domenica 29 gennaio 2017

Les ogres


La vita gira veloce come una girandola per gli artisti di strada della compagnia teatrale Davai. Fanno teatro di strada, recitano "L'uomo senza qualità" di Cechov  tra cabaret, capriole circensi, musica indiavolata, balli sfrenati e coinvolgimento del pubblico già da molti anni e ogni giorno è una nuova tappa, un nuovo pubblico e un nuovo tramonto. Ogni giorno volti nuovi che non sai mai se ti accoglieranno felici o incazzati, da allietare con una gioia che non sempre si riesce a esprimere o trovare. Perché non c'è solo il gioco e il divertimento. Le assicurazioni, i contratti con gli attori, gli ingaggi, le scuole, il sipario, i bambini, i tradimenti e i malumori, gli amici, la benzina e il tendone da montare e smontare. Infiniti paletti e scalette imposte allo spirito gitano del gruppo, combattuti con pigio professionale e dolente dalla figlia (Ines Fehner) del capocomico Francois (Francois Fehner), al cellulare con fornitori e clienti mentre guida l'auto, bada ai figli e redige con una mano libera il bilancio. Mille cose da far tornare e anche  questa in fondo è giocoleria, anche se i conti spesso non tornano. Finisce che la vodka che viene offerta agli spettatori durante una delle rappresentazioni teatrali del Davai venga prima e in larga parte consumata dallo staff, giusto per tirare avanti senza pensieri, ma tutti insieme gli attori non mollano, come una grande famiglia, costruendo con coordinazione e precisione chirurgica ogni giorno un grande e spettacolo. Nervi scoperti ma tutti uniti sotto il tendone di unico grande cuore gitano, collerico ma sempre disposto a elargire abbracci e comprensione. Tuttavia ogni tanto la vita impone a questo piccolo popolo sulle ruote di fermarsi, gli attori devono scendere dalla giostra e affrontare un personale mondo personale, lasciato alle spalle e forse troppo presto interrotto, per seguire la gioiosa carovana. Accade a Mr Deloyal (Marc Barbè) che per troppo lunghi anni di lutto ha vissuto con negli occhi la vita del figlio spezzatasi a soli tredici anni da una leucemia. L'uomo, che ora fa l'attrezzista e l'attore,  scopre nella famiglia circense allargata del Davai la  giovane Mona (Adele Haenel), insieme alla possibilità di poter tornare a essere padre. Ma non si sente pronto, cade in crisi e nell'alcol e questo genera un inaspettato effetto domino che colpisce tutta la compagnia. Mr Deloyal beve troppo e si distrae, non fissa un cavo e una ballerina si rompe una gamba. Lo spettacolo deve continuare e Francois assume la sua vecchia fiamma Lola (Lola Duenas, vista in Parla con Lei e Il mare dentro), mandando in pezzi il cuore della moglie Marion (Marion Bouvelar), scombussolando la figlia Ines e colpendo a macchia d'olio tutta la compagnia. Dissapori, urla, corna, brutte figure con gli spettatori. Tutti cadono, la giostra cade e le vite passate degli attori tornano a bussare alle loro porte, a rendere tutto più difficile. Vecchi amori si ritrovano, famiglie si spezzano, lacrime e pugni si distribuiscono al primo che capita a tiro, al primo che si mette per sbaglio dentro la girandola colorata del Davai che il tendono non riesce più a contenere. Lo spettacolo può  comunque continuare?


Dalle parti degli zingari giri di giostra di Kusturica, con il cuore felliniano ricolmo di amore per gli artisti di strada. Lea Fehner al suo secondo lungometraggio gioca amabilmente con una materia per lei familiare, autobiografica: il teatro itinerante che ha caratterizzato gran parte della sua vita e dei suoi affetti. Una vita vissuta, come per gli artisti di questo film, a cavallo di una colorata e sgangherata carovana che ogni giorno regala, spesso per pochi spicci e pochi spettatori, un paio di ore di divertimento. Un cordone di macchine con roulotte, con troppi gibolli e chilometri alle spalle, che non si ferma nonostante le intemperie e i fischi, i problemi della vita e la sfortuna. Gente che vive una dimensione in qualche modo eroica dell'essere "bardo" prima che attore, gente che prima di imparare commedie e tragedie affronta e impara a vivere nella natura più inospitale, ai margini del tendone e della società. Persone che vengono per questo definite, con poca gentilezza, "orchi". La regista, innamorata ma spaventata dalle difficoltà di questo mondo, tra strade infinite, il freddo di vivere all'aria aperta e il pubblico spesso crudele, che ti guarda curioso e spaventato  come si farebbe con un "orco", ha lasciato la sua famiglia mobile imbracciando la telecamera e dedicandosi ai lungometraggi. Ma questo ambiente caloroso e zingaresco l'ha subito richiamata a se con una nostalgia così grande e prepotente che qui, nel suo secondo lungometraggio, non può che esplodere. La vita e il teatro si sovrappongono al punto che la regista, anche sceneggiatrice, ha voluto con sé sul set la sua stessa famiglia gitana, da papà Francois a mamma Marion alla sorella Lea. E siccome gli artisti sono fatti della stessa stoffa dei loro personaggi (e mi si perdoni la sgangherata citazione), la Fehner ha deciso, in un gioco di specchi, di includere in questa versione cinematografica della sua  famiglia allargata gitana anche il Mr Deloyal di Marc Barbe, personaggio che è ispirato proprio all'Uomo qualunque di Cechov, opera che il Duvai mette in scena. Passeremo in sala un po' di tempo con gli orchi. Li osserveremo curiosi e stupiti e forse impareremo qualcosa da loro in un film che è un vero e proprio inno a chi ha deciso di vivere solo per allietare gli altri. 


