domenica 29 maggio 2022

Top Gun - Maverick


 

Sinossi fatta male: Il super pilota con nome di battaglia “Maverick” (Tom Cruise), il top degli assi assoluti dell'aviazione americana cresciuti nella Accademia dei “Top gun” (che poi sarebbe una versione idealizzata e non autorizzata di Annapolis, nel Maryland),  è ancora vivo e vegeto e vola e combatte per l’America. Dagli anni ‘80 a oggi. Sempre. Ogni giorno esce dal capanno dove restaura un vecchio aereo (come il Superman di Kingdom Come o il Toretto di Fast 9) ed è pronto a partire per una nuova missione, con il suo record di caccia abbattuti ancora ineguagliato e con i nervi saldi per spingere al massimo i nuovi prototipi dei caccia di nuova generazione. Il nostro eroe, dal 1986 ad oggi, è ancora la prova vivente che “quella roba moderna lì”, i droni, non sostituiranno mai un vero pilota americano top di gamma della Top Gun come lui, alla faccia della sua età. Ma proprio alla faccia della sua età, della grinta e dell’invidiabilissimo aspetto fisico, qualcuno ai piani alti gli dà comunque del “vecchio”. Anche perché i Top Gun degli anni ‘80 come lui, tipo il super pilota con nome di battaglia “Iceman” (Val Kilmer), nel frattempo si sono accasati e acciaccati, sono diventati super-graduati e stanno dietro a una scrivania. Forse il buon Mav non è “troppo lontano” dall’appendere giubbotto in pelle e Ray-Ban al chiodo e quindi, come per Rocky Balboa: “largo ai giovani”. Occasione vuole che proprio come Rocky con il figlio di Apollo, il nostro eroe inizi così ad addestrare il pilota con nome di battaglia “Rooster” (Miles Teller), il figlio del suo grande amico prematuramente scomparso con nome di battaglia “Goose” (che era interpretato da Anthony Edwards, in seguito l’amato “Ciccio” del telefilm E.R.), nell’arte del dog fighting. Un addestramento super tosto, tra volo radente e uso di missili in un contesto stile “Morte Nera”, per superare con successo una super tosta missione suicida contro un generico “stato canaglia” (con i tempi che corrono la produzione vuole evitare ogni tipo di problema). Così Maverick torna alla Top Gun come istruttore del pupillo e di una nuova generazione di super piloti dai nomi di battaglia simpatici come Phoenix (Monica Barbaro), Hangman (Glen Powell), Fanboy (Danny Ramirez) e Bob (Lewis Pullman). Nel frattempo Mav cercherà di lumare la barista dal nome di battaglia Penny (Jennifer Connelly) e di far arrabbiare i “superiori rosiconi” Ed Harris e John Hamm.

 


Il mito di Top Gun: C’è stato un periodo aureo negli anni ‘80 in cui Tom Cruise ha pilotato in successione, in film gradevoli quanto abbastanza simili concettualmente, prima un unicorno (in Legend del 1985), poi un caccia F-14 (ovviamente in Top Gun del 1986), poi svariati cocktail Negroni (in Cocktail) e infine una rombante macchina da Nascar (in Giorni di Tuono del 1990). Che fossero unicorni, aerei, auto o Negroni o che la produzione delle pellicole passate tra le mani dei fratelli Ridley o Tony Scott, Tom ci metteva l’anima e i suoi personaggi facevano sempre delle evoluzioni incredibili (specie con i cocktail), battevano un “rivale” e conquistavano sempre una bella ragazza. Tom Cruise sapeva incarnare sempre il perfetto principe azzurro/ufficiale/sportivo/gentiluomo/barman delle pellicole “anni '80”, in film d’avventura che in quanto degli anni ‘80 concettualmente erano l’“evoluzione dei musicarelli” con Nino D’Angelo. Film in cui spesso, tra un inseguimento e un momento romantico in riva al mare, per far andare avanti la trama partiva una specie di montaggio/videoclip musicale in cui però a cantare non era Nino Tom (salvo un’eccezione) ma il meglio del meglio dei musicisti anni ‘80. In Top Gun come in Rocky 4 ci sono un sacco di “momenti video clip”, grintosi quanto romantici, per numero di canzoni quasi alla stregua di un musical. Le canzoni inoltre furono scelte così bene da entrate tutte nell’immaginario collettivo, arrivando ai vertici delle classifiche musicali. La grintosa Danger Zone di Kenny Loggins, quasi da videogame. Il pezzone lento Take my breath away dei Berlin, presente dagli anni ‘80 a oggi in tutte le feste delle medie. La Hot Summer Night dei Miami Sound Machine, quell’evergreen di Great balls of fire reinterpretato da Anthony Edwards in uno dei momenti topici del film. Musiche che ipnotizzavano in sala anche le ragazze, che accorrevano più volte in sala per lo più per la track list e per i risvolti romantici della trama e a cui fregava poco degli F-14 Tomcat che volavano. I ragazzini invece ci andavano a nozze con tutte quelle portaerei, F-14, missili e manovre a volo rovesciato. Il mondo dei piloti di caccia pur nella semplificazione della messa in scena trasudava di dettagli, gergo cameratesco, momenti dalla forte componente realistico-simulativa e pure una sorta di rivalità tra piloti stile Holly e Benji. Insieme ai piloti Top Gun, l’F-14 entrò di peso nell’immaginario collettivo, vendette all’epoca (e tuttora vende) milioni di modellini, venne rappresentato in cartoni animati (Transformers, Macross/Robotech), videogame (After Burner, Area 88, Carrier Air Wing) e fumetti (sempre Area 88) e oggi rulla ancora un casino.



