venerdì 29 novembre 2013

Noah

Trailer del prossimo colossal in uscita nel 2014

Ci son due coccodrilli ed un tirannosauro, due piccoli serpenti, un'aquila reale... no aspetta, devo aver già sbagliato qualcosa...
Il regista del Cigno Nero Darren Afronofsky si sobbarca un bel colossal di biblica portata (ma anche oltre-bilbica, considerando che il mito del diluvio universale ricorre in tantissime culture) di cui firma anche la sceneggiatura. Russel Crowe, mio attore preferito a prescindere da qualunque parte interpreti (ma solo io sto aspettando il seguito del Robin Hood di Scott? Quello che non vogliono più fare né Crowe né Scott?) sembra avere la cazzimma giusta per interpretare Noè, quella specie di aura mistica da Charlton Heston (Ben Hur) o Jim Caviezel (The Passion) o Raz Degan (Mistero). E se proprio devi ripopolare il mondo dopo il diluvio farlo con Jennifer Connelly non deve essere così male. Nel cast anche Ermione (Emma Watson), di cui sto seguendo con interesse la carriera in attesa che prima o poi, maggiorenne bene inteso, un ruolo da zozza lo tirerà fuori. Nel cast anche un milione di altri tizi tra cui Anthony Hopkins, Ray Winstone e tanti altri. Scorrendo imdb e quindi SPOILER pare avremo pure la partecipazione di Adamo ed Eva FINE SPOILER 

Bene, che ci comunica ai noi della redazione de Le conseguenze questo trailer? Allora fighi i completini da Signore degli Anelli di Crowe e le battaglie Noah contro “resto del mondo” (in tutti i sensi) in cui il nostro eroe con aiuti divini stende le moltitudini. Belli gli effetti speciali. Tamarrissima quella specie di Excalibur infuocata che brandisce il nostro eroe. Troppo coperta la Connelly per stimolare l'incipiente compito-dovere di ripopolazione planetaria. Emma Watson... ancora in attesa di giudicarla in una parte zozza. E poi la scena dell'arca di Noah con tutti gli animali, che a me rimembra la riproduzione fedele della stessa in legno costruita da un povero pastorello e distrutta da un'ingrata bastarda nel cartone animato che ha segnato in peggio tutta la mia vita futura



ho ancora dei traumi...
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giovedì 28 novembre 2013

Old Boy – il remake di Spike Lee



Un uomo vive segregato da anni, in punizione, tra le pareti di una stanza d'albergo dalla quale non può uscire. Il motivo per cui è lì nemmeno se lo ricorda. Ricorda di essere stato una brava persona, di aver voluto bene a tutti. Qualcuno deve però odiarlo tanto, l'uomo nella stanza ha compiuto qualcosa di irreparabile e pertanto deve essere prosciugato di tutta la sua vita, costretto a guardare il mondo che scorre attraverso un televisore, per anni e anni. Ma l'uomo ha indole forte, il recluso trova anch'egli nell'odio la sua ragione d'essere, al punto che ogni minuto di reclusione viene dedicato alla fortificazione del corpo quanto dell'anima. Non sa perchè è lì dentro, ma appena si apriranno le porte farà una strage di tutti i secondini e mandanti e solo in seguito si reimpossesserà della sua vita. Poi un giorno si sveglia all'interno di una scatola che apre con il suo peso, è di nuovo all'aria aperta. In cerca di vendetta e risposte. Che arriveranno dure. Non è libero, qualcuno lo ha volutamente liberato per continuare a muoverlo a distanza come un burattino. Qualcuno che cova ancora rancore.

Nel 2003 usciva il secondo film della trilogia della vendetta (il primo è Mr Vendetta, il terzo sarà Lady Vendetta... trovate la trilogia in un bel cofanetto della Dolmen che vi consiglio) di Park Chan-Wook, Old Boy, basato su un manga di successo di Garon Tsuchiya. I tre film parlano appunto della vendetta, la pulsione animale a “regolare i conti” per i torti subiti presentando tre situazioni limite. Old Boy è sicuramente il film più riuscito del trittico e ha avuto anche importanti riconoscimenti in ambito internazionale, nonché il classico "Tarantino approved" in copertina. Un film duro come un pugno allo stomaco, viscerale, cattivo ma anche profondamente ironico, di cuore, carico di lirismo e girato in un modo quasi poetico. Un film completo in tutte le gamme si può dire. Per molti è uno shock soprattutto perchè Park Chan-Wook è straordinariamente bravo nella scelta delle inquadrature, misurato nel dosare le scene più cruente, eccelso nel dirigere i suoi attori: perché un tale regista era ancora tanto misconosciuto in occidente? Min-Sik Choi interpreta “l'uomo nella scatola”, Dae-su Oh, e la sua è un'interpretazione straordinaria, da brivido. L'attore subisce in prima persona anche la metamorfosi fisica del personaggio passando da rubicondo cicciottello a derelitto anoressico, in seguito all'inizio del suo periodo di detenzione, arrivando a una massa di muscoli perfettamente scolpita. Di contro da personaggio superficiale, comico e alcolizzato l'attore muta in ostaggio vittima di paranoie e ossessioni fino all'ultimo stadio, la resurrezione quasi a killer senza scrupoli a cui seguirà un progressivo ritorno all'umanità. Un'interpretazione difficile, sfiancante, che negli anni mi ha fatto pensare, in ragione di un molto probabile remake americano che avrebbe prima o poi preso forma ( e infatti siamo qui...) all'utilizzo di un attore come Christian Bale, capace di passare da L'uomo del Treno a Batman. Anche per il regista avrei senza dubbio optato per l'autore delle due pellicole appena citate, Nolan, soprattutto per l'aria che si respira nel suo Memento e le suggestioni del suo Inception, ottimi “sogni paralleli” in cui ambientare un american Old Boy.
C'è un problema però. Old Boy è un dannatissimo capolavoro. Un film estremo, non per tutti, decisamente violento e disturbante, ma a ogni modo un film che si ricorda, che si insinua nella mente dello spettatore da cui non esce più, anche per il suo agghiacciante finale. Riusciranno gli americani a rifarlo, con la stessa forza e dolore? La sfida la raccoglie il mitico Spike Lee, regista decisamente discontinuo (vedi gli obbrobriosi Miracolo a Sant'Anna e Girl 6, il troppo lungo Malcom X) ma in grado di autentiche perle (He got game, la venticinquesima ora). Dae-su ha di sicuro qualcosa in comune con il Norton della Venticinquesima ora o con il Washington di He Got Game. La scelta del regista mi appare quindi appropriata; Lee è dotato dello spirito giusto per reinterpretare il film di Park Chan-Wook. L'attore è però altrettanto importante, si può dire che in questa pellicola faccia da solo il 70% del lavoro su schermo. Josh Brolin è il nuovo uomo nella scatola. Un attore spesso relegato alle secone file che di recente sta acquisendo sempre più (meritata) fama nei ruoli da “duro” o “cowboy”, come nei recenti Jonah Hex, Gangster Squad e Men in Black 3 e nel futuro sequel di Sin City. Ma Brolin sa essere più di un duro riuscendo a toccare registri ben diversi, lo dimostrano ruoli come quello del fratellone in Goonies nel suo inizio di carriera e soprattutto il ruolo dell'idiota in Non è un paese per vecchi, che tanto ricorda il Dae-su prima maniera, pre-ingabbiamento. Un attore interessante e anche auto-ironico (vedasi la voce Planet Terror) che quindi pare cucito per la parte. Vediamo un trailer quindi del nuovo allestimento:



Il film è in uscita dal 5 dicembre dalle nostre parti. Il paragone con l'originale è decisamente pesante e si affianca alla canonica considerazione: “Perché voler rifare un film già perfetto?”. Ad ogni modo, vi faremo sapere. 
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mercoledì 27 novembre 2013

Dead Snow e il suo sequel


Nel mondo dei film dell'horror non esiste posto che non nasconda qualche oscura maledizione, non importa quanto la location sia fuori mano! Ne fanno le spese un gruppo di studenti di medicina che decidono di recarsi in una baita di montagna per passare il classico fine settimana sulla neve. Il posto è ricoperto di neve e serve una lunga camminata per raggiungerlo nonché un bel po' di tempo per riscaldarlo. Ma non appena tutti sono al calduccio e belli allegri ecco che arriva il classico personaggio oscuro, un montanaro menagramo, pronto a vendergli la maledizione locale. I nazisti durante la guerra avevano in pugno il territorio e avevano privato di ogni bene gli abitanti del luogo provocando sevizie di ogni genere. Per reimpossessarsi del maltolto i locali sono insorti contro di loro riuscendoli a disperdere tra le montagne, dove i soldati hanno trovato morte per assideramento. Ma da allora qualcuno di loro vaga ancora tra i monti, come non morto, elargendo morte e rivendicando il loro bottino di guerra. Certo, sono tutte storie...

