domenica 31 ottobre 2021

Una notte da dottore: la nostra recensione del divertente e malinconico “film notturno” di Guido Chiesa con Frank Matano e Diego Abatantuono

Cantavano nel 1966 “Hold on (I’m coming)”, ossia “Stai calmo/a, sto arrivando”, i mitici Sam & Dave (al secolo Samuel David Moore e David Prater), il duo a cui dobbiamo anche la celebre canzone-gemella “Soul Man”. Erano uno dei più acclamati gruppi vocali della musica soul, nella stessa gloriosa era di Aretha Franklin.

“Hold on” è diventata in breve la colonna sonora ricorrente della programmazione notturna di molte radio, quella tipica canzone grintosa che ti tiene sveglio mentre sei in macchina sotto la luce di qualche lampione, magari su una strada deserta. Uno “Stai calmo, sto arrivando” che può tradursi altrettanto correttamente, per la magia della lingua inglese, anche con il più prosaico e formale “stia calmo, stiamo arrivando”, ossia la classica risposta che riceve al telefono chi aspetta un intervento di urgenza  dalle forze dell’ordine o da un medico, frase che emotivamente per chi la riceve suona un po’ come un “arrivano i nostri”. Ma può anche valere di recente per la conferma “aspetta, la tua consegna è pronta”, che precede la consegna di un pasto da asporto, oggi portato da un rider. Una notte da Dottore, adattamento italiano di un bel film francese ad opera di Guido Chiesa, parla in egual misura della “notte” e del concetto di “arrivano i nostri”. E naturalmente, come era giusto che fosse, in colonna sonora (una colonna sonora molto ricca peraltro, in cui figura anche Bowie) compare Hold on di Sam & Dave, a irradiare di energia positiva i due “dottori/riders” che percorrono le strade illuminate dal neon di una grande città mentre coprono il loro turno di notte “dal tramonto all’alba”, un po’ come i paramedici dell’ambulanza di Al di là della vita di Martin Scorsese.



È una città notturna fredda, autunnale, dove i medici mangiano solitari fuori orario in qualche trattoria deserta e i rider (come il personaggio di Frank Matano) si riscaldano battendo i denti davanti alle stufette di un ristorante cinese che sta chiudendo, in attesa di ripartire con la bici e magari finire da un cliente che li tratta in modo orribile. È una città infinita e che chiede costantemente “aiuto”, permettendo a un medico con troppa paura di tornare a casa per dover affrontare un lutto (Diego Abatantuono) di perdersi tra le sue mille vie e i suoi mille grandi e piccoli problemi. Poi il medico per un gioco del destino si blocca e si scontra con il rider e i due destini si fondono in un patto quasi scellerato. Il medico ha la schiena bloccata e non può rispondere alle chiamate personalmente recandosi in loco, per cui chiede al rider di “fingersi lui” e andare dai pazienti al suo posto. In sostanza guidandolo a distanza, dall’auto, tramite un microfono auricolare, come Boncompagni con Ambra Angiolini. Un po’ per i soldi, un po’ per follia, un po’ perché indossare il camice di un medico dà ancora a qualcuno lo stesso effetto di vestire il mantello di un supereroe, il rider accetta. Così parte un Road movie surreale quanto divertente. Sintonizzato prima sull’assurdo, poi sul sociale, poi sul malinconico. Tra un paziente e l’altro di questa notte infinita il rider e il medico si conoscono, imparano a comprendersi, a perdonarsi per i loro percorsi di vita scostanti, a riscoprire la bellezza del “mestiere di aiutare” nell’incontro con le vite degli altri. Inaspettato e intelligente, Una notte da Dottore colpisce più al cuore che alla (risata di) pancia, svelando la felicissima e riuscita coppia comica formata da un Abatantuono e un Matano che insieme davvero brillano per la spontaneità con cui riescono a interagire. La città di notte è affascinante, almeno quanto l’appiccicaticcia notte milanese di Kamikazen di Salvatores. Gli interventi sui vari pazienti che si susseguono hanno ogni tanto la forma di piccoli “corti cinematografici”, ma spesso riescono bene a legarsi alla trama principale (soprattutto quello del ragazzino con il “padre medico” è davvero illuminante e diventa il cuore narrativo di tutta la pellicola). E poi c’è il black humor, che in una storia notturna non può mai mancare. 


Una notte da dottore
è una bellissima sorpresa, con il plus di due attori protagonisti davvero in stato di grazia. È anche un film che espone con forza la bellezza di una società “empatica”, dove la passione e l’amore nell’aiutare gli altri partendo dal “parlarci insieme” diventa un paradigma per ritrovare se stessi. In un mondo che guarda sempre più ai supereroi, è bello riscoprire qualche volta come indossare un camice bianco (magari guidati da una “voce in testa” di un maestro Jedi che ci insegna a usare la forza, o da un medico-padre che ci tiene calmi) basti per far sentire in grado di volare e salvare il mondo. Lo avevamo intuito nelle prime stagioni di E.R. medici in prima linea, lo riscopriamo oggi con il film di Chiesa. 

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sabato 30 ottobre 2021

La famiglia Addams 2 - la nostra recensione del nuovo cartone animato diretto da Greg Tiernan

 


La piccola e inquietante Mercoledì (in originale doppiata dalla “Hit Girl” di Kick Ass Chloe  Grace Moretz e in italiano da Eleonora Gaggero), il genietto sadico della famiglia Addams, sta diventando grande. Per lei, che di se stessa dice “fin da piccola pratico il distanziamento sociale”, non basta più essere considerata “uguale agli altri bambini”, anche perché la sola idea di ricevere un abbraccio di “incoraggiamento” la indispettisce. Anche quanto sente dentro di sé muoversi dei sentimenti che “sembrano farfalle nello stomaco”, spera che queste vengano presto “uccise dai succhi gastrici digestivi”. Così Mercoledì soffre, quando non si sente abbastanza riconosciuta e stimata dalla sua famiglia, dopo che alla gara di scienze della scuola media “vincono tutti la medaglia del primo posto”, mentre lei ha sbaragliato la concorrenza di tutti gli alti bambini (con i loro classici “vulcani di plastica” che eruttano), proponendo come lavoro un siero fosforescente che trasferisce lo spirito di un polpo dentro lo Zio Fester (doppiato da Nick Kroll in originale e da Raul Bova in italiano), trasformandolo in mutante (in una sequenza che è uno straordinario omaggio al ri-animatore di H.P.Lovecraft e alla trasposizione cinematografica dello stesso di Stuart Gordon e Yuzna). Ugualmente anche il piccolo Pugsley (doppiato in italiano da Luciano Spinelli), il fratellino di Mercoledì, sta diventato grande ed è sempre più attratto da un universo femminile che trova affascinante e sfuggente. I consigli sulla seduzione dello Zio Fester sulle “frasi da rimorchio” e sui “balletti sexy” non sembrano aiutarlo moltissimo nelle conquiste, ma forse presto arriverà la ragazza giusta, quella “che saprà capirlo” nella sua scelta morale di “mangiare dolciumi senza usare mani o forchette”.


