martedì 21 maggio 2013

Far East Film Festival 15


Parte terza

Considerazioni da gonzo e novità in arrivo: Confessions di Nakashima nei cinema e nuova linea home video


An Inaccurate Memoir di Yang Shupeng. Tizi che sembrano uscire da One Piece compongono una banda di fuorilegge che imperversa in una Cina-western sotto la dominazione dei Giapponesi. I suddetti si sono costruiti un personale undeground sotterraneo (anche il sistema di illuminazione del medesimo mi sembra una citazione diretta al classico di Kusturica) dal quale partono per le loro bravate. Un ribelle al regime giappo scorge il potenziale della gang e cerca di volgerla alla causa. Non mancano sparatorie a profusione, statue di Buddha e carri armati in questo concentrato di cultura pop roboante, ben fotografato, citazionista (da Point Break a Kill Bill passando per... Lady Gaga...). Peccato che su tutto pervada un senso di caos assoluto, sostenuto da scelte registiche da linciaggio (come quella di assecondare l'incedere dei mitragliatori a spostamenti rapidi della macchina da presa), rallenty da pena capitale e una sceneggiatura ipertrofica che non ama farsi seguire e fa di tutto per rendersi indigesta. C'è comunque del divertimento nell'insieme, magari una seconda visione può essere pure adatta a sbrogliare una scrittura tanto contorta in prima battuta. Da rivedere, anche perché più ci penso più mi tornano alla mente aspetti positivi.


Long Weekend di Taweewat Wantha.Un ragazzino con evidenti turbe mentali costituisce anche un pauroso catalizzatore di forze paranormali. Per evitare che venga costantemente “posseduto” i genitori gli hanno messo al collo una collana consacrata. Per fare il figo con una ragazzina che si trova con lui in infermeria, il genio propone “vuoi vedere un fantasma? Basta che mi togli la collana”. La bimba decide di provare l'ebbrezza, compie l'insano gesto e in un istante già fissa un muso spettrale e ringhiante al posto del ragazzino. Gli anni passano, lui è rimasto nella testa un bambino, lei è diventata una bella ragazza e si circonda dei classici amici scemi da film dell'orrore. Così un week end decidono tutti di andare nella casa di uno della compa, quello che c'ha la casa su un'isola maledetta dove in passato è stata evocata un'entità malvagia che per un errore nel rito invece che prosperità, viagra e libagioni di pesci ha portato morte e distruzione. Ovviamente ricorre quel week end l'anniversario della morte e distruzione di cui sopra. 

Tutto procede come un film horror, la musica sale, qualcuno pensa di iniziare a scopare, quando ecco che l'amico con collana consacrata decide di fare una capatina. Le scimmie della compa, ritenendo di fare lo scherzo dell'anno, lo conducono dove è avvenuto il rito maledetto, lo mettono nel loculo dove veniva evocato il mostro del rito maledetto, gli tolgono la collana e festanti aspettano di essere massacrati tutti durante il resto della pellicola. Questo film è perfetto, funziona a dovere sotto ogni punto di vista. I personaggi sono veramente un branco di idioti verso i quali è difficile empatizzare a qualsiasi livello, ma il rimo narrativo c'è, gli spaventi anche, la macchina narrativa è oliata a dovere. Il miracolo avviene anche in virtù del fatto che lo spettatore sa bene quello che di lì a poco inevitabilmente accadrà, sa che si spaventerà, ma la costruzione è così perfetta da non lasciare delusi e la visione della pellicola scorre ilare come una gioiosa corsa sulle montagne russe. Il prodotto ideale da vedere con gli amici e pop corn acclusi.


9-9-81 di Autori vari. 9 cortometraggi di 9 minuti, 81 minuti complessivi, tema horror, realizzati da 12 registi emergenti. Tutto ruota intorno ad una ragazza che decide di togliersi la vita. Come tradizione orientale vuole, da questo avvenimento partirà una maledizione di portata cosmica che inghiottirà chiunque sia accidentalmente venuto in contatto con la ragazza o il suo appartamento. L'idea è buona ma da subito presenta dei limiti, anche connessi con il risicato minutaggio complessivo, ma soprattutto in relazione della voglia di emergere dei singoli registi. Di tutta l'operazione risultano quindi ben eseguiti i primi 2-3 corti, con il resto della pellicola che fa a ritorcersi su se stessa, priva di una identità forte, come di una trovata geniale. Anche qui cala la palpebra di tanto in tanto, ed è una cosa abbastanza assurda. Quando l'idea è migliore del progetto finale.