Tommy Wirkola filma con Dead Snow il sua lasciapassare per Hollywood, che lo accoglierà permettendogli di realizzare il suo personale riadattamento in salza raimiana di Hansel e Gretel. E c'è da dire che se lo è proprio meritato! In un tripudio di battutacce da dark commedy e smembramenti vari Dead Snow è il perfetto B-movie scacciapensieri, accattivante e sgangherato quanto basta per una bella serata tra amici. Tutto è volto al massimo disimpegno possibile e se accettate di prendere il film per la piega giusta passerete un'oretta e mezza divertente. Partiamo dai personaggi. Molto “terra terra” e del tutto incompatibili con i classici mascelloni monoespressivi della maggior parte dei brutti horror moderni, rappresentano coglionazzi (Fantozzi cit.) tra cui tutti, chi più chi meno, potrebbero ritrovare loro amici o conoscenti. Persone bruttine, un po' sgangherate, un po' volgarotte per le quali, anche solo a livello subliminale, non possiamo che parteggiare in quanto è facile riconoscersi tra noi “normali” e non attori. Certo spero di non venire a sapere che qualche mio amico ha avuto un amplesso su una turca mentre espleta funzioni corporali (una delle scene del film), ma sono proprio cretinate di questo tipo che descrivono al meglio la tragicomicità della vita. Appurato che si stanno simpatici e che non lesinano battutacce e situazioni ridicole anche quando non servirebbe ecco che abbiamo i mostri del giorno, i nazi-zombie. Molto più intelligenti di uno zombie classico, in quanto ancora dotati di rudimentali tecniche di combattimento che includono anche l'uso di armi da fuoco, agiscono con finalità non diverse dalla ciurma di Barbossa, ma si rivelano in ogni caso degli avversari piuttosto sfigati, non fosse per il loro numero sul campo, drammaticamente tendente ad infinito. Ben intruppati e armati, con tanto di “Big Daddy” in versione kapo che fa molto Darth Vader, i nazi-zombie sono una gioia da vedere smembrati, dimezzati, impalati, triturati, sparati, affettati e rosolati dai nerdacci antieroi della pellicola. Il sangue scorre a fiumi con la gioiosa incoscienza dei primi lavori di Jackson e per gli amanti dell'emoglobina c'è da divertirsi anche in relazione di uno svolgimento dell'azione che è sì abbastanza canonico, ma che regala, proprio per le peculiari caratteristiche di personaggi resi al meglio da una divertita interpretazione degli attori, pure scene inaspettate e spettacolari. I nostri nerdacci messi a tritare zombie sono delle autentiche furie, perfino se hanno stampata in volto la denominazione di vittima designata! Vi troverete a fare il tifo per loro in una maniera che non vi aspettereste.


Tuttavia la paura latita, se non è proprio del tutto assente, e questo aspetto potrebbe non piacere ad alcuni integralisti dello zombie-movie più cupo e serio. Precisiamo, non è assolutamente un capolavoro ma a ciò nemmeno si mirava. Una pellicola “stupidina” magari, ma di quelle da riguardare con affetto. Dead Snow è un B-movie divertente e dissacrante, fortemente spinto sulla strada della parodia di genere, realizzato con mezzi piuttosto contenuti tanto per attori che per effetti. Ma è uno spasso e tanto basta. Solo per veri catecumenti ( Ciak cit.) 
E il sequel? Purtroppo per ora non si farà, la campagna fondi su "Indieagogo" non ha dato i frutti sperati... ancora per qualche tempo i nazi-zombie rimarranno nel freezer. Attenti ad aprire il vostro!
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giovedì 21 novembre 2013

Prometheus e il suo quasi sequel


Siamo soli nello Spazio? Chi ci ha creato e perché? Possibile che siamo sulla Terra solo per un colpo del destino? Sono queste le domande che da sempre affliggono l'esistenza umana. Del resto il furto del fuoco agli dei da parte di Prometeo per donarlo agli uomini, rappresenta la brama di conoscenza, il desiderio di avvicinamento, anche solo intellettuale, dell'uomo alla divinità. La ricerca di uno scopo nella vita spesso sembra non poter prescindere da una “approvazione dall'alto” che stiamo percorrendo la via giusta, magari una via sicura e diritta tracciata da secoli da chi è venuto prima di noi. É in fondo l'approvazione del padre cui da sempre ambisce il figlio e per molti è la suggestione che ha dato inizio alle religioni, il senso della vita. Da sempre ci sono altresì suggestioni che la razza umana sia figlia di popoli extraterrestri (aspetto che per me comunque non risolve “da chi veniamo”, ma sposta il problema su “chi ha generato chi ci ha creato”). 
Ma finalmente la scienza, nel caso del nostro film l'archeologia, sembra aver trovato una risposta che tanto bramavamo: non siamo soli. L'analisi di alcuni strani simboli riscontrati in remote parti del mondo è lampante e va oltre ogni tipo di scoperta. É stato trovato uno Stargate!.. No, come non detto... Sono state trovate delle coordinate che rimandano a un certo indirizzo spaziale e ora che gli uomini possono utilizzare navi spaziali per spostarsi in un vacanziero agriturismo su Saturno è possibile andare fisicamente a conoscere i nostri genitori spaziali. É così che archeologi, scienziati vari, militari e novelli androidi si imbarcano in una spedizione spaziale fortemente voluta da quella che appare da subito come una loschissima doppiogiochista società segreta a designazione plutocratica. Come andrà il viaggetto?

La notizia del ritorno di Ridley Scott alla fantascienza si era propagata in rete come una incontrollata deflagrazione. Quando le voci di corridoio iniziarono a focalizzarsi e a fare luce sul tema della prossima pellicola del maestro e i suoi legami più o meno evidenti con il primo Alien, il fandom è letteralmente esploso. Da ogni luogo sulla Terra ove risiedeva un fan degli xenomorphi schifoidi biboccacciuti e insettoidi venivano innalzate preghiere propiziatorie per il buon esito dei lavori. Oltre a chiedere un cast degno, effetti spettacolari, scenografie da urlo e una storia dinamica e divertente le preghiere dei veri fans erano mirate, chirurgiche all'esorcismo dell'unico, storico nemico della saga di Alien: l'insana mania risparmiosa dei produttori. Perchè non basta reclutare il top del top, bisogna anche fornire i fondi adatti ad uno spettacolo di fantascienza con le contropalle. È stato il braccino corto del produttori, unito ad alcune fisime da diva di Sigurney Weaver, a minare Alien 3. è stato il braccino ancora più corto dei produttori, in seguito alla tiepida accoglienza di Alien 3, a portare la saga, con Alien – La clonazione, nel territorio dei b-movie (pur cazzari e spensierati ma comunque b-movie). Così depauperati, gli alieni scolpiti da Giger hanno smesso di essere lo spettro bio-meccanico della natura che si fa largo con bava acida tra strutture simbolo di una decaduta tecnologia futuribile. Non potendo più (economicamente) bene rappresentare la loro ragione d'essere, ossia più che alieni rappresentare “un luogo infetto”, gli Xenomorphi si erano nel tempo ridotti a meri Gremlins o al massimo a dentuti velociraptor, buoni ad essere declassati a nemici dei tamarri Predators (tamarri ma figherrimi! Già vi anticipo che noi li amiamo tutti... preparatevi a post tematici su ogni singolo Predator! Non dico su ogni singolo film su Predartor ma proprio su ogni personaggio!!!). 

Nonostate tutto film che hanno venduto, ma con un po' di amarezza per “quello che avrebbero potuto essere”. Si vede che con il tempo le cose cambiano. Perché con il ritorno di Ridley Scott, supportati dal clamoroso successo della fantascienza di Avatar, i tizi della Fox hanno deciso di tornare a investire di brutto. Benedetta da un budget stellare e sotto la guida del regista che ha principiato la saga di Alien, la nuova pellicola annoverava attori di alto calibro come Noomi Rapace (esule dalla viscerale interpretazione di Millennium), Michael Fassbender (nuovo grosso nome di Hollywood, e non lo dico solo perchè ho visto Shame), Chalize Theron, Idris Elba, Guy Pearce. Prometheus era pronto per essere girato, ma voleva da subito andare oltre. Nasceva con la determinazione di essere qualcosa “d'altro” rispetto al canonico Alien (alcuni dicono che nascesse come opera del tutto svincolata da Alien, ma francamente ci credo poco), un percorso autonomo che doveva toccare la saga classica ma con le qualità per essere anche qualcosa di diverso dal canovaccio noto di caccia all'alieno. Se Alien parlava dei pericoli insiti nella tecnologia e della paura dell'ignoto, Prometheus mirava a parlare delle contraddizioni della religione, dell'annoso dilemma se esista un Dio e se questo sia buono, come (ovviamente) della lotta dell'uomo contro la (im)mortalità dell'anima. Un tema che è proprio di molta fantascienza classica, suggestivo, che rimanda ai temi mistici, agli alieni-demiurghi. Ancora una volta tuttavia, i produttori hanno deciso di strafare. 

