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mercoledì 4 gennaio 2023

Fairytale: la nostra recensione del film surreale, sarcastico e metafisico di Aleksander Sokurov

 


Ci troviamo in un luogo al di fuori del tempo e dello spazio, una zona montuosa rossastra carica di polveri e nebbia, sulla quale è costruita una città austera quanto spoglia, simile a un unico grande mausoleo. È un luogo solenne quanto bizzarro, che in alcuni tratti architettonici ricorda il purgatorio dantesco di Gustave Dore’ e per l’atmosfera sinistra e impalpabile ci rimanda agli albori “horror” del cinema, al Calderone infernale di George Melies. Tuttavia questi luoghi spaventosi sono pervasi anche di un pizzico di pura follia satirica in stile Monty Python, uno “sberleffo” che si fa apprezzare mettendosi in piena luce, su una balconata che si pone orgogliosamente al di sopra e davanti a quelle architetture gotiche e contorte: un bell’orinatoio a cielo aperto. Simpatiche latrine attaccate al muro con triplici tubi di scarico (chissà perché i triplici tubi di scarico, poi...), senza finestre, muretti divisori od orpelli a coprirne la funzione d’uso con pietosa privacy: il trionfo scenico dei cessi a vista.  A fare “i loro bisogni” su questo palcoscenico mesto contornato da una cornice sontuosa, con lo sguardo tenuto oltre l’orizzonte per cercare di nobilitarsi un po’, ci sono “degli” Hitler, “degli” Stalin, “dei” Mussolini e “dei” Winston Churchill. Tutti sono “al plurale”, copie di se stessi con vestiti e movenze da fonti, periodi storici e occasioni diverse. Questi “condottieri” fanno quello che devono con le latrine e poi si disperdono sulla piana. Piccoli gruppi di Hitler confabulano tra di loro pensosi, ripetendo “perché in vita non hanno scelto come compagna la figlia di Wagner?” oppure “Perché non hanno raso al suolo Londra o Parigi quando potevano farlo?” I Mussolini si complimentano tra di loro per l’innata eleganza e portamento, gli Stalin cercano di conquistare alleati con la loro generosità e i loro vini, i Churchill sembrano ignorare tutti e sono sempre in disparte, alle prese con un enorme telefono militare da campo con cui cercano di contattare la Regina. Ognuno parla la sua lingua (i sottotitoli sono quindi utili) e in genere nessuno ascolta troppo cosa hanno da dirgli gli altri gruppi: tutti si limitano a parlare di se stessi e della loro grandezza, più simili a “piccoli sciami” che a personaggi. Poi il loro potere e influenza si manifesta, reale quanto le latrine, solido come le convinzioni più granitiche. Succede che in questo luogo tanto simile al purgatorio appaiano delle masse oceaniche di anime che simili a enormi onde si avvicinano alla rocca elevata dove si trovano questi potenti del passato. Il popolo delle anime dalle strade li acclama, intona festante inni in loro onore (che ricordano per solennità anche il primo atto del Boris Godunov), li ringrazia, si commuove e piange. Questi “sciami di potenti” sono compiaciuti, ebbri e sorridenti, quasi non si curano delle poche anime che invece di cantare sussurrano parole d’odio, li vorrebbero con loro all’inferno dove li hanno portati e non pare nemmeno essere troppo distante da lì. Un po’ di gloria, i doverosi ringraziamenti alle folle e poi, diradatasi l’onda, i grandi tornano alle latrine e aspettano. Aspettano  il loro turno per parlare con Dio. Dio sta al termine di un enorme salone pieno di colonne dall’aria austera, dietro a una porta chiusa dalla quale si intuisce venga irradiata una luce infinita. Nessuno sembra in grado di varcare quel confine. Di fatto i condottieri sono bloccati in quello strano mondo da tanto, tantissimo tempo, come chi fa la coda alle poste, nello stesso contrappasso dantesco. La porta si socchiude, qualcuno diceb“tornate più tardi” e poi si richiude e in attesa di un nuovo tentativo tutti ritornano sui loro passi. La routine di una attesa infinita. Un Hitler non si spiega questo stallo metafisico, perché “nel suo progetto” non erano contemplati degli stalli metafisici. Un Mussolini per ammazzare il tempo cerca di ingelosire uno Stalin, ricordandogli che Lenin lo avrebbe preferito a lui. Uno o due Churchill continuano a cercare la Regina al telefono da campo, inascoltati come tutti i loro fratelli. Qualcuno si fa coraggio ripentendo il discorso di Dunkirk. C’è anche Gesù in quel luogo, che si desta dal sonno dal suo sepolcro nella stessa posa del Cristo Morto di Mantegna. I condottieri cercano di farselo amico, lo considerano in fondo un “ragazzino” e per questo facile da circuire, magari per avere qualche favore presso suo Padre. Ma Gesù neanche li ascolta, asceticamente e divinamente è annoiatissimo, stufo di dover aspettare la procedura che lo tiene rilegato in quel luogo da tempo immemore per il solo fatto che deve essere “lui l’ultimo a chiudere il varco”, forse per la faccenda dell'apocalisse. Un altro personaggio che ogni tanto il gruppo rincorre è Napoleone. Anche se nessuno sembra essere mai riuscito a incrociarlo, tutti si vantano di averlo fatto. Forse è più fantasma di loro o forse ha convinto Dio a spostarlo altrove: nessuno ne è certo e quindi tutti la trovano una cosa impossibile. L’attesa è tanta, troppa, ma la gioia di incontrare periodicamente le folle oceaniche festanti spinge gli sciami dei condottieri a tirare avanti. Una camminatina, una capatina alle latrine, guardare l’orizzonte e rifare lo stesso giro un’altra volta. Forse per sempre.


Come La corazzata Potemkin di Ejzenstejn, Fairytale ha il fascino di una creatura filmica che vive al di fuori delle regole del tempo e dello spazio. È un film che sovverte il linguaggio del cinema: frantuma ogni orizzonte visivo dilatandolo e rendendo labirintica ogni inquadratura, de-centra continuamente i personaggi da ogni trama ed evoluzione, terrorizza nelle forme e nei modi una storia che dovrebbe magari apparire sulla carta buffa. Perché il soggetto è sì buffo, quasi da barzelletta nei presupposti, ma presto affonda in una satira nerissima, in una filosofia esistenzialista tragica da rivaleggiare con il più autentico pessimismo cosmico. Lo spettatore, forse l’unico vero protagonista/ospite di questa visione artistica, è spinto a perdersi nello schermo come accade nella celebre sindrome di Stendhal. Tra tanti uomini-sciame in cerca di un centro di gravità permanente che non sembra mai arrivare, tra questa città infinita e polverosa dall’animo sepolcrale e quell’onda infinita carica di anime che accorrono ad acclamare i potenti del mondo. Davanti agli occhi dello spettatore va in scena la spettale parata di una umanità informe quanto illusa, condannata alla coazione a ripetere gli stessi sbagli e stessa bandiere senza riconoscersi come un unico popolo. I “grandi del mondo” appaiono tristi e autoreferenziali specchi di una grandezza effimera. “L’onda delle anime” continua a celebrare questi grandi come fossero delle divinità, quasi inconsapevole di non trovarsi più sulla Terra ma in un mondo spirituale, dove essere di uno schieramento o l’altro non ha più alcun valore. Sono tutti fantasmi che ripetono inconsapevoli lo stesso percorso esistenziale e lo spettatore questo può coglierlo plasticamente: la narrazione volutamente  irregolare e frammentaria scelta da Sokurov spinge a ragionare su come l’umanità anche davanti ai più grandi misteri dell’esistenza continui a ricercare degli alibi divisivi, ponendosi all’ombra “degli” Hitler, “degli” Stalin, “dei” Mussolini e “dei” Churchill. 

Di fatto possiamo parlare a tutti gli effetti di un “cinema di spettri”, in quanto la pellicola è stata realizzata estrapolando da filmati d’epoca i personaggi storici reali, rispettando la sgranatura di contorni e fotogrammi, garantendo la sinistra evanescenza lattescente del bianco e nero degli anni '40. Rincorrendo le tecniche del cinema degli albori per la “macchinosità” dei movimenti di ripresa e le scelte di scenografie pittorico/barocche il purgatorio di Sokurov diviene quasi un non-luogo speculare alla Metropolis di Lang. Le musiche spesso mi matrice classica e lirica chiudono il quadro ideale di una bella gita all’inferno come la poteva organizzare solo un autore del cinema profondamente amante e consapevole della potenza immaginifica di questo mezzo. Potremmo definire Fairytale la sua personale versione politico/esistenzialista del Canto di Natale di Dickens. 


