America dei giorni nostri, dalle parti di un quartiere di periferia di una grande metropoli.
Con occhiaie di tre giorni, una trasandata tintura di capelli giallo punk da rifare, una brutta felpa rosa sporca e un cielo plumbeo che non promette nulla di buono, lo scombinato Eddie (Bill Skarsgard) cerca di elemosinare, da una losca officina, il ritiro post riparazione del furgone “multi-problematico” con cui lavora e sul quale probabilmente vive. Ovviamente mancano i soldi, non si fanno prestiti e tutto ciò di cui dispone Eddie è un sorriso storto e un biglietto della lotteria, che forse potrebbe essere vincente ma “non basta”.
Riavere il furgone serve soprattutto per alzare due spicci e comprare un regalo per il compleanno imminente della figlia, che ormai vive da tempo con la sua ex, non vede più da giorni e forse non vedrà del tutto in ragione di prossimi trasferimenti.
È l’ultima occasione per almeno sembrare di essere stato un buon padre e per Eddie c’è solo una strada da percorrere, quella “cattiva”: alleggerire qualcuno di un’auto.
Lavoro poco nobile di cui Eddie un tempo era forse esperto, ma che oggi è complicato: troppi allarmi, troppe telecamere, strade troppo affollate. Ma dal nulla, in un brutto parcheggio periferico compare lei: un SUV “Dolus” nero metallizzato: Full Optional, rivestimenti in pelle, vetri oscurati. Costerà un occhio e il fesso del proprietario non ha nemmeno guardato che fosse chiusa a chiave. Eddie non entra, ci si tuffa. Di istinto, anche solo per portare via lo stereo e telare al volo.
Ma le porte si chiudono.
Eddie è in trappola.
Una trappola architettata da un vecchio medico ospedaliero di nome William (Anthony Hopkins), con tanto tempo libero, il complesso del giustiziere e la voglia morbosa di osservare un topo in una gabbia, la “sua gabbia”, grazie alle tante telecamere interne istallate nella “Dolus”.
William ha lasciato che il caso scegliesse la vittima della sua vendetta contro una “società alla deriva”, non si accontenterà del sorriso storto e del biglietto della lotteria di Eddie per cambiare idea. L’interno dell’auto è blindato quanto l’esterno.
Ben nascoste, forse delle razioni di sopravvivenza. Un microfono permette ai due di “comunicare”, anche perché per “empatizzare” servirebbero presupposti migliori e William si diverte di più a sparare nei timpani di Eddie la musica della radio a tutto volume o ad abbassare e alzare la temperatura interna da 40 a -20 gradi, con un climatizzatore effettivamente non “di serie”.
L’idea è vedere quanti giorni resisterà.
Eddie all’inizio scalcia dappertutto, sbraita, sibila minacce. Poi inizia a ferirsi cercando vie di fuga sotto la moquette o il quadro elettrico, arrivando a farsi male sempre più gravemente, in modo compulsivo come un cervo in una tagliola. Qualche volta perde i sensi e quando si sveglia si trova bendato e medicato. Non può uscire, piange. William si diverte, sordo a qualsiasi preghiera, attaccato come un bambino al suo nuovo “gioco”.
Per scappare l’unica alternativa che ha Eddie è forse rovinare quel gioco. Ma come fare?
Conosciamo e stimiamo il resista David Yarovesky da un piccolo film del 2019, prodotto da James Gunn, chiamato Brightburn. Una pellicola che immaginava una variante giovanissima e fuori controllo di Superman, per collocarla in un universo narrativo supereroistico condiviso con il personaggio di “Saetta Purpurea” del Super di Gunn, un film del 2006. Oggi Gunn dirige il Superman canonico DC, ma già in quel caso aveva permesso a Yarovesky di dimostrare un particolare talento nello sfruttare al meglio un budget ristretto, giocando con con scenografie e inquadrature, una buona direzione degli attori e ottime capacità di editing.
Questa volta il produttore dì Yarovesky è Sam Raimi.
Bill Skarsgard è uno degli attori più interessanti e curiosi degli ultimi anni. Elegante, giovane e “ribelle” in Atomica Bionda e John Wick 4. Appropriato nel ruolo del diabolico Pennywise nel dittico It di Muschietti, non sfigurando davanti a Tim Curry, maestoso come Conte Orlok nel Nosferatu di Eggers. La sua spiccata fisicità non lo fa sfigurare neanche in action splatter folli come Boy Kills World o nell’ultimo Corvo (che lui a parte non è riuscito in effetti benissimo).
Ci era piaciuto particolarmente però in una parte più “fragile” di quelle menzionate finora: il ruolo di “vittima designata” nel bellissimo horror psicologico Barbarian di Cregger.