Se per Alien 3 e 4 la parola d'ordine era contenere i costi e passare all'incasso, per Prometheus, sempre nell'ottica di massimizzare i costi, si è deciso di serializzare il prodotto. Da subito. Per farlo nel modo più cool possibile, così che piaccia ai ggggovani, la sceneggiatura è stata messa nelle mani di Damon “ Satana” Lindelof. Sì, è lui, il prezzolato killer del buon senso, l'uomo capace di mandare in merda un racconto breve di tre pagine per farne una insensata trilogia filmica. L'uomo che in tempi recenti ha cacato sulla sceneggiatura di World War Z. Satana prende Prometheus e lo devasta. Di colpo alcuni personaggi della sceneggiatura che dovrebbero essere timidi scienziali diventano degli idioti suicidi “perché fa ridere”, altri impazziscono, altri diventano eroi suicidi senza uno straccio di spiegazione logico-emotiva. Ma c'è di peggio! La trama viene tanto rimaneggiata da essere afflitta da voragini di sceneggiatura con la precisa intenzione di “spiegheremo le cose nel prossimo film” e stringi stringi l'intera pellicola si riduce a essere (in negativo, nell'ottica copia-incolla) moooolto simile a un Alien classico. Il guaio, esattamente come di recente successo per World War Z, è che con un solido backgroud alle spalle, attori bravissimi, musiche ispirate ed effetti speciali da spacca-mascella conditi nel migliore 3d possibile, la pellicola risulta a ogni modo visivamente e auditivamente eccelsa. Il classico spettacolo che “deve” essere visto a tutti i costi se non altro con l'ottica che “le montagne russe non saranno poi latrici di chissà che trama ma sono comunque divertenti”. 
Così il film esce in America e fa il botto. Nonostante oltreoceano giungano malumori per il “capolavoro” sceneggiato da Lindelof e nonostante il film giunga da noi con un ritardo imbarazzante (roba che in America già lo trovavi a 2 dollari nel cestone del mediaworld locale insieme a un film con Beppe Convertini) tutti andiamo in massa a vederlo, tacciando di blasfemia Tarantino che esprimendosi su Prometheus dichiarava di aver trovato “stupidini” alcuni passaggi della sceneggiatura. Come è stata all'epoca la mia reazione, figlia del marasma mentale post visione e con un po' di alcool in corpo? “Figata totale! Ma sta cosa del fango, della terra... fa troppo Gladiatore ipermistico! Effetti paiura!! La Theron è sempre una strafiga e la Rapace con le sue guanciotte non c'entra una fava con la parte ma mi farei pure lei! Fassbender supremo, il mio nuovo androide di Alien preferito!! Figata la scena “operatoria”!! Quando esce il prossimo? Certo che gli scienziati babbei... ma che gli piglia di colpo ad Elba? Certo che quella scena è un po' ricalcata da qualcosa di già visto... ma chissene! Cazzofigata!!! ”Già il giorno dopo e senza una super Tennents in circolo: “ Mamma che cesso di film ho visto ieri!! Il tombino di tutte le trame scritte a cacchio!! Un bambino di 3 anni ha più fantasia, logica e non copierebbe neanche! Ma la Rapace che ha fatto agli zigomi? Fassbender è un po' trattenuto, ma di contro non può girare sempre nudo. Il personaggio di Elba, che è sempre un figo, ha una evoluzione inconcepibile sul finale, nemmeno in un videogioco proverei a fare quello che lui fa senza battere ciglio. Certo che la Theron è veramente qualcosa di spaziale, altro che astronavi e alieni...”. 
La situazione varia nei giorni a venire nella mia solita altalena emotiva “bello-cacca”, ma ormai il danno è fatto, i soldi sono dati e si parla già di sequel. Tuttavia qualcosa a Hollywood si inceppa. Lindelof scappa. Sa di averla fatta fuori dal vasino e di non essere in grado di sistemare i cocci per un Prometheus 2 che ormai tutti vogliono per doti della pellicola che erano presenti ancor prima che arrivasse lui, nella prima sceneggiatura. Personaggi ben delineati e contraddittori, una razza aliena austera e per molti versi nuova nel panorama fantascientifico odierno, strutture e mezzi tecnologici credibili, scenografie di ampio respiro e un sacco di “misteri” da svelare. Nonostante lo script si inceppi qua e là tutto l'ottimo lavoro, che dovrebbe essere di solo sussidio alla trama, ha una tale personalità da distinguersi e farsi apprezzare non solo dai fan di Alien, ma anche dai cultori dei “vuoti spaziali” di "2001 Odissea nello spazio". Prometheus è visivamente maestoso, gli attori sono in palla come i tecnici e Scott è sempre un grande regista, un regista che si è così tanto “ritrovato” nel narrare-in-immagini la fantascienza da voler mettere in cantiere non solo un secondo Prometheus ma anche un nuovo Blade Runner e si parla pure di un sequel diretto di Alien! Ma Lindelof non sa cosa fare! È un problema materiale e non di rinnovata coscienza di sé, altrimenti non si spiegherebbe il suo successivo aborto, ossia la revisione di World War Z. Prometheus 2 si limbizza in attesa di uno script veramente difficile da rimaneggiare e ultimare. Voci di corridoio però si concretizzano di nuovo, le ultime sono del 30 ottobre 2013. Prometheus ha finalmente trovato la via della pre-produzione e nel 2015 (forse) anche del grande schermo. Il regista non è stato ancora confermato ma parrebbe essere sempre Scott mentre gli attori già confermati sono per ora la Rapace e Fassbender. Ma soprattutto un nuovo sceneggiatore, Jack Paglen, già accreditato per aver lavorato lo script (da imdb non è chiaro se sulla prima o seconda stesura) di Transcendence, il filmone di esordio di Wally Pfister ( scuderia Nolan di recente come direttore fotografia), in uscita il 2014, con Depp, Freemay, Murphy, Bettany. Un nome “caldo” quindi e verso il quale voglio nutrire le più grandi speranze. Lindelof intanto farà danni su Tomorrowland , il prossimo film di Clooney...

Alla luce di queste news non possiamo che augurarci il meglio per il proseguo della saga, uno degli incubi fantascientifici più belli degli ultimi anni. Magari oltre ad avere uno stupendo quadro digitale abbellito dalla profondità tridimensionale in futuro ci verrà regalata anche una trama degna, orpello che a una prima visione pare per molti non fondamentale, ma che risulta di un certo peso quando si tratta di riprendere in mano un vecchio film e volerlo vedere una seconda volta senza saltare alle scene più belle. Operazione che sull'home video di Prometheus invero capita sovente, fino a rovinare il disco per le molte re-visioni.
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martedì 19 novembre 2013

Dead in Tombstone

Dal 16 ottobre in dvd – Blu Ray... ma chellè?


Selvaggio bastardissimo west. Anche i lupi più cattivi prendono cantonate. Mai fidarsi del proprio sangue. Anche le buone azioni non sempre sono degnamente ripagate. Deve aver pensato questo il capo dei Blackwater, il roccioso Guerrero (Denny Trejo) dopo che il fratello Red Cavanaugh (Anthony Michael Hall) ha iniziato a crivellarlo di caldi confetti. Un fratello irriconoscente al quale aveva appena regalato il biglietto d'uscita dalla prigione e con il quale avrebbe diviso i proventi del ricco saccheggio di una cittadina carina carina, tanto piena di grano da sfamare tutti, compresi gli impertinenti pulcini della sua banda. Davvero una situazione irritante baciare il suolo e poi la tomba per sangue del tuo sangue, anche se si tratta di un fratellastro. Fortuna che quando c'è aria di una bella vendetta, il diavolo (Mickey Rourke) si trova sempre tra i paraggi. Un volto amico, quando si parla di tornare vispi dal regno dei morti per aprire il cranio di un traditore a colpi di revolver, anche se al nostro sarebbe bastato il vorticare di palle girate per tornare dal basso alla terra dei vivi a mo' di elicottero. E c'è pure un bonus. Niente tizzoni ardenti per Guerrero se si impegnerà ad accompagnare all'inferno oltre al fratellastro anche i pulcini impertinenti. Così dopo un annetto sottoterra il vecchio capobranco dei Blackwater è pronto a risorgere e a far riecheggiare le sue bocche di fuoco.