Insomma, i piccoli Addams stanno diventando grandi e i loro genitori, Gomez (doppiato da Oscar Isaac e in italiano da Pino Insegno)  e Morticia (doppiata da Charlize Theron e in italiano da Virginia Raffaele), vogliono partire insieme a loro per un bel viaggio in camper lungo gli Stati Uniti, per “coccolarli un’ultima volta” e creare “tanti bei momenti insieme” prima che i pargoli inizino a vivere le loro vite adulte. Gli USA offrono infiniti luoghi che si adattano ai gusti particolari degli Addams, dalla Valle della Morte a Salem, passando per Alamo, la Haddonfield di Michael Mayers, il Bates Motel, l’Overlook Hotel (il film è pieno zeppo di riferimenti ai film horror da cercare nei dettagli). Ma uno Zio Fester che sembra sempre più “posseduto da un polpo” (e Chtulhu appare davvero dietro l’angolo…) sembra cerca spesso di deviare l’itinerario su mete a “sfondo acquatico”, come le sempre terribilmente spaventose  cascate del Niagara (in cui gettarsi dentro delle botti secondo “tradizione locale”) o la spiaggia di Miami tanto “cariche di squali”. Ma mentre sono tutti in viaggio, Mercoledì è sempre più in cerca di se stessa e delle sue origini. Non crede al 100% di essere una Addams, alcune situazioni del passato sembrano alimentare logicamente tali dubbi e c’è qualcuno che sta iniziano a farle pensare di essere il suo vero padre.


Dopo la prima divertentissima pellicola animata, che riprendeva la classica atmosfera della serie tv inzuppandola in una felice animazione creepy, quasi da stop motion burtoniana, la saga degli Addams continua con un secondo capitolo. Forse un capitolo più “disimpegnato” e più sulla linea del “divertimento in quanto tale”, dove il viaggio famigliare per il “coming of age” di Mercoledì è super movimentato e non lascia spazio ai classici temi sulla integrazione sociale della strana famiglia nel resto della comunità americana. Mercoledì, epicentro di tutta la storia, è teneramente diabolica e fierissima di esserlo, generando di continuo una serie di divertenti siparietti a tema horror in cui si presenta come mad doctor, strega e indemoniata (uno dei miei preferiti è una situazione da Little Miss Sunshine con un inaspettato epilogo alla Carrie lo sguardo di satana… personaggio peraltro interpretato sempre da Chloe Grace Moretz, voce di Mercoledì, nel remake). Non mancano però (e sanno essere commoventi) situazioni davvero tenere, nella maniera “tutta loro” con cui gli Addams intendono la tenerezza, ovviamente. Il cast storico è tutto presente, Snoop Dog dà voce ai versetti di un cugino It super cool che forse ha “conquistato Billie Eilish”, c’è il maggiordomo Lurch, la tigre, la nonna e la casa stregata impazzano nei rave-party. C’è un villain, come trama richiede, ed è un po’ uno sfigato perché “troppo normale”, con la sua magione definita “troppo da dottor Jackill e poco da mr.Hide”. Forse un villain non troppo incisivo ma funzionale, con interessanti trovate visive a caratterizzare il suo mondo. 

Il messaggio del film, relativo al capire “da dove veniamo per sapere chi siamo” è ben sviluppato e anche alla portata di un pubblico più piccolo. 

Il secondo film animato degli Addams è divertente, ideale per passare una serata al cinema con i più piccoli. Gli amanti del cinema horror giocheranno a trovare le mille citazioni di cui l’opera è zeppa, i bambini si divertiranno con un'animazione colorata e una trama piena di siparietti divertenti. 

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venerdì 29 ottobre 2021

Antlers: la nostra recensione della favola nera diretta da Scott Cooper

In un paesino dell’Oregon, nei pressi di una zona mineraria un po’ degradata, vive Lucas (Jeremy T.Thomas). È un ragazzino tranquillo, silenzioso e dall’indole gentile, dal fisico sparuto e minuto, mingherlino, quasi accartocciato su se stesso nel suo modo timido di porsi. La sua remissività insieme a tutto il resto ne fanno un po’ il sogno segreto di ogni bullo, ma qualcosa dentro di lui sta cambiando e “avercela con lui” potrebbe per qualcuno “non valerne la pena”. Tutto inizia quando Lucas, che non parla molto in genere, accoglie con entusiasmo l’invito della maestra Julia a raccontare alla classe, per un lavoro sulle favole e le leggende, una storia originale scritta da lui. Il racconto sembra inizialmente una variazione sul tema della celebre “I tre orsi e riccioli d’oro”, peraltro, citata proprio da una sua compagna di classe il giorno prima. Ossia una favola classica, che racchiude in sé la ferrea morale (perché ogni favola deve avere una morale): “non impicciarti delle cose degli altri”.  Ma presto il racconto del ragazzo assume toni diversi, quasi sinistri. Lucas, che nella vita reale vive insieme a un padre trasandato e alcolizzato e a un fratello più piccolo, parla alla classe di grande orso, orso piccolo e orsetto. I tre dopo la morte di mamma orsa vivono da soli in una casetta e tutto va bene, fino a che grande orso perde il lavoro e poi si ammala. Grande orso per questo diventa sempre più affamato e arrabbiato, al punto che deve essere tenuto in casa rinchiuso per contenere la sua foga. Con il tempo sembra che stia mutando anche il suo corpo insieme alla fame. Poi la fame arriva anche per orsetto è pure lui non è più in grado di uscire di casa. Piccolo orso, vista la situazione, cerca di fare in modo che grande orso e orsetto possano nutrirsi, provvedendo a uscire lui di casa per cacciare, perché solo così si calmano e possono continuare a vivere insieme. La morale della favola di Lucas è che orso piccolo deve fare così perché vuole bene alla sua famiglia. A corredo del racconto, per rendere la storia più bella, Lucas mostra alla classe dei disegni inquietanti di uomini-orso-mutanti, che smembrano e sbudellano tanto animati che esseri umani, tra i boschi, in un mare di sangue. Allarmata, la maestra Julia parla dell’accaduto a suo fratello Paul (Jesse Plemons), lo sceriffo locale, immaginando una situazione familiare pericolosa per i due bambini affidati alle cure di un padre già noto alla polizia, anche in ragione dei lividi sulla schiena di Lucas. Ma presto la storia assume tinte molto più inquietanti. Soprattutto quando nella piccola cittadina iniziano a scomparire persone che alcuni giorni dopo vengono ritrovate nei boschi, divise in due parti, con i resti del corpo quasi masticati da un enorme animale. 

