lunedì 30 gennaio 2017

Monolith

Primo tempo di Recchioni, Uezzo e Ceccotti (LRNZ) - un volume fantastico che si legge a 300 km orari su sterrato...




Monolith, la macchina per la famiglia definitiva. Confortevole, cool, veloce, superaccessoriata, adatta a lunghi viaggi e dall'animo umano. Il suo computer di bordo di ultima generazione vi sosterrà nei momenti di fatica e pericolo alla guida, le sue portiere blindate vi proteggeranno dagli incidenti e dai maleintenzionati, i suoi airbag vi salveranno bruscamente la vita in caso di impatto, ma poi vi chiederanno scusa ritirandosi e facendo partire dallo stereo la canzone rilassante che più vi piace. Il suo impianto satellitare vi farà trovare sempre da qualcuno, che sia un vostro caro o mezzi di soccorso, anche se vi siete persi perché non c'è campo (e se avete come operatore 3, sapete che potrebbe essere pure in questo stesso momento e non si sa per quanto). Monolith, disponibile nella verniciatura nero notte metallizzata è solida, gentile e protettiva come dovrebbe essere una vera famiglia, la vostra famiglia. 
Con questo mostro tecnologico votato al welfare familiare in garage, con il suo musetto buffo e squadrato che la fa sembrare un ED 209, un padre sa che la sua famiglia è al sicuro. Fino a che la sua compagna giovane e ribelle in crisi post-adolescenziale se ne scappa di casa con il bimbo, destinazione "diamoci una bella pausa di riflessione lunga e non mi chiedere dove vado", scegliendo come mezzo di fuga non la Monolith, ma una macchinetta brutta e squadrata. Parte l'inseguimento cittadino fino che il padre la raggiunge e, fiero e accondiscendente, le dice (un po' fra le righe): "Ok, vai dove vuoi con mio figlio e tutti i tuoi problemi di inaffidabilità, ma fallo con la Monolith, che è una madre più brava di te. E ha pure l'aria condizionata". La donna, che ha sentito solo "aria condizionata", viene quindi sottoposta alla registrazione del mezzo con impronta digitale e così legata stabilmente al cordone ombelicale di un gps satellitare di ultima generazione. Dopo tre minuti che è alla guida, la donna si accorge che l'aria non è la sola cosa che è stata condizionata nell'auto. Se non spegnerà il gps non sarà mai libera da quell'uomo e dal suo concetto opprimente di famiglia. Se quello con un click la troverà ovunque in un attimo, che fuga ribelle e adolescenziale avrebbe fatto? Così chiede a Irma (nome comune di computer parlante di stampo recchioniano), il computer di bordo, di staccare ogni controllo satellitare e mettere a palla Freebirds dei Lynyrd Skynyrd. Cosa può capitare di male dentro l'auto più protettiva e sicura al mondo? Niente. I problemi iniziano quando tu per caso finisci fuori dalle sue portiere e dal suo "concetto" di famiglia. Anche se si parla di una famiglia dispersa in luogo isolato. Con il tuo bambino rimasto a bordo.


- Un'idea semplice ma geniale: macchine umorali, metafisiche, ipertecnologiche, maledette e amanti. Abbiamo visto e letto l'amore totalitario richiesto da Christine, la macchina infernale dello strano duo King - Carpenter. Abbiamo aperto il cofano dell'auto de Il replicante e scoperto che al posto del motore aveva un cuore (più invecchia più è amabilmente trash il suo pilota a Charlie Sheen, un Corvo ante litteram). Abbiamo assistito alla rivoluzione ordita dagli splatterosi camion di Tir / Brivido. Ma abbiamo conosciuto anche auto, pur extraterrestri, dal computer di bordo amichevole e gentile come in Navigator. Senza contare le auto che pur "mute" e apparentemente normali sono riuscite negli anni a rappresentare il cuore del loro pilota, come La Bestia di Dominic Toretto e la V8 Interceptor di Mad Max. Gli esempi di questi legami intimi uomo-macchina, anche erotici come nel caso delle lamiere sensuali di Crash di Cronenberg, sono tantissimi e il tema è sempre caldo. Ma una declinazione come quella operata da Monolith, la "macchina per la tua famiglia" è nuova, accattivante e prosegue idealmente un discorso iniziato da Recchioni su Orfani, dove gli artigli metallici di una macchina che si credeva umana e madre rapivano dalla culla piccole vite per proteggerle a suo modo (presto riparleremo di Orfani tirando un po' le fila, non preoccupatevi). Con pochi e incisivi dialoghi (e con Freebirds e una splendida / inquietante canzoncina per bambini), Roberto Recchioni e Uezzo delineano al meglio questo "primo tempo" di un'opera che si concluderà con un volume di futura pubblicazione e verrà pure portata in sala con una trasposizione cinematografica a opera di Sky Cinema. Un'opera che risulta da subito accattivante, un po' anni '80 (ha un po' anche di Cop Car) e un po' Verhoeveniana, ma soprattutto fresca e imprevedibile. Un'opera dai temi maturi e dalle sfumature non solo da fantascienza sociale (la migliore) ma pure da horror. Tuttavia non starei qui a parlarvene se non fossi rimasto folgorato dall'incredibile lavoro grafico svolto da LRNZ e valorizzato al massimo da un cartonato a colori di stampo francese che per bellezza puramente estetica deve essere un pezzo imprescindibile nella biblioteca di chiunque ami le graphic novel. Dopo opere davvero interessanti come Golem e Astrogamma, in cui LRNZ ha sprigionato a pieno il suo amore per il tratto orientale e la contaminazione di stili, in Monolith il cartoonist rivela uno stile del tutto nuovo, ultra-impattante e iperrealista che mi ha ricordato i lavori migliori di Clayton Crain e Nguyen, se non addirittura qualcosa dell'ultimo Rosinski. LRNZ, che ha anche concepito personalmente la stessa auto Monolith, crea un mondo visivo straordinario in cui le tavole vibrano e risuonano dell'assalto cromatico di luci fluo. Le figure umane sono definite da un tratto realistico incredibilmente particolareggiato, quotidiano quanto sensuale, vivo. L'azione è sempre chiara e potenziata in cinemascope da tavole larghe e profonde. Forse si poteva essere più precisi nelle scene di inseguimento cittadino, che soffrono di una narrazione grafica troppo a strappi, ma qui sto veramente facendo il pignolo pedante, perché parliamo di un'opera che visivamente si colloca senza troppi problemi al top di quanto ho visto negli ultimi tempi. 


- Peccato che duri poco: Monolith è in formato BD  (formato internazionale che Bonelli sta sempre più sperimentando, anche grazie ai bellissimi Tex cartonati di ultima generazione) e questo significa un numero ben più esiguo di pagine rispetto al formato Bonelli classico. A questo si aggiunge una narrazione che preferisce affidarsi all'indiscusso fascino della parte grafica, lasciando non troppo spazio ai dialoghi. Ciò che ne risulta è un fumetto che si legge veloce quanto buttare giù uno shottino al bar, appagante ma quasi istantaneo. Si vuole ripartire subito, stamparsi in testa le tavole più belle, apprezzare ogni dettaglio. Ne vorremmo di più e lo vorremmo subito, ben consci, da amanti dello stile editoriale BD qui applicato alla lettera, che per replicare un lavoro del genere sul secondo volume al buon LRNZ servirà ancora un sacco di tempo. 