Danny Trejo interpreta un trashissimo revenge-horror-western girato nei Balcani con i buoni pasto usati per il budget e diretto dal regista dei “seguitacci” Roel Reinè. Roel Reinè non è che sia così tremendo, ma di fatto fa sporco lavoro per le major confezionando pseudo seguiti direct to video a costo zero per richiamare allocchi fan di qualche pellicola di grido. Il re scorpione 3 con Victor Webster al posto di The Rock (per giustificarsi usa l'escamotage del prequel), Death Race 2 e 3 con Luke Gross al posto di Statham (il nostro regista se la cava anche qui con la poco esaltante strada del prequel) e perfino Presa Mortale 2 dove il wrestler Ted Di Biase prende il posto di John Cena (e prendere Ted Di Biase per sostituire Cena significa non avere neanche un gusto estetico... il questo caso è decisamente un sequel direi...). Pur con tutta la buona volontà non si può girare Matrix con un budget che risulterebbe manchevole per ottenere due happy meal e il titanico sforzo del regista olandese (che in patria ha vinto pure il premio come regista olandese... esticazzi...) di rendere atmosfere per lo meno similari ai titoli originali, usando magari oggetti e ambientazioni già costruite per la prima pellicola è una cosa che fa quasi tenerezza. Il fan alla fine è con lui e pur odiando la diabolica macchina mangia soldi dei producers è comunque pronto a gridare: “Grande Roel!”, come se si trovasse davanti a un cosplayer che sfoggia un bellissimo costume in cartapesta di Goldrake frutto di notti e notti insonni in cantina a elaborare la stagnola (ma il fan urla “grande” anche quando vede una cosplayer vestita da poison ivy con tanga e reggiseno comprati alla standa... l'entusiasmo è sempre contagioso per i costumi ben fatti). 

Peraltro sono film che vedono spesso la partecipazione di grandi attori e caratteristi come Trejo appunto, ma anche Ron Perlman e Dave Bautista. Gente che la major ha magari “a gettone” in attesa di girare una pellicola più grossa, con la prospettiva in assenza di tali pellicoline di metterli tra il pubblico di forum. Mi immagino Perlman che con la busta paga di Death Race 3 va all'ikea e si compra una caldaia. Il fan ha così contribuito alle piccole spese di un mito del cinema. È sempre una bella cosa in fondo.
Tanto per un esempio spiccio, non vi viene voglia di trattare con affetto, manco foste guardando un gattino, un trailer come questo?



Sembra una puntata di Hercules. Ma in fondo non era divertente Hercules?
Con questo Dead in Tombstone Roel Reinè ha per lo meno il (per lui) raro lusso di un soggetto che derivativo quanto volete è per lo meno non direttamente riconducibile a una “pellicola più ricca” e quindi il nostro è libero di girare un bel film libero da vincoli, tranne appunto quello del costo complessivo (da non sforare!) di due happy meal. Gli attori sono peraltro ottimi, oltre a Trejo figura nientemeno che Mickey Rourke (dice imdb che sia lui! So che in molti visto l'andazzo di questo articolo e i trascorsi recenti di Rourke penserebbero a un sosia con al maschera gommata male). 

Sono entrambi più che attori autentiche maschere, in grado di recitare qualsiasi parte anche sono muovendo un sopracciglio. Solo vedere Trejo, sono di parte, mi dà la gioia che provavo da piccino a vedere Bud Spencer. Sogno “uno sceriffo extraterrestre” con Trejo girato da Rodriguez. Rourke è sempre stato il mio attore preferito, lo adoro dall'Anno del Dragone di Cimino e l'ho seguito anche nella sua più profonda parabola discendente (artistica come umana) fino alla rinascita (meritata) degli ultimi anni, dove il viso distrutto dai pugni non impediva al cuore dell'attore di emergere e fare qualcosa di grande, dove nasceva il suo sofferente Marv e il suo straordinario perdente Wrestler. Oltre a due attori che adoro c'è pure il contesto western (pur balcanico) e tanto sangue, tanto b-movie power. Il trailer non nasconde chissà cosa, lascia ben evidente la portata e se il piatto sarà gustoso per un paio d'ore tutti ne saremo felici. In America il film è uscito in dvd nientemeno che a Natale. Immagino i bambini festanti ad aprire il pacchetto buttando in un angolo la special gift di Spiderman e calpestando pure la figure annessa (ho già detto quanto detesti il reboot di Spiderman? Ne riparleremo a tempo debito...). Per noi è uscito a metà ottobre, pronto ad alleviare l'attesa di Machete Kills. Un regalo niente male.
Ma questo Dead in Tombstone com'è?

Consulto la bibbia apocrifa metacritic. Niente. Rotten Tomatoes. Niente. Mi incanalo nei blog e ad un certo Boba Fett è piaciuto, lo ha trovato divertente. Diciamo che prima di andare oltre un'occhiata dobbiamo darcela noi per il vostro bene (ma se siete eroici condivideremo con voi l'impresa volentieri)... vi faremo sapere.
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lunedì 18 novembre 2013

Le storie vol. 13: il moschettiere di ferro

Testi: Gualdoni; Disegni: Pontrelli


Francia. 1642. Dumas-verso. Richelieu gioca a fare come sempre il signore occulto del regno di Luigi XIII. Il cardinale è riuscito vittoriosamente a distruggere per sempre l'ordine dei moschettieri e gli eroi di mille avventure vagano in una Parigi ben diversa dal solito, frequentando la famigerata corte dei miracoli. Ma c'è dell'altro. Richelieu ha dalla sua una nuova e inaspettata scoperta tecnologica, la formula per creare un invincibile esercito di soldati meccanici pronti a invadere il mondo e a spiegare su tutto lo scacchiere la rinnovata potenza bellica francese. Tutto sembrerebbe volgere al peggio, perfino con un D'Artagnan impazzito votatosi al cardinale, ma accade qualcosa di inaspettato. Uno dei burattini di ferro sembra possedere un cuore. C'è un nuovo moschettiere in città.
Uscita numero 13 della collana antologica Bonelli. Questa volta l'argomento è la Parigi di Dumas in senso lato quanto la Parigi “romanzata in genere”. Vorrei rivelarvi i molti riferimenti narrativi cosparsi nell'opera, frutto di un attento lavoro antologico ed estro narrativo, ma così facendo vi priverei del divertimento di scoprirle da voi e non sarebbe bello. Gualdoni confeziona un racconto decisamente bello, avvincente e scorrevole giocando con i registri narrativi più classici e impreziosendo la pietanza anche con le più recenti suggestioni steam-punk. Di sicuro gran parte del fascino dell'opera sta nel poter riconoscere questo o quel personaggio letterario, ma le invenzioni non mancano e la lettura risulta appagante e divertente. A onor di cronaca ci sono comunque un paio di passaggi che fanno pensare a una sforbiciata di pagine, ma nulla di grave a oscurare l'ottimo lavoro svolto. Non posso che elogiare in questa sede Gualdoni e augurarmi per il futuro il suo coinvolgimento in altri lavori di questo tipo.
I disegni di Pontrelli sono molto dinamici e curati. Perfetti nelle scene d'azione, ottimi nel tracciare ambienti gotici e spettrali. Ho riscontrato alcune interessanti suggestioni visive che potrebbero accostare questo lavoro alle opere di Mignola, tanto nella rappresentazione di alcuni personaggi, dall'aria marcata e a volte caricaturale (ma che nel contesto funziona a meraviglia) quanto nell'utilizzo di determinate inquadrature e sono rimasto letteralmente estasiato dalla caratterizzazione del moschettiere di ferro protagonista della vicenda. Un personaggio che grazie all'estro del disegnatore riesce, nonostante abbia una maschera di inespressivo ferro (parole citazioniste ma nulla più), a esprimersi in una vasta gamma di atteggiamenti. La mente vaga ovviamente dalle parti di Alan Moore. Se un disegnatore riesce al contempo a ricordarmi Mignola quanto Moore non c'è dubbio che continuerò con solerzia a seguire le sue opere e sponsorizzarlo a dovere.