Il nuovo film di Scott Cooper si muove dalle parti delle classiche storie sull’uomo-lupo, rappresentazione spesso della malattia, dell’ebbrezza da abuso di sostanze e della sofferenza umana per l’ingiustizia provocata da azioni di cui non si ha il pieno controllo (come nel classico Un lupo mannaro americano a Londra di Landis). Con la suggestione di simili creature feroci quanto sfortunate, il bravo regista e sceneggiature di Hostiles, Crazy Hearts e Il fuoco della vendetta sceglie di raccontare una storia sull’infanzia violata che ha tutte le caratteristiche della favola nera. 


Si vede molto la mano di Guillermo Del Toro, che idealmente lega la pellicola ai suoi Il Labirinto del Fauno e Mimic, ma anche ai titoli da lui prodotti come Mama di Andreas Muschietti, Tigers are not afraid di Issa Lopez, Scary Stories to tell in The Dark di Andre Ovredal. Anche qui la “favola” diventa il linguaggio narrativo su cui interpretare un reale difficile da capire e accettare, rendendolo più sopportabile dal punto di vista di un bambino. Ma come in tutte le favole nere di Del Toro a un certo punto l’incantesimo si rompe e realtà e finzione confliggono verso un esito tragico che mischia e confonde i piani, realizzando un horror di stampo quasi esistenzialista. Certo, spesso in queste pellicole la realtà infine “vince inesorabilmente” sulla favola, rimettendo al suo posto il “piano fantastico”. Ma questo non impedisce mai allo spettatore di avere la sinistra sensazione che un mondo di mostri e fate sia lì ad aspettarlo, con tutto il suo carico emotivo da racconto tribale recitato intorno a un fuoco, oltre un varco invisibile. Così in questa favola rurale un padre che perde la sua umanità per via dall’ astinenza dalle droghe che abusa può assumere magicamente il corpo mutante e le zanne feroci di un leggendario windigo. Un mostro insaziabile “che un tempo era un uomo” e  che può essere combattuto solo quando è di fatto “sazio”, reso docile perché non più “affamato” dalla carne fresca della sua ultima preda appena ingerita. Un mostro che a ogni mattanza alimentare diventa sempre meno umano ma che però al contempo resta e resterà per sempre, agli occhi di Lucas, anche un padre. Un padre afflitto da una malattia che sembra destinata presto a colpire anche il fratellino più piccolo del nostro protagonista, in una spirale di sofferenza che non prevede vie di fuga. È qui che il piccolo Lucas, interpretato dal bravo Jeremy Thomas, diventa un titanico e sfuggente anti-eroe, votato alla disperata preservazione dei suoi cari. Un ragazzino minuto e solo al mondo, che si addestra a cacciare nei boschi animali selvatici da procacciare ai suoi parenti, quanto dedito allo studio di queste magiche e terribili creature del folklore in cui si sono trasformati per poterli contenere, sedare, cercando disperatamente di avere un'occasione per scorgere di nuovo in loro un volto umano. In parallelo assistiamo alla storia meno “fantasy” ma ugualmente terribile dell’infanzia di Julia, l’insegnate di Lucas. Anche Julia è stata segnata a vita dalla convivenza con un mostro, simile per potere ma diverso, dal quale lei non ha mai potuto affrancarsi, proprio perché come per Lucas era “suo padre”. Julia e Lucas sono irrimediabilmente legati da un’infanzia carica di dolore e forse la chiave per uscire dalla loro condizione è “vedersi l’un l’altra”. Antlers si costruisce così come un interessante e duro film sul coraggio di essere figli, dove il bene e il male si mischiano nei sentimenti individuali, dove tutti i personaggi sulla scena si sentono “cattivi ed infelici”, impotenti quanto ”chiusi in un angolo” dalla vita. 


Visivamente la pellicola di Cooper vive di paesaggi ombrosi, autunnali e nebbiosi. Con corpi squartati e sangue pronti a comparire presto ovunque. Non c’è una forte componente splatter, ma la crudeltà della vicenda è palpabile e la pericolosità dei mostri che si aggirano nell’ombra appare sempre presente, costante e inesorabile, un po’ alla maniera di A quiet place. Favoloso nella modellazione, possente quanto terribile nelle movenze, nell’urlo e nel sangue ribollente (reso da un effetto visivo come un fuoco interno al corpo) il Wendigo. Un mostro  che nella sua forma finale ricorda molto da vicino il terribile Krampus dell’omonimo e riuscitissimo film di Michael Dougherty. 

Per gli amanti degli effetti speciali più “truculenti” è una creatura davvero ben studiata. 

L’esito finale di Antlers è amarissimo, sconfortante. Ci porta dalle parti di Mama e Tigers are not Afraid. Antlers è un film molto duro, molto poetico, difficile per qualcuno da incasellare per via un doppio binario narrativo (la storia del bambino è quella della maestra) che non sempre trova la giusta sintesi in quanto vuole suggerire più che palesarsi. È inoltre un film che offre (pervicacemente) poca “soddisfazione” a chi cerca alla fine del tragitto un esito positivo della vicenda. 

Ma se volete un po’ di “sana inquietudine”, ossia bramate quel raro magma di cui dovrebbe essere inzuppato ogni horror che si rispetti, Antlers ne ha da offrire a frotte. Grazie alle suggestive ambientazioni, a un ottimo cast di attori (e anche proprio in virtù del suo punto di vista narrativo scomodo, quanto a volte incredibilmente realistico nel raccontare “i mostri” che abitano le mura delle famiglie più sventurate). Antlers è una favola horror che sa essere horror fino alla fine. Cosa che non tutte le pellicole horror moderne riescono a fare. 

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giovedì 28 ottobre 2021

Ron, un amico fuori programma: la nostra recensione nel nuovo cartone animato distribuito da Disney

 


È compatto, resistente agli urti, componibile, completamente personalizzabile, ricaricabile, wireless, con internet veloce, parla, canta, suona, ce lo porti a scuola, ci fai le foto, ci giri i video da mandare sui social, studia con te, balla con te, ti porta le cose, può trasformarsi in veicolo: è “un amico”. L’amico 2.0. Lo produce la “Bubble”, quella grossa multinazionale che vende il Bubble-phone e del Bubble-Watch, e forse per il “Bubble-brand” costa un po’ caro. Per prenotarne uno c’è almeno una fila di attesa di tre mesi, è disponibile solo presso i Bubble-Point, è stra-esaurito. Ma quale bambino o bambina non può volere, per il suo compleanno, un amico come lui? 

In questo futuro non troppo lontano dal nostro presente il “Bubble-Bot” o “B-Bot” ha così cambiato i social che sono anche cambiati i modi di relazionarsi con gli amici. È letteralmente lui “che ti cerca degli amici” sulla base dei gusti e preferenze personali, istallandosi direttamente nelle scuole, dove ha una zona riservata per ricaricarsi proprio accanto alle classi.

È forse un po’ invadente per la privacy, ma è ormai letteralmente “nelle case e nella vita di tutti”.