Costruito con il giusto mix di trama sentimentale, musica e azione,  il film originale ancora oggi risulta fresco, divertente, romantico forse oltre il livello di guardia ma fico. Un po’ come i film di Rocky e nello specifico un po’ come Rocky IV. Tutti contenti, tutti gasati, tutti con i dischi delle colonne sonore in casa e i giubbotti in pelle abbinati ai Ray-Ban. I maschietti galvanizzati da questi aeroplani come le femminucce galvanizzate dal fascinoso Tom che gioca a Beach volley e altre amenità romanticose ad uso pubblico femminile. Tom Cruise da Giorni di Tuono cercherà sempre più di pilotare Nicole Kidman con l’aiuto di registi come Kubrick e Mann, per poi cercare di diventare attore impegnato e poi cambiare idea e cercare di diventare la risposta occidentale a Jackie Chan… ma questa è un’altra storia. Passa qualche anno da quel 1986 e il mito di Top Gun non si spegne. Al punto che si arriva a commercializzarlo pure in dvd, in una veste appropriata al mito: un disco pacchettizzato con “indosso” un piccolo giubbotto in pelle dal collo peloso come quello che indossa Maverick per tutto il film quando non vola.



Realizzare un nuovo Top Gun oggi: E arriviamo al 2022, anche se dovremmo togliere un paio di anni tenendo conto del Covid 19. Purtroppo Tony Scott, regista del primo Top Gun, ma pure di Giorni di Tuono, non c’è più da tempo. Tom Cruise, negli anni è diventato uno degli attori e produttori più influenti di sempre, decide così di ingaggiare Joseph Kosinski, regista americano che lo ha già diretto nel visivamente eccelso ma narrativamente “un bel po’ derivativo” (se lo chiedete a Duncan Jones) Oblivion. Regista anche di Tron: Legacy, Kosinski quando si parla di rappresentare su schermo la tecnologia è un autentico maniaco dei dettagli, un super-nerd ricolmo di amore per la scienza e la fantascienza. Un uomo in grado di trasmettere questa passione anche allo spettatore occasionale, grazie alla complicità del suo direttore della fotografia di sempre, Claudio Miranda, attraverso inquadrature cristalline, fini dettagli meccanici, rifrazioni della luce e una rappresentazione dell’azione credibile, quasi pesata scientificamente. Se potessi paragonare il lavoro di Kosinski e Miranda al mondo del fumetti, i due sarebbero il disegnatore/colorista bosniaco-americano Adi Granov e Warrer Ellis, che insieme realizzarono nel 2007 Iron Man Extremis (da non confondere con il film). Se volessero realizzarmi un film su Gundam, vorrei personalmente alla regia delle scene d’azione Kosinski. Sulla carta è quindi un regista che può meglio dialogare con i “nerd” per rinverdire il mito di Top Gun, ma sotto altri aspetti è spesso sembrato un regista più “freddo” di Tony Scott. Almeno fino a che grazie al supporto di uno sceneggiatore come Eric Warren Singer (già sceneggiatore di American Hustle), ha realizzato l’ottimo Fire Squad, nel 2017, con Josh Brolin, Miles Teller e Jennifer Connolly. Da allora ha iniziato a assomigliare di più a Tony Scott e speriamo continui, perché il mondo ha ancora tanto bisogno di registi con il talento di Tony Scott. È quindi un bene che Eric Warren Singer faccia parte della squadra di sceneggiatori di questo nuovo Top Gun, insieme allo storico collaboratore delle “Mission Impossible” di Cruise, Christopher McQuarrie, e ad Ehren Kruger, sceneggiatore di Transformers e Ghost in The Shell.

Il cast del primo Top Gun appare qui un po’ “in forma ridotta” e si sente l’assenza di Kelly McGillis (che da qualche anno non è più sullo schermo) come di Meg Ryan. Ma la pellicola ha saputo impreziosirsi di attori come Jennifer Connelly, Ed Harris, Jon Hamm.