Dopo la tetralogia del potere il grande autore russo non è ancora domo nel ricercare una forma di cinema che sappia essere insieme onirico quanto politico, intimo quanto epico. In un mondo in cui “le etichette sono tutto” per aiutare il consumatore alla migliore fruizione, Sokurov ci butta nel suo Fairytale senza alcun libretto di istruzioni, facendoci assaporare la vertigine e imponenza del suo cinema colto e surreale. A volersi immergere nel 2022 in una forma così astratta quanto elaborata di cinema, c’è forse il rischio di finire in ginocchio sui ceci a guardare L’esorciccio, come nel Secondo tragico Fantozzi. Ma è un’esperienza che va provata, magari anche solo per constatare che “non fa per noi”, assaporando tutti i densissimi e labirintici ottanta minuti di questo lungometraggio stranissimo quanto unico nel suo genere, per nulla addomesticato e che non vuole affatto sembrare lineare, semplice, accomodante. Decisamente non per tutti, ma l’ennesima testimonianza dello sconfinato potere immaginifico della settima arte, anche quando viene riportata a tecniche e linguaggi di quasi un secolo fa.

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lunedì 8 marzo 2021

Robot Jox di Stuart Gordon : la nostra retro-recensione



(Premessa) In tempi di cinema chiusi ci viene incontro il Catalogo spesso sterminato dei canali streaming, ottime occasioni per recuperare perle del passato. Con le retro-recensioni possiamo quindi accedere ad un gran numero di tesori nascosti, come questo Robot Jox, disponibile su Amazon Prime. 

(Micro sinossi essenziale) Un vecchio gladiatore (Gary Graham) giunto alla fine del contratto viene obbligato a un ultimo incontro con il suo acerrimo nemico (Paul Kosio), per salvare la vita a chi dovrà prendere il suo posto (Anne-Marie Johnson). Una storia di pugni e mazzate in pratica senza tempo, ambientata in un presente distopico prospero e salubre più o meno come il nostro, in cui tutta la popolazione è poverissima e indossa la mascherina chirurgica per qualche imprecisato motivo. Le dispute tra gli Stati, per evitare altri danni a una popolazione in ginocchio, vengono risolte democraticamente “a cazzotti” in una specie di sport gladiatorio dove chi è il più forte, nonché il più vivo alla fine dell’incontro, vince. 



(Di sport del futuro e robottoni) Ma quale “blood sport“, per dirla alla Van Damme, viene usato? Più sullo stile di Speedball su Amiga o Blood Bowl con le miniature? Niente “corse della morte” alla maniera di Death Race. Niente  inseguimenti a squadre a caccia di una palla metallica alla maniera di Rollerball, niente giochi di morte e mazzate alla maniera di... Giochi di Morte. Niente varianti mortali del nascondino alla maniera di Running Man ed epigoni moderni, dagli scontri tra killer di Tournament agli Hunger Games passando per Verve.. Qui si fanno scontri con robottoni giganti che si guidano dall’interno tramite piloti che “gesticolano” come in Pacific Rim, non con robottini che si guidano dall’esterno con piloti che “gesticolano” come in Real Steel. I. Robottoni sono colorati, plasticosi e pupazzosi come “grossi model-kit in stop-motion“, ma con quel fascino di fumi e lucette e “moduli trasformabili” che per i nostalgici portano alla memoria X-bomber. In più sono trasformabili come il Trider G-7, in configurazione mech, cingolato e aereo, moddabili parte per parte e con un sacco di armi intercambiabili dai pugni a razzo, motoseghe, missili e “raggi della morte”, come in Battletech, Front Mission, Armored Core, con tanto di gestione strategica delle componenti  per la gioia di ogni mech-fan che si rispetti. I piloti? Super-uomini con nomi di battaglia epici come Alessandro, Achille, Atena, che vivono in un mondo plasticoso di culto del corpo e dello sport alla Starship Troopers, pronti a essere sostituiti da umani eugeneticamente ingegnerizzati alla Gattaca. Gli scontri? I giganti escono da enormi box sotterranei, staccandosi dall’argano di supporto alla maniera di Evangelion, portandosi su una Arena. Seguono scontri uno contro uno, prima usando le armi dalla distanza e poi corpo a corpo, fino a che un arbitro decreta la vittoria di una fazione sulla base dei danni inflitti. Le arene sono grandi e in genere gremite di povera gente esultante e sacrificabile in caso di incidente, alla maniera di Mad Max oltre la sfera del tuono. È tutto un maxi show televisivo, in cui si stimola tutto un circuito legale di scommesse. 



(Stuart Gordon nerd come noi) Nel 1989 un regista dall’animo lovecraftiano come Stuart Gordon, con un budget abbastanza contenuto (6.5 milioni dell’89, con il Batman di Burton che costò 48 milioni, giusto per dare un’idea) e con tanta passione, se ne usciva con un film sui robottoni giganti come Robot Jox. Allo stesso modo il lovecraftiano Guillermo del Toro, nel 2013, usciva in sala con il più “ricco” (180 milioni del 2013) Pacific Rim, riprendendo la stessa formula. Stuart Gordon, purtroppo scomparso di recente, è giustamente un regista amatissimo, un artigiano sincero quanto travolgente, sarcastico, diretto e appassionato. Da Re-Animator passando per Castle Freak, From Beyond, Il pozzo e il pendolo, spesso accompagnato dal suo attore-feticcio Jeffrey Combs, Gordon lavora con effetti speciali meccanici, insegue l’estetica dei b-movie più genuini per atmosfere e direzione degli attori, sceglie colori pop, non lesina umorismo e gusto del grottesco, dimostra amore sconfinato per i mostri. Spesso scrive e dirige le sue opere, spesso non trova tutti i fondi che servirebbero, come per la sua riduzione di Dagon, ma ci prova, con stile, a confezionare al meglio il prodotto, in modo fieramente indipendente. C’era molto di From Beyond in Slither di James Gunn, Re-Animator ha ispirato moltissimi zombie-movie In chiave Black comedy, Dolls aveva molte idee che arrivano anche ai film sui pupazzi maledetti odierni, Robot Jox radicò un ponte estetico fatto di gesti, cabine di pilotaggio e ingranaggi che portò Del Toro a ripetere quelle formule, dai piloti/combattenti fin dal classico “saluto di attivazione”, in Pacific Rim. Sfortunato nella grande sala, il piccolo e artigianale Robot Jox ha vissuto grandi fortune e noleggi multipli nel circuito delle videoteche, suscitando l’avida curiosità di tutti coloro che da Goldrake in poi avevano messo un pezzo di cuore in Giappone, sognando prima Gundam e dopo Robotech (come chiamavamo allora il paciugo americano di Macross, Mospeada e Southen Cross, paciugo che venne traslato poi nell’universo ruolistico Battletech), fondendo poi i sogni bagnati  con la fantascienza a base di esoscheletri e robotttini vari di Cameron, tra Aliens (1986) e Abyss (1989). Mi piace immaginare Gordon intento a leggersi Lovecraft prima di dormire e con la stessa emozione intento a costruire il modellino di un Gundam o un’astronave di Spazio 1999, perché questo  amore traspare da ogni fotogramma dei suoi film.  



(Andare oltre la copertina) Certo la copertina “in technicolor” del VHS di Robot Jox prometteva un entusiasmo che girando il retro si smorzava già un po’. Due foto di scena riportavano un appeal ben lontano, anni ‘70, dalle parti del pur amatissimo Spazio 1999 più che alla science fiction ad alto budget intravista negli anni '80, ma che era all’epoca ancora eccezione e non regola. Occorreva, come occorre oggi di più, sulla base del trailer, un “atto di fede” da parte di chi guarda alla science fiction come genere “estetico per eccellenza”. Ma quando “succede“, quando si intraprende la visione senza pregiudizi, lo sforzo viene pienamente ripagato e “gli si vuole bene”, come (per me) si vuole bene a tutti i film di Gordon, anche se fa incazzare l’idea di “cosa poteva essere“ un Robot Jox  in mano a una produzione più ricca (anche perché la stessa idea ha preso forma eccellente in G Gundam per la regia di Yasuhiro “Giant Robot” Imagawa). Il film di Gordon è piccolo piccolo, dalla trama lineare, quasi in linea con un episodio dell’Uomo Tigre e forse diretta allo stesso target. Presenta tante ingenuità dovute al budget come alla messa in scena, non ci prova mai a convincerci di essere più complicato di quanto appare spendendo come Dead Race (l’originale di Paul Bartel prodotto da Corman con Corradine) o Rollerball (l’originale di Norman Jewison con James Caan) una chiave politica. Ma scorre dall’inizio alla fine, trasuda di artigianale passione, è divertente e carico di idee seminali che hanno stimolato generazioni di autori. Tra cui il buon Del Toro, che ce lo vediamo in piedi sul divano nella scena del modulo di volo o all’apparizione della motosega. Tra cui Verhoeven, che crea i suoi Starship Troopers sullo stampo dei combattenti-atleti-modelli di Robot Jox. I videogame di Battletech, basati sulla simulazione di combattimento con i mech, devono tantissimo per il cockpit e le dinamiche da gioco a Robot Jox, anche più dei cartoni animati giapponesi. È la visione di un gaijin di un Kaiju-movie sostanzialmente, un prodotto “occidentalizzato” e che per questo si può capire di più, può essere uno step per avvicinare i prodotti originali senza voglia di sostituirli ma con il sincero scopo di omaggiarli. 



