venerdì 29 ottobre 2021

Antlers: la nostra recensione della favola nera diretta da Scott Cooper

In un paesino dell’Oregon, nei pressi di una zona mineraria un po’ degradata, vive Lucas (Jeremy T.Thomas). È un ragazzino tranquillo, silenzioso e dall’indole gentile, dal fisico sparuto e minuto, mingherlino, quasi accartocciato su se stesso nel suo modo timido di porsi. La sua remissività insieme a tutto il resto ne fanno un po’ il sogno segreto di ogni bullo, ma qualcosa dentro di lui sta cambiando e “avercela con lui” potrebbe per qualcuno “non valerne la pena”. Tutto inizia quando Lucas, che non parla molto in genere, accoglie con entusiasmo l’invito della maestra Julia a raccontare alla classe, per un lavoro sulle favole e le leggende, una storia originale scritta da lui. Il racconto sembra inizialmente una variazione sul tema della celebre “I tre orsi e riccioli d’oro”, peraltro, citata proprio da una sua compagna di classe il giorno prima. Ossia una favola classica, che racchiude in sé la ferrea morale (perché ogni favola deve avere una morale): “non impicciarti delle cose degli altri”.  Ma presto il racconto del ragazzo assume toni diversi, quasi sinistri. Lucas, che nella vita reale vive insieme a un padre trasandato e alcolizzato e a un fratello più piccolo, parla alla classe di grande orso, orso piccolo e orsetto. I tre dopo la morte di mamma orsa vivono da soli in una casetta e tutto va bene, fino a che grande orso perde il lavoro e poi si ammala. Grande orso per questo diventa sempre più affamato e arrabbiato, al punto che deve essere tenuto in casa rinchiuso per contenere la sua foga. Con il tempo sembra che stia mutando anche il suo corpo insieme alla fame. Poi la fame arriva anche per orsetto è pure lui non è più in grado di uscire di casa. Piccolo orso, vista la situazione, cerca di fare in modo che grande orso e orsetto possano nutrirsi, provvedendo a uscire lui di casa per cacciare, perché solo così si calmano e possono continuare a vivere insieme. La morale della favola di Lucas è che orso piccolo deve fare così perché vuole bene alla sua famiglia. A corredo del racconto, per rendere la storia più bella, Lucas mostra alla classe dei disegni inquietanti di uomini-orso-mutanti, che smembrano e sbudellano tanto animati che esseri umani, tra i boschi, in un mare di sangue. Allarmata, la maestra Julia parla dell’accaduto a suo fratello Paul (Jesse Plemons), lo sceriffo locale, immaginando una situazione familiare pericolosa per i due bambini affidati alle cure di un padre già noto alla polizia, anche in ragione dei lividi sulla schiena di Lucas. Ma presto la storia assume tinte molto più inquietanti. Soprattutto quando nella piccola cittadina iniziano a scomparire persone che alcuni giorni dopo vengono ritrovate nei boschi, divise in due parti, con i resti del corpo quasi masticati da un enorme animale. 

Il nuovo film di Scott Cooper si muove dalle parti delle classiche storie sull’uomo-lupo, rappresentazione spesso della malattia, dell’ebbrezza da abuso di sostanze e della sofferenza umana per l’ingiustizia provocata da azioni di cui non si ha il pieno controllo (come nel classico Un lupo mannaro americano a Londra di Landis). Con la suggestione di simili creature feroci quanto sfortunate, il bravo regista e sceneggiature di Hostiles, Crazy Hearts e Il fuoco della vendetta sceglie di raccontare una storia sull’infanzia violata che ha tutte le caratteristiche della favola nera. 


