Premessa:
mi fa strano parlare di un film su McDonald's quando ormai questi ristoranti
stanno scomparendo dal centro di Milano insieme alle librerie e negozi di
dischi. Ricordo ancora il bellissimo e ora smantellato ristorante con ingresso
a scalinata in San Babila (lo ricordo anche quando era sede dell'italianissimo
Burghi) e ricordo pure quel fiero presidio sotto galleria Vittorio Emanuele,
dai cui tavolini esterni potevi squadrare gli avventori dei ristoranti
esclusivi limitrofi e dirgli: "Ci sono anch'io a guardare la cupola, seduto
con un cono da 90 centesimi". Il ristorante in Cordusio aveva una
splendida luminosità e i primi timidi computer in rete, utilizzabili
gratuitamente. Ora credo ci sia una banca. Oggi la scala sociale si è di nuovo
alzata. Il cuore di Milano è sempre più svenduto a stranieri danarosi intenti
in shopping di lusso, mentre ormai, dopo fast food e negozi di cultura iniziano
a estinguersi pure i cinema. McDonald's lo vivo di sfuggita, nei McDrive, il
panorama che mi viene concesso è una porta che da sui servizi igienici di un
benzinaio. Come direbbe un comico del passato: "Troppo scarso".
Sinossi
fatta male: la ristorazione veloce americana un tempo era diversa da oggi. In
genere si arrivava al ristorante in macchina ma non si scendeva dal mezzo. Si
aspettava invece una bella ragazza sui pattini che correva in una specie di
megaparcheggione, prendendo ordini e consegnando sorridente pietanze poste su
degli strani tavolini che si applicavano direttamente alla portiera delle auto.
E queste roller - gnocche, che hanno inspirato le "ragazze fast food"
di Drive In capitanate dalla indimenticabile Tinì Cansino, tra ordine,
tavolino, consegna cibo, conto, pulizia generale e ricerca di un nuovo
tavolino, spesso si facevano miglia e miglia di pattini, rischiando l'osso del
collo con le vostre patatine maxi sul vassoio e non arrivavano a fine serata
senza almeno quarantasei tentativi di molestie sessuali da parte di avventori
che non erano nel parcheggione esattamente per i panini. Detto così pare una
variante del Rollerball con James Cann...
Panini che erano di diecimila tipi
diversi, taglie diverse e salse diverse, perché in America tutto è grande,
accompagnati da bottiglioni di olio, aceto e birre giganti come corredo base
per ogni "tavolino da auto". E quando il pasto finiva il consumatore
felice sgommava via senza pensieri, mentre qualcuno doveva recuperare bottiglie
di olio superstiti o cadute per terra, vari avanzi organici, le posate
rigorosamente di ferro di ordinanza e un tavolino semi-distrutto. Il tutto
moltiplicato per centinaia di posti. L'american way della ristorazione veloce
come conseguenza di tutto ciò non era poi così veloce, ed era pure in piena
crisi! E Ray Kroc (Michael Keaton), che per vivere piazzava dei pesanti
e giganteschi gingilli per fare il gelato, se ne accorgeva perché di
conseguenza pure lui come fornitore era in crisi nera. Il suo grande sogno
imprenditoriale americano era lontano, la sua vita famigliare un disastro e la
moglie (Laura Dern), per via del suo stare spesso lontano da casa per lavoro,
una estranea. Invece di stare nei migliori fast-food d'America, gli
"aggeggi per il gelato", quella mercanzia ingombrante e già brutta e
non vintage che si ammucchiava nella sua auto gli rimaneva sul groppone, e
questo nonostante le sue capacità da super venditore della Folletto e agli
infallibili manuali motivazionali con cui era in grado di ipnotizzare chiunque.
C'era crisi. Gli ordini non arrivavano e quando arrivavano, per farlo deprimere
di più, erano pure palesemente sbagliati. Come l'ordinativo assurdo
appena arrivatogli da un unico ristorante, rigorosamente in culo al mondo: sei
gingilli per il gelato. Roba che era troppa anche per sei ristoranti, dovevano
sicuramente essersi sbagliati. Kroc li chiama ma loro confermano, ne vogliono
proprio sei e, anzi, forse è meglio otto. E allora Kroc in un viaggio della
speranza e di se stesso parte per conoscere questa gente, i fratelli McDonald,
Dick (Nick Offermam) e Maurice (John Carrol Lynch), "Mac" per gli
amici. Perché sì, i fratelli McDonald's, come Elvis e Babbo Natale esistono!!!