(Sigla di coda) Per chi è sui quaranta, ama i robottoni giapponesi e non ha mai visto Robot Jox, il film di Stewart Gordon ha il sapore di una nostalgica carezza e troverà sorprendente scorgere quanto abbia influenzato prodotti usciti in seguito. Vi sfido a non sussultare nei momenti in cui il robottone si trasforma. Per chi è più giovane può essere effettivamente un prodotto stranissimo, forse “troppo artigianale” e datato, ma non per questo meno divertente. Fatemi sapere. 

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domenica 8 novembre 2020

Eggshells - il film “ritrovato”di Tobe Hooper



(Dove trovare Eggshell): Amo profondamente la label Midnight Factory di Koch media, poche storie. Porta in home video horror di tutti i paesi e le tendenze, da Train to Busan di Yeon Sang-oh a Goodnight Mommy dei fratelli Franz, passando da Amer di Cattet e Forzani, virando verso il Babadook della Kent, i film Blumhouse, Lucky McKee, Nicholas Winding Refn, Robert Mitchell, Pascal Laugier, Kevin Smith, Kitamura, Maury e Bustillo. La lista è lunga. Midnight Factory inoltre recupera dal passato, restaura e traduce cose introvabili o mai viste, come Street Trash, il delirante hobo-splatter di Muro, gli Halloween 5 e 6, i film di amabile serie z come Troll 2, Squirm - I carnivori venuti dalla savana e il suo quantitativo oversize di vermi viscidosi. Ci sono le antologie horror come ABC of The death, V.H.S, Holidays, ci sono i classici, Re-Animator, La Mosca, Zombie... tanta roba e tutta gustosa per chi ama il genere horror in tutte le sue declinazioni, al punto che spesso viene la voglia di pescare a scatola chiusa un titolo mai sentito, rischiare sulla fiducia e scoprire magari Road of The Dead, un Mad Max in cui dagli zombie si ricava carburate per auto. Non è certo un rischio comunque prendere tra le mani il lussuoso cofanetto contenete Funhouse di Tobe Hooper, conosciuto da noi come Il tunnel dell’orrore.  E‘ un piccolo cult del papà di Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta), per una volta in quel periodo non scritto dall’amico Kim Henkel, con cui realizzò oltre che i due primi capitoli della saga di Faccia di Cuoio (Henkel dirigerà il terzo capitolo: Texas Chainsaw Massacre: New Generation) anche Eaten Alive (Da noi Quel motel vicino alla palude), ma dal carneade Larry Block. Uno slasher divertente, con un villain estremamente interessante, Twibunt (un freak pieno di fragilità che nasconde il volto sotto una maschera di Frankenstein... quasi un personaggio felliniano, nel senso migliore del termine), una bella ambientazione sudicia e fatiscente come da “manuale Hooper”, tanto ritmo, ironia e squartamenti, ragazzetti odiosi che vorremmo vedere subito falcidiati. In un certo senso è la risposta “ironica“ di Hooper all’Halloween di Carpenter, una lettera d’amore all’interno di una palla infuocata di odio, dal New Horror sociale anni ‘70 indirizzata al principale (anche se ancora incolpevole) ispiratore del pruriginoso Teen-horror anni ‘80. Guardate Funhouse e capirete ancora di più l’amore di Rob Zombie per i freak-show che fuoriesce fin dalla Casa dei 1000 corpi. Certo non costa esattamente due lire il cofanetto de Il tunnel dell’orrore confezionato da Midnight Factory, ma ecco la sorpresa. Nel disco 3. Il primo corto di Hooper, per lo più una prova tecnica di stile con personaggi sopra le righe che si tirano torte in faccia in un contesto medieval-umoristico sotto acido. Poi un film intero, accidenti, questo Eggshells, che è invece tutto un acido ricolmo di amore dalla testa ai piedi!


(Eggshells):
Austin, Texas. Quattro amici + “1” che passano da una comunità Hippie a un appartamento più piccolo. Destinazione finale-mortale “sposarsi” e “conformarsi”. Voglia di sballarsi, essere liberi e ribelli, fare sesso, scrivere storie nudi per casa, all’epoca delle marce contro la guerra in Vietnam, Woodstock, Hair. Prendere un’auto, colorarla tutta, metterci sopra un oblò trasparente, farci gli scemi andando in giro e poi nel pomeriggio rompersi le palle, prenderla ad accettate come simbolo di improvviso “conformismo”, darle fuoco insieme a tutti i propri vestiti conformisti e correre nudi con il pisello di fuori, mentre l’auto alle spalle esplode. Iniziare a dipingere una stanza da letto di blu, togliersi i vestiti e dipingere i capezzoli della propria ragazza di blu, andare in bagno dopo aver pennellato su e giù e iniziare a tirare le tette su e giù, allo stesso modo e con lo stesso ritmo. Intorno allo sballo o creato dallo sballo stesso, in giro per casa si trovano tizi che forse sono fantasmi, forse sono invisibili perché sfigati, forse sono personaggi di un racconto, forse una personalità multipla di un altro tizio, forse sono di un’altra dimensione. Tizi che vanno al parco, si innamorano di una che lecca gli alberi e iniziano a ricoprirsi di palloncini colorati. Che diavolo è Eggshells?

È decisamente un film fatto senza una lira con un gruppi di amici, tra cui lo stesso Kim Henkel a pisello al vento (peraltro c’è una scena in cui senza un perché manca un personaggio, forse perché nel pomeriggio aveva Judo o per via della personalità multipla...). Molte scene sembrano rubacchiate a filmati d’epoca, matrimoni e cresime per dare l’impressione che i nostri eroi siano in mezzo a una folla di comparse. Ma quante idee, quanta poesia! Monologhi pre-tarantiniani a non finire, scene di montaggio veloce a telecamera invisibile che piroetta, sgasa, si ribalta, frulla e farebbero impallidire Sam Raimi, psichedelia e roba surreale in ogni dove, tra aeroplanini di carta che prendono fuoco e strumenti alchemici che succhiano e spremono hippie. Perché tutto questo non ha avuto un seguito? Perché Hooper è finito a fare gli horror sporchi e cattivi (tra i più bei film sporchi e cattivi di sempre) senza tornare a bazzicare questa anarchica e satirica visione del mondo? Questo Eggshells dovrebbe essere nella filmografia privata di Nanni Moretti, dovrebbe essere tra i film indipendenti più di grido, invece è semi-nascosto come extra di un film di nicchia (pur un bellissimo film di nicchia), nessuno ha avuto l’incoscienza di scommetterci sopra un ghello. Forse perché Hooper è davvero troppo libero e come sempre, come nei suoi Texas Chainsaw Massacre, “pericoloso”. Nei suoi film i “cattivi” non sono più i mostri fuori dal tempo e dallo spazio della Universal, ma dei freak, dei dimenticato dalla società moderna. Chi va più alla macelleria di Leatherface, se la nuova superstrada in trenta minuti ti porta al centro commerciale più fornito (Texas Chainsaw Massacre)? Chi va più al circo degli orrori, quando in tv c’è già tutto e non si rischia di incontrare la “brutta gente” come i giostrai (Funhouse)? Anche gli Hippie di Eggshells sono a loro modo dei dimenticati. Dimenticati e arrabbiati quanto “bambinoni”, come Leatherface o Twibunt. Gli adulti, il cui credo e idea di famiglia è per loro da rinnegare dichiarandosi “comunisti”, sono sempre fuori fuoco, lontani, come nelle strisce dei Paenuts. Anche gli atti di ribellione alla società più rumorosi (accompagnati da motivetti stile comiche) non sortiscono effetto e l’unica valvola di sfogo è la fuga psicotropa dal reale, la necessità di diventare “spirito”, fondersi con il partner e con il mondo (accompagnati da musiche mistiche) fino a leccare le radici degli alberi, consapevoli che come nel cerchio della vita Disney tutto ritorna e diventeremo concime di quegli alberi da leccare. C’è molta magnificata autodistruzione in Eggshells, come fuga dallo stigma della “normalità”. Ma forse è più forte la gioiosa voglia di vivere degli hippie che brulicano la pellicola, sbattendo gli uni contro gli altri sulle scale della piccola comune/mondo, condividendo i letti in quattro. Forse Hooper li ama davvero e un po’ li rimpiange, quei giovani scapestrati degli anni '60 di Austin. Al punto da sottrargli un futuro deprimente facendoli metaforicamente sbranare dai suoi orchi mangia-uomini di provincia, palude o Freak-Show. Un po’ come il pifferaio di Hamlin, Hooper con la sua arte “nichilista” porta via i bambini e il futuro da quel grande paesone che è l’America, in cui non si riconosce più. È forse per questo pessimismo verso il futuro, come Fulci in Non si sevizia un paperino, che Hooper è diventato un creatore di mostri di celluloide, rinunciando a cantare l’amore e la ribellione giovanile  come un Bertolucci in The Dreamers

The Eggshells ci arriva quindi di nascosto, solo sottotitolato, nel terzo disco di uno slasher a tema freak-show. Ma è un bel tesoro ed è carico di tutta la malinconia e dolcezza che solo chi suona musica pesante sa infondere in una ballata. 