Si vede molto la mano di Guillermo Del Toro, che idealmente lega la pellicola ai suoi Il Labirinto del Fauno e Mimic, ma anche ai titoli da lui prodotti come Mama di Andreas Muschietti, Tigers are not afraid di Issa Lopez, Scary Stories to tell in The Dark di Andre Ovredal. Anche qui la “favola” diventa il linguaggio narrativo su cui interpretare un reale difficile da capire e accettare, rendendolo più sopportabile dal punto di vista di un bambino. Ma come in tutte le favole nere di Del Toro a un certo punto l’incantesimo si rompe e realtà e finzione confliggono verso un esito tragico che mischia e confonde i piani, realizzando un horror di stampo quasi esistenzialista. Certo, spesso in queste pellicole la realtà infine “vince inesorabilmente” sulla favola, rimettendo al suo posto il “piano fantastico”. Ma questo non impedisce mai allo spettatore di avere la sinistra sensazione che un mondo di mostri e fate sia lì ad aspettarlo, con tutto il suo carico emotivo da racconto tribale recitato intorno a un fuoco, oltre un varco invisibile. Così in questa favola rurale un padre che perde la sua umanità per via dall’ astinenza dalle droghe che abusa può assumere magicamente il corpo mutante e le zanne feroci di un leggendario windigo. Un mostro insaziabile “che un tempo era un uomo” e  che può essere combattuto solo quando è di fatto “sazio”, reso docile perché non più “affamato” dalla carne fresca della sua ultima preda appena ingerita. Un mostro che a ogni mattanza alimentare diventa sempre meno umano ma che però al contempo resta e resterà per sempre, agli occhi di Lucas, anche un padre. Un padre afflitto da una malattia che sembra destinata presto a colpire anche il fratellino più piccolo del nostro protagonista, in una spirale di sofferenza che non prevede vie di fuga. È qui che il piccolo Lucas, interpretato dal bravo Jeremy Thomas, diventa un titanico e sfuggente anti-eroe, votato alla disperata preservazione dei suoi cari. Un ragazzino minuto e solo al mondo, che si addestra a cacciare nei boschi animali selvatici da procacciare ai suoi parenti, quanto dedito allo studio di queste magiche e terribili creature del folklore in cui si sono trasformati per poterli contenere, sedare, cercando disperatamente di avere un'occasione per scorgere di nuovo in loro un volto umano. In parallelo assistiamo alla storia meno “fantasy” ma ugualmente terribile dell’infanzia di Julia, l’insegnate di Lucas. Anche Julia è stata segnata a vita dalla convivenza con un mostro, simile per potere ma diverso, dal quale lei non ha mai potuto affrancarsi, proprio perché come per Lucas era “suo padre”. Julia e Lucas sono irrimediabilmente legati da un’infanzia carica di dolore e forse la chiave per uscire dalla loro condizione è “vedersi l’un l’altra”. Antlers si costruisce così come un interessante e duro film sul coraggio di essere figli, dove il bene e il male si mischiano nei sentimenti individuali, dove tutti i personaggi sulla scena si sentono “cattivi ed infelici”, impotenti quanto ”chiusi in un angolo” dalla vita. 


Visivamente la pellicola di Cooper vive di paesaggi ombrosi, autunnali e nebbiosi. Con corpi squartati e sangue pronti a comparire presto ovunque. Non c’è una forte componente splatter, ma la crudeltà della vicenda è palpabile e la pericolosità dei mostri che si aggirano nell’ombra appare sempre presente, costante e inesorabile, un po’ alla maniera di A quiet place. Favoloso nella modellazione, possente quanto terribile nelle movenze, nell’urlo e nel sangue ribollente (reso da un effetto visivo come un fuoco interno al corpo) il Wendigo. Un mostro  che nella sua forma finale ricorda molto da vicino il terribile Krampus dell’omonimo e riuscitissimo film di Michael Dougherty. 

Per gli amanti degli effetti speciali più “truculenti” è una creatura davvero ben studiata. 

L’esito finale di Antlers è amarissimo, sconfortante. Ci porta dalle parti di Mama e Tigers are not Afraid. Antlers è un film molto duro, molto poetico, difficile per qualcuno da incasellare per via un doppio binario narrativo (la storia del bambino è quella della maestra) che non sempre trova la giusta sintesi in quanto vuole suggerire più che palesarsi. È inoltre un film che offre (pervicacemente) poca “soddisfazione” a chi cerca alla fine del tragitto un esito positivo della vicenda. 

Ma se volete un po’ di “sana inquietudine”, ossia bramate quel raro magma di cui dovrebbe essere inzuppato ogni horror che si rispetti, Antlers ne ha da offrire a frotte. Grazie alle suggestive ambientazioni, a un ottimo cast di attori (e anche proprio in virtù del suo punto di vista narrativo scomodo, quanto a volte incredibilmente realistico nel raccontare “i mostri” che abitano le mura delle famiglie più sventurate). Antlers è una favola horror che sa essere horror fino alla fine. Cosa che non tutte le pellicole horror moderne riescono a fare. 

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