La bellissima modella ed “esperta di aerobica” Elizabeth (Demi Moore) fin da giovane, forse anche in virtù del suo cognome, uno “Sparkle” che tradotto letteralmente suona come “scintillante”, sapeva di essere destinata a diventare una stella.
Così di esercizio in esercizio, come stella indiscussa di un morning show mattutino, è finita per avere anche una stella che porta il suo nome sulla prestigiosa Walk of Fame.
Ma gli anni passano e inevitabilmente anche Elizabeth Sparkle era destinata prima i poi a diventare “meno scintillante”, almeno quanto la sua stella su Hollywood Boulevard ha progressivamente iniziato a splendere di meno, sopraffatta dalle intemperie del tempo e dall’incuria dei passanti.
Il direttore dello show tv di aerobica, lo spregiudicato e ambiguo Harvey (Dennis Quaid), ha già iniziato a guardarsi in giro in cerca di una sostituta, mentre la diva Elizabeth, ancora incredula di questo volgere degli eventi, vaga nel suo appartamentino super moderno, camminano avanti e indietro davanti alla gigantografia di se stessa da giovane, che impera nel salotto. È ormai una donna alla ricerca del senso che dovrà prendere la sua vita futura, magari iniziando a “rifare i conti” a partire dalle mille rinunce che ha dovuto patire per anni, per avere ancora quel fisico da ventenne, che non gli riconosce ormai più nessuno.
Se solo si potesse tornare a splendere di nuovo.
La proposta risolutiva arriva, anche se appare davvero “strana”.
Delle persone sconosciute le propongono di recarsi in un luogo anonimo quanto pericoloso di periferia, al quale si può accedere unicamente chinando il capo in segno di umiltà, per iniziare un curioso “trattamento”. Si parla di “nuova giovinezza” e forse addirittura di “una nuova vita”.
Attraverso iniezioni di uno strano composto ancora tanto segreto quanto “esclusivo”, ecco l’ultimo grido dell’anti-aging: l’auto-clonazione.
Può e dovrà fare tutto da sola: nessuno aiuto medico esterno se non la periodica fornitura di tutti i materiali necessari, che stanno stipati in una specie di fermo-posta. Istruzioni telegrafiche da seguire alla lettera, l’invito severo e perentorio a prendersi “cura di se stessa”, un sempre attivo numero verde da chiamare in caso di necessità. Nient’altro.
Elizabeth ormai disperata alla sola idea di uscire in pubblico e incontrare persone che non la vedano bellissima come un tempo, ci prova.
Elizabeth rinasce.
La nuova se stessa, che presto assumerà il nome indipendente di “Sue” (Margaret Qualley), inizia a muovere i primi passi facendosi largo dal corpo della vecchia Elizabeth, squarciandolo dalla schiena dopo la prima iniezione del trattamento, quando è ormai priva di sensi a causa di spasmi e convulsioni.
Sue si toglie di dosso l’involucro rugoso e le ossa usurate, che rimangono in terra come una specie di sacco a pelo. È giovane e bellissima: così magnifica da rimirarsi a lungo, nuda allo specchio, quasi ancora coperta di sangue.
Il suo primo compito è ricucire e curare il corpo di Elizabeth con il kit di farmaci, attrezzi e graffette allegati al “pacchetto”. L’esito è prodigioso, la donna ancora viva. Successivamente le alimenta il corpo con delle enormi flebo che ne garantiscono la sopravvivenza per una settimana. Alla fine di quel periodo, sarà sempre Sue a dover avviare un'ulteriore procedura: un'iniezione in grado di invertire il procedimento, portando lei in coma per sette giorni ad essere alimentata dalle flebo, mentre Elizabeth si risveglierà e avrà una settimana intera per tornare al mondo.
Mai sgarrare la regola dei sette giorni, senza eccezioni.
Saper sempre prendersi cura di “se stessa”. Queste due istanze dovranno rimanere inscindibilmente legate alle esistenze di Elizabeth e Sue: a loro volta unite dal filo rosso del destino quanto dalla catena del DNA.
I primi tempi sono sorprendenti.
Sue in breve prende il posto della vecchia se stessa nello show di aerobica mattutino e la rete è così entusiasta di questa ragazza, magnifica quanto comparsa dal nulla, da spingere perché la sua fama cresca a dismisura fin da subito. Nel pieno della forma e della bellezza, Sue diventa un'autentica calamita per diversi uomini contemporaneamente.
Elizabeth intanto ha per la prima volta tempo per non pensare alla sua carriera da eterna pin-up: sperimentare per la prima volta una alimentazione non salutista al 100%, passare tempo davanti alla tv, iniziare timidamente a mettere in piedi una relazione adulta con un uomo in grado di amarla davvero al di là dell’aspetto esteriore.
Tuttavia gli effetti della vita dell’una, iniziano presto ad avere ricadute su quella dell’altra. Il dovere di prendersi cura di “se stessa” inizia a venire meno, in virtù di una sempre più evidente rivalità tra Sue ed Elizabeth, che diventa simile, per perfidia e sarcasmo, a quella di Bette Davis e Anne Baxter in Eva contro Eva.
Elizabeth presto si sente prigioniera in casa: incapace di godere direttamente di quei riflettori che amava tanto, assediata dagli amati del suo clone, diventa sempre più una casalinga disperata e disordinata. Sue vuole sempre più spazio per la sua vita e non sopporta i “chili” che sta mettendo su la sua controparte e il caos in cui versa la loro abitazione comune al momento del suo risveglio.