Ma davvero non vediamo l'ora di metterci le mani sopra, con la sana curiosità che suscita il fatto che con questa Monolith potremmo davvero andare da qualsiasi parte. In pieno confort. 
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domenica 29 gennaio 2017

Les ogres


La vita gira veloce come una girandola per gli artisti di strada della compagnia teatrale Davai. Fanno teatro di strada, recitano "L'uomo senza qualità" di Cechov  tra cabaret, capriole circensi, musica indiavolata, balli sfrenati e coinvolgimento del pubblico già da molti anni e ogni giorno è una nuova tappa, un nuovo pubblico e un nuovo tramonto. Ogni giorno volti nuovi che non sai mai se ti accoglieranno felici o incazzati, da allietare con una gioia che non sempre si riesce a esprimere o trovare. Perché non c'è solo il gioco e il divertimento. Le assicurazioni, i contratti con gli attori, gli ingaggi, le scuole, il sipario, i bambini, i tradimenti e i malumori, gli amici, la benzina e il tendone da montare e smontare. Infiniti paletti e scalette imposte allo spirito gitano del gruppo, combattuti con pigio professionale e dolente dalla figlia (Ines Fehner) del capocomico Francois (Francois Fehner), al cellulare con fornitori e clienti mentre guida l'auto, bada ai figli e redige con una mano libera il bilancio. Mille cose da far tornare e anche  questa in fondo è giocoleria, anche se i conti spesso non tornano. Finisce che la vodka che viene offerta agli spettatori durante una delle rappresentazioni teatrali del Davai venga prima e in larga parte consumata dallo staff, giusto per tirare avanti senza pensieri, ma tutti insieme gli attori non mollano, come una grande famiglia, costruendo con coordinazione e precisione chirurgica ogni giorno un grande e spettacolo. Nervi scoperti ma tutti uniti sotto il tendone di unico grande cuore gitano, collerico ma sempre disposto a elargire abbracci e comprensione. Tuttavia ogni tanto la vita impone a questo piccolo popolo sulle ruote di fermarsi, gli attori devono scendere dalla giostra e affrontare un personale mondo personale, lasciato alle spalle e forse troppo presto interrotto, per seguire la gioiosa carovana. Accade a Mr Deloyal (Marc Barbè) che per troppo lunghi anni di lutto ha vissuto con negli occhi la vita del figlio spezzatasi a soli tredici anni da una leucemia. L'uomo, che ora fa l'attrezzista e l'attore,  scopre nella famiglia circense allargata del Davai la  giovane Mona (Adele Haenel), insieme alla possibilità di poter tornare a essere padre. Ma non si sente pronto, cade in crisi e nell'alcol e questo genera un inaspettato effetto domino che colpisce tutta la compagnia. Mr Deloyal beve troppo e si distrae, non fissa un cavo e una ballerina si rompe una gamba. Lo spettacolo deve continuare e Francois assume la sua vecchia fiamma Lola (Lola Duenas, vista in Parla con Lei e Il mare dentro), mandando in pezzi il cuore della moglie Marion (Marion Bouvelar), scombussolando la figlia Ines e colpendo a macchia d'olio tutta la compagnia. Dissapori, urla, corna, brutte figure con gli spettatori. Tutti cadono, la giostra cade e le vite passate degli attori tornano a bussare alle loro porte, a rendere tutto più difficile. Vecchi amori si ritrovano, famiglie si spezzano, lacrime e pugni si distribuiscono al primo che capita a tiro, al primo che si mette per sbaglio dentro la girandola colorata del Davai che il tendono non riesce più a contenere. Lo spettacolo può  comunque continuare?


Dalle parti degli zingari giri di giostra di Kusturica, con il cuore felliniano ricolmo di amore per gli artisti di strada. Lea Fehner al suo secondo lungometraggio gioca amabilmente con una materia per lei familiare, autobiografica: il teatro itinerante che ha caratterizzato gran parte della sua vita e dei suoi affetti. Una vita vissuta, come per gli artisti di questo film, a cavallo di una colorata e sgangherata carovana che ogni giorno regala, spesso per pochi spicci e pochi spettatori, un paio di ore di divertimento. Un cordone di macchine con roulotte, con troppi gibolli e chilometri alle spalle, che non si ferma nonostante le intemperie e i fischi, i problemi della vita e la sfortuna. Gente che vive una dimensione in qualche modo eroica dell'essere "bardo" prima che attore, gente che prima di imparare commedie e tragedie affronta e impara a vivere nella natura più inospitale, ai margini del tendone e della società. Persone che vengono per questo definite, con poca gentilezza, "orchi". La regista, innamorata ma spaventata dalle difficoltà di questo mondo, tra strade infinite, il freddo di vivere all'aria aperta e il pubblico spesso crudele, che ti guarda curioso e spaventato  come si farebbe con un "orco", ha lasciato la sua famiglia mobile imbracciando la telecamera e dedicandosi ai lungometraggi. Ma questo ambiente caloroso e zingaresco l'ha subito richiamata a se con una nostalgia così grande e prepotente che qui, nel suo secondo lungometraggio, non può che esplodere. La vita e il teatro si sovrappongono al punto che la regista, anche sceneggiatrice, ha voluto con sé sul set la sua stessa famiglia gitana, da papà Francois a mamma Marion alla sorella Lea. E siccome gli artisti sono fatti della stessa stoffa dei loro personaggi (e mi si perdoni la sgangherata citazione), la Fehner ha deciso, in un gioco di specchi, di includere in questa versione cinematografica della sua  famiglia allargata gitana anche il Mr Deloyal di Marc Barbe, personaggio che è ispirato proprio all'Uomo qualunque di Cechov, opera che il Duvai mette in scena. Passeremo in sala un po' di tempo con gli orchi. Li osserveremo curiosi e stupiti e forse impareremo qualcosa da loro in un film che è un vero e proprio inno a chi ha deciso di vivere solo per allietare gli altri. 