Di tutti tranne uno, ossia il povero Barney. Di origini russe, che vive in una casetta un po’ sfigata con ancora il televisore a tubo catodico e la radio enorme con l’antenna analogica. Il babbo vende roba assurda di chincaglieria su internet, la nonna riempie la casa di maglioni e cibo etnico e per il cestino del pranzo gli prepara le zampe di gallina fritte. Barney vorrebbe un B-Bot per il suo compleanno, come tutti, anche perché senza un B-Bot la situazione sociale a scuola è diventata altamente complicata per lui, quasi al punto che non può partecipare ai gruppi di studio o pensare di poter giocare con qualcuno. La maestra è così preoccupata per la socialità di Barney che nell’intervallo invita i ragazzini a sedersi vicino a lui, nel cortile, sulla surreale (e abbastanza discriminatoria) “panchina della felicità”. In una scena devastante la maestra, per rendere più “accattivante” essere amici dei ragazzo, rivela a tutti che è appassionato di “sassi” e da allora Barney si becca tutta una serie di scherzi a tema “sassi”.  Visto l’andazzo, vista la malinconia negli occhi del bambino dopo una festa di compleanno in cui non si è presentato nessuno amico, (anche perché tutte le chat sono collegate “all’avere un B-Bot”), il babbo e la nonna di Barney un po’ ci provano, a trovargli un robottino. Ma il massimo che riescono a fare è dopo un paio di vani tentativi caricarsi in macchina un B-Bot da rottamare recuperato di straforo sul retro di un Bubble-Point, che il ragazzino accoglierà comunque con gioia chiamandolo “Ron” (in originale con la voce di Zack Galifianakis e in italiano con la voce di Lilo, che fa un ottimo lavoro). Poi quasi subito la gioia finisce, perché Ron appare parecchio danneggiato. Si collega al modem con la rapidità di un processore del 1998, riproducendo pure quello strano e inquietante suono metallico del telefono (che in sala profuma molto “di nostalgia”). Ha lo schermo che sfarfalla, non riesce a scaricare i dati dalla rete social per svariati errori di sistema, la batteria non si carica se non dopo ore, non si trasforma in veicolo. Tutto quello che dopo un fortunoso backup Ron ha memorizzato nel suo processore sono le voci del dizionario con la lettera “a”. Barney, sconfortato, lo sta portando direttamente al Bubble-Point per cambiarlo, quando sulla strada incontra dei compagni di scuola un po’ bulletti, che lo stanno massacrando da giorni, specie da quando hanno scoperto la passione segreta di Barney per “i sassi”. Ma a sorpresa il robottino sfigato Ron interviene e difende lo sfigato ragazzino. Lo fa proprio perché il suo sistema operativo è incompleto per il backup parziale e non sottostà per questo ai classici vincoli di programmazione dei robot, primo tra tutti, come Asimov insegna, il non attaccare gli esseri umani. Così Barney decide infine di non portarlo indietro al negozio e colmare magari col “fai da te” i problemi di programmazione di Ron. Iniziando con l’insegnargli cosa significhi per lui la parola “amico”. Sarà l’inizio di una amicizia più analogica che digitale, in un periodo in cui ormai tutto è fin troppo spinto verso “il futuro”. 


“Che cos’è un amico” è la bellissima e profonda domanda sulla quale si fonda questo ottimo e intelligente ultimo lavoro di Twentieth Century Studios e della londinese Locksmith Animation (un team formato da esperti della computer grafica che hanno co-realizzato con la  Aardman gli ottimi Pirati! Briganti da Strapazzo e Il figlio di Babbo Natale), distribuito nelle sale da Disney. 

Che cos’è “un amico” nel 2021? È uno che ti segue su Instagram e con cui condividi la passione per la Nutella e The Walking Dead? È uno che crea e carica i video migliori per intrattenerti sulla sua pagina di YouTube? È uno con cui giochi online e scambi le opinioni sul forum dei fumetti? 

È di fatto, seguendo la tesi del film, sempre più difficile che un amico sia “la persona che hai fisicamente davanti”, quella con cui giochi nello “stesso spazio”. I bambini della pellicola, al di fuori del protagonista “fuori dal mondo”, sembrano costantemente intenti a “fare gli attori” davanti al loro B-Bot per ottenere dei followers online, vivendo la frustrazione di non essere sempre all’altezza e per questo “perdere amici virtuali”. La diabolica Bubble svela senza troppo mistero che il “robottino amico” serve a profilare i dati dei ragazzini per vendergli dei prodotti, l’algoritmo dei B-Bot in una scena veloce quanto spietata dimostra che due persone non possono diventare amici, anche se sono compagni di classe, perché non hanno le stesse preferenze “merceologiche”. La tesi del film è che la tecnologia stia costruendo un mondo di persone sempre più sole e narcisisticamente chiuse in se stesse e forse la vera rivoluzione sarebbe riportare la tecnologia a un ruolo meno centrale nella nostra vita. Magari spingendo i ragazzini a incontrare un amico per una pizza, piuttosto che parlare con lui in chat a soli due isolati. Magari spingendo i ragazzi a preferire un paio di amici veri rispetto a preferirvi centinaia di amici virtuali, ma solo meccanicamente pronti a mandare like o dislike, cambiando opinione dal giorno alla notte, giusto per idolatrare o deridere con un click (la scena del film della “ragazza pupù“  è davvero emblematica di questo concetto) in virtù dell’intrattenimento che “un amico” gli offre. 



Il succo del film non è però un manicheo “era meglio quando si stava peggio”, perché Ron non è un film contrario alla tecnologia e sa anzi esporre bene anche i molti vantaggi che un uso oculato della tecnologia può portare nella costruzione di mondo migliore. I robottini sono impegnati nelle forze dell’ordine, aiutano gli anziani, rendono meno faticosi i lavori di casa e permettono di fatto una comunicazione più semplice. Ma Ron è soprattutto un film sui “giusti confini” che dobbiamo cercare di ottenere per non perderci troppo nel mondo virtuale, ri-definendo il ruolo delle persone che chiamiamo “amici” in un’ottica maggiormente relazionale.

La pellicola riesce così bene un questo intento che andrebbe fatta vedere nelle scuole, anche per il linguaggio semplice e chiaro che usa nel maneggiare questi temi.

Visivamente è molto colorato, l’azione è sempre movimentata e la sceneggiatura riesce a regalare momenti pieni di azione, a  volte  malinconici, ma anche con tantissimo umorismo. La relazione che si instaura tra Barney e Ron è incredibilmente matura, sfaccettata e “in continua evoluzione”, descrivendo in modo limpido e molto originale quello che per un ragazzo di oggi dovrebbe essere  la costruzione sana di un rapporto umano. 

Dal trailer può apparire come un prodotto destinato ai più piccoli, ma la pellicola ha molto, molto di più da offrire e riesce a incantare davvero spettatori di tutte le età. Da segnalare l’ottima prova di Lilo nel doppiaggio del robottino Ron. 