Un'opera quindi promossa in pieno, che non può mancare nella vostra collezione della collana. 
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sabato 16 novembre 2013

Maleficent

Primo trailer

Nuovo trailer fiammante per la nuova produzione Disney dedicata ad una delle più carismatiche cattive delle favole. No, non è la strega Nocciola, ma Malefica, l'antagonista della Bella Addormentata nel Bosco, per l'occasione interpretata dalla sempre più diafana (e pure anoressica) Angelina Jolie. Si parla di questo film, in uscita per l'estate del 2014 già da diverso tempo e c'è da dire che il ruolo pare quasi essere stato cucito apposta sulla sinuosa bellezza della sig.ra Pitt. 

Pealtro non siamo digiuni di stupende attrici che si sono nel recente offerte alla causa di intepretare “cattive da favola” e personalmente le mie iridi ritornano alla divina Chalize Theron, strega cattiva in “Biancaneve e il cacciatore” (dove Biancaneve era la cessetta inespressiva di Twilight... prova evidente che lo specchio che la decretava più bella del reame in luogo della Theron fosse assolutamente rotto). In questa nuova pellicola a intepretare la bella e sonnolenta Aurora ci sarà Elle Fanning, già magnifica musa in Super 8 di J.J. Abrams. Ma il cast comprende il nostro amatissimo Sharlito Copley, Miranda Richardson, la bella Juno Temple e altri nomi più o meno (più meno in effetti) noti. La regia è di Robert Stromberg, lunga carriera e premi come direttore degli effetti speciali e qui per la prima volta dietro la macchina da presa. Scrive Paul Dini, una delle penne più note in DC comics e molto legato a Batman. Le premesse paiono buone. Il trailer invero non comunica niente di speciale e i classici “rovi” della Bella Addormentata manco paiono il massimo. Nell'attesa dell'uscita vi consiglio un interessante anime che riadatta la Bella Addormentata, in chiave fantascientifica “King of Thorn” di Kazuyoshi Katayama e tratto dal manga, che si può reperire anche in Italia di Yuji Iwahara. Ne esiste una bella edizione dvd blu ray della Kaze (pure doppiato bene, lo specifico). Che cos'è? Una specie di survival horror in salsa alienesca e cervellotica con un paio di personaggi davvero fichi e animazione niente male,


si perde un po' in un finale otominamente contorto che incasina oltre il necessario ma si vede che è un amore. Ne farò una recensione “stand alone”? Boh, forse prima o poi.
Ma se amate la Bella Addormentata non posso che rimandarvi alla visione della stessa nella nuova versione restaurata.



non so perchè ma le tre fatine mi sono sempre state sui coglioni...
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giovedì 14 novembre 2013

Jobs

Interpretato da Ashton Kutcher...


Il mondo non si è ancora ripigliato dalla scomparsa del grande guru della Apple ed è evidente che i prodotti del marchio della mela usciti dopo la sua tragica scomparsa siano abbastanza bruttini. Ma la storia di Jobs è pura epica moderna. Lo sforzo titanico di un uomo che credeva nel sogno americano e lo ha riplasmato ingoiando quintalate di palta da parte di “uomini coi soldi” che in tutti i modi hanno cercato di estrometterlo, dileggiarlo, cacciarlo in prepensionamento. Nonostante le fatiche e le sconfitte Jobs ha resistito, ha innovato, ha fatto una montagna di soldi perseguendo il sogno di una tecnologia alla portata di tutti, semplice e pure figa da sfoggiare. Non solo roba da nerd. Jobs non è sono quindi un brutto gollum con gli occhiali, ma un visionario che ha sempre cercato di sdoganare la tecnologia unendola al bello estetico e al funzionale a prova di fesso. Roba grandiosa per alcuni, roba da niubbi per altri, roba da fighette per altri ancora: la Apple è di fatto roba che vende e vende un botto e nulla sarebbe stato possibile se dalla cantina di una casetta americana il piccolo e bruttino Jobs, fissato con la dieta "verduriana" e coi microchip, non fosse scaturito l'ormai leggendario apple1. Una bella storia. Una storia a lieto fine che ha ispirato e ispira milioni di ragazzi che oggi ce l'hanno anche loro una cantina dove possono fare cose fantastiche per cambiare il mondo. Fosse la cura per il cancro o un pezzo metal da paura. Il grande sogno americano a cui si affianca la malinconia per una vita densa ma troppo breve, il cui ultimo triste atto ho ancora negli occhi. “Siate affamati” diceva. Non smettere di credere nei sogni, non averne mai abbastanza di imparare, migliorarsi, creare. Parole che dette da uno che ce l'ha fatta non sono semplici consigli di vita ma testimonianza che ce la si può fare. Con l'impegno si può cambiare il mondo. Lui ce l'ha fatta.
La biografia di Walter Isaacson, stravenduta, è un libro che vi consiglio di leggere e sarà la base di un futuro, grande film dedicato a Jobs. Un film di cui si parla già con fermento sia per la produzione Sony già avviata, sia per il coinvolgimento nella sceneggiatura di Aaron Sorkin, autore di quel Social Network di Fincher che già ha portato alla ribalta la storia dell'odiosissimo ideatore di Facebook (ma forse è l'attore che lo rende così antipatico... di fatto il film è molto bello). Ma vi dico di più, circola pure una pre-bozza del lavoro di Sorkin, con tanto di annotazioni e temi portanti evolutivi-tecnologici che saranno affrontati nel film su Jobs della Sony, ossia il film su Jobs bello.

Perché esiste anche un film brutto. E da qui parleremo del film brutto.
Perché quello di cui vi sto per parlare non è il film Sony, ma l'impossibile parto interspecie scaturito dal connubio di un regista, Josha Michael Stern, poco in vena (ma forse vittima della produzione e di una sceneggiatura atroce) e Ashton Kutcher, un tizio noto per essere stato il toy boy di Demi Moore e che senza spiegazione alcuna dei produttori hollywoodiani che devono essere almeno ciechi e sordi (o sarebbe davvero ingiustificabile) insistono a ficcare a forza in produzioni cinematografiche. Kutcher come fisionomia e grazie al make up assomiglia a un giovane Steve Jobs, un giovane Steve Jobs totalmente lobotomizzato o il cui cervello è stato scambiato da uno scienziato pazzo con quello di un bovino con gravi problemi cerebrali. Ashtonjobs il ricombinato. L'attore (uso questo termine solo a scopo esplicativo) non ha nessuna idea di dove si trovi, della telecamera che deve inquadrarlo, del personaggio che interpreta. Non sembra avere dimestichezza con gli strumenti elettronici, motivo per cui non lo vedrete quasi mai interagire con uno strumento elettronico (che a contrario fissa con la classica diffidenza della mucca che guarda il treno) e, credetemi, in un film come questo è una cosa che ha del surreale. Qualcuno deve averlo avvertito che è una pellicola di tipo drammatico e qui si vede come il nostro abbia fatto tesoro della più elaborata tecnica del Joey Triviani Actor studios (Friends cit.): “Se devi sembrare pensoso e intenso, fai l'espressione che ti viene quando senti una strana puzza”. 