Les Ogres esce nelle sale italiane ironicamente mentre uno dei più grandi spettacoli di strada, il circo Barnum, chiude i battenti. Esce in sordina come in questo stesso periodo è uscito in sordina  La Stoffa dei Sogni con Sergio Rubini e Ennio Fantastichini, anche lei una pellicola in cui si celebrano i tempi sempre più "che furono", degli attori in viaggio (con un ugualmente splendido parallelo tra vita sul palco e vita reale). I gitani, gli artisti da strada e il circo sono fuori moda e quindi viva i gitani, viva il circo, viva gli artisti da strada. Rinchiusi come si è in palazzi in cui si fatica spesso a conoscere il nome del proprio vicino, alcuni spettatori troveranno curiosa, socialmente pericolosa e troppo fracassona la compagnia teatrale Davai, ma dopo aver passato un paio di ore con loro si è pronti a cambiare idea, anche grazie alla grande ironia e autoironia di cui la regista pervade l'opera. Perché ci inquieta e sorprende questo strano mondo sulle ruote (più vicino al resto dell'Europa che all'Italia), dove i bambini "per giocare" rubano i portafogli. Dove attori avvinazzati si addormentano nei campi per svegliarsi la mattina circondati da pecore. Dove poveri bimbi vengono sottoposti al fumo passivo mentre in piccole macchine aspirano fumi equivoci che escono dalle canne dei genitori. Dove una donna sfiorita e tradita dal marito viene, "per tirarle su di morale", fatta oggetto di un asta in quanto "carne ancora buona". Dove un uomo che trova la sua ragazza nuda con un estraneo riesce a scherzare con lei della cosa mentre un altro esce dalla roulotte urlando al mondo con un megafono che sua moglie è una poco di buono. Dove le risse scoppiate per i motivi più gravi e irreparabili si trasformano in occasioni per ridere e tornare amici. Dove una madre partoriente non smette per un istante di bere e fumare e fare sesso promiscuo. E fa specie che in un mondo il cui sembra dominare il sessismo più evidente in realtà siano le donne a comandare, non solo con l'arma della dolcezza ma anche della risolutezza, su un branco di scorretti, altezzosi e amabili eterni bambinoni. 


Completamente strani, questi Orchi (così vengono chiamati all'estero, come fossero creature grottesche quanto spiriti silvestri), che vivono la vita tutta a modo loro, ma che alla fine non possiamo fare a meno di sentire vicini a noi, al punto da desiderare magari passare un po' di tempo in più con loro, dopo i titoli di coda. Perché in tutti gli eccessi il loro enorme cuore zingaro ci abbraccia, sentiamo il sudore, l'alcol nella gola, il profumo intenso e il suono della risata sghemba di una grande famiglia. E la società ha bisogno che il cinema racconti queste storie, soprattutto in momenti in cui l'integrazione è difficile e si guarda con sospetto e timore le persone che vivono nel pianerottolo vicino. E' importante scoprire quanto umani siamo anche gli orchi.  Lea Fehner conferma di avere la stoffa della grande regista nel dare voce a un amabile e squinternato plotone di attori in uno slice of life solo all'apparenza lineare, dall'animo anarchico e solare. Tutti gli attori trovano il loro spazio e la loro voce in una girandola colorata e dal ritmo sempre incalzante. Si ride, si piange. C'è molta malinconia e altrettanto liberatorio spazio per il grottesco, il sensuale, il satirico. Allo spettacolo contribuisce anche l'ottima colonna sonora di Philippe Cataix, spigliata, veloce e con un "24mila baci" di Celentano che fa capolino nella più improbabile delle scene. Vengono facili i paralleli con La strada di Fellini, ma anche con Gatto nero, gatto bianco di Kusturica. C'è soprattutto un tipo di cinema che è ancora troppo invisibile nelle nostre sale, che va difeso e riconosciuto anche a dispetto dei cartelloni che lo nascondono. Un cinema fortemente premiato dalla critica ma ancora invisibile. 
Les Ogres arriva in Italia anche grazie a CineMAF. Un portale che permette la distribuzione di pellicole in streaming laddove non riescano ad arrivare nelle sale. Hanno anche delle interessanti iniziative legate alle scuole. Nel caso foste interessati vi lascio il link al loro sito www.cinemaf.net e www.scuola.cinemaf.net se volete fateci un salto. Aiutare  queste pellicole a farsi conoscere dal grande pubblico non credo sarà mai un male. E a me qui torna in mente anche un pezzo dei Negrita..




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mercoledì 25 gennaio 2017

Miguel Ferrer, uno dei più grandi caratteristi di Hollywood ci ha lasciato



E' stato il rampante Bob Morton in Robocop, l'agente Albert Rosenfield di Twin Peaks, il primo paziente in E.R., James Torrence nel televisivo Shinig, il pilota Richard Dees che combatteva i vampiri in The Nightclub Flier, ma lo avrete visto ovunque in questi anni, in film e telefilm. Era l'attore perfetto che veniva scelto quando serviva un personaggio arrivista, ambiguo, spesso ingessato, spesso sarcastico. Perfetto come villain, perfetto come emanazione dei poteri forti e un po' sordi dello stato. Gli volevamo bene perché sapeva sempre metterci qualcosa di suo, migliorare ogni film in cui compariva e quando di sorpresa ce lo trovavamo in una pellicola, qui nella piccola redazione de Le Conseguenze facevamo la hola. Ci mancherà e mancherà al cinema. 
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giovedì 19 gennaio 2017

Sfondamento dei cieli - Gurren Lagann


Mondo del domani domani. L'uomo non ha trovato la via dello spazio, vive ancora sull'amato pianeta azzurro, anche se non è più in grado di vederlo alla luce del sole. Salvo pochi temerari, vive nell'oscurità, nel sottosuolo, come una talpa, tra gallerie buie e villaggi simili a formicai che lui stesso scava, grazie a delle trivelle a mano. La sopravvivenza è difficile, ma la speranza rimane incrollabile e a colpi di trivella si scoprono strade che portano a nuovo luoghi e uniscono tra loro i villaggi e i sopravvissuti. La terra offre ancora all'uomo i suoi frutti e le sue risorse, gli permette di sopravvivere con i corsi d'acqua, lo difende con la sua conformazione rocciosa, lo tiene lontano dai mostri che si aggirano sulla superficie del pianeta, gli uomini bestia. Creature simili ad animali antropomorfi dotate di tecnologie straordinarie e sempre a caccia di prede umane. Esseri forti e inarrestabili, che si muovono all'interno di robot corazzati dall'aria un po' cretina ma minacciosa chiamati Gunman. Ma sottoterra qualcuno non li teme. Kamina è un ragazzotto decisamente tamarro, uno scavezzacollo pasticcione ma anche un autentico concentrato di "palle". Non ci sta a stare sottoterra, vorrebbe andare a prendere a calci i mostri e reimpossessarsi del nostro pianeta. Non ha un piano che non sia cretino (una scala volante fatta da "cinghiali" per raggiungere la superficie non è un piano...) non ha i mezzi, anche se ha raccolto un discreto numero di seguaci tra i più giovani del suo villaggio. Ma vuole farlo comunque e il suo entusiasmo è contagioso. Simon è un tipo timido e introverso, non crede di sapere fare tante cose ma una gli riesce bene, scavare. E' giovane, gracilino ma determinato e tutto il giorno, senza mai lamentarsi,  scava cunicoli su cunicoli che possano servire alla sua comunità. I due si rispettano e stimano. Kamina è pazzo ma Simon gli vuole bene, anche grazie al contorto sistema che Kamina usa per infondergli un po' di autostima. Una cosa folle ma profonda che suona tipo: "Non serve che credi in te stesso ma credi in me, perché io crederò sempre in te". Se Kamina è un grande "incantatore di uomini", ha quindi il carisma del capo popolo ed è pronto ad una incosciente e mal gestita rivoluzione, Simon lo scavatore è il perfetto "uomo concreto", che tace e lavora per il bene comune, il perfetto Boris Stakhanov. Fino a che un giorno non trova un autentico tesoro. Una trivella che irradia una strana luce. E subito dopo si imbatte in un altra reliquia formidabile, quella che sembra la testa di un robot. In realtà poi il robot è davvero "tutto lì". Una testona che aperta la "calotta cranica" dà accesso a un posto di comando non più grande di una Smart. Non c'è nemmeno un vero corpo da attaccare al testone, perché dallo stesso fuoriescono delle gambette e delle braccine un po' tristi. Una cosetta abbastanza sfigata ma che incredibilmente  grazie alla trivella misteriosa "parte". Si può usare!