Attenzione al viso d’angelo e al sorriso della splendida Amy Lester, c’è il serio rischio di innamorarsi e iniziare a volare in aria sospesi a palloncini colorati. 

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giovedì 2 luglio 2020

Vendetta finale (Acts of Vengeance / The Stoic) - la nostra recensione di un film con Banderas un po' sconosciuto

 

"La miglior vendetta deve essere diversa dal tuo nemico". Con questa massima in testa, insieme a tutte le altre massime contenute nelle Meditazioni di Marco Aurelio, un avvocato di successo con il volto di Antonio Banderas, dopo un grosso colpo in testa, decide di cambiare vita e scovare l'ignoto artefice della morte di sua moglie e sua figlia. Forse un criminale di passaggio o forse pure peggio, i russi o chissà che orco. Il colpo in testa è una capocciata clamorosa che il nostro eroe si piglia, mezzo sbronzo, sfondando la vetrata di una libreria (in una scena girata in modo assurdo per ogni legge della fisica), dopo essersi improvvisato giustiziere delle notte, come reazione alla inefficienza della polizia nel condurre le indagini. Sfondato il vetro e con gli uccellini che ancora gli volano per la testa stile cartone animato, Banderas piglia in mano questo volume di Marco Aurelio posto in vetrina, dichiara di sentirsi ora uno stoico, fa voto di silenzio assoluto e va a imparare il kung fu per iniziare a picchiare sconosciuti negli scontri clandestini. Qui incontra Karl Urban, che un anno dopo il terzo Star Trek è più gonfio di un culturista, fa il poliziotto bonaccione e ama farsi due bevute. A un certo punto un cane antidroga decide di aiutare Banderas iniziando a seguirlo come zanna bianca, mentre una infermiera di notte interpretata da Paz Vega, dopo aver intravisto la classica "parete della pazzia" che Banderas tiene in soggiorno incrociando foto e linee rosse, lo indirizza verso un tizio che si chiama Mister Brivido, che vive presso uno snodo abbandonato dei treni che non c'entra assolutamente nulla con il luogo dell'agguato. Riuscirà Banderas a farsi vendetta? Certo, volesse tornare a parlare sarebbe utile, ma questo suo stoico-mutismo-autoimposto sembra avergli sviluppato da paura tutti i sensi e ora si muove e percepisce il mondo come Daredevil.
Il regista Isaac Flomentine è autore di action del sottobosco "arti marziali very low budget" amatissimi quanto scarsissimi. I vari Ninja, Boyka e Undisputed con Scott Adkins. High Voltage con la moglie di Bruce Lee, Shannon, Amy Smart e Antonio Sabato Jr . Ha compiuto il piccolo miracolo di rimettere insieme su pellicola Dolph Lundgren e Cary-Hiroyuki Tagawa, in Bridge of dragons, dopo il mega-classico Big Trouble in Little Tokyo.. e qui mi parte la lacrimuccia. 


Flomentine punta tutto sull'azione, fa lavorare gli stunt-men più che gli sceneggiatori e attori, ha una precisa idea della messa in scena che ricalca inquadrature e temi ultra-easy degli action anni '80/'90, tra Cynthia Rothrock e Don The Dragon Wilson. I suoi prodotti hanno quel gusto nostalgico, ingenuo e chimico delle pizzette congelate da riscaldare al forno elettrico che quando ero piccolo il bar dell'oratorio ti serviva dopo averle tolte dal freezer e da una copertura di plastica e conservanti che ne conferiva al 90% il sapore finale. Sono fumettoni buffi e muffi, ma se vi capitano tra le mani e siete nel mood giusto possono pure essere divertenti.
Questo Act of Vengeance è arrivato da noi con il banalissimo titolo di Vendetta finale e inizialmente era  schedulato con il pericolosissimo, delirante e altisonante titolo The Stoic, il ossequio allo "stoico daredevil", di Banderas, rischiando la lapidazione globale e derisione da parte di ogni studente di filosofia del globo. È però un film così "fuori" che fa il giro, accumula pazzia di minuto in minuto e sa essere un autentico guilty pleasure. Banderas ci prova a "menare", come la totalità della filmografia di Flomentine impone all'attore centrale di una sua pellicola, è pure convincente nelle precise e ben delimitate scene di botte. Ma è e rimane un attore passionale, latino, del tutto ingestibile da parte di un tizio abituato a dirigere Stunt-men poco "loquaci". Banderas va in overacting, si muove con una teatralità assurda e il suo personaggio, pur essendo nell'incapacità di parlare, pensa ad alta voce per tutto il tempo, con la voce off classica tanto della filmografia hard boiled sui "detective"... come del Daredevil scritto da Frank Miller in poi. È una cosa che fila, è una cosa al contempo buffissima. Banderas è ovunque ed è incontenibile, vive in un film tutto suo, cerca a volte pure di rincorrere il Jim Carrey di Bugiardo Bugiardo a partire dalla supercazzola, che ci portiamo dalla prima alla ultima scena, su quanto troppo parli al giorno un avvocato. Ed è goffo, oltre che oggettivamente bolso per sopraggiunti limiti d'età, salvo tirare fuori fisico e orgoglio in alcune scene action. Per contrastare questo One man show, sembra quasi che il regista decida di riempire ogni buco visivo e narrativo non occupato dall'ingombrante attore con fantasmagoriche puttanate. E allora vai con il supercane poliziotto, vai con i cattivi ultra cattivissimi ma buffi, vai con una spaesatissima Paz Vega il cui personaggio cambia caratterizzazione di scena in scena, vai con la divisione del film in capitoli intervallati dalle massime del povero Marco Aurelio, vai con i Mister Brivido che escono dai tombini facendo le capriole come i power rangers. E sapevate che Flomentine ha diretto pure episodi dei Power Rangers? Non trovate tutto ciò fantastico? Insomma, The Stoic è una perla avariata irresistibile per farsi un paio di risate, girata un tanto al chilo (salvo per l'action), interpretata in modo incontenibile, carica a pallettoni di non-sense. Quasi un cult a rovescio. Lo trovate anche su Rai play, se volete farvi due risate vi consiglio un giro di giostra. 
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lunedì 22 gennaio 2018

Hellraiser: Judgment - finalmente un trailer


Ok, alzi la mano chi sta piangendo di gioia dopo aver visto questo trailer! Non ci speravamo più, noi 11 fan italiani di Hellraiser (scherzo.. lo so che siamo tantissimi) ma alla fine i cenobiti di Clive Barker sono tornati per infestare di incubi anche le nuove generazioni. Nove film, di cui gli ultimi due incredibilmente ancora inediti in Italia, un fandom per cui libri, fumetti e film sono un'autentica religione, montagne di action figures prodotte e chili e chili di suggestioni visive riprese più o meno legalmente dall'opera originale. Pensate a Resident Evil, Mortal Kombat, il fumetto Berserk di Kentaro Miura, gli Slipknot, la saga di Insidious, Death Note, la moda, la musica. Tutti  si sono negli anni portati a casa un pezzettino di Hellraiser, che si tratti del look di qualche cenobita, una maschera o di variazioni sul tema del misterioso "cubo", l'oggetto magico che secondo la saga permette a chi lo schiude di attingere a un infinito potere, oltre che aprire nel nostro mondo un'autentica porta per l'inferno. Un'affettuosa citazione al mattatore massimo di questa saga fatta di creature né angeli né demoni, il mostro ultradimensionale Pinhead, è pure presente in quello straordinario accrocchio meta-cinematografico che è Cabin in the wood (da noi Quella casa nel bosco), diretto da Drew Goddard. Il materiale di partenza è così dark, carismatico ed epico che i fan hanno sempre invocato uno sdoganamento serio, magari una esalogia di film con il budget del Signore degli anelli. La saga, anche per carica com'è di sangue e tette, non ha mai ricevuto un tale privilegio, ma oggi che Il trono di spade sbanca gli ascolti delle reti via cavo forse il mondo può cambiare. Certo che servirebbe pure una casa di distribuzione che ci creda davvero nel progetto. Ed eccoci quindi all'ultima incarnazione del brand, scritto e diretto da Gary J. Tunnicliffe, che a curriculum ha scritto l'Hellraiser precedente direct - to - video, Hellraiser: revelations, diretto nel 2004 un corto sempre sul Pinhead e poi poco altro di qualche alto profilo, a meno che voi riteniate di alto profilo il celeberrimo Jack e la pianta dei fagioli con Christopher Lloyd. Però di contro il buon J. è una mezza autorità nel campo del make-up. È nel settore dai tempi di Waxwork 2 (mamma che ricordi!) e poi è passato, tra le mille cose,  per Hellraiser III, quella cosa pazzesca che era Candyman, quell'altra cosa pazzesca che era Warlock con Julian Sands, Halloween, Wishmaster, il Blade della Marvel, Dracula 2000 prodotto da Wes Craven, il nostalgicamente delizioso Halloween Resurrection, Exsorcist The beginning che non mi era affatto dispiaciuto, il bruttarello asiatico importato Pulse, il gustoso San Valentino di sangue, quel piccolo cult di Drive Angry sempre diretto dai tizi pazzerelli di San Valentino di sangue, quella zozzeria ma cool di Piranha 3DD. E poi, sempre a pasticciare con i trucchi, te lo trovi pure nei Mission Impossible, in Wolverine, Black Mass, Final Destination, la serie TV di Scream, Gone Girl di Fincher. Oh, il buon J. lavora un casino!! Oltre a ciò è pure stato assistant director per un discreto pugno di horror direct to video. J. ci piace, è nel settore da anni e ha messo un pezzetto del suo cuore e talento  in un numero spropositato di cose che sicuramente avrete visto anche voi. Noi tifiamo per lui e lo aspettiamo con i "suoi" cenobiti, anche se è chiaro che il film è costato due spicci come il precedente. 