Una delle due inizia a violare la regola del “risveglio” dopo sette giorni, con la conseguenza che il corpo dell’altra inizia a degenerare in modo mostruoso. Un po’ come la strega di Biancaneve, un po’ come la terrificante e tentacolare “Cosa” di Carpenter.
La bravissima Coralie Fargeat, già autrice del piccolo e scorrettissimo cult Revenge, miscelando Eva contro Eva con Il ritratto di Dorian Grey e con La morte ti fa bella, frullando il tutto in una estetica tra Society di Yuzna e La Mosca di Cronenberg, scrive e dirige un body-horror irriverente quanto affascinante, dal quale è davvero difficile staccarsi fino ai titoli di coda.
Una gemma di puro sarcasmo sulfureo, sangue e critica all’edonismo/cinismo a stelle e strisce, che fosse uscita anni fa avrebbe potuto benissimo essere scambiata per un lavoro di Paul Verhoeven.
Merito di una trama brillante e imprevedibile, che interrogandosi costantemente sull’ossessione della “bellezza a tutti i costi” arriva anche ad argomentazioni sulla “immortalità della bellezza” che forse non dispiacerebbero al Foscolo.
Si parla di amore e odio verso se stessi, di eredità artistica e caducità umana, di sogni di immortalità venduti a basso costo come trattamenti di bellezza bizzarri, pericolosi e senza rimborso. Il tutto senza che la trama conosca tempi morti, muovendosi con grazia tra suggestioni pop, critica di costume e favola nera.
Merito di un'ottima scrittura ma pure di due interpreti davvero in stato di grazia, capaci letteralmente di mettersi del tutto a nudo, tanto emotivamente che fisicamente, in un tour de force che spinge quasi al limite le loro capacità di interpreti. Personaggi/Corpi (poco)comunicanti, che riescono incredibilmente a dialogare tra loro in modo convincente pur non essendo mai effettivamente sulla stessa scena. Aggredendosi a distanza schizofrenicamente, intralciandosi autodistruttivamente negli obiettivi personali, cercando fantozzianamente di portare dalla loro parte un serafico quanto poco reattivo “uomo del numero verde/servizio clienti”, che per lo più salomonicamente ripete con meccanicità e zero trasporto la massima del “prendersi cura di se stessi”.
La “scarsa cura nel prendersi cura di se stesse” salirà così progressivamente, fino ad esplodere nell’ultimo atto della pellicola, andando a portare sulla scena un inaspettatissimo, psicanalitico, psichedelico quanto mega-splatterosissimo “scontro esistenziale”, che di colpo arriverà addirittura a prendere le forme di un “Kaiju Movie”.
Anche la fotografia fredda e patinata di Benjamin Kracun risulta piena di personalità e fascino: riesce a far risaltare la fisicità prorompente dei corpi femminili delle protagoniste, quanto al contempo è in grado di sottolineare il loro essere “corpi rinchiusi” in ambienti per lo più claustrofobici, simili a frigoriferi o magazzini. Ogni scena si trasforma in un sinistro “palco teatrale” dove le due protagoniste sono infine per la maggior parte del tempo sole o inermi, come “carne esposta in dispensa”, fresca o progressivamente ammuffita. La supervisione artistica di Gladys Garot, rendendo più sopportabile il costatante decadimento biologico delle protagoniste, le ricopre spesso di glam e abiti eccentrici, riuscendo a trasportarci in un mondo distorto ma al contempo sfarzoso, “impaiettato”: intriso di citazioni alla sottocultura anni ‘80, al mondo della moda quanto ai classici Troma più estremi e scorretti.
La colonna sonora, ultrapop e ricca di suggestioni elettroniche, rende le interpretazioni se possibile ancora più vibranti, folli e quasi febbricitanti nell’esprimere emozioni forti.
Tra mille suggestioni e spunti di visione, è però giusto dare almeno una precauzione a chi si appresta a entrare in sala, specialmente se si tratta di uno spettatore “sensibile alla violenza visiva”: in The Substance oltre a due bellissime interpreti per lo più semi nude, c’è spesso in scena tantissimo sangue, corpi mutanti, mutilazioni e flagellazioni assortite. Non mancano stranezze di ogni tipo, legate al cibo, alla sessualità, al mondo del wellness, allo star System come alla politica. In generale, il quantitativo di “weird”, sangue, frattaglie, corpi “sbudellati e ricomposti”, è sulla scena così alto, esagerato e assurdo che tutti questi eccessi visivo/narrativi finiscono inevitabilmente per essere accolti dal pubblico con assoluta ilarità. Ma se siete particolarmente sensibili, anche solo a sangue e budella finte, andateci un po’ con i piedi di piombo e preparatevi ad abbassare lo sguardo nei momenti più “truculenti”.
The Substance è una pellicola accattivante quanto originale, piena di idee visive e narrative interessanti, con un ottimo comparto tecnico e due straordinarie attrici al centro della scena. Semplicemente favolose la Moore e la Qualley, divertente in un ruolo particolarmente spregiudicato e sopra le righe Dennis Quaid, simpatico e adeguato al contesto tutto il cast e i tecnici.
Dopo il suo interessante piccolo esordio con Revenge, Coraline Fargeat è un nome assolutamente da annotarsi e seguire nelle sue prossime opere.
Certo The Substance è una pellicola “per stomaci forti”, ma vale la pena affrontarla comunque, per divertirsi e terrorizzarsi con questa versione stranissima, quanto assolutamente “letterale”, di Eva contro Eva. Quasi una Eva al quadrato.
Magari a stomaco vuoto, è un istant cult da non perdere.
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