Ron: un amico fuori programma è una piccola gemma che non ti aspetti, un film che con il passaparola può diventare un piccolo cult, anche in ambito educativo.

Un film che speriamo possa crescere e avere successo con il passaparola, per avere tutto il riconoscimento che si merita.

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giovedì 21 ottobre 2021

France - la nostra recensione del singolare “body-horror-lacrimale”, tra satira e dramma, scritto e diretto da Bruno Dumont

 


(Sinossi ingannevole): France de Meurs (Lea de Seydoux) è la prima giornalista di Francia. Svetta su ogni rotocalco e cartellone pubblicitario, sembra che abbia una tresca con il premier Nicolas Sarkozy, fa milioni di ascoltatori con la sua trasmissione sulla tv nazionale. È in prima linea a moderare i dibattiti tra i principali esponenti politici. È in prima linea quando deve realizzare un servizio come inviata di guerra, dove cadono le bombe. È in prima linea quando è importante mettere al primo posto la famiglia, magari offrendo qualche comparsata tv per il nuovo libro a quel bolso e scontento scrittore che è Fred (Benjamin Biolay), suo marito. Abbastanza spregiudicata nel suo lavoro, vestita sempre in modo impeccabile, Francia ha un sorriso che scioglie i cuori e può tenere testa a chiunque grazie a una corazza emotiva a prova di bomba, sostenuta in tutto e per tutto dall’umorismo acido dell’amica/agente Lou (Blanche Gardin). 

Così un giorno Francia sembra far arrossire Sarkozy facendo orgogliosamente la “stronza”(ipse dixit) a un evento pubblico (possibile che sia il “vero” Sarkozy a interagire su schermo con la Seidoux?). Il giorno dopo la giornalista “insegna”  sul campo di battaglia di un paesino arabo distrutto, a dei contadini ribelli, come devono comportarsi davanti alla telecamera per apparire  “più eroici”.  Il giorno dopo, il terzo giorno, è in abito principesco a parlare tu per tu nella tavolata delle gioiose mega corporazioni che parlano della “fine degli Stati” e della “gratitudine morale mondiale che porterà il capitalismo”. Poi arriva il giorno successivo, quello in cui deve andare da ospite in un altro programma tv che non le piace, e accade l’imprevisto. La mattina Francia è in macchina e ad un incrocio tampona un ragazzo sullo scooter. La botta e la paura ci sono tutte, ma è un incidente per il quale il ragazzo alla fine si riprende presto, con una prognosi di tre mesi per una lussazione alla gamba (non che non sia una brutta cosa, intendiamoci). Lo scontro è  avvenuto mentre i veicoli erano quasi fermi, il pronto intervento di vigili e ambulanza sono stati subito allertati, zero contestazioni delle assicurazioni o problemi legali. Solo che quando Francia esce dall’auto, per soccorrere l’incidentato, ecco che compare un tizio che la riconosce e con un cellulare le scatta una foto. In un attimo la nostra eroina di Francia diventa sulla rete una “pirata della strada” e la sera, nel programma tv in cui Francia è costretta a partecipare, arriva prontamente una domanda sull’incidente avvenuto poche ore prima. Francia, dopo aver detto un paio di parole, piange. Piange distrutta e piange in tv, sentendosi per una volta vulnerabile, sola, nuda. Una condizione fisica ed emotiva nuova, quella imposta all’improvviso da quella maledetta “ghiandola lacrimale”, che ferisce Francia dal profondo, la destabilizza. Decide di andare a trovare in ospedale il ragazzo incidentato, poi va a casa sua con un assegno da 40.000,00 euro per tutti i danni che sente di avergli arrecato, poi gli compra un nuovo motorino, poi probabilmente, come sottolinea la acida Lou, vorrà invitarli tutti a Natale da lei, incidentato e parenti. Ma questo non basta a farla sentire meglio (e sembra che la sua magnanimità sia stata solo marginalmente recepita dalla stampa) e quando, dopo una trasmissione politica difficile, un ospite particolarmente bellicoso dice che la trova “attraente e sensibile”, France impazzisce e decide di andare a recuperare la calma in Svizzera, presso una clinica per curare lo stress ai vip grazie alla pace delle montagne. Ma il suo percorso di “umanizzazione” prosegue imperterrito e le farà presto incontrare, proprio in Svizzera, un professore di latino per cui si sente attratta ma che non ha ma visto la tv e quindi non ha mai sentito parlare di lei (Emanuele Airoli). Riuscirà Francia a trovare un nuovo equilibrio nella sua vita?

O arriverà prima a versare 50.000 lacrime (Nina Zilli, cit.)

 


(Una lacrima sul viso, spremuta con forza): Messa così, France potrebbe sembrare quasi una commedia sofisticata francese interpretata da una buffa Juliette Binoche vestita Armani, con Daniel Auteuil a fare la parte del marito scrittore borioso e Omar Sy nei panni dell’insegnante di latino. Magari potrebbe sembrare pure una commedia sulla edonistica fragilità emotiva delle persone di potere, sulla linea di film come Benvenuti a casa mia di Philippe De Chauveron. Ma questo Francia di Bruno Dumont vuole “giocare pesante”, magari strizzando l’occhio (e amputandoselo, alla fine) guardando ad altre opere francesi, quelle estreme del “body horror”, come Irreversibe di Gaspar Noe (guardasi la scena dell’incidente d’auto prolungato all’infinito e inesorabile verso la fine del film) o Martyrs di Pascal Lauger (guardasi le scene di “estasi” quasi mistica, a telecamera fissa, sul volto della protagonista). Ma il “body horror” arriva solo come onda emotiva (lacrimale, appunto), quasi a reazione, a “distruggere gli argini” di una esistenza, fatta di schemi e routine, rappresentata nella narrazione con cicliche ripetizione e tic (il ripetere le battute, il ballare prima delle dirette, il mantra “co co co” con l’amica Lou) simili a quelli innescati da Sofia Coppola in Somewhere. In Somewhere la Coppola metteva sulla scena le routine di vita e lavoro di un attore ed è interessante come routine simili riescano qui a sposarsi bene anche per la vita di una giornalista tv, di fatto rappresentata più come un’attrice che una cronista. Abituata a ridere e piangere “sulla scena” di un’inchiesta, Francia di colpo si trova incapace di scegliere tra riso e pianto nella “vita vera”, fuori dal ruolo (infranto) della super-giornalista. È affascinante come le lacrime di Francia nel corso del film si “radicalizzino nello schema”, diventino una parte calcolata della sua “maschera di scena”, della sua quotidiana routine espressiva lavorativa.  Ed è qui che il film si fa ancora più “body horror”, perché Dumont pretende dalla Seydoux spremute di lacrime a comando. Il personaggio di France “deve” piangere, trasformare in automatico uno stato emotivo a comando, seguendo i ristretti tempi televisivi, perché al pubblico “piace”. La scena si ferma sul primo piano, al centro gli occhioni della giornalista, nessuno se ne può andare via, telecamera e spettatori compresi, fino a che gli occhioni non gocciolano. Spesso arriva in pochi secondi, qualche volta serve un minutino, ma la performance “emotiva” dopo le prime due volte appare come il trucco del Mangiafuoco al circo, una surreale ginnastica muscolare. straniante ma affascinante, perché le lacrime della diva vengono accolte nella pellicola come le lacrime di una madonnina che è passata dal sorriso della Vergine di Lourdes, il suo primo “talento”,  alle lacrime della Signora di Fatima della “nuova svolta”. 