In un rapido susseguirsi di eventi Kamina e Simon riescono ad arrivare in superficie, superando le perplessità del capo villaggio. Di colpo incontrano per caso la bella sniper Yoko, che combatte contro i Gunman con il suo mega fucile di precisione e non ha paura di vivere in superficie. Lei diventerà presto la loro musa e i tre decideranno di partire per reclutare un esercito. In poco tempi pure Kamina riesce ad impadronirsi di un robot, buttando fuori l'uomo bestia che lo comanda. Un robot che è un po' come lui, un tipo "senza testa ma tutto palle".
Al quale però appone i suoi "segni di riconoscimento" dei giganteschi occhiali da sole e la bandiera che si è creato da solo, un teschio fiammeggiante.
Ma è qui che si scopre un inaspettato potere ulteriore della trillerà lucente e del misterioso robottino di Simon. Il piccolo testone può combinarsi con ogni altro robot creando un'arma bellica più potente. O anche solo agganciare una catapecchia per farne una roulotte che cammina. Dalla fusione dei veicoli di Kamina e Simon nasce così il Gurren Lagann, un robot così potente da mettersi a capo di un esercito di Gunman guidati dai terrestri, l'ultima speranza dei terrestri per riconquistare il loro mondi sottraendoli dagli uomini bestia. Ma questo sarà poi un bene? Perché gli uomini erano finiti sottoterra? Gli uomini una volta "liberi" non torneranno infine a compiere quegli stesso sbagli che in passato li hanno condotti alla rovina?




Gainax nel 2009 portava agli estremi la sua anima underground e sovversiva, quella nata da FLCL ed evolutasi in Gunbuster 2, mettendo in scena un anime dal tratto esageratissimo che esteticamente risultava il parto folle tra il genere robotica classico fine '70 (da Getta Robot a Zambot 3) e la graffiti art moderna. Uno stile unico, potente, eccessivo, squisitamente sgraziato e quindi ottimo per un contesto satirico-umoristico, che ha subito diviso le platee. Per quelli che ritenevano che Gainax fosse "solo Evangelion" cioè tratto raffinato, paesaggi realistici, mecha design chiaro, coerente e "fattibile", con forti tributi ad armi e veicoli esistenti vedere le immagini di Gurren Lagann è stato come osservare l'anticristo negli occhi. Personaggi dinoccolati sopra le righe che sembravano usciti da One Piece, congegni meccanici assurdi e illogici, scenografie irrealistiche e in genere una totale disinvoltura (per non dire "una sonora pernacchia") nei confronti di ciò che era scientifico o pseudo-scientifico. Gurren Lagann era pura potenza visiva senza costrutto, un atto di ribellione verso le gabbie mentali che hanno portato il genere fantascientifico robotico a parlarsi troppo addosso, in ragione di procedurali seriosità estetiche a discapito di un messaggio più alto, in genere accantonato a canovacci più rodati e logori. E questa rottura di schemi ha permesso a questa opera di esprimersi con autentiche "metafore firewall", cose folli e uniche. Parimenti nonostante la trama avesse parecchi nodi drammatici, fosse commovente quanto per nulla scontata, l'impostazione generale dell'opera era (come il tratto grafico) fortemente satirico - umoristica, almeno per un buon 70%. Insomma, se amate solo la fantascienza "seriosa" e ultra - deprimente e avete in particolare odio i robottoni anni '70 dall'animo semplice e dai "colpi finali", che più che astronavi da guerra erano armature metafisiche dei protagonisti, quest'opera potrebbe non piacervi da subito. Provate a vedere un episodio o due poi decidete se continuarla o meno. Non scherzo, ho visto un mio amico cadere in crisi epilettica urlando all'anime frasi isteriche. Insomma, il Gurren Lagann porta degli occhiali da sole giganti che usa da boomerang... Ve la sentire di passare sopra a dettagli come questo? Se sì potrete divertirvi con un'opera follemente sopra le righe, che saprà farvi sbellicare quanto commuovere e riflettere. E poi è piena di fanservice...




Non solo tante belle ragazze, ma anche i robot più assurdi ed esagerati di sempre, roba da orgasmo visivo multiplo. Non immaginereste mai fino a che punto potrebbe spingersi l'evoluzione del robottino protagonista, non immaginereste mai cosa potrebbe arrivare ad usare come "armi" nella sua ultima battaglia. 
Gurren Lagann è poi anche  tematicamente, pur nei mille eccessi, un'opera di genere robotico di altri tempi. E anche questo è un dato che farà la scrematura all'ingresso per gli spettatori. Hot blood, nemici implacabili, morti, onore e rivalsa. Ma al di là di tutto ciò che ci piace del "genere" che fu di Goldrake, tra eroi che si sacrificano e cattivi che diventano buoni, mondi da salvare, grandi amori e grandi armi finali, c'è qualcosa di più. Gurren Lagann soprattutto è un'opera che fa riflettere in modo non banale sulla natura umana. Nelle sue poche puntate incontreremo i nostri personaggi ancora imberbi e alla fine li lasceremo anziani, vedremo tutta la loro vita, le loro speranze e i sogni infranti, la loro adolescenza,  maturità e senescenza (guarda che termine ho mollato qui... Per pura bulleria...). Qualcosa che non si vede spesso.
Vedremo tristemente come il mondo abbia dannatamente bisogno di eroi ma alla fine del conflitto, Rambo insegna, non veda l'ora di sbarazzarsene. Anche perché chi sa solo combattere potrebbe non essere un buon capo, anche se ha le intenzioni migliori. L'idealismo è ottimo per porre le basi di una nuova società, quando si combatte contro un nemico comune è facile essere tutti dalla stessa parte, avere una stessa visione. Poi le guerre finiscono e in tempi di "pace" ci si accorge che ci stiamo tutti un po' sulle palle. Che i "burinacci" armati di clava, che sono un po' l'emblema dei soldati improvvisati che combattono qui la guerra contro i mostri di superficie, sarebbe meglio tornassero nelle loro grotte senza fare troppo casino. Che ora gli "adulti" devono amministrare il potere, pur in assenza di quella scintilla eroica dei tempi andato. Non male per un anime robotico stiloso quanto "vintage". Sembra di essere tornati di colpo ai tempi di Zambot, dove gli eroi che combattevano con i mostri alieni, almeno quelli che non morivano, si pigliavano al ritorno della battaglia gli sputazzi in faccia da parte della brava gente comune. Questo capovolgimento di toni si avverte con la seconda parte dell'anime, una autentica cesura temporale tra prima e dopo, la parte dell'anime più pensosa e meno ludica, quella che riesce pur nell'umorismo visivo generale a essere dannatamente seria. Il cambiamento travolge tutto i personaggi con una forza dirompente. Ed è bella, strana e triste l'evoluzione negli anni di un personaggio come Simon. Bello vedere come è cambiata e diventata adulta Yoko, come Kittan si rompa le palle, come Rossiou sia un po' impazzito. Come tanti personaggi inizialmente presentati come macchiette buffe e sopra le righe siamo diventati tanto pezzi grossi quanto reietti ai margini della nuova società. C'è quell'aria triste di dopoguerra tipica delle opere di Leiji Matsumoto, unita a quel suo gusto caricaturale - satirico dei personaggi.