Il trailer è l'esatta festa di sangue e coolness che ci si aspetterebbe da Hellraiser. Tra gli attori c'è la prima ragazza di cui mi sono davvero innamorato, Heather Langerkamp, la leggendaria Nancy di Nightmare on Elm Street, Nightmare 3: Dream Warriors (il mio film più preferitissimo della vita, anche se non è una forma grammaticale corretta quella che ho appena usato) e New Nightmare. Il Pinhead è a questo giro Paul T.Taylor, ha la faccia giusta mi pare. A Dimension Film "je tocca" fare questo film per non perdere i diritti cinematografici del franchise (cosa che sarebbe davvero un bene per lo stesso) e il budget è appunto tutto per un direct-to-video. Il buon J. a quanto pare dalle vocine su internet ha pure dei sensi di colpa per lo scarso successo di Hellraiser: Revelations, film che appunto lui ha scritto ma non ha potuto dirigere per motivi vari, tra cui il fatto che gli hanno preferito il regista che ha esordito con il sanguinoso cortometraggio El ciclo. Comunque J. qui e oggi, con Hellraiser Judgment, vuole fare qualcosa di bello per i cenobiti, innovare la saga, riprendersi la fiducia dei produttori. Speriamo bene. 
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lunedì 7 novembre 2016

Swiss Army Man e Horns: i film con Daniel Radcliffe che ci piacerebbe vedere pure in Italia, prima o poi...


Constatiamo, crudelmente "l'ovvio".
Cioè, Radcliffe è e sarà sempre, più o meno per gran parte dell'universo conosciuto, specialmente italico, il maghetto Harry Potter. E quindi per i distributori, almeno "italiani", il pubblico  di riferimento dell'attore "è quello": ragazzini fan del maghetto che vogliono il povero Radcliffe interprete perenne di un maghetto. Anche se è cresciuto, si è tarchiato, c'ha il collo alla Broke Lesnar, gli occhio lombrosianamente scavati dentro le orbite e mani enormi come il David di Donatello. Nonostante pure il buon Daniel voglia fare e faccia "altro"! Da ragazzino caruccio è diventato di fatto l'interprete ideale di Rif Raf in uno spettacolo londinese permanente del Rocky Horror Puctures Show. Non servirebbe nemmeno troppo trucco, ma il pubblico, secondo l'idea che se ne fanno i distributori italiani (lo so, sto sottolineando con il pennarellone grosso la questione), anela il Radcliffe di 10 anni, lo vorrebbe magari come eterno bambino stile Gary Coleman. Non stupisce quindi che in sala, in Italia, Radcliffe è arrivato, senza problemi, con questo...


Che è un po' come dire, parafrasando l'ultimo minuto del trailer: "Ta daa!! Sono tornato maghetto!!".
Ma in questi occhi, apparentemente felici,  guardandoli bene, io non riesco che a vedere altro che calde, malinconiche, invisibili lacrime. Il suo corpo e il suo stile recitativo vuole essere votato all'horror, perché  lui ci crede e perché è un interprete perfetto per l'horror, noi lo amiamo come interprete horror!
Lo voleva fare subito, l'horror, appena tolta la sciarpa di Grifondoro, al punto da finire al volo in una produzione neo - Hammer (anche produttivamente "in palla") in cui, pur di allontanare la sua aura da ragazzino (tenero!!), portava una barba posticcia: The Woman in black. Ora, siamo onesti, la barba posticcia si vedeva e forse non era ancora pronto per un ruolo alla Peter Cushing. Ma funzionava alla grande, ci credeva, aveva i tempi e la faccia giusta e alla fine il film non era così male. Ma al botteghino si aspettavano Harry Potter non un horror anche abbastanza spaventoso. Le fans ci sono rimaste male, i produttori pure, i distributori più di tutti e il film è stato un po' dimenticato dal cartellone, nonostante noi, i cultori dell'horror, eravamo quasi commossi dalla metamorfosi di Radcliffe. Al punto che grazie all'home video si è messo pure in cantiere un sequel, che senza Radcliffe e buone idee è venuto decisamente malino. 


Sconfitto, Radcliffe non demordeva e ripeteva il mantra "Addio maghetto, non mi ripigli maghetto!!" quando sceglieva di interpretare il grande poeta Allen Ginsberg in Kill your darlings - Giovani ribelli. Complesso, un genio, ma anche omosessuale e abitudinario di psicofarmaci. Non un soggetto per teenagers, che disertando le sale si sono perse qualcosa di bello. Di nuovo non era Harry Potter e i distributori, nonostante la vetrina di Venezia e il Sundance, lo spinsero pochissimo. E peggio successe per il film successivo, Horns


Scritto dal figlio di Stephen King (appero...) e diretto da Alexandre Aja (e sticazzi), con la bellissima Juno Temple a fargli da coprotagonista. Radcliffe si getta in un film squilibrato, folle e imperdibile. Radcliffe è qui un ragazzo di provincia che, accusato di essere un assassino, sviluppa una specie di corna demoniache sulla testa, una ancestrale rappresentazione del peccato commesso. Il ragazzo non si sente colpevole, ma assomiglia sempre di più a Hellboy. A seguito di questa mutazione comunque il ragazzo acquisisce una specie di superpotere in grado di far rivelare la natura malvagia delle persone che gli stanno vicino. Cosa succederà? E' un horror? E' un film drammatico? E' humor nero? Non si capisce bene e non ha molto senso, anche se sul finale si direziona come si deve e ha una bella dose splatter che gli amanti dell'horror più emoglobinico gradiranno. Ma è una roba così "fuori" e "strana" che è da vedere. Insomma, pare una trama partorita da Garth Ennis per Preacher! E qui i nostri distributori, e qui un po' li capisco, tra corna sataniche e buste di sangue finto sparse su tutta la scenografia e su pupazzi fatti a pezzi causa "azioni dell'ex maghetto", se la sono fatta letteralmente sotto. Il film, peraltro applaudito ai festival per l'originalità e la surreale interpretazione di Radcliffe, in Italia non è proprio arrivato. Cacchio!! Un horror-commedy-adolescent-splatter-mettirobaacaso, interessante, premiato e che non mi esce in italiano. Ma perché?? Vedi, sopra. 


Intanto Radcliffe continua amabilmente a pensare all'horror, nelle pause da pellicole sdolcinate come What If, carine ma che "comunque era meglio quando faceva il maghetto", e ridaje, per i soliti di cui sopra. Il ritorno all'horror o quasi lo fa interpretando Eigor nella versione in salsa bromance di Frankenstein Jr con James McAvoy. Che alla fine non è poi troppo male, il regista è bravo, viene dalla serie tv Sherloch e si vede, il budget è appropriato per qualcosa di impatto. E qui Radcliffe è davvero magnifico, tanto per la recitazione, malinconica  e struggente, quanto per la fisicità, dolente, instabile e contorta, che dona al personaggio, ulteriormente deformato da un ottimo make-up, la resa del freak definitivo. La bocca sempre più larga, il capello sempre più unto, le spalle piccole, le gambe tozze, lo sguardo da matto ma in qualche modo da animale ferito e indifeso, la gobba carica di pus (la scena dello "sgonfiamento" è da oscar del fetido), la schiena ricurva, le manone. Il Gollum pare quasi più bello, ma Radcliffe è autentico, artigianalmente dettagliato, vivo e con un cuore che, da grande attore riesce a far trasparire sotto tutto il cerone, protesi e plastiche. Anche questo film, stessi motivi di cui sopra, non va benissimo. Arriva però almeno in sala e me lo godo, per un attimo sogno pure il seguito in cui un Frankenstein - McAvoy (molto bravo anche lui è qui si diverte un mondo a fare lo scienziato matto) costruisce una armata di mostri degna di Doom. Perché sì, cacchio, il secondo tempo pare ambientato nel castello di Wolfenstein dei videogame e da nerd di quelle cose lì, i videogiochi, sono uscito eccitato come un ragazzino di dieci anni. Ma è piaciuto solo a me, peccato. Ho visto la "instant reaction" (non positiva a dir poco) di una "potteriana convinta" alla fugace visione del trailer e dovevo già lì aspettarmi il peggio. L'impostazione bromance (che poi è giusto accennata e subito accantonata, grazie a Dio) non ha aiutato neppure lei perché qui non ci sono Channing Tatum e Ryan Gosling che si guardano languidi negli occhi, ma il professor X e Harry Potter . E anche nei manga yaoi per signorine dai gusti forti non si era forse mai tentato tanto. 
Insomma, il film va malino ai box Office.


