Testi: Barbato; disegni e colori Carmine di Giandomenico
"Il
lungo addio", numero 74 della collana, è una delle storie più belle e
amate del nostro indagatore dell'incubo, una vera e propria "origin
story" a firma del Maestro Sclavi (che ad ottobre tornerà a raccontarci
una storia sul mensile, non vediamo l'ora) in cui si trovano un sacco di
risposte (forse addirittura "tutte" le risposte) su quello che il
personaggio rappresenta nel modo più profondo, intimo, nel suo rapporto con il
lettore. Ambrosini in una allora inedita e suggestiva mezza tinta illustrava un
Dylan giovane, in fuga da una quotidianità che non ci è ancora stata (e
spero non lo sarà mai) raccontata, in vacanza a Moonlight, alla ricerca di
calma e serenità in mezzo al mare azzurro. Qui incontra Marina, una
ragazza del posto, e vive insieme a lei il suo vero primo grande amore, compie
la sua prima avventura a caccia di mostri, trova la sua pistola, intraprende la
ricerca di un galeone, affronta e sconfigge la sua paura per il vuoto e infine
trova persino il suo look tipico, con giacca nera e camicia rossa. Poi l'amore
si spezza, come l'estate finisce. Dylan rimane anche lui "spezzato",
fermo nel fotogramma di quell'attimo. Prigioniero per sempre di quei vestiti,
della pistola, del raggiungimento - completamento di un galeone, della
vertigine. Cacciatore di mostri e Peter Pan per professione. Non avrà più
relazioni più lunghe di quella estate (tranne in un "else-world di morti
viventi e vivi morenti, tranne la questione Morgana e i mal chiariti dubbi
edipici che si porta dietro) e seppure Marina non fosse mai stata citata prima
o dopo di questo numero, seppure Sclavi non la avesse (forse) ancora pensata, da
quel momento è sempre esistita, scolpita indelebile in tutte le storie passate
e future e nel cuore dei fans. Era la storia che precedeva tutte le storie, che
nell'universo sclaviano "accadevano" tutte nello stesso momento.
L'unica coordinata di tempo fino che arrivasse un numero che segnasse la fine
di tutto, nel ritorno in quel de "La zona del crepuscolo". Forse il
vero "the end" dell'epoca. Poi come sappiamo la storia è cambiata.
All'epoca de "Il lungo addio" iniziavo il liceo e Dylan mi aveva già
accompagnato da un po' di tempo, è stato il mio primo "amico di carta"
perché in fondo prima leggevo solo i Topolino. E topolino mi è sempre stato un
po' sui coglioni. I manga arrivarono dopo, con Zero e Mangazine, della Granata
Press, ma questa è un'altra storia. Dylan viveva il mio tempo, fine anni '80,
nella Londra "che sapeva di Bufalora" che amavo e sognavo, tra i
mostri umani e umani mostri della porta accanto. Anch'io amo il numero 74 e per
me è stato bello ritrovarlo in questo "seguito a colori" per la
collana dal formato più "ammerrigano", con la stessa formula che ha
già omaggiato, a firma Recchioni, lo storico numero uno. E non ho davvero che
ringraziamenti da fare, sinceri, per questa piccola perla di Paola Barbato per
i disegni del sempre più straordinario (Amazing in tutti i sensi) Carmine Di
Giandomenico. E' una love story dove il peggiore dei "mostri del mese"
è il passato. Un passato bellissimo anche perché inarrivabile, perché la vita
va avanti e nel farlo non può che esaurirsi (oggi mi sento molto positivo...).
Un passato che di notte ci bussa nei sogni facendoci rimpiangere quella volta
che "poteva andare diversamente ma è andata così", ricordandoci
quanto erano belli i colori, il mare, le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi... Il primo amore e la giovinezza. La vera "Arcadia" che nascondiamo
dentro di noi, il posto felice del momento perfetto. E come Captain Harlock
"cavalca" la sua Arcadia, la sua giovinezza e simbolo di libertà,
uguale fa anche il nostro Dylan, in quello che già alla lettura del fumetto
originale appare come un preoccupantissimo e amabile complesso di Peter Pan.
Solo che gli anni sono passati, insieme ai bei momenti. Non voglio davvero
aggiungere altro, non rovinarvi la lettura. Come detto per il remake
recchioniano del numero 1, anche questo numero è tratto da un episodio classico, ed è un "brano evergreen", che anche se sentito e risuonato con
strumenti diversi , da una filarmonica o in spiaggia con i bonghi, ha sempre un
fascino incredibile. La Barbato accoglie la sfida del confronto con Sclavi
aderendo ossequiosamente al modello originale, dosando bene le emozioni senza
mai strafare, trovando il giusto equilibrio per esprimere i forti sentimenti
che la storia comporta. Di Giandomenico fronteggia ugualmente bene il lavoro
grafico del grande Ambrosini, lo omaggia (anche lui) rimanendo molto fedele
all'originale e lo impreziosisce con tavole calde e avvolgenti (quelle del
passato) e tavole fredde e solitarie (quelle del presente). Fa esplodere il
colore che all'epoca forse non si poteva ancora esprimere, magari a livello
materialmente economico, se non per un numero che fosse un traguardo numerico
importate. E tutto funziona. Come le foto del mare del 1989, perdonatemi la
citazione autobiografica, questo numero è un frammento di giovinezza che sento
anche un po' mia. Ma credo che tutti troveranno dentro a questa storia qualcosa
che inevitabilmente si lega ai loro ricordi. O almeno spero.
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