Insomma, dopo tutto il "fight the power" (citazione della colonna sonora rappeggiante), bisogna affrontare anche le conseguenze. Ma su tutto, tristezza compresa, prevale la "bad -assity", l'inno alla forza vitale propria del massimo capolavoro di Ken Ishikawa, Getter Robot (la saga "cartacea" trasposta in parte in anime in Getter Robot - The last days) non semplice citazione (la trivella del getter 2) ma autentica opera - guida per tutto il corso dell'anime, dall'esercito dei robot fino all'apocalittico finale compreso. L'emblema un po' kitch di mondo in cui i robot erano per lo più involucri della forza di volontà dei piloti, che per poter usare un'arma dovevano solo urlarne fortissimo il nome per averla in quantità infinite. Un mondo più semplice e immediato ma depositario di un tratto distintivo importante, dai risvolti squisitamente politici: non si combatte mai da soli. Ed è solo dall'unione di più persone  (getter sta appunto per "unione") che si può costruire una società. Prima o poi la livella sociale torna a muoversi e le diversità si appianano. Peccato che amaramente succeda solo per far fronte a un nuovo nemico comune. Ma chi può dirlo, magari in futuro non sarà più così, forse.
Un'opera che parla quindi anche di politica.
Un'opera quindi molto più complessa di quanto inizialmente appaia. Dove sul finale si vorrebbero meno parole e più botte. Capace di farsi amare tantissimo da alcuni quanto a scontentare altri. Di sicuro un mattone imprescindibile di quella sempre più esigua collezione di anime che ci è concesso di vedere nel nostro paese. Gurren Lagann era uscito qualche tempo fa in due splendidi box dvd e in due film. I film sono di ricapitolazione ma presentano un sacco di scene (e mecha design) nuove. Sono interessanti da vedere perché riescono a mettere in evidenza le due anime del cartone animato. Se amate la parte più "scanzonata" dell'anime potete vedere i primi 13 episodi e poi sintetizzare la seconda parte con la visione del secondo film, dove si parla di meno e si picchia di più e dove si esagera pure le trasformazioni enfatizzando sull'azione a manetta. Se preferite la parte più riflessiva, potete partire dal primo film per archiviare le "bufferie" (vedi episodio 6) e scazzottate della prima fase per poi vedere il secondo blocco di episodi più riflessivi. Ora che Dynit ha tirato fuori i blu ray della serie, ci piacerebbe facesse lo stesso anche con i film, magari in un'unica soluzione. Da sottolineare il prezzo davvero popolare di questo box, intorno ai 50 euro per tutta la serie, con contenuti cartacei extra che non replicano quelli già presentati nella precedente edizione . La qualità video è decisamente alta e il sonoro sempre ottimo. In attesa dei film, un bel pezzo da collezione.
Ed ora le 10 cose mi sono piaciute di più nell'ultima visione integrale di questo anime!
N.10: Attenborough - l'artigliere




Uno dei più Fighi dell'armata Gurren. Un simpatico psicopatico vestito da mimo che è nella postazione dei missili dalla corazzata Dai - Gurren in poi. Continua ad urlare "fuoco fuoco fuoco fuoooco" mentre pigia bottoni. Mi fa ridere come un cretino.
N.9 Rossiu




È una delle pochissime persone sensate presenti nella serie, quasi un asceta, perennemente in balia della stupidità generale dei suoi compagni. E' molto protettivo nei confronti dei piccoli Gimmy e Darry. E' la voce della ragione, in genere non ascoltata più di tanto e quindi involontariamente comica. Ma poi... Diventerà un personaggio davvero complesso.
N. 8 Jorgun e Balibow




Altri cretinissimi-tostissimi piloti di Gunman (i robot della serie "scippati" dagli eroi agli uomini bestia). Si esprimono a fatica e ripetono concetti in modo ossessivo, hanno problemi a capire le cose, ma in battaglia ci mettono un sacco di entusiasmo. Troppo truzzi...
N.7 : l'idiotissimo episodio 6




Siccome i nostro eroi "puzzano", i nemici gli tendono una trappola robotica a forma di... Centro termale. Il novanta per cento dell'episodio è un tentativo continuo di scavalcare il muro che divide i bagni maschili e femminili. attraverso spinte propulsive provocate da immissioni anali di "cose" che permettono ai nostro eroi di decollare di diversi metri e guardare in volo i bagni femminili... Molto giapponese... Nel cofanetto è presente anche una versione censurata dell'episodio per la messa in onda televisiva... chissà perché...
N.6: Boota la talpa




In genere si nasconde in uno dei posti più belli dell'universo. È la mascotte indiscussa della serie e porta occhiali da sole ultra cool.
N.5 : King Kittan




È il Gunman di Kittan, uno dei personaggi più carismatici della serie, un combattente nato spavaldo e irresponsabile (un po' come tutti) Il suo robot a forma di stella ruba sempre la scena, troppo ganzo.
N.4: Lord Genome o Re Spirale




Personaggio chiave della serie, uno dei più belli, le cui vere intenzioni sono all'inizio avvolte dal mistero. E naturalmente non poteva che essere un pelatone culturista dal petto villoso.
N.3: Viral




Uno degli uomini bestia più tenaci, una specie di samurai con un elevatissimo senso dell'onore. Dopo che Simon e Kamina gli hanno rubato l'elmo del suo Gunman Enki, Viral cercherà all'infinito di riaverlo sfidandoli in combattimento. Non è un caso che l'elmo ricordi il classico a mezzaluna indossato dal samurai Masamune Date. Viral è diventato presto uno dei miei personaggi preferiti.
N.2: Nia




Altro personaggio ultra-misterioso e bellissimo che da un certo punto dell'anime arriverà a riscaldare il cuore di qualcuno, dopo uno dei momenti più drammatici della serie. Vorrei dirvi qualcosa di più ma non posso.
N.1: Yoko - Kamina - Simon




La vera magia di questo anime è la sinergia che nasce tra questi personaggi. Simon diventerà l'uomo che si vede nei primissimi minuti del primo episodio grazie a questo legame di profonda amicizia, rispetto e amore. Un rapporto a volte conflittuale, irrisolto e spesso idealizzato, come a volte non corrisposto, spesso infranto da circostanza drammatiche. Le puntate 7 - 8 e 9 sono l'apice di un mix emotivo inconsueto e profondo che splendidamente descrive un percorso di crescita emotiva, facendo direttamente da fionda verso la seconda parte dell'anime, quella più pensosa e adulta.
Ora sarebbe il massimo se Dynit annunciasse pure il film successivo di questo "filone" Gainax, il divertente ed esuberante Kill LaKill. A tutti coloro che non hanno ancora avuto la gioia di vedere Gurren Lagann non posso che augurare buona visione. 

