio a dirigere tanto gli attori
che le scene più action. Il film che ne esce, anche grazie a un ottimo
montaggio e alle scenografie di una Romagna quasi favolistica, è davvero una
piccola perla che vale la pena di scovare. Se riuscite a trovarlo da qualche
parte... perché Lo chiamavano Jeeg Robot lo si trova agile ancora (e ne
parleremo, tranquilli) e vederli insieme è una libidine che se vi voglio
consigliare dal cuore.
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