Ma alla base delle “prime lacrime”, quelle “vere”, cosa c’è davvero? Francia piange per una umanità ritrovata che buca la corazza di austera superiorità o piange per una grandiosità narcisistica che perde i pezzi? A Dumont importa molto, al punto da far girare tutto il film intorno a questo risvolto emotivo, testando quasi “scientificamente” quando a Francia imposti di apparire una donna di potere o una donna che “può cedere alle emozioni”. Per fare questo il regista allestisce un autentico tour de force emotivo inesorabile e crudele, che spinge minuto dopo minuto la protagonista verso drammi esistenziali, privati o legati al lavoro, sempre più grossi e distruttivi. Drammi introdotti quasi sadicamente, con puro gusto per il black humor,  dal personaggio di “Lu”, che alla fine di ogni “dramma” ripete sinistramente: “Dai, non può andare peggio! Cosa potrebbe andare peggio??”. In questo sadico e satirico rincorrersi di catastrofi France assume aspetti ironici simili a quelli de La casa di Jack di Lars Von Trier, dove i personaggi sono serissimi, si comportato seguendo dinamiche solide, magari coerenti,  ma di fatto stanno vivendo dentro una sorta di barzelletta cattiva senza uscita.

 

(Finale) France è un film surreale, scorretto e sulfureo, ma comunque divertente nel suo modo continuo di imboccare strade diverse e “sbagliate” al solo scopo di martoriare una protagonista troppo sicura di se stessa. 

Certo France è un film spietato nei confronti di chi si occupa di informazione per lavoro, che gode a metterle alla berlina in modo chirurgico chi abusa di iperboli e morali per “vendere storie” delle quali, a microfoni spenti (vedasi nel film una scena particolarmente crudele sul discorso “microfoni”) non gli importa oltre che per la gioia dello scoop. Ma la satira è anche questa ed è giusto che “tocchi a tutti”, prima o poi. 

France è anche un film difficile da incasellare e per questo pure difficile da amare “tout court” per chi si aspetta un film più canonico, composto, lineare. Lea Seydoux è un'attrice premiata per  quella bomba generazionale di La vita di Adele, ha lavorato per Nolan, per Scott, Allen, Lanthimos, Gans, Tarantino. È stata l’ultima bond girl dello 007 di Daniel Craig, per gli ultimi due film! È bellissima e molto brava. In France è chiamata a un ruolo “matto”, più di muscoli facciali che di cuore, che può spiazzare, può irritare, può creare barriere emotive con il pubblico. La Seydoux impersona un personaggio che indossa per sopravvivere una maschera statica, che si sforza di comandare artificialmente anche le emozioni più sottili. Un personaggio che non può essere empatico nonostante sforzi ogni suo muscolo facciale e ghiandola per sembrarlo. Non è un ruolo facile, non riesce sempre a comunicare tutte le sue sfaccettature, ma è un grande ruolo. Un po’ più meccanico il resto del cast è abbastanza in disparte, svolgendo bene un ruolo per lo più di contorno, con l’eccezione della causticissima  Blanche Gardin, che dà vita a un personaggio davvero sgradevole, “buffo nel modo sbagliato”, ma anche importantissimo come “specchio” della protagonista, davvero riuscito.

Visivamente è molto interessante, sposando una fotografia di stampo televisivo (i reportage) a paesaggi rarefatti (come la clinica Svizzera, come la casa finemente arredata con enormi quadri) quanto simbolici (il nevralgico traffico parigino intorno all’Arco di Trionfo, simile a un occhio), quanto plastici (il percorso montuoso su cui vanno il marito e il figlio, che sembra quasi richiamare i toni caldi di una pubblicità ma nasconde ben altro). Il ritmo è un po’ lento, ma se si entra nella giusta prospettiva non ci si addormenta. La colonna sonora non si imprime particolarmente in testa, ma è funzionale. 

Francia è un film matto e come tutti i film matti dividerà il pubblico tra chi lo amerà, chi lo detesterà e chi lo detesterà per sentito dire. È un film iperbolico e se non amate le iperboli vi farà venire dei bei mal di pancia ad ogni “alzata di tiro”. È un film in cui è difficile mettersi nei panni della protagonista, che dura anche due ore e venti, che fa satira (e la satira non piace a tutti). Io vi consiglio di farci un giro, perché mi sono divertito e perché amo le cose matte e surreali. E voi amate i film matti e surreali? 

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martedì 19 ottobre 2021

fACTORy32 la stagione teatrale 2021-2022


 

Torniamo molto volentieri anche quest’anno a parlarvi di fACTORy32 di via Watt a Milano, guidato dalla direttrice Valentina Pescetto nella sua quarta stagione teatrale. 

Avevamo incontrato la struttura, gli attori e lo staff un anno fa, prima della “ricaduta del Covid”, alla vigilia di una annata difficile. Il teatro era accogliente, gli attori pronti, i posti a sedere debitamente distanziati e la salubrità dell’aria garantita da un innovativo impianto a ricambio continuo.  Poi purtroppo i teatri non hanno potuto essere aperti per l’emergenza sanitaria della “seconda ondata” e fACTORy32 ha dovuto cambiare la sua programmazione, spostare il palco e i suoi corsi di teatro sulle piattaforme digitali, nell’attesa che la situazione migliorasse. Dal 22 di ottobre 2022 al 9 giugno, con una situazione epidemiologica maggiormente sotto controllo, fACTORy32 riapre le porte al pubblico in presenza, con tutta la voglia di tornare a raccontarsi e raccontare. 

Abbiamo avuto come blog il privilegio di assistere a un'anteprima sulla programmazione dei nuovi spettacoli e speriamo davvero che siano tanti i nostri lettori “dell’area di Milano” che vorranno provare a fare un salto in fACTORy32, vicino ai navigli, per regalarsi una serata a teatro. 

Il fil rouge della nuova stagione è quella che viene descritta come una creatività “potente, contemporanea, appassionante”. Accanto ai grandi autori già gravitanti intorno al fACTORy32, il palco ha riservato spazio anche ad artisti emergenti e drammaturgie inedite, confermando la particolare attenzione nel ricercare nuove energie e nuove sensibilità che ha spinto il teatro milanese a potenziare la propria scuola e la propria offerta formativa al motto: believe in theatre! 