La maledizione di Harry Potter continua. Anche perché funziona pure alla rovescia!! Chi ha odiato fieramente il maghetto, appena lo sgama in un'altra pellicola tende (maledetto lui) a cambiare sala e tirare in ballo braccia rubate all'agricoltura. Ed è un peccato perché, glielo riconosco, anche se tra un'ora negherò tutto e distruggerò probabilmente questo post, Radcliffe negli anni è davvero diventato bravo! 
Quel bollino lì, il marchio del maghetto, la come si chiama, la "cicatrice a fulmine", ha provato a togliersela da subito, ci ha provato davvero, all'istante! Per distrarre il pubblico ha cercato di far vedere "ben altro" delle sue potenzialità, mettendosi in gioco parecchio, calcando ancora giovanissimo Broadway. E come A Chorus Line con Michael Douglas insegna, non è cosa da tutti. Ve lo ricordate questo?


Lo hanno, quasi tutti in rete, preso in giro, per principio, senza nemmeno andare a cercare di cosa l'opera trattasse. "Harry Potter è nudo, bruttino, magrino, ha quattro peli sul petto e sicuramente sta facendo qualcosa di gay con un cavallo". Si leggeva per lo più questo, tra mille "lol" e "rolf", su tutti i social. 
Riuscirà Radcliffe ad uscire dal personaggi di Harry Potter senza ricorrere a spellarsi vivo come in Martyrs di Xavier Dolan ? 
Intanto si prepara a uscire con questo bel filmino che già dal trailer adoriamo incondizionatamente.



La pellicola si è pure beccata il Directing Award e la nomination al Grand Jury Prize al Sundance. Pare una roba stranissima e infatti lo è. Cioè una specie di  horror commedy in cui Radcliffe fa... il coltellino svizzero umano. I registi sono i folli che rispondono al nome di Dan Kwan e Daniel Scheinert, per gli amici i "Daniles". Radcliffe è lo strumento - amico (non si muove tipo Weekend con il morto, ma almeno parla e il suo corpo sembra recare infinite sorprese di utilizzo) con cui un naufrago, interpretato da Paul Dano, potrebbe riuscire ad abbandonare l'isola su cui è disperso. E c'è pure la bellissima Mary Elizabeth Winstead, che è bellissima e bravissima (sempre). Ma torniamo a Radcliffe uomo-coltellino, non stiamo a distrarci troppo, ora che  avete visto il trailer. Può essere oggetto da taglio, fucile, bombola a gas, serbatoio idrico, motoscafo, razzo di segnalazione. Non lo concepite come il più geniale e assurdo film della storia? E' di sicuro anche la risposta più completa a chi sosteneva che Radcliffe dopo Harry Potter non poteva fare nient'altro. Cioè, avete visto che qui è in grado pure di fare il motoscafo? Magari questo film sarà una cazzatona (magari no, se ha avuto questi grossi riscontri al Sundance) ma quanto sfoggio di fantasia malata... dobbiamo vederlo in Italia, a tutti i costi! 
E quindi vado di appello. 
Posto che le distribuzioni grosse non hanno spesso  gli incentivi di target - pubblico (leggi: "qui Radcliffe non fa il maghetto") per proporci film di questo tipo (ma se succedesse sarei il primo ad esserne contento), mi rivolgo a quelle piccole belle etichette come Midnight Factory o Blue Swan o Dell'angelo editore. 
"Adottiamo Radcliffe". Facciamo in modo che diventi sempre più "cosa nostra", da appassionati di horror, lasciamo le major libere dall'impatto di vedere solo la sua "versione maghetto". Portiamo in Italia Horns e pure Swiss Army Men! Se lo farete, me li sparerò al cinema e più in home video. E voi, siete con me? 
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martedì 14 giugno 2016

Monster trucks - Primo trailer... Ma questa roba arriverà in Italia?



Ok, dietro ci sono i tipi dell'Era Glaciale e quello non mi sembra il Grave Digger o Superman... L'interprete è Lucas Till, che oltre ad aver interpretato Havoc nei recenti X-Men... oh mio dio, sarà il prossimo McGuyver!!!!!! Oltre a McGuyver... Cioè, vi rendete conto?!!! McGuyver!!! Quest'uomo sarà McGuyver!!!!! Cacchio, il prossimo McGuyver!!!! Ok, ora prendo un calmante; oltre a Till c'è anche Jane Levy, che  era nel remake di Albarez de La Casa, e ben due mostri sacri usciti fuori ora da un vortice spazio- temporale. Perché non mi spiego altrimenti la loro assenza prolungata dal cinema... Anzi no, guardando in rete roba ne fanno, ma non esce in genere dai cestoni dei film Direct to video di un'ipercoop dell'Ohio, figurati arrivare in Italia. I due mostri sacri in questione sono Rob Lowe, che oramai vive di comparsate, e  Danny Glover, che se era "troppo vecchio" nell'86 per "certe stronzate" giuro non so cosa ci faccia qui... Forse il mutuo da pagare? Intanto apprendo da IMDB che ha girato, tipo ieri, e quindi "esiste" , un Death Race 4!! Ma non è pazzesco??!!  E recita con il nuovo McGuyver!!!  Bel colpo Danny!!! Ma torniamo al trailer.
Ci sta la provincia depressa americana stile Hazzard, con bifolchi e corse pazze per salvare la terra del nonno dall'ipoteca o giù di lì. Ci stanno dei mostri nel sottosuolo. Sono "pallaformi", tutti gommosi, poliposi, con gli occhioni e tenerelli e amano correre contorcendosi orribilmente dentro gli ingranaggi di macchine-mostro senza una ragione specifica. Cioè capito il gioco di parole? Le "auto-mostro" o "Monster-Trucks"? Auto... Più... mostro? Sì, lo so, gli americani a giochi di parole sono sottili; l'importante è che ci sia il prossimo McGuyver comunque. Il resto è tutto contorno.


Io ho appena visto il trailer... che dire? E' colorato, gli effetti sembrano carini, la trama già da ora pare inesistente. Credo ce ne dimenticheremo tutti fino a che arriverà fortunosamente in un cestone dell'ipercoop a noi più vicina, a fianco al mucchio di dvd di Pilates, "costruisco un dinosauro con la carta", "Spartacus - la versione noiosa del National Geographic Channel senza sangue e tette",  Zombie 2 di Fulci e al film "L'uomo dell'anno" con Beppe Convertini. 
Potrebbe essere Free Willy incontra il Maggiolino Tutto matto... Come faceva la canzone di Free Willy?



Ok, fesserie a parte, se avessi 6 anni questo sarebbe il film del 2017 che più aspetterei al mondo. Anzi no, escono i Transformers nel 2017 e pure il nuovo King Kong... Ok, il secondo o terzo film dell'anno 2017 se avessi sei anni. Forse. No, direi starebbe comunque un bel po' dietro.
Chris Wedge è (dicevamo mezz'ora fa)  un militante dello studio di animazione 3D Blue Sky, il tizio che ha diretto il primo Era Glaciale, Epic (quello tipo Arthur e i minime ma con i ninja), Robots (quelli con Dj Francesco. Non si sa perché, ancora oggi). Ha anche scritto la sceneggiatura di Epic e non era affatto male. Il team di sceneggiatori qui coinvolto in Monster Trucks è responsabile invece di Kung Fu Panda per lo più, ma ce ne sta uno, Derek Connolly (il cui nome ora scrivo e sottolineo in rosso  nell'agendina) che ha lavorato a Jurassic Word e sarà sui prossimi Kong: Skull Island, Pacific Rim 2 e Star Wars IX. Non oso immagine chi doppierà la macchina mostro da noi. Spero davvero che non parli.
Ok, cosa stavo facendo? Ah, si'!! Cercare notizie su McGuyver!
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giovedì 3 settembre 2015

Pay the ghost - il trailer del nuovo horror con Nicolas Cage!!


Halloween. L'occasione ideale per stare insieme e divertirsi con la famiglia e gli amici. Così Mike Lawford (Nick Cage), vestito da Elvis - torero - cowboy da rodeo si mette sulle spalle il piccolo Charlie (Jack Fulton), vestito da pirata, salutano mamma Kristen (Sara Wayne Callies - odiatissima petulante moglie di Rick in The Walking Dead) e se ne vanno alla parata cittadina. Tra scheletri, diavoli e streghe c'è un mostro che fa più paura di tutti, il nuovo parrucchino di Nicolas Cage. Un gatto morto gellato portato come i peggio mafiosi di Brooklyn, solo che incredibilmente piccolo ed aerodinamico. Mike su gira un attimo, appoggia il figlio in terra e due secondi dopo lo ha già perso. Ricerche a vuoto, matrimonio a pezzi, passa un anno, invano. E' sempre Halloween, un anno dopo, la festa in cui i morti fanno visita ai vivi. E Charlie ricompare davanti a Mike, uguale a come lo aveva lasciato, vestito da pirata con la benda sull'occhio. Solo che non fa più parte del mondo dei vivi, è qui solo in visita.