Era necessario pure ringiovanire il cast e Miles Teller, il giovane fenomeno esploso in Whiplash, è sicuramente il nome più interessante e atteso. Il resto del cast risulta meno conosciuto, anche se Glen Powell è un nome già parecchio attivo. 

Non si poteva prescindere dalla colonna sonora originale e di fatto la maggior parte di quei brani riappare invariata, con la bella aggiunta del pezzo di Lady Gaga e le musiche di Hans Zimmer.

L’effetto nostalgia dell’operazione traspariva fin dalle prime indiscrezioni sulla pellicola in modo molto forte, con i trailer ripercorrevamo già moltissimi dee gli snodi narrativi più amati. L’attesa era un po’ la stessa di una pellicola come Creed, magari con il Focus del passaggio di “testimone generazionale” tra Cruise e Teller. 

 


In sala: Top Gun: Maverick è un film che fin dalle prime battute conferma di muoversi moltissimo nel campo della nostalgia e questo era forse qualcosa di inevitabile quando fortemente ricercato. Con qualche ruga in più ma lo stesso sorriso Tom Cruise torna a cavalcare una moto, con un giubbotto in pelle e gli immancabili Ray-Ban, lungo una pista di decollo. Gli eventi del primo film rimangono nostalgicamente centrali, diventano l’ossatura che lega i personaggi di Cruise e Teller e rivivono in nuove forme, ma la pellicola trova presto il coraggio di sganciarsi, di investire molto e bene sull'azione e di trovare un epilogo nuovo, appagante quanto esaltante. Pilotare un caccia diventa un'attività muscolare, da atleti provetti, carica della tensione emotiva che impone di realizzare ogni manovra alla perfezione, giocando con la paura e l’inesperienza dei giovani piloti. Se la parte sentimentale più canonica del film ha giocoforza una valenza diversa, con il “love interest” del “classico film di Cruise anni ‘80” (rappresentato dal personaggio della Connelly, che si impreziosisce di alcuni “echi di Cocktal”) che rimane contratto, la nuova prospettiva di un Maverick “padre/mentore” di questi plotoncino di giovani attori, che si sviluppa a stretto giro con le scene d’azione, è suggestiva, sfiziosa. Teller e Cruise hanno il loro spazio privilegiato, dialogando bene soprattutto sul piano “fisco”, ma Maverick è anche un ottimo “papà-chioccia” (un padre a distanza che dialoga per lo più attraverso un microfono) per tutto il gruppo, quasi dalle parti del Gunny di Clint Eastwood. Pur caratterizzati da piccole peculiarità e linee di dialogo, i giovani top gun riescono tra un dog fight e una partenza verticale ad apparirci molto umani e ad esprimere una interessante coralità dell’azione tale da farci vivere al meglio ogni curva dello strabiliante ottovolante cinematografico in cui, piano piano, si trasforma il film. Curva dopo curva, prova dopo prova, dalla simulazione allo scenario reale, sembra un po’ di calarsi dentro la logica del film Edge of Tomorrow o nelle assurde missioni del manga/anime/videogame Area 88. La sensazione è davvero adrenalinica, esaltante. Se prima ho citato Gunny, nell’ultimissima parte siamo quasi in zona Firefox, tanto per tessere altri paralleli con il cinema di Clint Eastwood.  Nell’ultimo atto il film ci fa quasi respirare all’unisono con i  piloti dei caccia, facendoci temere che in un attimo sbandino e si schiantino contro una montagna o vengano abbattuti da missili. È in questo momento che Top Gun: Maverick si fa grande cinema d’azione, assolutamente da provare in sala, davanti ad uno schermo che ci butti direttamente nel centro dell’azione.

 


Finale: Top Gun: Maverick ci fa prima fare un bel tuffo del passato e poi trova una sua forma nuova, spettacolare quanto interessante a livello recitativo. Qualcuno potrebbe lamentarsi degli “eccessi nostalgici”, di una colonna sonora per lo più “pedissequa” (ma sempre fichissima) come di una trama che si dipana in modo meno “romantico” dell’originale, ma il film rimane comunque molto commovente e i fan di vecchia data devono preparare i fazzoletti. Davvero pazzesco lo sviluppo narrativo della missione al centro del film, tanto sul piano della sinergia che si crea tra i personaggi che su quello di una preparazione atletica e tattica molto realistica (pur nella finzione cinematografica). 

Davvero un buon pretesto per andare oggi a vedere un film al cinema. 

Talk0

martedì 17 maggio 2022

Io e Lulù (Dog): la nostra recensione!