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martedì 17 gennaio 2017

The founder - la nostra recensione


Premessa: mi fa strano parlare di un film su McDonald's quando ormai questi ristoranti stanno scomparendo dal centro di Milano insieme alle librerie e negozi di dischi. Ricordo ancora il bellissimo e ora smantellato ristorante con ingresso a scalinata in San Babila (lo ricordo anche quando era sede dell'italianissimo Burghi) e ricordo pure quel fiero presidio sotto galleria Vittorio Emanuele, dai cui tavolini esterni potevi squadrare gli avventori dei ristoranti esclusivi limitrofi e dirgli: "Ci sono anch'io a guardare la cupola, seduto con un cono da 90 centesimi". Il ristorante in Cordusio aveva una splendida luminosità e i primi timidi computer in rete, utilizzabili gratuitamente. Ora credo ci sia una banca. Oggi la scala sociale si è di nuovo alzata. Il cuore di Milano è sempre più svenduto a stranieri danarosi intenti in shopping di lusso, mentre ormai, dopo fast food e negozi di cultura iniziano a estinguersi pure i cinema. McDonald's lo vivo di sfuggita, nei McDrive, il panorama che mi viene concesso è una porta che da sui servizi igienici di un benzinaio. Come direbbe un comico del passato: "Troppo scarso". 


Sinossi fatta male: la ristorazione veloce americana un tempo era diversa da oggi. In genere si arrivava al ristorante in macchina ma non si scendeva dal mezzo. Si aspettava invece una bella ragazza sui pattini che correva in una specie di megaparcheggione, prendendo ordini e consegnando sorridente pietanze poste su degli strani tavolini che si applicavano direttamente alla portiera delle auto. E queste roller - gnocche, che hanno inspirato le "ragazze fast food" di Drive In capitanate dalla indimenticabile Tinì Cansino, tra ordine, tavolino, consegna cibo, conto, pulizia generale e ricerca di un nuovo tavolino, spesso si facevano miglia e miglia di pattini, rischiando l'osso del collo con le vostre patatine maxi sul vassoio e non arrivavano a fine serata senza almeno quarantasei tentativi di molestie sessuali da parte di avventori che non erano nel parcheggione esattamente per i panini. Detto così pare una variante del Rollerball con James Cann... 
Panini che erano di diecimila tipi diversi, taglie diverse e salse diverse, perché in America tutto è grande, accompagnati da bottiglioni di olio, aceto e birre giganti come corredo base per ogni "tavolino da auto". E quando il pasto finiva il consumatore felice sgommava via senza pensieri, mentre qualcuno doveva recuperare bottiglie di olio superstiti o cadute per terra, vari avanzi organici, le posate rigorosamente di ferro di ordinanza e un tavolino semi-distrutto. Il tutto moltiplicato per centinaia di posti. L'american way della ristorazione veloce come conseguenza di tutto ciò non era poi così veloce, ed era pure in piena crisi! E Ray Kroc (Michael Keaton), che per vivere piazzava dei pesanti e giganteschi gingilli per fare il gelato, se ne accorgeva perché di conseguenza pure lui come fornitore era in crisi nera. Il suo grande sogno imprenditoriale americano era lontano, la sua vita famigliare un disastro e la moglie (Laura Dern), per via del suo stare spesso lontano da casa per lavoro, una estranea. Invece di stare nei migliori fast-food d'America, gli "aggeggi per il gelato", quella mercanzia ingombrante e già brutta e non vintage che si ammucchiava nella sua auto gli rimaneva sul groppone, e questo nonostante le sue capacità da super venditore della Folletto e agli infallibili manuali motivazionali con cui era in grado di ipnotizzare chiunque. C'era crisi. Gli ordini non arrivavano e quando arrivavano, per farlo deprimere di più, erano pure palesemente sbagliati. Come l'ordinativo assurdo appena arrivatogli da un unico ristorante, rigorosamente in culo al mondo: sei gingilli per il gelato. Roba che era troppa anche per sei ristoranti, dovevano sicuramente essersi sbagliati. Kroc li chiama ma loro confermano, ne vogliono proprio sei e, anzi, forse è meglio otto. E allora Kroc in un viaggio della speranza e di se stesso parte per conoscere questa gente, i fratelli McDonald, Dick (Nick Offermam) e Maurice (John Carrol Lynch), "Mac" per gli amici. Perché sì, i fratelli McDonald's, come Elvis e Babbo Natale esistono!!! Kroc guarda il loro enorme ristorante, è tutto pitturato di bianco e circondato da gente felice, gli uccellini cinguettanti sugli alberi e il cielo blu. E vede il futuro. Niente parcheggione gigante né ragazze sui pattini, ma persone umane felici che stanno in coda ad aspettare il pasto. Niente forchette e coltelli di metallo, il panino si mangia avvolto nella carta in un rapporto diretto, erotico quanto primordiale. Niente bicchieri e bottiglie di vetro, tutto di carta e monouso, riciclabile, con un vassoio da svuotare in un raccoglitore a fine pasto. Niente macchine come posti a sedere ma neanche tavoli tradizionali. Solo le panchine di un parco, in legno, sulle quali accomodarsi con il proprio cartoncino caldo take away. Un luogo da condividere con gli estranei insieme al paesaggio del verde di un picnic allargato, emblema di una socialità diversa da quella che ama stare al volante pigiando il clacson se la bistecca arrivava tardi. E poi la chicca. Panini. Ok, "pochi panini" rispetto alle mille scelte di un Fast food medio, ma panini pronti in pochi secondi, contro i trenta minuti di qualsiasi altro esercizio, grazie all'ingranaggio umano stile Tempi Moderni proprio di una organizzazione innovativa della cucina. Tutti si muovono in un balletto, ritmati dal timer delle patatine e dalla filiera che assegna a fine lavorazione la medaglia a forma di cetriolino verde. Come novelli prometeo i McDonald's crearono il Big Mac e i suoi fratelli, panini che arrivano in mano caldi (mentre le rollergirl dovevano affrontare due gang di stupratori prima di fare una consegna), tutti democraticamente uguali e perfetti, tutti che costano poco (certo qui si romanza un po' ovviamente). Kroc non vede S.Pietro sopra il portico, ma ha una vera visione mistica. Sarà il bianco sfolgorante di quel posto, saranno le "ali dorate" che ne sono il simbolo, sarà il pasto caldo e subito, saranno i genitori  felici che ti si siedono sulle panchine con i loro bambini vestiti alla marinaretta pettinati ed educati, a fianco di persone sconosciute pettinate ed educate. Kroc scopre il connubio tra socialità e praticità e inizia a pensare in grande, a una chiesa americana capitalistica proto-hubbardiana fondata sull'American Dream. Prende da parte i due geniali fratelli, non prima di averli abbracciati come si farebbe con Babbo Natale e inizia a pensare a espandere il loro grande concetto di cibo veloce in tutta America, creare un franchise, IL franchise. Ma andrà tutto nel verso giusto? Riuscirà Kroc a soddisfare una proprietà intellettuale non sua e a garantirne la qualità a chilometri di distanza? Nel frattempo a seguito di un combattimento letale con il Mago G, il demone Pennywise ha scuoiato il suo ancestrale nemico e si è vestito con le sue carni gialle coperte di sangue per mimetizzarsi tra noi... dicono che ora si faccia chiamare Ronald McDonald.