Non ha bisogno invece di alcuna presentazione Sir Anthony Hopkins, che qui si diverte a fare al telefono la voce di un matto come il suo caro e mai scordato psicologo/cannibale Hannibal Lecter. Nella versione italiana del film ha la voce del doppiatore di Robin Williams Carlo Valli.
La sceneggiatura, ad opera di Michael Arlen Ross, si basa su un soggetto degli argentini Mariano Cohn e Gaston Duprat, diventato nel 2019 il film 4x4, a sua volta ispirato a un direct to video del 1998 di Peter Liapis, Captured. Possiamo trovare però alcune affinità visive anche con il “più fantascientifico” fumetto di Uzzeo e Ceccotti Monolith, diventato a sua volta una interessante pellicola di Ivan Silvestrini nel 2017, ma Locked ci ha fatto più che altro pensare a un’altra pellicola.
Fare film ambientati in spazi angusti è qualcosa di estremamente difficile quanto stimolante, tanto per gli attori che per i tecnici del montaggio e delle riprese. A volte più lo spazio è piccolo più alta è la sfida, così ci piace mettere in relazione Locked con una pellicola ambientata in un luogo ancora più piccolo di un’auto: la vecchia cabina telefonica a gettoni di quel piccolo gioiello thriller di In linea con l’assassino, di Joel Schumacher.
In quel caso la “vittima” era un meravigliosamente spaesato, arrogante ma fragile Colin Farrell, mentre il carnefice dall’altro capo del telefono era il luciferino e istrionico Keifer Sutherland. Il “legame” tra i due, la circostanza che non faceva uscire il primo dalla cabina telefonica, era la lucetta rossa del puntatore laser di un fucile, con cui il secondo teneva sotto tiro Il primo, con tanta voglia di parlare al telefono con lui del destino, del futuro, del “più e del meno”.
Il gioco di “sopravvivenza”, del gatto con il topo in trappola, per sua natura narrato teatralmente in modo “statico”, si colorava grazie a brillanti dialoghi e improvvisazioni per la durata, condivisa da questo Locked, di circa 80 minuti. Solo che in Locked è più spazioso di una cabina il tetro SUV della immaginaria “Dolus”. È un casermone lussuoso: un’elaborazione fantasiosa di un SUV Defender che nell’insieme risulta comunque affascinante al punto che magari immaginiamo già idealmente una produzione in serie, magari in successivi capitoli di quello che potrebbe benissimo diventare una serie. Resistentissimo a ogni tipo di colpo, proiettile, scontro. Perfettamente insonorizzato, top privacy con i vetri oscurati, il meglio della tecnologia domotica e comandi a distanza applicati. Insieme a Skarsgard e Hopkins il Dolus è a ragione coprotagonista della pellicola. È divertente quando sarcastico, osservare quanto tutto gli optional che in genere servono per rendere il viaggio su un’auto il paradiso, vengano qui usati per allestire un piccolo inferno in terra. Il Dolus diventa arma massima di tortura: in grado di impedire ogni tipo di fuga, arrostire, congelare o elettrificare il “passeggero”, renderlo sordo con musica a tutto volume. Il povero ma bravissimo Bill Skarsgard si dimena in continuazione, in modo credibile, facendoci percepire tutto il dolore che il suo personaggio patisce. Il personaggio di Hopkins lo guarda arrostire/ibernarsi/impazzire come si osserverebbero svogliati delle lasagne che cuociono sui microonde.
Semplice ma terribile, il film funziona.
Funziona la chimica che si viene a creare tra gli attori. Funzionano degli effetti visivi molto realistici, la fotografia “plumbea”, quasi “sepolcrale” di Michael Dellatorre, la musica ossessiva di Tim Williams.
Ci sentiamo anche noi come pubblico, piano piano, trasportarti in un ambiente in cui si fa fatica a respirare e ragionare. Almeno finché la pellicola decide di “cambiare regole”, diventando di fatto qualcosa di diverso, forse di “meno estremo”. È una svolta che è perfettamente funzionale alla trama e presenta anche dei passaggi tragici e visivi interessanti, anche splatter, ma che in qualche modo fa perdere di potenza alla narrativa. È al contempo qualcosa che forse può davvero aprire il film a nuovi sviluppi, che dei sequel appropriati saprebbero magari cogliere e valorizzare. Tuttavia è una svolta che ci porta in un film diverso, “meno teatrale”, che potrebbe piacervi come risultare magari lontani dalle aspettative maturate.
Ad ogni modo rimane un film che sa divertire e risulta perfetto come horror da gustare al cinema con tanti popcorn.
Locked al netto di un cambio di prospettiva che forse ci ha spiazzato ci è piaciuto e ci ha convinto.
Nel paragone con In linea con l’assassino perde forse il confronto, ma con onore: come nel film di Schumacher, anche qui sono tante e interessanti le idee, la qualità dei dialoghi è alta, l’intesa tra gli attori è buona.
Forse, se ben gestito, il punto di inizio di una saga. Chissà.
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