Dal 22 al 24 Ottobre 2021

TABÙ

di Dario Merlini

con Monica Faggiani, Francesca Verga e Dario Merlini

regia Dario Merlini

aiuto regia Silvia Soncini

produzione Faggiani/Merlini

con il sostegno di Compagnia Oyes

in collaborazione con Teatro dell’allodola  

durata 80 minuti

 


La stagione comincia con l’anticonvenzionale Tabù, storia d’amore di un’improbabile coppia che, “incurante del pubblico”, mette a nudo le proprie tematiche più segrete: nel cast Monica Faggiani, Francesca Verga e Dario Merlini.  

Il regista Dario Merlini descrive lo spettacolo come una commedia nera per adulti, che parla di “quello di cui si deve tacere” del rapporto tra uomo e donna. Tabù, scritta da Francesca Verga (anche in scena come attrice) nasceva come un’opera adattata e modellata insieme agli attori, Monica Faggiani e Angelo Tronca, anche sulla base di loro esperienze e suggestioni personali. A causa della pandemia lo spettacolo ha dovuto mutare forma e adesso il ruolo sul palco di Angelo Tronca è interpretato dal regista, che ha portato a una diversa percezione alle vicende. 


Dal 12 al 14 Novembre  2021

VENERE IN PELLICCIA

di Leopold von Sacher-Masoch

adattamento Martino Palmisano

con Manila Barbati e Martino Palmisano

regia Emanuela Bonetti

produzione Baroni Rampanti

durata 75 minuti

 


In novembre è il turno di Venere In Pelliccia, rilettura del celebre romanzo di Leopold von Sacher-Masoch: sensualità e potere portati ai limiti estremi, in una costante, fatale lotta. L’adattamento è di Martino Palmisano che ne è anche interprete insieme a Manila Barbati. Martino Palmisano racconta il suo adattamento del classico Venere in pelliccia, opera del 1870 ma già “moderna”, portata molte volte a teatro ma anche al cinema, con Roman Polanski, come “un inno alla emancipazione” dai ruoli e dagli stereotipi, dove si scontrano e confondono in un atipico incontro tra un uomo e una donna, potere e dominazione, dolore e piacere. Per evidenziare la forte doppiezza di cui vivono i personaggi, condizione che di fatto li rende all’apparenza sospesi e neutrali,  in scena ci saranno due manichini.

 

Dal 10 al 12 Dicembre 2020

CORTI DI NATALE 

Cast composto dagli allievi della SDM, Scuola del Musical di Milano

Direzione Giacomo Buccheri

Direzione musicale Giacomo Buccheri

Produzione CDM - Compagnia del Musical

durata 75 minuti

 


Corti di Natale, prodotto da CDM è un format fresco e innovativo - ideato da Claudio Zanelli – in cui la narrazione tipica del cortometraggio si fonde con la live action teatrale, con un linguaggio universale adatto anche ai più piccoli. Cinque autori, cinque registi, cinque corti teatrali (15 minuti di durata massima) tutti diversi ma con un unico tema: il Natale. Gli ex allievi della Scuola del Musical di Milano portano sul palco uno spettacolo a episodi per grandi e bambini, dove su un’unica scenografia si alterneranno più storie, in cui i classici simboli del Natale diventeranno il motore narrativo. Al centro del palco ci sarà ovviamente l’albero di Natale, ma alla fine dello spettacolo ogni oggetto di scena avrà “vissuto” una propria vita. Tra un cambio di scena e l’altro ci saranno interludi musicali sotto la direzione del maestro Buccheri 

 

Dal 21 al 23 Gennaio 2022

GIOCHI DI CARTA

Regia di Francesco Leschiera

Drammaturgia di Luca Pasquinelli

Con Ettore Distasio, Mauro Negri, Andrea Magnelli

Scene e costumi di Paola Ghiano e Francesco Leschiera

Luci di Luca Lombardi

Elaborazioni e scelte musicali di Antonello Antinolfi

Assistente regia Serena Piazza

Grafica di Valter Minelli

Produzione Teatro del Simposio

Durata 65 minuti

 


Giochi Di Carta: il Teatro del Simposio presenta l’appassionante storia di Matthias Sindelar, uno dei più forti giocatori di calcio di tutti i tempi, nato cattolico in una famiglia di origini ebraiche. Durante l’Anschluss nazista del 1938, il campione è protagonista di un gesto eclatante che mostra il suo grande coraggio. Il Teatro del Simposio porta in scena una vicenda reale che si fa teatro.

 

Dal 18 al 20 Febbraio 2022

THE RIDERE

di Salvatore Aronica

con Salvatore Aronica e (Stefano Barra) Davide Calgaro

regia Salvatore Aronica e Daniele Turconi

produzione Aronica/Barra

durata 60 minuti

 


Salvatore Aronica e Davide Calgaro con THE RIDERE rievocano le “vite parallele”, tra spettacolo e amicizia, delle celebri coppie comiche del passato. Pappa e Gallini, giovani artisti, presto si sentono divisi tra quello che vorrebbero fare e ciò che viene loro imposto, andando presto tragicamente a disgiungere la coppia. L’attore Salvatore Aronica racconta di uno spettacolo nato nel 2018, morto e risorto oggi nel 2021. Lo spettacolo nasceva prima del periodo Covid, quando lui avrebbe condiviso il palco con Stefano Barra, raccontando con malinconia, da “vera coppia comica”, le vicende alterne di una vita tra “palco e realtà” proprie di celebri coppie dello spettacolo come Zuzzuro e Gaspare. Un po’ profeticamente, come successo a Pappa e Gallini, anche la coppia formata da Aronica e Barra si è in questo periodo divisa. Così lo spettacolo è mutato, con Davide Calgaro che sulla scena non riprende il ruolo che era di Barra, ma proprio di “quello che lo deve sostituire”, perché “lo spettacolo deve andare avanti”, nella coppia comica. Lo spettacolo è diventato così diverso è ancora più malinconico, portando sulla scena anche il “fantasma personale” di una coppia di comici che non c’è più. 

 

Dal 4 al 6 Marzo 2022

IL PICCOLO PRINCIPE …L’Essenziale

Tratto da Il piccolo principe di Saint - Exupery

con Carlo Decio

Regia Mario Gonzalez

produzione Teatro de Gli Incamminati

durata 70 minuti

 


Seguendo il filo logico di un linguaggio universale, Carlo Decio porta a fACTORy32 l’anteprima assoluta del suo spettacolo tratto dal capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, “uno spettacolo adatto ai bambini dai 6 ai 100 anni”. La lunga collaborazione con il regista Mario Gonzalez, maestro di teatro e di vita per Carlo, conferisce a un monologo della durata di un’ora un ritmo innovativo che sorprenderà di continuo, grazie alle mille voci che il talento dell’attore sa creare per evocare ognuno dei personaggi di questo magico libro. Per non scordare mai che “Tutti i grandi sono stati piccoli, ma pochi di essi se ne ricordano”. Carlo Decio porta in scena un One Man Show in cui da solo sul palco dà voce a tutti i personaggi del Piccolo Principe, sdoppiandosi e modificandosi in un lungo dialogo interiore simile a quello rappresentato dal suo Ulisse. Il suo Piccolo Principe è un inno a non farsi sfuggire le cose belle che si sono sotto gli occhi, conservando uno sguardo di fanciulli. 