- La nuova chiesa d'America: John Lee Hancock torna a raccontarci l'America e il Sogno Americano con i suoi alti vertiginosi e bassi tristissimi. Storie di grande intraprendenza ed entusiasmo, vissute con occhi spalancati e sognanti da bambino ma che presto si trasformano in complotti e bassezze di individui grigi e tristi che non vogliono a nessun costo dividere con nessuno il "tesssssooooroo". I sognatori non sempre vincono nelle favole moderne di Hancock, soprattutto se hanno in mano le carte sbagliate della vita. E così soccombeva lo splendido Kevin Costner perdente di una delle sue prime sceneggiature, Un mondo perfetto. E finiva come tutti sanno la storia, con "s" maiuscola, da lui adattata per Alamo. Col tempo Hancock ha però cercato di infondere più speranza e meno tristezza nelle sue opere. Conquistata  una (meritatissima) sedia da  regia (e messa momentaneamente da parte la sceneggiatura) ci ha raccontato la bella favola di riscatto di The Blind Side e ha dato cuore e volto rassicurante a un personaggio gigantesco quanto controverso come Walt Disney in Saving Mr Banks. Ed oggi eccolo avventarsi sui panini di McDonald's, già precedentemente addentati cinematograficamente dal critico Morgan Spurlock in Super size Me. Ma al di là del sacrosanto "dai a Cesare", ossia il riconoscimento di un successo mondiale nell'industria del panino (celebrato anche attraverso delle scene molto lisergiche e intense come quella del campo da basket), Hancock non lesina critiche ai McDonald's brothers e al piazzista di macchine per gelato Ray Kroc. E' anche questo un film sul successo che non dipana le mille ombre di persone che vivono esistenze, in fin dei conti, non troppo felici. Anche i ricchi piangono, diremmo se scrivessimo a inizio anni '80. E vedere dei giganti con i piedi d'argilla ci da sempre la voglia di tifare per loro, volergli quasi bene. Merito indubbio di questo "transfert emotivo" ricade sulla ottima penna di Robert D. Siegel, che già ci aveva tutti commossi con la sceneggiatura dell'umanissimo e perdente Wrestler di Mickey Rourke.  I fratelli McDonald's raccontati da Siegel sono in grado di muovere i dipendenti del loro ristorante come autentici direttori d'orchestra, hanno coerenza e i piedi ben piantati per terra, ma forse sono loro stessi troppo piantati per terra. Impantanati nella campagna americana e nei suoi codici morali. Dal punto di vista della interpretazione Offerman dona a Dick, il fratello più grande, una calma quasi zen, i modi gentili ma risoluti di chi tratta con rispetto tanto le persone che le pietanze e un autentico brillio da vero genio negli occhi. Ma al contempo lo ammazza con una flemma e una mania per la burocrazia quasi autodistruttiva. Il Mac di Carroll Lynch, il McDonald's più piccolo, è il cuore emotivo di questa piccola famiglia, un ormone buono e vulnerabile dagli occhi tristi e sinceri, spaventato dal mondo e dai suoi intrighi  e amante della sincerità. Da oggi vi sfido a mangiare un Big Mac senza pensare a lui. Se l'impero del panino si basa quindi sul duro lavoro di questi piccoli e geniali uomini, il successo del brand lo si deve ad una scheggia impazzita e incontrollata, il camaleontico, complicato e scapestrato Kroc interpretato da Michael Keaton. Un bravo ragazzo che presto diventa un venditore di successo, per poi cadere nel baratro del fallimento e risalirci diventando una star, poi un guru, poi quasi un santone hubbardiano, poi un mega imprenditore di successo. E ad ogni step consegue maggiore successo e maggiore dose di cinismo. Come uno squalo, Kroc punta a mangiare e mangiare sempre di più in una perenne lotta di sopravvivenza che non conosce quartiere e che forse non conosce nemmeno senso, visto che ha una famiglia felice e anche un considerevole stipendio. Keaton, che interpreta un ruolo da Oscar, riesce con la sua grande abilità e ironia a renderci umano e quasi accettabile un mostro dell'industria come Kroc, al punto che non riusciamo a volergli male come al Mark Zuckenberg di Jesse Eisenberg. Perché il suo Kroc sembra davvero credere nel prossimo e nel sogno americano, sembra importargli davvero il fatto di non schiacciare troppe persone nella sua corsa al successo, sembra avere a cuore i bravi ragazzi americani senza lavoro o sottopagati, ascolta le idee innovative. Ti sorride e stringe la mano appena ti vede e noi ci immedesimiamo in lui quando lo vediamo triste correre miglia e miglia della highway con i suoi cosi per il gelato, quando lo troviamo mangiare male in coda presso qualche fastfood a casa di dio, litigare con tacos, frigoriferi, politici, cantanti folk, tasse, terreni, la moglie e il vicinato. Kroc è uno di noi, un perdente, ma un perdente tenace che insegna al mondo, con il suo esempio, che dove non si ha fortuna si può sempre avere la tenacia. Non è un personaggio positivo forse, ma è umanamente confortante e come lo interpreta Keaton alla fine si fa pure volere bene. Certo non gli vorremo mai bene come al Walt Disney di Tom Hanks di Saving mr Banks, ma questa è un'altra storia.


- in conclusione: The Founder funziona, diverte e intrattiene alla grande per le sue due orette complessive di durata. Hanckoch è molto bravo a dirigere gli attori e a dipanare in modo chiaro una trama che è anche una bella parabola della storia recente americana, un mondo in cui fa luce di sé un sistema capitalistico amaro e disilluso quanto basta, ma ancora capace di mostrare un volto umano. Se proprio dobbiamo muovere una critica a questo lavoro, dobbiamo rilevare un piccolo strappo di trama prima dell'ultimo atto, un passaggio importante e complicato che forse avviene con troppa velocità per essere metabolizzato. Ma rimane un peccato veniale di una pellicola che vi consigliamo caldamente di vedere in sala, per apprezzare al meglio anche la splendida ricostruzione storica dei ruggenti anni cinquanta di una California da cartolina. E' product placement? Forse un po', ma sicuramente di lusso e con il coraggio di una sana autocritica. 
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Trivia: sono nati prima gli Happy Meal o i Kinder Sorpresa? I Kinder, 5 anni prima, nel 1974.

domenica 15 gennaio 2017

Nuovo trailer per XXX: The return of Xander Cage... e ritorna pure Cartman!!!!! Cioè, Darius!!!!