Rurouni Kenshin di Keishi Otomo. Ecco, targata 2012, la trasposizione con attori in carne ed ossa del manga-anime Kenshin samurai vagabondo. Kenshin è un samurai che ha versato tanto, ma tanto, ma tanto, ma tanto, tanto, tanto, tanto sangue al punto di decidere che non vuole versarne più, a nessun titolo. Per non incorrere in tentazione ha deciso di invertire la lama della sua spada (ma non bastava girare l'elsa?), così che colpi mortali si traducano solo in mega “botte” non invalidanti. Ora so di poter scandalizzare qualche appassionato, ma io, personalmente, detesto Kenshin e tutti i manga su samurai “senza palle” che si sono susseguiti. Un tratto morbido, grandi occhioni dei personaggi, fiori di ciliegio a rompere in ogni inquadratura. Roba da donne. Poi nemmeno un combattimento decente, piattume statico, carisma a zero. Non pago di un tale orrore grafico, l'autore, come specificato nelle note del manga, si ispira ai comics americani. Insomma, tutti quelli che appaiono in Kenshin sono copie di Ciclope, Spiderman, Hulk, Mr.Fantastic. Grandioso, dirà qualcuno. E invece no! Non c'entrano una fava con il contesto, sono banali, irritanti e vuoti. Mai comunque come irritante e vuoto è il protagonista, con una perenne faccina dolce da ebete. Il film è esattamente la stessa cosa del fumetto. Senza continuare a spargere bile e odio per il personaggio (giacché sono comunque andato a vedermelo, questo film), la pellicola rispecchia appieno l'atmosfera del manga, i personaggi sono identici e le scene di combattimento perfettamente ricreate (e quindi fanno tutte... no, no, non voglio eccedere), con tanto di colpi riprodotti. Se amate il fumetto, probabilmente vi piacerà il film. 


Mariposa: in the cage on the night di Richard V.Somes.
Ecco IL filmone ultra splatter, brutto, sporco e cattivo del festival. Maya deve andare a Manila per via della sorella. Certo non si aspetta di doverla andare a riconoscere in un fatiscente, rugginoso e sporco obitorio. Per portare a casa la sorella le servono dei soldi per pagare il suo ultimo “alloggio”, per capire cosa le è successo dovrà mettersi in contatto con il marcio mondo dei sobborghi, tra droga, prostituzione, gangster, pazzi psicopatici. Mariposa (titolo forviante per chi abita in zona Milano) è una lenta ed inesorabile discesa agli inferi, un degradare tanto visivo quanto contenutistico fino ai titoli di coda. Visivamente forte, narrativamente incalzante, un piatto texmex per stomaci forti dove mutilazioni, sangue e violenza sono all'ordine del giorno e certi trucchi di make up non vi faranno dormire la notte. Gli interpreti sono appropriati, ma è difficile scorgerli nel vortice sensoriale della pellicola che vede solo la Manila by night come unico e inesorabile protagonista della vicenda. Un autentico pugno allo stomaco. Una pellicola che farebbe felici milioni di fan del torture porn, se solo la conoscessero. 


