mercoledì 25 maggio 2016

Dylan Dog i colori della paura: Ancora un lungo addio

 Testi: Barbato; disegni e colori Carmine di Giandomenico



"Il lungo addio", numero 74 della collana, è una delle storie più belle e amate del nostro indagatore dell'incubo, una vera e propria "origin story" a firma del Maestro Sclavi (che ad ottobre tornerà a raccontarci una storia sul mensile, non vediamo l'ora) in cui si trovano un sacco di risposte (forse addirittura "tutte" le risposte) su quello che il personaggio rappresenta nel modo più profondo, intimo, nel suo rapporto con il lettore. Ambrosini in una allora inedita e suggestiva mezza tinta illustrava un Dylan giovane, in fuga da una quotidianità che non ci è ancora stata (e spero non lo sarà mai) raccontata, in vacanza a Moonlight, alla ricerca di calma e serenità in mezzo al mare azzurro. Qui incontra Marina, una ragazza del posto, e vive insieme a lei il suo vero primo grande amore, compie la sua prima avventura a caccia di mostri, trova la sua pistola, intraprende la ricerca di un galeone, affronta e sconfigge la sua paura per il vuoto e infine trova persino il suo look tipico, con giacca nera e camicia rossa. Poi l'amore si spezza, come l'estate finisce. Dylan rimane anche lui "spezzato", fermo nel fotogramma di quell'attimo. Prigioniero per sempre di quei vestiti, della pistola, del raggiungimento - completamento di un galeone, della vertigine. Cacciatore di mostri e Peter Pan per professione. Non avrà più relazioni più lunghe di quella estate (tranne in un "else-world di morti viventi e vivi morenti, tranne la questione Morgana e i mal chiariti dubbi edipici che si porta dietro) e seppure Marina non fosse mai stata citata prima o dopo di questo numero, seppure Sclavi non la avesse (forse) ancora pensata, da quel momento è sempre esistita, scolpita indelebile in tutte le storie passate e future e nel cuore dei fans. Era la storia che precedeva tutte le storie, che nell'universo sclaviano "accadevano" tutte nello stesso momento. L'unica coordinata di tempo fino che arrivasse un numero che segnasse la fine di tutto, nel ritorno in quel de "La zona del crepuscolo". Forse il vero "the end" dell'epoca. Poi come sappiamo la storia è cambiata.
All'epoca de "Il lungo addio" iniziavo il liceo e Dylan mi aveva già accompagnato da un po' di tempo, è stato il mio primo "amico di carta" perché in fondo prima leggevo solo i Topolino. E topolino mi è sempre stato un po' sui coglioni. I manga arrivarono dopo, con Zero e Mangazine, della Granata Press, ma questa è un'altra storia. Dylan viveva il mio tempo, fine anni '80, nella Londra "che sapeva di Bufalora" che amavo e sognavo, tra i mostri umani e umani mostri della porta accanto. Anch'io amo il numero 74 e per me è stato bello ritrovarlo in questo "seguito a colori" per la collana dal formato più "ammerrigano", con la stessa formula che ha già omaggiato, a firma Recchioni, lo storico numero uno. E non ho davvero che ringraziamenti da fare, sinceri, per questa piccola perla di Paola Barbato per i disegni del sempre più straordinario (Amazing in tutti i sensi) Carmine Di Giandomenico. E' una love story dove il peggiore dei "mostri del mese" è il passato. Un passato bellissimo anche perché inarrivabile, perché la vita va avanti e nel farlo non può che esaurirsi (oggi mi sento molto positivo...). Un passato che di notte ci bussa nei sogni facendoci rimpiangere quella volta che "poteva andare diversamente ma è andata così", ricordandoci quanto erano belli i colori, il mare, le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi... Il primo amore e la giovinezza. La vera "Arcadia" che nascondiamo dentro di noi, il posto felice del momento perfetto. E come Captain Harlock "cavalca" la sua Arcadia, la sua giovinezza e simbolo di libertà, uguale fa anche il nostro Dylan, in quello che già alla lettura del fumetto originale appare come un preoccupantissimo e amabile complesso di Peter Pan. Solo che gli anni sono passati, insieme ai bei momenti. Non voglio davvero aggiungere altro, non rovinarvi la lettura. Come detto per il remake recchioniano del numero 1, anche questo numero è tratto da un episodio classico, ed è un "brano evergreen", che anche se sentito e risuonato con strumenti diversi , da una filarmonica o in spiaggia con i bonghi, ha sempre un fascino incredibile. La Barbato accoglie la sfida del confronto con Sclavi aderendo ossequiosamente al modello originale, dosando bene le emozioni senza mai strafare, trovando il giusto equilibrio per esprimere i forti sentimenti che la storia comporta. Di Giandomenico fronteggia ugualmente bene il lavoro grafico del grande Ambrosini, lo omaggia (anche lui) rimanendo molto fedele all'originale e lo impreziosisce con tavole calde e avvolgenti (quelle del passato) e tavole fredde e solitarie (quelle del presente). Fa esplodere il colore che all'epoca forse non si poteva ancora esprimere, magari a livello materialmente economico, se non per un numero che fosse un traguardo numerico importate. E tutto funziona. Come le foto del mare del 1989, perdonatemi la citazione autobiografica, questo numero è un frammento di giovinezza che sento anche un po' mia. Ma credo che tutti troveranno dentro a questa storia qualcosa che inevitabilmente si lega ai loro ricordi. O almeno spero. 
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