Nuovo thriller sovrannaturale per Nick Cage. Un genere che a volte gli riesce bene e a volte no. Ricordate The wicker man?


Questo trailer è un capolavoro e il suo autore un genio, cambiando la colonna sonora ha trasformato un horror in commedia. E funziona pure meglio!! Andate a coprirlo di like, che se li merita tutti!
Questa volta speriamo comunque che l'effetto finale non sia così involontariamente comico. Il regista è quello di molte puntate del serial carcerario Oz e della bella miniserie Houdini con Adrien Brody, Uli Edel.
La produzione è della Voltage Pictures, la casa che ha finanziato The Hurt Locker e Dallas Buyers Club.
Il direttore della fotografia, Sharone Meir, ha già curato il fantastico Whiplash per la Blumhouse e già da questo trailer si nota quanto sia accattivante qui il suo lavoro; colori esautorati, neri profondi, arancioni vividi, un vero spettacolo, dall'impatto più favolistico che orrorifico. La sceneggiatura sembra interessante, un mystery che diventa un viaggio agli inferi stile Orfeo ed Euridice, ma declinato nei rapporti padre-figlio.
La musica è di Joseph LoDuca, da sempre nella squadra di Sam Raimi, dai tempi dell'Armata delle tenebre fino all'ultimo Spartacus della Starz e naturalmente arruolato per Ash vs Evil Dead. Uno che di temi tenebrosi se ne intende.
L'autore della novella da cui il film è tratto, Tim Lebbon, ha vinto un Bram Stoker Award e uno Scribe Award, qualsiasi valore detto premi possano avere non pare male. Ha lavorato a 30 giorni di buio, scrivendo la versione a romanzo del film (che a sua volta era tratto da un fumetto come ben sapete... O no? Forse dovrei parlarvi prima o poi di Steve Niles...).
Insomma le carte buone ci sono, il trailer è il primo con Nick Cage, dopo quasi un'era geologica, che mi fa venire la voglia di andare a vedere un suo film al cinema. Sta tutto a te Nick! Lo sai che ti amiamo, che sei sempre nelle nostre preghiere per un film decente e che presto organizzeremo un Nick Cage Day! Dacci dentro!! Anche se visto che è uscito il trailer immagino tu lo abbia già fatto, e alla grande! In America uscirà, guarda un po', ad Halloween. In Italia pure o forse o no o un anno dopo in dvd. Con Nick di recente non si sa mai... Ma vogliamo crederci per una volta! Ci hai convinto! Vedremo il tuo film! E poi ovviamente vi faremo sapere. 
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N.b. Intanto Cage arriverà in sala -dvd con un film in cui sfoggia anche questo parrucchino...


Molto Christoper Walken style... Sarà un film cazzuto!

mercoledì 2 settembre 2015

L'uomo con i pugni di ferro 2 - la nostra "attesissima" ma sorprendente recensione


Thaddeus (Rza, incredibilmente meno imbambolato del solito, quasi bravino) è stato un reietto, straniero in terre lontane, venduto e seviziato. Ha scoperto la rabbia, è diventato un criminale, poi un guerriero. Forse è stato anche impiccato, ma i monaci lo hanno salvato, ne hanno fatto un loro discepolo. Thaddeus ha scoperto così la misericordia, l'onore, la saggezza di Buddha e i misteri dell'energia interiore, il "chi", in grado di armonizzare l'uomo con la Terra. Il suo viaggio lo ha portato a Jungle Village, è diventato un fabbro leggendario, le sue armi avevano il potere di rendere più forte chi le brandiva. Ha trovato l'amore ed è stato costretto a lavorare per chiunque, cinicamente, pur di garantire un futuro alla donna che aveva rapito il suo cuore. Infine aveva trovato la disperazione e le sue braccia sono state tagliate, rendendolo invalido. Ed è allora che Thaddeus si rimette in piedi, rinasce. Si costruisce braccia e pugni usando il ferro, attraverso i chatra li fonde con la sua pelle, riesce a risvegliare il suo "chi". Gli arti di ferro si animano come protesi metafisiche e Thaddeus acquisisce un potere inimmaginabile, in grado di far letteralmente esplodere i corpi con il tocco. Thaddeus diventa "l'uomo con i pugni di ferro" e ottiene la sua vendetta contro chi gli ha portato via per sempre il suo unico amore. Compiuta la missione, si butta tutto alle spalle e medita di tornare dai monaci che lo avevano salvato, per riequilibrare il suo potere, abbandonare la via del guerriero. È così che finisce per caso in un villaggio dove giovani donne vengono misteriosamente rapite e uccise. Un posto dove chi amministra la giustizia, il perfido Maestro Ho (Carl Ng, bravissimo e cattivissimo) non fa nulla per i più deboli e gode nel seviziare gli abitanti che lavorano nella cava d'argento. Il sindaco (un gigantesco, granitico Cary- Hiroyuki Tagawa, un attore imprescindibile per chi ama i film orientali) sembra impotente davanti alle angherie di Ho, il vecchio guerriero Li Kung (Dustin Nguyen, che vi ricorderete a fianco di Johnny Depp in 21 Jump Street e qui è perfetto e credibile in parte) sembra impotente. La situazione precipita, lavorare in miniera è sempre più pericoloso e le donne uccise continuano, il popolo è in rivolta e ogni rimostranza contro il perfido Ho si risolve su di un ring da combattimento, l'unico mezzo per far valere la giustizia in questo strano posto. Forse per Thaddeus non è ancora giunto in tempo di percorrere la via della spada.


L'uomo con i pugni di ferro è il sogno nel cassetto che si realizza di ogni nerd-fan del cinema asiatico, l'eroe su cui fin da bambino il rapper del Wu-tang Club conosciuto come Rza, scriveva storie e inventava tecniche di combattimento e armi. Fanatico di arti marziali e dei film degli Shaw Bros come "Le furie umane del Kung Fu" Rza ha sempre avuto gli occhi luccicanti parlando di questo progetto, fino a che ha incontrato Quentin Tarantino che  gli diceva: "Prova a buttare giù una sceneggiatura, metti tutto su carta e poi ne parliamo". Ed Rza scriveva, scriveva e scriveva assecondato dalla gioia pura. Il suo fabbro creava armi stranissime, armature improbabili e possedeva una forza pari a Ken il guerriero. I suoi nemici non erano da meno, erano armati di pistole-motoseghe rotanti, avevano il potere di trasformare il loro corpo in corazze dorate. Nel delirio più "nerdesco" possibile scriveva una storia contorta, mille personaggi, mille tribù diverse, mille combattimenti. E scriveva, produceva e cantava e suonava, insieme ad Howard Deissen, la colonna sonora, sullo stile del Wu-Tang Club. La musica black al servizio del kung fu. Tarantino leggeva e approvava, il suo amici Eli Roth (fra poco parleremo anche del suo nuovo Green Inferno) approvava. C'era così tanta "roba" che pare il materiale presentati alla Warner dai Wachoski per farsi produrre Matrix. Non poteva essere tutto male. Lo riempivano di soldi, più di 20 milioni di budget, gli davano in mano un cast faraonico che annoverava Russell Crowe, Lucy Liu, Dave Bautista (che con il film si è vinto la parte nei Guardiani della Galassia), Rick Yune, Jamie Chung. Riuscivano a ingaggiare il coreografo di arti marziali Corey Yuen. Ci stavano pure soldoni per gli effetti speciali e un livello di splatter clamoroso, epico.


Rza dirigeva tenendo per sé la parte del fabbro, restando volutamente un po' in disparte in una storia che parla di un villaggio pieno di conflitti tra bande e di un carico d'oro da rubare. Voleva che fossero gli attori "professionisti" a stare maggiormente in scena, anche se si ritagliava alcune scene spettacolari. Il primo trattamento era un mostro di tre ore e passa. Tarantino e Roth decidevano di sforbiciare. Ed era il dramma. La materia era troppo densa. 

Rza era alla prima regia, alla prima parte un po' più lunga di tre minuti sulla scena. Andava nel panico, non sapeva cosa tenere e tagliare, sforbiciava a caso, il senso originale si perdeva e la versione estesa home video riusciva a malapena a tamponare. Se la trama diventava così un vero casino, tutto il resto rimaneva grandioso. Le idee di Rza, l'esercito di attori ingaggiati che di divertiva un mondo, le coreografie geniali del maestro di Hong Kong Corey Yuen, gli effetti speciali ultra splatter , le scenografie fuori di testa, la colonna sonora. Armi, tette, zen e accenni agli spaghetti western. Tutto era sopra le righe in modo tanto figo che il film, pur facendosi un bagno di sangue al botteghino, diventava un piccolo cult, anche grazie al passaparola, imprescindibile se si ama un certo filone trash - splatter  e naturalmente arti marziali. Tutti volevamo assistere alle nuove avventure di Thaddeus , ma ci si è ghiacciato il sangue non appena abbiamo letto che il nome del nuovo regista era Roel Reine'. Il regista dei seguiti "a basso costo" ( ma ne abbiamo già parlato qui 
link).