A story of Yonosuke di Shuichi Okita. Yonosuke arriva dalla campagna nella grande città per studiare. Vive in quei mini appartamenti-monolocali per single che abbiamo visto e rivisto in mille cartoni animati (come Welcome to NHK), abitazioni a schiera gomito a gomito con vicini di casa che non si vedono mai e per lo più fanno rumori molesti ad orari imprecisati, quattro mura in cui stipare tutto e concentrarsi sullo studio, in genere. Yonosuke sta per intraprendere il momento più esaltante della sua vita scolastica e non si sa come viene spinto da strampalati nuovi amici a frequentare il club di latino-americano. Yonosuke inizia a frequentare una ragazza ricchissima ma un po' stramba, nasce una bella love story. Sembra che tutti quelli che lo incontrano diventino persone migliori e tutto il film è un andare narrativamente avanti e indietro nel tempo, per vedere come il buffo protagonista riesca a cambiare le persone. Okita confeziona un film molto tenero, con una punta di malinconia inaspettata e in grado di travolgere gli spettatori. Un'ottima sintesi tra commedia e dramma, tra realismo e demenzialità, quasi la ricerca visiva di un “senso della vita”, verrebbe da dire. Film molto bello, splendidamente recitato, scritto con la giusta leggerezza. 


Ghost Sweepers di Shin Jung-wan. Su un'isola coreana accadono cose parecchio strane e soprannaturali. Pertanto vengono inviati esorcisti da ogni dove per investigare. Dalle fattucchiere ai bambini che predicono il futuro, tizi che vedono la gente morta, epigoni dei ghost busters moderni, con tecnologia e telecamere e sottospecie di santoni televisivi, tutte le categorie più o meno note di occultisti rispondono alla chiamata. Ma i fantasmi non sono da meno, anzi sono un vero e proprio esercito. In tutto questo marasma una giornalista è chiamata, con molta riluttanza a partecipare, anche perché un suo recente servizio l'ha messa nel mirino di gente poco raccomandabile. Ipertrofica, caciarona ma a conti fatti gustosa commedia a tinte soprannaturali, non parca nell'elargire a piene mani risate, Ghost Sweepers raduna un esercito di talenti comici ottimamente diretti e in grado di mettersi in luce al meglio. Davvero un film riuscito e divertente. 



I have to buy new shoes di Kitagawa Eriko. Un fotografo e una giornalista giapponesi si incontrano per caso a Parigi. Lui ci è capitato per caso, accompagnando la sorella in qualità di “portafortuna” per risolvere una questione sentimentale, lei ci vive da un po', ma con molti rimpianti. Accidentalmente lei scivola sul passaporto del fotografo caduto in terra per caso. Il tacco della sua scarpa si rompe, il passaporto viene nel contempo dilaniato dal tacco. Comincia così una love story garbata e tenera, forse un po' zuccherina, perfettamente diretta e recitata, con la capacità di non cadere mai nello stucchevole o nell'eccesso. Davvero uno spettacolo godibile (se siete donne potrebbe essere anche “il film della vita”...no dai, forse qui esagero). 


Saving General Yang di Ronny Yu. A chiudere le danze, viene scelto un filmone di cappa e spada ambientato in Cina ai tempi della dinastia Song, volto a descrivere al meglio l'eroismo, l'onore e la tenacia del generale Yang Ye e della sua famiglia. Il patriarca viene chiamato a reindossare l'armatura, ma cade vittima per via di sue certe “manie” nel comandare le truppe, di una tattica avversaria così basilare che la conoscevano pure i neanderthal (se attacchi frontalmente e sguarnito sui fianchi come un fesso, è ovvio che il nemico ti andrà a colpire proprio sui fianchi, per quanto tu sia eroico). Ma il generale in qualche modo si salva, pur rimanendo disperso tra le linee nemiche. Per salvarlo partono tutti e sette i suoi figli, giusto per garantire una continuità al casato. Ovviamente anche loro, pregni dell'ardore e della convinzione di riuscita della fallimentare strategia bellica già sperimentata dal padre, finiranno per essere quasi tutti tritati. Un divertente filmone epico, ricco di armature e combattimenti per lo più in zone sabbiose, mortificato da inserti di computer grafica un po' vintage e dalla reiterazione demenziale della tattica bellica degli Yang roba tipo: “andiamo all'assalto compatti e urlando” sempre seguita da “ci hanno battuti, per vendicarci andiamo all'assalto compatti e urlando” moltiplicato alla “n”. Confesso con dolore che, data la maratona filmica della giornata, qua e là mi sono abbioccato. Pertanto il film potrebbe anche essere un capolavoro.


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