 

Dal 18 al 20 Marzo 2022 

IL PREFERITO

Drammaturgia e regia di Dario Merlini

con Daniele Crasti e Dario Sansalone

produzione Compagnia Oyes

durata 75 minuti

 


La memoria sembra essere anche uno dei temi de Il Preferito, della Compagnia Óyes. Ricordare di essere stati una famiglia anche se la vita ha portato poi i due fratelli protagonisti di questa inquieta commedia agli estremi opposti della scala sociale. Due fratelli-nemici ma alleati per forza, alla ricerca di una disperata sopravvivenza tra menzogne e crimini. Come riconciliare un politico di successo - ma sull’orlo del precipizio - e un fratello scapestrato che potrebbe salvargli la reputazione? La risposta è sorprendente, e avviene dopo un vero e proprio tour de force interpretativo che evidenzia sentimenti essenziali e verità nascoste. 

Il regista Dario Merlini racconta “Il preferito” come una storia sulla famiglia, vissuta come “luogo di origine come di corruzione”. I personaggi di un politico rampante e di un ex tossico sono prima di ogni cosa fratelli e quindi legati tra loro dalla vita.  

 

Dall’8 al 10 Aprile 2022

CAFARDS – Il buio dopo l’alba

scritto e diretto da Nick Russo

con Beatrice Gattai, Gledis Cinque, Giacomo Bottoni, Andrea Pellizzoni e Filippo Tirabassi 

costumi Noemi Intino

produzione PaT – Passi Teatrali

durata 75 minuti

 


“In una villetta al mare, Matteo è di guardia alla sorella Claudia, incosciente sul divano per una ferita d’arma da fuoco, quando Vale, Filo e Mary trovano rifugio nell’edificio. Si ritrovano così a condividere dieci ore di interminabile attesa, colme di paure, incertezze e conflitti, che costringeranno i sopravvissuti a rimettere tutto in discussione. Cinque personalità a confronto, con un’unica possibile risoluzione: l’autodistruzione. L'obiettivo è spingere lo spettatore a immedesimarsi prima in uno, poi in un altro personaggio, mettendolo di fronte alla possibilità di riflettere su tutto ciò in cui crede.”

Cafards è un giallo “distopico” su 5 persone rinchiuse in un edificio e vuole riflettere anche sulla situazione di Lockdown con l’intento di elaborare quella tensione, condividerla e scomporla nei punti di vista di ogni personaggio. 


Dal 6 all’8 Maggio 2022

ACCORDO DI MARE – Il viaggio che abbiamo in comune

testi e canzoni di Enrico Ballardini

con Enrico Ballardini e Riccardo Dell’Orfano

produzione Odemà

durata 60 minuti

 


Accordo Di Mare è un canto epico e onirico che trova le sue rime tra realtà, mito e fantasia, per chi pensa che non sia mai troppo tardi per partire, viaggiare, realizzare un sogno. Canzoni e racconti che esplorano le acque di quella necessità - recondita e nascosta in ognuno di noi - di non volersi fermare mai. Il viaggio non è sempre fatto di chilometri, ma di sguardi, fuori e dentro di sé. Viaggiare significa non fermarsi davanti alle proprie paure, alle proprie convinzioni e convenzioni. Viaggiando si può incontrare chiunque, anche se stessi. “

Enrico Ballardini con Accordo Di Mare, porta in scena il mare, quello che definisce come “l’altra faccia del cielo”, attraverso una sequenza di canzoni e racconti che esplorano il tema del viaggio e della realizzazione dei propri sogni. Ballardini racconta che lo spettacolo, nella sua prima forma, quando doveva uscire l’anno scorso, era una specie di monologo. Ora, senza tradire la sua prima forma di omaggio a Salgari e Jack London, lo spettacolo ha preso la forma di un racconto, un dialogo tra un anziano e la persona che si prende cura di lui. Per Ballardini la storia è riuscita a viaggiare ed evolversi, nella sua fantasia “in un momento storico in cui non si poteva viaggiare”, con l’idea di “creare un mito per superare la paura della morte”. 

 

Dal 28 al 30 Maggio 2021

VINCITORE PREMIO DRAMMATURGIA 

Vincitore: Discorsi Senza Punto Mentre La Verità Ciao

Scritto e ideato da Rodolfo Ciulla e Aureliano Delisi

produzione PaT - Passi a Teatro

durata 75 minuti

 


Chiuderà la stagione il vincitore della prima edizione del Premio di Drammaturgia Italiana Contemporanea Under 35, organizzato dall’Associazione “PaT-Passi Teatrali” con la collaborazione di fACTORy32: Discorsi Senza Punto Mentre La Verità Ciao. fACTORy32 nasce proprio come luogo per coltivare il talento e la creatività dei più giovani. Il testo vincitore, ideato e scritto da Rodolfo Ciulla e Aureliano Delisi, è sorprendente e al contempo surreale: permeato da un’elegante follia alla Monty Python, racconta la vita in un alternarsi continuo tra leggerezza e dramma. L’opera ha l’intento di creare un corto-circuito tra il genere comico e il drammatico, chiudendo la stagione con una nota surreale quanto “nuova”, in esplorazione di linguaggi originali. 

Accanto alla stagione artistica, fACTORy32 continua la sua parte dedicata alla formazione con un’offerta di corsi in continua espansione, in presenza e in online, guidati da professionisti di grande livello come Pietro De Pascalis, Alberto Oliva, Monica Faggiani, Rosario Lisma, Pachy Scognamiglio (vocal coach di vari artisti tra i qualiMahmood, Elodie, Madame e molti altri) e Lisa Vampa.

Continua poi, per il quarto anno di fila, la collaborazione artistica internazionale con Michael Rodgers, attore, acting coach, regista, per 15 anni allievo di Larry Moss, a sua volta allievo diretto di Stella Adler, Lee Strasberg e Sanford Meisner. 

È un teatro che risorge e qualche volta muta pelle, quelli proposto da fACTORy32 per la sua nuova stagione. Un teatro che ha saputo reinventarsi, riflettere su se stesso e aprirsi a nuovi stimoli, cercando di trovare il “buono”, a livello creativo e umano, dove c’è ancora una forte incertezza per il futuro. Un'energia alla quale si può di nuovo attingere in presenza, per condividerla, che sarebbe davvero un peccato “perdersi”. 

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