Kroc guarda il loro enorme ristorante, è tutto pitturato di bianco e circondato
da gente felice, gli uccellini cinguettanti sugli alberi e il cielo blu. E vede
il futuro. Niente parcheggione gigante né ragazze sui pattini, ma persone
umane felici che stanno in coda ad aspettare il pasto. Niente forchette e
coltelli di metallo, il panino si mangia avvolto nella carta in un rapporto
diretto, erotico quanto primordiale. Niente bicchieri e bottiglie di vetro,
tutto di carta e monouso, riciclabile, con un vassoio da svuotare in un
raccoglitore a fine pasto. Niente macchine come posti a sedere ma neanche
tavoli tradizionali. Solo le panchine di un parco, in legno, sulle quali
accomodarsi con il proprio cartoncino caldo take away. Un luogo da condividere
con gli estranei insieme al paesaggio del verde di un picnic allargato, emblema
di una socialità diversa da quella che ama stare al volante pigiando il clacson
se la bistecca arrivava tardi. E poi la chicca. Panini. Ok, "pochi
panini" rispetto alle mille scelte di un Fast food medio, ma panini pronti
in pochi secondi, contro i trenta minuti di qualsiasi altro esercizio, grazie
all'ingranaggio umano stile Tempi Moderni proprio di una organizzazione
innovativa della cucina. Tutti si muovono in un balletto, ritmati dal timer
delle patatine e dalla filiera che assegna a fine lavorazione la medaglia a
forma di cetriolino verde. Come novelli prometeo i McDonald's crearono il Big
Mac e i suoi fratelli, panini che arrivano in mano caldi (mentre le rollergirl
dovevano affrontare due gang di stupratori prima di fare una consegna), tutti
democraticamente uguali e perfetti, tutti che costano poco (certo qui si
romanza un po' ovviamente). Kroc non vede S.Pietro sopra il portico, ma ha
una vera visione mistica. Sarà il bianco sfolgorante di quel posto, saranno le
"ali dorate" che ne sono il simbolo, sarà il pasto caldo e subito,
saranno i genitori felici che ti si siedono sulle panchine con i loro
bambini vestiti alla marinaretta pettinati ed educati, a fianco di persone
sconosciute pettinate ed educate. Kroc scopre il connubio tra socialità e
praticità e inizia a pensare in grande, a una chiesa americana capitalistica
proto-hubbardiana fondata sull'American Dream. Prende da parte i due geniali
fratelli, non prima di averli abbracciati come si farebbe con Babbo Natale e
inizia a pensare a espandere il loro grande concetto di cibo veloce in tutta
America, creare un franchise, IL franchise. Ma andrà tutto nel verso giusto?
Riuscirà Kroc a soddisfare una proprietà intellettuale non sua e a garantirne
la qualità a chilometri di distanza? Nel frattempo a seguito di un
combattimento letale con il Mago G, il demone Pennywise ha scuoiato il suo
ancestrale nemico e si è vestito con le sue carni gialle coperte di sangue per
mimetizzarsi tra noi... dicono che ora si faccia chiamare Ronald McDonald.
- La
nuova chiesa d'America: John Lee Hancock torna a raccontarci l'America e il
Sogno Americano con i suoi alti vertiginosi e bassi tristissimi. Storie di
grande intraprendenza ed entusiasmo, vissute con occhi spalancati e sognanti da
bambino ma che presto si trasformano in complotti e bassezze di individui grigi
e tristi che non vogliono a nessun costo dividere con nessuno il
"tesssssooooroo". I sognatori non sempre vincono nelle favole
moderne di Hancock, soprattutto se hanno in mano le carte sbagliate della vita.