Les Ogres esce nelle sale italiane ironicamente mentre uno dei più grandi spettacoli di strada, il circo Barnum, chiude i battenti. Esce in sordina come in questo stesso periodo è uscito in sordina  La Stoffa dei Sogni con Sergio Rubini e Ennio Fantastichini, anche lei una pellicola in cui si celebrano i tempi sempre più "che furono", degli attori in viaggio (con un ugualmente splendido parallelo tra vita sul palco e vita reale). I gitani, gli artisti da strada e il circo sono fuori moda e quindi viva i gitani, viva il circo, viva gli artisti da strada. Rinchiusi come si è in palazzi in cui si fatica spesso a conoscere il nome del proprio vicino, alcuni spettatori troveranno curiosa, socialmente pericolosa e troppo fracassona la compagnia teatrale Davai, ma dopo aver passato un paio di ore con loro si è pronti a cambiare idea, anche grazie alla grande ironia e autoironia di cui la regista pervade l'opera. Perché ci inquieta e sorprende questo strano mondo sulle ruote (più vicino al resto dell'Europa che all'Italia), dove i bambini "per giocare" rubano i portafogli. Dove attori avvinazzati si addormentano nei campi per svegliarsi la mattina circondati da pecore. Dove poveri bimbi vengono sottoposti al fumo passivo mentre in piccole macchine aspirano fumi equivoci che escono dalle canne dei genitori. Dove una donna sfiorita e tradita dal marito viene, "per tirarle su di morale", fatta oggetto di un asta in quanto "carne ancora buona". Dove un uomo che trova la sua ragazza nuda con un estraneo riesce a scherzare con lei della cosa mentre un altro esce dalla roulotte urlando al mondo con un megafono che sua moglie è una poco di buono. Dove le risse scoppiate per i motivi più gravi e irreparabili si trasformano in occasioni per ridere e tornare amici. Dove una madre partoriente non smette per un istante di bere e fumare e fare sesso promiscuo. E fa specie che in un mondo il cui sembra dominare il sessismo più evidente in realtà siano le donne a comandare, non solo con l'arma della dolcezza ma anche della risolutezza, su un branco di scorretti, altezzosi e amabili eterni bambinoni. 


Completamente strani, questi Orchi (così vengono chiamati all'estero, come fossero creature grottesche quanto spiriti silvestri), che vivono la vita tutta a modo loro, ma che alla fine non possiamo fare a meno di sentire vicini a noi, al punto da desiderare magari passare un po' di tempo in più con loro, dopo i titoli di coda. Perché in tutti gli eccessi il loro enorme cuore zingaro ci abbraccia, sentiamo il sudore, l'alcol nella gola, il profumo intenso e il suono della risata sghemba di una grande famiglia. E la società ha bisogno che il cinema racconti queste storie, soprattutto in momenti in cui l'integrazione è difficile e si guarda con sospetto e timore le persone che vivono nel pianerottolo vicino. E' importante scoprire quanto umani siamo anche gli orchi.  Lea Fehner conferma di avere la stoffa della grande regista nel dare voce a un amabile e squinternato plotone di attori in uno slice of life solo all'apparenza lineare, dall'animo anarchico e solare. Tutti gli attori trovano il loro spazio e la loro voce in una girandola colorata e dal ritmo sempre incalzante. Si ride, si piange. C'è molta malinconia e altrettanto liberatorio spazio per il grottesco, il sensuale, il satirico. Allo spettacolo contribuisce anche l'ottima colonna sonora di Philippe Cataix, spigliata, veloce e con un "24mila baci" di Celentano che fa capolino nella più improbabile delle scene. Vengono facili i paralleli con La strada di Fellini, ma anche con Gatto nero, gatto bianco di Kusturica. C'è soprattutto un tipo di cinema che è ancora troppo invisibile nelle nostre sale, che va difeso e riconosciuto anche a dispetto dei cartelloni che lo nascondono. Un cinema fortemente premiato dalla critica ma ancora invisibile. 
Les Ogres arriva in Italia anche grazie a CineMAF. Un portale che permette la distribuzione di pellicole in streaming laddove non riescano ad arrivare nelle sale. Hanno anche delle interessanti iniziative legate alle scuole. Nel caso foste interessati vi lascio il link al loro sito www.cinemaf.net e www.scuola.cinemaf.net se volete fateci un salto. Aiutare  queste pellicole a farsi conoscere dal grande pubblico non credo sarà mai un male. E a me qui torna in mente anche un pezzo dei Negrita..




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