Sembra che Rza si sia innamorato di Roel Reine' dopo aver visto il suo Dead in Tombstone. Un trash western con protagonista un Danny Trejo pistolero - criminale - zombie tornato in vita per mano di un Lucifero interpretato da Mickey Rourke per vendicarsi della sua ex banda. Qualcosa che sulla carta aveva del clamoroso e a vederlo è una tristezza. Ma Rza comunque sceglie Reine' per il sequel del suo film. Eli Roth c'è ancora alla produzione, Tarantino benedice ma si dà alla macchia. Il film ha un budget di 5 miseri milioni di dollari per "tutto", effetti e post produzione compresa e un tempo per le riprese di 20 giorni. Il Rza caccia i soldi extra (immagino per Catering) di suo, chiama tutti i suoi amici, scrive le musiche (in 90 giorni) con il suo socio del primo film, ci mette la sceneggiatura. Reine' dirige e fa anche la fotografia, per risparmiare usa dei droni quadricottero per le riprese dall'alto. Il set è la Thailandia e si prendono gran parte delle maestranze dei film di Tony Jaa, amico di Rza in quanto alla colonna sonora di Protector (versione usa non la nostra) e addirittura attore in Protector 2. Siccome il fatto che non ci sta una vera lira è pesante, per set usano un villaggio nella Thailandia del nord poverissimo, al punto che per far figurare che è il XIX secolo portano al massimo due picconi e una katana. La troupe gira nel villaggio svuotato dai suoi abitanti, che vanno a vivere per i venti giorni da dei parenti. Gli attori in pratica girano e la sera ci dormono dentro. La grotta in cui si trova la cava, location fondamentale del film, esiste e la usano pari pari. Volevano le risaie e allora hanno piantato vicino al villaggio un ultra fertilizzante quattro settimane prima delle riprese e hanno avuto le risaie. Come coreografo hanno trovato Seng, un grande in Thailandia ma che non sapeva una mina di Kung Fu, ma una milionaria di cose sullo stile shaolin. Trovano un esperto di shaolin stile "scorpione" in Corea. Bruttissimo ma che mena come un dio. Trovano un vero monaco shaolin esperto di stile "mantide", lo pagano tipo con una donazione al suo tempio di trenta euro. Ovviamente i vestiti che indossano gli attori sono in larga parte degli abitanti del villaggio. Rza prende i pugni di ferro direttamente da una copia che ha a casa sua. La legge thailandese non permette scene di sesso esplicito e non si possono far vedere tette, mai. Sembra la cronaca di una poverata colossale destinata al fallimento. Ma è qui che la produzione si trasforma in una corsa pazza per fare i fenomeni.

Roel Reine' vuole girare e gira qualcosa come 120 pose al giorno. Una roba da guinnes dei record. Rza dopo 20 ore di volo arriva in Thailandia, fa la pipì in albergo e mezz'ora dopo gira il suo primo combattimento cadendo pure in acqua. E lui non sa nuotare e quasi muore. Seng vuole dimostrare che ce l'ha se non più grande almeno uguale al grande Corey Yuen. Non solo fa combattere artisti marziali veri e pazzeschi, ma assegna agli attori scene di lotta con almeno 180 mosse, da girare in serie di tre, con lo spiazzo per il ring che è disponibile solo per tre notti della lavorazione. E tutti si fanno un fondo così. Dio sa come, ricavano dal villaggio in "ostaggio" e dai vicini qualcosa come 300 comparse e Reine' gira una maxi scena di combattimento di massa alla " buona la prima" inquadrata dal cielo con il suo quadricottero. Ovviamente non c'è il budget per le armi spaziali del primo film, ma lo stile shaolin ispira Rza che va in trip per il mondo degli insetti e crea armi economiche a tema, tra cui un clamorosissimo piccone da minatore con tasto segreto che apre due lame stile spadone di Kruger nel primo Highlander.
Allo splatter non ci rinuncia e tutti gli effetti macabri ante-digitale (e quindi a due lire) si usano. Da teste decapitate di gomma a braccia di manichino, fino ai sempreverdi uomini impalati coperto di sangue spray. Pare di essere tornati ai tempi dei film di Fulci e Deodato. Per sboroneria si fa esplodere pure un pupazzo pieno di carne di maiale con una granata. Per ampliare il set abbattono delle pareti alle casette dei locali.
C'è chi torna dopo le riprese e ha la casa rasa al suolo.
Ma su tutto questo caos domina, incontrastato, l'amore per i film di kung fu classici dell'era Shaw Bros. Delegando a Reine' il lavoro duro, Rza ha tempo (anche se pochissimo) per entrare nel personaggio, buttare giù una trama semplice, breve, chiara da seguire. Dustin Nguyen, che non si filava nessuno da vent'anni, vede l'occasione di una vita e si impegna al massimo, recita in un ruolo drammatico, credibile e picchia in modo spettacolare. Carl Ng mette in scena un cattivo bastardo amabilissimo, estremo e bullo, si divora la scena. Tagawa quando appare ci fa sembrare di essere davanti a un film di serie A. Il film incredibilmente funziona e ha il fascino di quelle storiche pellicole di Hong Kong degli anni '60 - '70. La tamarraggine del capitolo uno un po' sopravvive e questo grazie alle "armi di ferro", usate in scene di lotta spisciose e surreali tanto da ricordare quasi un mix assurdo tra One Piece e i film di Bud Spencer.
E poi è arrivato Zack Hemsey e la sua Teaching of a ronin.


Reine' scopre online questo pezzo e "ci monta il film", in attesa della colonna sonora ufficiale di Rza, che sarebbe arrivata almeno 50 giorni dopo. I tempi sono così corti che usare dei brani provvisori è necessario. Il pezzo è così centrato che Rza lo fa inserire nella soundtrack e ci elabora intorno delle melodie. Ne esce uno score più cupo ma nuovo, intrigante. Il film trova una precisa anima sonora.
Ottimizzare così bene un budget simile non era facile e il prodotto finale, sebbene non ambisca a ripetere l'impatto visivo del primo capitolo, è più che dignitoso, divertente e ben confezionato. Assolutamente retrò, per non dire proprio "vecchio" nella formula e rappresentazione, da vedere affiancato magari, in una ipotetica double vision con un film degli Shaw Bros.
Magari "Cinque dita di violenza". Non aspettatevi minimamente invenzioni visive eclatanti, glam, cose troppo pazze o eccitanti. L'uomo dai pugni di ferro 2 è la perfetta messa cantata per quel genere che fu. Ottimi combattimenti, una storia di onore e amicizia una progressione narrativa semplicissima. Perfino la telecamera usata è una digitale con filtro ingrandito finalizzata a rendere l'aria sporca e sgranata delle VHS di una volta, ma senza l'effetto volutamente ilare dei film di Rodriguez. Un omaggio quindi, non una parodia o una versione più moderna e cool. E questa impostazione ci sta benissimo per un secondo capitolo del brand di Rza. Un brand che speriamo sia ancora lungo. Magari nel capitolo 3 vorremmo vedere Rza contro i samurai e i mostri di gomma giapponesi. Ve lo immaginate un film dell'uomo dai pugni di ferro in cui ci sono mostri come questo?


Non sarebbe fighissimo? Sogni a parte questa seconda interpretazione di Thaddeus è decisamente più ispirata e riuscita della prima. Rza era davvero l'anello debole del primo film, ma ora sta crescendo e migliorando. Non vediamo l'ora di visionare le sue nuove prove. Questo è uno dei migliori Direct - to - video che vedo da molto tempo a questa parte. Ma speriamo che la serie torni presto in sala e con un budget tale da permettere meraviglie. E se Thaddeus lanciasse i pugni come Mazinga e li riagganciasse a sé con una catena di ferro attaccata alle braccia? Se li facesse turbinare come le armi dei ninja? Non sto nella pelle a immaginarmi una scena simile. Il nerdismo è molto potente anche in me.
Quindi. Amate il primo film? Amate i film classici degli Shaw Bros? Avete il poster di Rza in camera? Le arti marziali vi intrippano e Tony Jaa è il vostro dio? Guardate questo film. Pensate che prima di The Raid ci fosse il nulla? Per voi le arti marziali cominciano con Matrix? Non guardate nulla che non sia patinato o ultramoderno? Detestate gli effetti speciali antiquati? Cercate una trama sorprendete e innovativa per forza? Il film potrebbe non piacervi per nulla. Nonostante le mille parole che posso usare per incuriosirvi, più che in molto altri casi il film rimane difficile da valutare e sta alla fine a voi scegliere se può piacervi o meno. Se usassimo su questo blog dei voti io farei davvero fatica ad assegnarne uno. Ma visto che non lo facciamo, vi consiglio prima di un eventuale acquisto di provare a vederlo. Magari in streaming, magari a noleggio, magari a sbafo da un amico. Al massimo, se non vi è piaciuto e avete speso quei tre-quatto euro , (e nuovo il film ne costa 9... che è quello che oggi costa un ingresso al cinema... Fate i vostro calcoli) una volta che ci vedremo vi offrirò una birra per farmi perdonare. A me questa pellicola, nonostante tutto e contro tutto, è piaciuta un sacco. 
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