Ice Cube è una delle personalità più fighe dello star system di tutti i tempi. Ma in XXX: state of the Union, con quel cappello in testa e la voglia di hamburger, con il fisico possente ma non proprio slanciato, ricordava davvero tanto il Cartman di Parker e Stone. Il nuovo corso della serie dopo l'abbandono di Diesel e del suo Xander proponeva un XXX, Darius, con più tamarraggine, se mai possibile, e meno sensualità e addomi scolpiti (Cube non si toglie mai la canotta nera).


Un ex soldato alla Rambo perennemente incazzato. E XXX 2 con questo Cartman che per due ore spara a qualunque cosa sullo schermo con faccia perennemente incazzata  (perché Cube recita tutto il film, per coerenza con la sceneggiatura, con l'espressione di Cartman tipica di quando dice: "Figli di sultana!!") diventava così qualcosa di esilarante al punto da uccidere il brand a risate. Ma da fan di Ice Cube (e tutti in fondo sull'orbe terracqueo siamo fan di Cube, anche se non lo sappiamo) noi lo volevamo rivedere il suo Darius in XXX3, non stavamo più nella pelle all'idea. Ed eccotelo qui a fare capolino con il suo berrettino, le sue armi pesanti e la faccetta tutta arrabbiata. Un vero amore. E vi ricordiamo che XXX 3 è in dirittura di arrivo nei cinema il 19 gennaio. 
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venerdì 13 gennaio 2017

CHIPs - il primo trailer!!




Lo aspettavamo da anni e ora ce lo hanno girato. Manca sono il film su Super Vicky e sui Robinson ora (ma il secondo film non so chi lo vorrebbe fare al momento). Il duo della Chicago Highway Patrol, è tornato. Il simpatico Michael Pena prende vita come novello Poncharello, il nuovo Baker (il biondo, lo so che il nome non se lo ricorda nessuno) è invece interpretato da Dax Shepard (che qui pure scrive e dirige e come attore ricorderete per il ruolo dell'astronauta in Zathura, se avete visto Zathura, o in quello dell'avvocato di Idiocracy).


Molta bromance e battutine sullo stile dei cinematografici Starsky e Hutch o 21 Jumpstreet. Molti inseguimenti e speriamo divertimento. Nel cast figura anche la bellissima Jessica McNamee ma anche Kristen Bell, Vincent D'onofrio. L'uscita è prevista per questa estate. Ehi, a pensarci mancano ancora i film di Magnum P.I. e della Signora in giallo!! E Manimal? Perché non mi fanno un film da 150 milioni di dollari su Manimal



 Io lo vorrei vedere già da ora...
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mercoledì 11 gennaio 2017

Wow!!! La Justice League in posa!!

Grazie a USA Today, versione cartacea di un celebre programma anni '90 con Stefano Gallarini e Giorgio Mastrota (c'era pure mezza redazione di The Games Machine, Zzap!! e Console Mania... quanti ricordi), possiamo ammirare di nuovo, a sempre meno mesi dal traguardo, la sfavillante formazione della Justice League scelta, colorata e assemblata per noi da Zack Snyder in persona.


Il fandom DC è esploso sui social e io giuro rimango senza parole. Capisco la devozione e l'affetto per questi "american gods" (tanto per citare a caso Gaiman...) ma, diavolo, non ce la faccio davvero, pur con la sospensione dell'immaginazione settata a zero, a non prorompere con un barbarico urlo sopra i tetti del mondo (come direbbe Whalt Whitman, citato anche lui a caso...), perché è evidente e patetico: "Il re è nudo"!!! I costumi dei  pupazzetti DC indossato da costosi attori di marca, come la Gadot e Affleck, sono orribili, da piangere!!! E' una caduta libera in picchiata verso la fogna dello schifo espressivo, una immagine da manuale di come non bisognerebbe fare cinema supereroistico. Ma è possibile che Batman, con una supertuta da milioni, abbia gli occhialini da aviatore che ricordano il Gufo Notturno di Moore? Vabbè, è un'autocitazione, passiamola? E' possibile che il costume di Flash sembri una figure di un red power ranger, tritata sotto un camion e poi raccolta dalla spazzatura? Che Aquaman appaia come Mangiafuoco di Pinocchio? Ok la Gadot è sempre la Gadot, ma lo avete visto il coso al centro, Cyborg? Più lo modificano più è tremendo. Qualcosa di esteticamente così ributtate che pare un ammasso di carta stagnola (da cui fuoriesce un resto alimentare, tipo un hamburger ammuffito, con dentro una lucina da albero di Natale...


Mi rivolgo a voi, o fans DC Comics. Sentitemi per una volta, fatelo nel Vostro interesse: potete pretendere qualcosa di meglio!! La Warner/DC sta abbassando sempre più l'asticella delle sue produzioni per vedere fino a che punto sarete comunque disposti a seguirla! Le trame senza senso di Batman V Superman e Suicide Squad (anche per farvi comprare una extended blu ray 4k version da 30 euro) e una rappresentazione grafica di eroi e villains che sta sempre più franando da un orribile Doomsday ai "sacchi della spazzatura viventi" di Suicide Squad fino a questo Cyborg...

Senza dimenticare i terribili nemici della Suicide Squad, mi raccomando!!


Ve la ricordate sicuramente, dai fumetti, come dovrebbe apparire la Justice League, vero? la Justice League è questa...


Un Flash con una tuta che non nasconde ma valorizza i suoi muscoli scolpiti da novello Ermes. Un Aquaman con la perenne aria da surfista scapestrato e quelle buffe pinne, che non aveva alcun bisogno di scimmiottare il Namor della Marvel né un antieroe alla Lobo. Una Wonder Woman che non ha problemi a mostrare la sua femminilità prorompente senza inutili armature da Signore degli Anelli (ma qui è colpa in parte di Alex Ross). Un Batman che non deve per forza essere schiavo di corazze che ne limiterebbero i movimenti (ma che non sembra poterne fare a meno dal primo Burton). E un Cyborg che sarà fuori tempo massimo con quella ingombrante paccottiglia metallica anni '70, ma che risulta più gradevole a vedersi di una stagnola appallottolata. 
Poi ovviamente il film può venire fuori una bomba, ci sarà da divertirsi un sacco nonostante tutte queste scelte di design e non si può da una immagine giudicare il prodotto finito. Ma, ripeto, dalle reazioni che leggo in rete pare un effetto che va oltre il sogno proibito di ogni fan. E forse io non sono solo abbastanza fan da capirlo.

Quindi pongo una domanda almeno agli amici che bazzicano questo blog e sono magari ultra-esperti degli eroi DC Comics: questa immagine (e Cyborg in primis) vi piace davvero? Credete davvero che sia il massimo che si può pretendere dalla Warner o "ve la fate piacere" con la rassegnazione masochista di "o così o niente"? Fatemelo sapere qui sotto! 
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