Ashtonjobs usa questa espressione per la totalità della pellicola. Sempre. Il regista Stern ha qui uno dei guizzi di regia più folli e appropriati per mettere una toppa alla recitazione di Ashontjobs. Citando Elephant di Gus Van Sant, gran parte delle scene vedono Ashtonjobs camminare in corridoi inquadrato di spalle. Van Sant in Elephant utilizzava questa tecnica per farci vedere la banalità della vita adolescenziale, un lungo tragitto senza senso tra un luogo e l'altro in cui in vista di una meta-realizzazione futura un giovane non bada spesso ai suoi compagni di viaggio, che rimangono appunto delle nuche di spalle che si affiancano e nulla più, già dimenticate alla prossima tappa. Stern in Jobs permette con questo espediente di far apprezzare la bontà delle scenografie, si dimostra bravino nel piano sequenza e di farci empatizzare con il taglio di capelli di Ashotnjobs, di fatto molto più espressivo del volto. Tuttavia nonostante l'impegno citazionistico del regista, lo sforzo degli scenografi nel riprodurre fedelmente le atmosfere anni '80, i trucchi ed effetti dolly di cameraman e direttori della fotografia, le doviziose creazioni d'epoca dei costumisti e la lacca anni ottanta (probabilmente merce di contrabbando) impiegata abilmente dai parrucchieri queste scene di camminata di spalle, così apparentemente geniali, falliscono. Perché c'è lui al centro. Ashtonjobs. Che non è nemmeno in grado di camminare come un essere umano. Si dice che Kutcher si sia preparato alla parte seguendo la rigida dieta fruttariana seguita da Jobs. Certo De Niro se deve interpretare un pescatore di anguille si trasferisce nel sud Italia per due anni vivendo a contatto con dei pescatori locali. Se Kutcher deve interpretare un genio informatico senza sapere nulla di informatica deve limitarsi a copiare “il possibile”, giusto la dieta alimentare. La fruttariana stava prima dell'inizio delle riprese per offrire un significativo apporto alla cinematografia moderna, portando quasi alla morte Kutcher. La debilitazione subita dal coso (richiamarlo “attore” mi manderebbe ai pazzi) comportò la nascita del nuovo modo di camminare di Ashtonjobs, una falcata a scatti allungati che potrebbe starci in un film di zombie ma che anche in quella sede apparirebbe strana. E di questo movimento deambulatorio nel film ci sono intere paccate di minuti. Terrificante.
Ma Ashtonjobs a parte (mica facile) il resto del film com'è? Una roba delle 3 del pomeriggio su rete quattro. Dialoghi banali, schieramenti stagni dei personaggi tra “buoni-idealisti” e “cattivi-opportunisti-ottusi-tirchi-traditori”, trama che tuttavia scorre, va ammesso,pur nelle mille insensatezze e in una pallosità manifesta e che se siete un minimo interessati all'argomento vorrete comunque vedere fino alla fine tra voragini più o meno contenute. Se c'è un buco, ecco che in soccorso intervengono massime di Jobs recitate con la stessa solennità, e ascoltate con la stessa passione, delle parole dette da Gesù nell'ultima cena. Trovo questo uso didascalico delle massime di vita, di fatto il top dei memorabilia ad uso e consumo di storici, collocate così a cazzo in una pellicola sinceramente offensivo della memoria del de cuius. Ho detestato Lincoln di Spielberg e il film su Confucio per lo stesso motivo. La scena si iberna e qualcuno, come ad una recita delle elementari valevole come compito di storia, inizia a recitare la frase celebre. Orribile. Anche perché tra il pubblico trovi sempre qualcuno che la ripete, perché l'ha studiata sui banchi, come una preghiera. Ma forse sono io, a qualcuno devono piacere questi memorabilia se li ficcano sempre in qualche biografia. Poi diciamo che nel caso di questo film non è la cosa più fastidiosa e anzi vedere Ashtonjobs proferire frasi-citazione come un messia, con l'espressione di chi ha sentito una puzza e la mente rivolta al cestino da pranzo, mi ha fatto prorompere in sane e convulse risate. Ma sento già i miei piccoli lettori accorarsi: “Ma ci saranno anche altri attori, magari passabili?”. Tremende macchiette che passano e si dimenticano appena scorte di nuca. Il nerd farà il nerd, il tecnico dall'aura figa e biker avrà due battute due, il tipo infido capirete che è il tipo infido dopo 6 secondi che lo avete visto, gli hippy sballati sono hippy sballati. Tutto è bidimensionale, preconfezionato, banale. Una pellicolaccia dunque, il cui numero delle pecche è così strabordante da nullificarne l'unico esigua merito, ossia il fatto che Kutcher assomiglia un po' (ma mica troppo) a Jobs. Mille sono gli aspetti che avremmo voluto vedere trattati e tra questi spiccano la vita privata, di cui si sa poco e dopo la visione se ne sa anche di meno, e una convincente parabola anche feticistica sull'ossessione-progettualità di Jobs nel rendere la tecnologia cool e alla portata di tutti. È interessante il perché ci sia un computer che si chiama Apple come ci sia un Apple Lisa ma se ne vorrebbe di più, magari (in luogo di un paio di camminate di spalle in meno) un approfondimento sulle ragioni del progetto Macintosh, magari qualcosa che riguardi la fondazione della Pixar, la spinta per l'Apple store, Jobs è stato un rivoluzionario al di là dell'hippy triste e rancoroso che pare essere Ashtonjobs. Quest'uomo ha creato indubbiamente poi degli oggetti esteticamente fighi, dai monitor a “casco” con componenti a vista (di cui grazie al cielo almeno si accenna nel film, ma solo per inquadrare l'ennesima supercazzola recitata male da Kutcher) all'ipad e tutte le decinazioni ipad, ibook, itunes e ha continuato così tutta la vita. Soffermarsi sul fatto cronologico “ieri era ricco-poi lo hanno trombato – poi è ritornato”, lo ripeto, offensivo. È come girare un film su Senna in cui il protagonista non sale mai e nemmeno vede da lontano un'auto. Una scelta di stile? No, solo pura idiozia!

Fatevi un piacere, non vedete questo film. Non lo rimpiangerete. Certo se lo volete vedere come una trashata, la dimostrazione che la pellicola può far sorridere quando un attore cane riesce ad essere così cane da rendere sublime la sua non-performance siete i benvenuti. Ma questo non è territorio mio, ma del grande Yotobi. 
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martedì 12 novembre 2013

“Fuori-collana-Le Storie”: L'almanacco dell'avventura 2014



Perché indicare come “fuori-collana-Le-Storie” questo volume? Principalmente per far mettere questo post da Gianluca sotto l'etichetta “le Storie” e perché questo ricco ed imperdibile volume raccoglie dentro di sé per il risibilissimo prezzo di 6 euro dei masterpiece del fumetto italiano, per testi di Canzio e Toppi, pubblicati in origine da maggio 1977 sulla prestigiosa collana “Un uomo un'avventura” di casa Bonelli. Questa serie è di fatto l'antecedente storico più illustre della moderna collana “Le Storie”. Presentava a ogni uscita un'avventura diversa incentrata su personaggi e luoghi diversi ma tutti legati da un filo rosso con la Storia. Così uomini come cronisti, disertori, schiavi e fuorilegge inventati dalla penna di un autore, trovavano posto in grandi eventi, riuscendo per fortune alterne a interagire anche con personalità come Pancio Villa, Custer, Zapata; a volte riuscivano a condizionarli, ad affermare il loro piccolo contributo alla grande Storia, a volte semplicemente si limitavano a osservare, di sfuggita e con rimpianto, eventi più grandi di loro. Non tutto filava sempre liscio. 
Nel n.1, L'uomo del Nilo, un giornalista potrebbe influenzare l'esito dell'assedio di Khartoum del 1884 da parte dei Dervisci del Mahdi. Nel n.7, L'Uomo del Messico, un documentarista potrebbe raccontare il trionfo di Zapata. Nel n.17, L'uomo delle paludi, un ufficiale potrebbe dire la sua nella lotta contro gli indiani nelle Everglades, ma la sua pelle è del colore sbagliato e il razzismo dei suoi stessi commilitoni potrebbe compromettere la sua carriera. Attraverso questi racconti, definiti giustamente “romanzi grafici storici” era quindi possibile per il lettore oltre che sollazzarsi con intrecci e disegni provenienti dai migliori autori dell'epoca (tra gli altri Crepax, Galleppini, Bonvi, Manara, Pratt ma la lista è lunga) imparare qualcosa, in tempi in cui non esisteva internet e molti fatti storici, quasi sempre tralasciati dai libri di scuola, non facevano altro che dormire in tomi da biblioteca polverosi. Tomi che magari qualcuno è andato ad aprire proprio grazie a esperienze editoriali come “Un Uomo un'avventura”, dove il lavoro di documentazione storica non era mai inferiore all'intreccio narrativo, ma dove il tutto coesisteva in perfetto equilibrio. Una formula quindi accattivante che splendeva letteralmente di luce propria grazie a maestri dell'arte delle nuvole parlanti. Questo almanacco 2014 vuole essere il degno tributo a questi maestri, mettendo nelle mani delle nuove generazione gli episodi della collana numero 1, 7 e 17, ossia i capitoli disegnati dal grande Sergio Toppi su testi suoi (n.17) e di Decio Canzio. Artisti che di recente non sono più tra noi, ma le cui opere continuano a essere ristampate e apprezzate. Decio Canzio era il numero 2 in Bonelli, l'uomo che “leggeva ( e approvava) tutto” e sulla cui figura Sclavi modellò l'ispettore Bloch di Dylan Dog. Un nome che alcuni magari vedevano di sfuggita nei credits, ma che rappresentava uno degli ingranaggi più importanti di tutta la produzione. Si ricordano di solito sceneggiatori e disegnatori, ma molti sono gli “eroi silenziosi” che lavorano nell'ombra, assumendosi spesso i rischi maggiori e fornendo il know how indispensabile per creare il prodotto migliore possibile. 
Decio Canzio era uno di questi nonché, come viene sottolineato nell'ottimo approfondimento sulla sua figura ad inizio del volume, l'unica persona cui Bonelli chiedesse l'opinione. Possiamo solo immaginare il vuoto che la sua scomparsa, recente, abbia causato alla casa editrice di via Buonarroti 38. Sergio Toppi rappresenta tuttora uno dei pilastri del fumetto italiano. Il suo stile, perfezionatosi negli anni fino ad esplodere proprio su questi numeri de Un uomo un'avventura, è tutt'oggi ritenuto eccelso e vanta schiere e schiere di imitatori. Nelle sue tavole troviamo personaggi che paiono intagliati nel legno quanto vivi e carichi di una espressività che vivifica tavola dopo tavola. Paesaggi densi e organici in cui perdersi tra orizzonti lontani, ma pronti ad annullarsi nel bianco, quando è solo il personaggio in scena ad affermare il suo spazio, laddove l'azione prende il posto alla contemplazione. Una gestione della tavola che soffre dei limiti della “gabbia bonelliana” (la suddivisione rigida della pagina in sei tavole rettangolari) alla ricerca di trovarne una via di fuga, anche solo nella rappresentazione grafica di un baloon che esce dai bordi per sottolineare spesso un effetto sonoro. Una composizione che muta registro di continuo, giocando con il chiaroscuro come esplodendo in un trionfo di colori. Toppi, la cui straordinaria gavetta e fortuna è raccontata in un bell'articolo nel volume, è questo e quanto non sono riuscito ancora a esprimere. Un gigante. Solo a vedere alcune sue opere desidererete avere una delle sue copertine come quadro da appendere il soggiorno.