E così soccombeva lo splendido Kevin Costner perdente di una delle sue prime
sceneggiature, Un mondo perfetto. E finiva come tutti sanno la storia, con
"s" maiuscola, da lui adattata per Alamo. Col tempo Hancock ha però
cercato di infondere più speranza e meno tristezza nelle sue opere. Conquistata
una (meritatissima) sedia da regia (e messa momentaneamente da
parte la sceneggiatura) ci ha raccontato la bella favola di riscatto di The
Blind Side e ha dato cuore e volto rassicurante a un personaggio gigantesco
quanto controverso come Walt Disney in Saving Mr Banks. Ed oggi eccolo
avventarsi sui panini di McDonald's, già precedentemente addentati
cinematograficamente dal critico Morgan Spurlock in Super size Me. Ma al di là
del sacrosanto "dai a Cesare", ossia il riconoscimento di un successo
mondiale nell'industria del panino (celebrato anche attraverso delle scene
molto lisergiche e intense come quella del campo da basket), Hancock non
lesina critiche ai McDonald's brothers e al piazzista di macchine per gelato
Ray Kroc. E' anche questo un film sul successo che non dipana le mille ombre di
persone che vivono esistenze, in fin dei conti, non troppo felici. Anche i
ricchi piangono, diremmo se scrivessimo a inizio anni '80. E vedere dei giganti
con i piedi d'argilla ci da sempre la voglia di tifare per loro, volergli quasi
bene. Merito indubbio di questo "transfert emotivo" ricade
sulla ottima penna di Robert D. Siegel, che già ci aveva tutti commossi con la
sceneggiatura dell'umanissimo e perdente Wrestler di Mickey
Rourke. I fratelli McDonald's raccontati da Siegel sono in grado di
muovere i dipendenti del loro ristorante come autentici direttori d'orchestra,
hanno coerenza e i piedi ben piantati per terra, ma forse sono loro stessi
troppo piantati per terra. Impantanati nella campagna americana e nei suoi
codici morali. Dal punto di vista della interpretazione Offerman dona a Dick,
il fratello più grande, una calma quasi zen, i modi gentili ma risoluti di chi
tratta con rispetto tanto le persone che le pietanze e un autentico brillio da
vero genio negli occhi. Ma al contempo lo ammazza con una flemma e una mania
per la burocrazia quasi autodistruttiva. Il Mac di Carroll Lynch, il McDonald's
più piccolo, è il cuore emotivo di questa piccola famiglia, un ormone buono e
vulnerabile dagli occhi tristi e sinceri, spaventato dal mondo e dai suoi
intrighi e amante della sincerità. Da oggi vi sfido a mangiare un Big Mac
senza pensare a lui. Se l'impero del panino si basa quindi sul duro lavoro di
questi piccoli e geniali uomini, il successo del brand lo si deve ad una
scheggia impazzita e incontrollata, il camaleontico, complicato e scapestrato
Kroc interpretato da Michael Keaton. Un bravo ragazzo che presto diventa un
venditore di successo, per poi cadere nel baratro del fallimento e risalirci
diventando una star, poi un guru, poi quasi un santone hubbardiano, poi un mega
imprenditore di successo. E ad ogni step consegue maggiore successo e maggiore
dose di cinismo. Come uno squalo, Kroc punta a mangiare e mangiare sempre di
più in una perenne lotta di sopravvivenza che non conosce quartiere e che forse
non conosce nemmeno senso, visto che ha una famiglia felice e anche un
considerevole stipendio. Keaton, che interpreta un ruolo da Oscar, riesce con
la sua grande abilità e ironia a renderci umano e quasi accettabile un mostro
dell'industria come Kroc, al punto che non riusciamo a volergli male come al
Mark Zuckenberg di Jesse Eisenberg. Perché il suo Kroc sembra davvero credere
nel prossimo e nel sogno americano, sembra importargli davvero il fatto di non
schiacciare troppe persone nella sua corsa al successo, sembra avere a cuore i
bravi ragazzi americani senza lavoro o sottopagati, ascolta le idee innovative.
Ti sorride e stringe la mano appena ti vede e noi ci immedesimiamo in lui
quando lo vediamo triste correre miglia e miglia della highway con i suoi
cosi per il gelato, quando lo troviamo mangiare male in coda presso qualche
fastfood a casa di dio, litigare con tacos, frigoriferi, politici, cantanti
folk, tasse, terreni, la moglie e il vicinato. Kroc è uno di noi, un perdente,
ma un perdente tenace che insegna al mondo, con il suo esempio, che dove non si
ha fortuna si può sempre avere la tenacia. Non è un personaggio positivo forse,
ma è umanamente confortante e come lo interpreta Keaton alla fine si fa pure
volere bene. Certo non gli vorremo mai bene come al Walt Disney di Tom Hanks di
Saving mr Banks, ma questa è un'altra storia.
- in
conclusione: The Founder funziona, diverte e intrattiene alla grande per le sue
due orette complessive di durata. Hanckoch è molto bravo a dirigere gli attori
e a dipanare in modo chiaro una trama che è anche una bella parabola della
storia recente americana, un mondo in cui fa luce di sé un sistema
capitalistico amaro e disilluso quanto basta, ma ancora capace di mostrare un
volto umano. Se proprio dobbiamo muovere una critica a questo lavoro, dobbiamo
rilevare un piccolo strappo di trama prima dell'ultimo atto, un passaggio
importante e complicato che forse avviene con troppa velocità per essere
metabolizzato. Ma rimane un peccato veniale di una pellicola che vi consigliamo
caldamente di vedere in sala, per apprezzare al meglio anche la splendida
ricostruzione storica dei ruggenti anni cinquanta di una California da
cartolina. E' product placement? Forse un po', ma sicuramente di lusso e con il
coraggio di una sana autocritica.
Talk0
Trivia: sono nati prima gli Happy Meal o i Kinder
Sorpresa? I Kinder, 5 anni prima, nel 1974.
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