Oltre alle tre, magnifiche storie, a colori, il volume come accennato poco sopra è ricchissimo di inserti, tanto dedicati agli autori che a cornice dei contesti storici in cui si dipanano le tre storie. Un apparato redazionale sontuoso che rende eccelsa un'opera già di suo imperdibile. Farselo sfuggire sarebbe un delitto.
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lunedì 11 novembre 2013

Orfani – Vol.1 “Piccoli e spaventati guerrieri”



Futuro prossimo. La Terra è stata attaccata da un raggio di energia tachionica di origine sconosciuta. Dall'impatto è seguita un'esplosione della portata di duemila megatoni che in un attimo ha spazzato un sesto della razza umana. Non è stato un evento cosmico, è stato uno sterminio programmato da una razza aliena. Una razza lontana ma il cui pianeta è per molti versi simile alla Terra e quindi sarebbe colonia ideale. Il nostro mondo quindi aspetta un'invasione, essendo in gran parte già coperto di sangue e macerie. Ma dalle rovine sono emersi gli orfani. Mentre il resto del mondo si attanagliava nel terrore, piangeva le vittime e si attrezzava per il contrattacco, gli orfani, i giovani sopravvissuti alle loro famiglie nell'eccidio, guardavano già oltre il terrore. Perché gli orfani erano dei sopravvissuti. La testimonianza vivente che il nemico poteva schiacciare ma non uccidere tutti gli uomini unita a una ferrea volontà di vendetta. L'esercito così li adottò per farne carne da cannone, sicuro che sarebbero diventati in mani esperte guerrieri letali. Per questo motivo la professoressa Jsana Juric (quasi una Nick Fury al femminile) e il colonnello Takeshi Nakamura (che pare molto il professore impersonato da Takeshi Kitano in Battle Royale) sono stati posti alla guida di un programma con lo scopo di raccogliere gli orfani, scremarli, istruirli e farne infine le più letali armi umane esistenti. Impartiranno loro un'educazione di tipo spartano (ogni riferimento ad Halo non pare casuale) saggiandone potenzialità e limiti in ambito bellico e gettando da parte tutto il resto di una possibile educazione. Il mondo è stato distrutto, le città dove vivevano le loro famiglie sono crateri aridi. Verrà qualcun altro a ricostruire e raccogliere i cocci dell'umanità superstite, ora è tempo di vendetta, tempo di guerra. Non si chiederà quindi agli orfani di dedicarsi alle arti. Non sarà la scuola il loro luogo di apprendimento ma il campo di battaglia. Gli orfani per il resto della loro vita faranno la guerra.

Nel programma d'addestramento giovani futuri guerrieri saranno così divisi in squadre e lanciati in prove di sopravvivenza e resistenza. Partiranno in molti. Arriveranno in pochi. Ma nel futuro, è cosa già certa, quei pochi sapranno fare la differenza nel conflitto. Forgiati nel dolore e sacrificio, armati con il massimo della tecnologia e bardati da pesanti armature integrali che ne celano ogni residua traccia di umanità, di colore gun-metal come le armi da fuoco moderne, gli orfani vendicheranno il sangue dei loro genitori.
Primo numero per la nuova collana di fantascienza della Bonelli. Una collana che per la storia della casa di via Buonarroti riveste un significato del tutto particolare: Gli orfani è il primo fumetto interamente pensato per essere a colori, per essere supportato da un grosso merchandising e per fare sfaceli nelle vendite anche oltre il nostro paese. Un fumetto ambizioso che fa della spettacolarità visiva, della serialità e di un taglio narrativo nuovo i suoi punti di forza. Bonelli qui rischia con una produzione economicamente più ambiziosa e che la spinge ad aumentare verso l'alto anche il prezzo di copertina, ma l'esito finale, già ve lo anticipiamo, premia altamente le aspettative e dimostra la grande capacità dell'editore di innovarsi, se non rivoluzionarsi, alla conquista di nuovi mercati e lettori.
Partiamo dal colore e dal disegno.Gli orfani compie scelte grafiche che, se da un lato mettono da parte la gloriosa scuola del bianco e nero italico, mettono in luce come anche nel nostro paese, Topolino a parte, sia possibile produrre un fumetto a cadenza mensile in grado di rivaleggiare con gli stupefacenti colori ed effettistica correlata delle più blasonate serie di comics americani. È letteratura nota che sono moltissimi gli autori italiani che vanno a lavorare all'estero. Alcuni di loro sono addirittura le penne più pagate di colossi come Marvel e Dc. Tuttavia il colore è sempre stato qualcosa di estremamente caro in termini produttivi. Il colore è quindi stato a lungo corteggiato da Bonelli, per anni, fino a che gli ultimi Dylan Dog color Fest hanno costituito come vendite un ottimo banco di prova. Gli Orfani è quindi la conferma di un chiaro cammino già intrapreso dall'editore, il suo coronamento.

Oltre che dal punto di vista visivo proprio dei comics, il nuovo fumetto Bonelli sembra intenzionato a riprenderne anche le tematiche e ambientazioni di stampo supereroistico, mutuandone oltre che i canoni anche una struttura narrativa moderna, seriale. Gli Orfani è quindi un fumetto concepito in stagioni, con archi di dodici puntate conclusive. Di sicuro un impegno per il lettore medio che richiede storie auto-conclusive di uno o due volumi, ma un procedimento già sperimentato, anche questo, attraverso la felice esperienza delle miniserie Bonelli come Caravan, Cassidy e Volto Nascosto. Oggi sembra normale quasi, soprattutto per chi è abituato a leggere manga, ma per secoli (produzione autorale tipo “un uomo un'avventura” e qualche “miti del west” a parte) la produzione Bonelli si basava su serial di durata ultra ventennale. Mettere “una scadenza” a un prodotto che potrebbe tirare per anni è sempre un rischio.Se colore e serialità sono stati quindi scelte soppesate negli anni la vera incognita è il taglio narrativo. Gli orfani punta ai giovani, nel disperato tentativo di sradicarli per mezzora da manga, comics e videogames. Ovvio che poi il fumetto deve piacere a tutti e sicuramente piacerà ai fan della Bonelli, ma conquistare i giovani moderni è sempre un ponte per la campagna acquisti dei futuri numeri di Tex Willer... forse...
Se Bonelli voleva aggiungere alle sue schiere di appassionati anche le nuove generazioni, gli Orfani bisogna dire che funziona alla grande e funge da autentica killer application. Roberto Recchioni per costruire lo scenario narrativo attinge a piene mani dalla fantascienza classica e moderna, tanto filmata quanto letta e giocata, riversando nell'opera le suggestioni della sua ideale top ten del genere. Qualcuno qui potrebbe puntare il dito e sciorinare inquadratura dopo inquadratura per ogni tavola un preciso riferimento visivo o letterario (come se qualcuno non fosse contento di vedere e rivedere certe “scene” nella sua mente... parlo io che per 10 minuti al giorno mi rivedo mentalmente Aliens -scontro finale), ma invito ad andare oltre, a considerare la fantascienza solo come una cornice in attesa del piatto forte, il tema principale dell'opera. Gli orfani è a tutti gli effetti un distorto romanzo di formazione a puntate. Un Giovane Holden in salsa Signore delle Mosche. Lasciate che i pargoli si sollazzino (anche) con astronavi e mech che (loro) non hanno magari mai visto e godetevi questa seconda prospettiva sull'opera (che tanto lo so che cosette alla Battle Royale un po' scatologiche vi piacciono sempre). Il primo numero, ma immaginiamo anche i prossimi, viene diviso in due momenti temporali distinti. Il primo riguarda gli orfani ancora bambini e in procinto di iniziare il corso di addestramento. Vediamo nascere le prime dinamiche di un gruppo di bambini impauriti dall'infanzia ormai distrutta. Assistiamo al cambiamento-crescita di alcuni personaggi, esploriamo fino a che punto si possa spingere la razza umana pur di creare delle armi viventi. Il Secondo momento è nel futuro e riguarda l'attacco al pianeta alieno e gli orfani adulti. Alle truppe regolari terrestri e male armate si affianca la sconosciuta elite di guerrieri degli Orfani. Individui più feroci, organizzati e letali dei soldati comuni, spinti da un istinto ferale alla lotta. Dettagli di non poco conto: gli orfani bambini sono in numero maggiore rispetto agli orfani adulti e gli orfani adulti sono per lo più mascherati, usano nomi in codice, non rivelando così i propri tratti somatici. Noi quindi non sappiamo chi diverrà adulto e che tipo di adulto diverrà se non al termine della lettura della serie. A dire il vero non possiamo sapere neppure se tutti i bambini visti da piccoli faranno parte dell'esercito degli orfani adulti. É stimolante questo piano temporale sfalsato e se continuerà a essere ben gestito come lo è sul primo numero potrebbe offrire interessanti sorprese. Per tutti.

Parlando nello specifico del numero 1, sono rimasto sconvolto dai colori di Lorenzo De Felice e Annalisa Leoni. Davvero fenomenali gli scenari spaziali e la profondità dei paesaggi. Per caso avevo tra le mani anche il numero uno dei Guardiani della Galassia della Marvel (seguo Starlord e Nova con affetto da Annihilation in poi...) e devo dire che il livello è davvero lo stesso (cioè altissimo). Ai disegni Mammucari non è da meno. Ha un tratto che mi piace molto, è dotato di un'ottima sintesi visiva e riesce bene a caratterizzare un nutrito cast di personaggi. Nelle scene di maggiore impatto scenico, tra combattimenti ed esplosioni da veramente il massimo e l'overtour visivo della seconda parte dell'albo è strepitoso. Recchioni abbandona certe prolissità narrative bonelliane (o presunte tali) e lascia che la narrazione sia per larga parte delegata ai bellissimi disegni e colori. Qualcuno potrebbe lamentare che si legge “troppo poco” ma un fumetto, come un film può avere anche delle parti prettamente grafiche. Ricordo che nella Guerra dei Cloni Lucas scrisse “combattono” per una scena di venti minuti in cui veniva rappresentata una delle più spettacolari battaglie di Star Wars e della fantascienza di sempre. I dialoghi sono sempre chiari e semplici, perfettamente in linea con il target di riferimento. Vengono alimentati molti misteri e la narrazione per essere bene compresa ha necessariamente bisogno di essere collocata nel quadro generale dell'opera. Se è prematuro quindi valutare la bontà complessiva dell'intreccio, posso dire di aver trovato buone le premesse e di aver particolarmente apprezzato la concisa ma non banale caratterizzazione dei personaggi. Qualcuno dei miei amici si è lamentato che sono troppo ordinatini e non si comportano come scimmie urlatrici per poi da grandi diventare una sorta di supereroi dalla battuta pronta. Non sono del tutto d'accordo. Per me sono in fondo ragazzini a cui è appena scoppiata casa e famiglia, altamente introversi e spinti a coesistere per trovare una sorta di calore umano l'uno dall'altro e quindi idonei a essere fedeli agnellini di chiunque si dimostri disposto a curarsi di loro. Esattamente quello che mi ritrovo a pensare riguardo a degli orfani di guerra. La loro controparte adulta (sempre se sono loro beninteso) la trovo invece gioiosamente inquietante ed è per me sicuro interesse scoprire come ci siano arrivati. Saranno i prossimi numeri a dover creare il ponte e per ora giudicare è prematuro.
Sul ritmo narrativo siamo decisamente a cavallo. L'albo si legge tutto d'un fiato e si ha davvero voglia di una seconda porzione quanto prima.

Posso dire che questo primo appuntamento con gli Orfani sia stato niente male. Rinnovo i complimenti ad autore, disegnatore, coloristi e tutto lo staff tecnico e produttivo di Bonelli per l'ottimo prodotto confezionato. Vediamo cosa avrà in serbo per noi l'uscita numero 2. Di sicuro il potenziale si vede e non mi stupirei, allo stato dei fatti, di vedere una bella serie animata made in Italy o delle action figures in futuro 
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venerdì 8 novembre 2013

Dragonero vol. 5 “Il raduno degli scout”


Terminata la missione del “fango pirico” i nostri eroi sono nuovamente a casa, nella amata casetta a Solian in riva al mare. Ian sta meditando sugli ultimi eventi che hanno condizionato la sua vita, soppesa i risvolti della strana maledizione che lo ha colpito e guarda malinconico agli errori del passato. Gmor invece pensa, in modo squisitamente orchesco, a come allargare casa per permettere a Sera di vivere con loro e l'elfa ricambia con gioia le attenzioni dei suoi nuovi compagni. È arrivato intanto un momento peculiare dell'anno, il raduno degli scout. I nostri quindi si dirigono verso l'incontro carichi dei diari su cui hanno raccolto le loro avventure nonché le preziose informazioni sulla mappa del mondo. Gli scout come Gmor e Ian servono infatti l'impero, ma sono prima di tutto esploratori il cui compito è tracciare la mappatura del vasto regno, catalogando strade e accessi segreti. Potente quindi sale un'interrogativo a tutti i lettori di Dragonero. Ma 'sto lavoro non lo possono fare con le varie bestie volanti o le mongolfiere e simil-aeromobili di cui dispongono in questo mondo fantasy? Mistero...
Quinto appuntamento con il mensile di Dragonero e questa volta ci troviamo in quello che si potrebbe dire un interludio. Un capitolo dove sostanzialmente non succede molto, ma ci vengono fornite informazioni sulla storia, i personaggi e possibili antagonisti nonché vengono introdotti comprimari che saranno di qualche utilità nella narrazione futura. Finalmente qui i personaggi hanno tempo di dirci un sacco di cose di loro e il mensile, incredibile a dirsi, riesce ad acquisire lo spessore e l'interesse che nei primi quattro appuntamenti aveva latitato. Conosciamo così Ian di più, avvertendo una complessità del personaggio nuova e interessante e scoprendolo di disinvolte abitudini sessuali (anche se nello specifico dovrebbe essere utilizzata la più appropriata espressione “attività coccolatorie”). Allo stesso modo prendono profondità Sera e Gmor e il cast di comprimari si espande esponenzialmente di nuovi e interessanti personaggi che, per ora, riescono a stare lontani dai più classici stereotipi. Si fa anche eco di misteriosi luoghi come la “città dei morti” e si tracciano nuovi interessanti elementi narrativi volti ad arricchire ed espandere il mondo narrativo. I testi, di Vietti, sono sorprendenti nell'illustrare, senza il più lontano presagio di noia, un capitolo che potremmo definire di pura matrice informativa, in cui a prima impressione “non accade nulla”. La trama risulta scorrevole, leggera e accattivante. I disegni di Pagliarini sono davvero validi e non fanno per nulla rimpiangere il lavoro eccelso di Matteoni. Paesaggi maestosi e dettagliatissimi pieni di mille particolari e un tratto affilato, sottilissimo, quasi chirurgico, nell'impreziosire di linee espressive i personaggi rendendoli oltremodo realistici.

Se avevate dubbi, come noi del resto, su continuare la serie questo capitolo 5 ce li ha del tutto spazzati via. Ancora non capiamo i motivi dietro ai primi moscissimi 4 capitoli del brand, ma siamo abbastanza sicuri che se il nuovo corso, che inizierà dal numero sei, saprà fare tesoro degli spunti narrativi e personaggi di cui è carico questo numero 5 il futuro di Dragonero si presenterà quantomai roseo e pieno di sorprese. 
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