Ha gli occhi dolci, da abbracci bellissimi e ama guardare sul divano Grey’s Anatomy in dvd. Ha sempre combattuto per il suo paese in prima linea, da buon soldato, nei confitti più recenti. È una bella cagnolona Lulù, anche se ha il cuore spezzato per la recente scomparsa del suo padrone e qualche “piccolo” problema legato all'aggressività che ha fatto decidere ai superiori di sopprimerla. Non prima però di un ultimo viaggio on the road, dalla base a un paesino sperduto d’America, per assistere al funerale del suo vecchio padrone. Nel viaggio sarà accompagnata da Jackson (Channing Tatum), un soldato in momentaneo congedo in seguito a una grave ferita alla testa, che spera di tornare presto a combattere, sbarcando il lunario come cuoco in una tavola calda. 

C’è tutta la compostezza e la poesia delle delle grandi storie on the road piene di buoni sentimenti di Clint Eastwood, nel nuovo film diretto e interpretato bene da Channing Tatum. Ci sono tutte le emozioni della vita vissuta con al fianco un cane, la malinconia per una vita “troppo breve”, un po’ di commedia e pure una goccia di follia inaspettata quanto graditissima, quando la trama ci manda fuori dall’on the road, a incontrare curiosi (e irresistibili) hippie che vivono ai margini della autostrada. 

Ci si diverte e ovviamente ci si commuove, seguendo una storia lineare quanto saporita da situazioni surreali, carica di magnifici paesaggi americani e con al centro un messaggio in grado di colpire un pubblico molto eterogeneo. 

Può sembrare che Tatum giochi facilissimo nei confronti del pubblico, mettendo al centro della scena questa enorme cagnolona arrabbiata e stanca come John Rambo e come lui affetta da PTSD. Una cagnolona ingabbiata, triste ma con ancora tanta voglia di dare e ricevere affetto, prima di finire di “servire il suo paese” per sempre. Ma di fatto non deve essere stato per niente facile trovare ed addestrare questa bravissima Lulù, che domina la scena con grande classe e per la sua interpretazione dovrebbe già ambire a un riconoscimento ufficiale della Academy, come migliore attrice canina (e ci aspettiamo magari in futuro di trovare protagonista in qualche altro film). Tatum riesce a ritagliarsi un personaggio che non le è da meno, la supporta emotivamente in ogni scena e riesce pure a gestire con lei, nella finzione cinematografica, un destino condiviso, speculare quanto davvero drammatico. Una condizione esistenziale che arriva fortissima al di là di ogni metafora e riesce a dare davvero cuore e sostanza alla pellicola. Un ottimo biglietto da visita, questa prima regia di Tatum come “autore completo”. Il risultato di una carriera fino ad ora non banale, in cui l’attore ha saputo giocare con la sua fisicità da “bisteccone” (con la complicità di registi come Sommers e Soderbergh)  e al contempo prendersi gioco (con la complicità di registi come Trey Parke, di Vaughn e di recente con i fratelli Nee in The Lost City). Una carriera in cui ha avuto anche l’intuito di dedicarsi bene al doppiaggio, come ritagliarsi dei succosi ruoli minori in opere di grandi autori come Tarantino, i Cohen, Bennett Mirrell, Rogen. 

Io e Lulù è il classico film per famiglie e amanti degli animali, realizzato con tutti i migliori crismi, dalla storia alla colonna sonora, alle ambientazioni, passando per una coppia di ottimi interpreti. È un film che può sembrare qualche volta impastato di patriottismo, ma dietro a questo aspetto riesce spesso a ri-leggere la grande “disillusione” del sogno americano, affrontandola con spirito critico e quanto malinconico, utilizzando il tema del viaggio come momento di crescita etica, come in molte opere di Eastwood. 

Talk0

martedì 10 maggio 2022

Doctor Strange nel multiverso della follia: la nostra recensione!

 


Universo Marvel/Disney, tempo presente. Ci sono dimensioni parallele in cui accadono cose “SPOILER!!!“ sorprendenti e inaspettate. Come ad esempio personaggi che  vivono e si comportano in modo diverso da “SPOILER!!!“. Come eventi che si sono svolti in modo diverso da “SPOILER!!!”. Chi fa spoiler rischia la vita, come è noto, ma il Doctor Strange (Benedict Cumberbatch), Signore della Magia e grande conoscitore delle realtà parallele, si trova a suo agio tra tanti “SPOILER!!”, anche quando viene trascinato suo malgrado a viaggiare di nuovo tra le dimensioni parallele, in compagnia della giovane America Chavez (Xochitl Gomez), affrontando mostri lovecraftiani come Shuma-Gorath e demoni vari, per portarla in salvo da una oscura minaccia. Ad aiutarlo come sempre c’è il fido Wong (Benedict Wong), nonché il suo inseparabile mantello magico, ma per questa avventura avrà bisogno anche dell’aiuto della “strega” Wanda Maximoff (Elizabeth Olsen). Succederanno molte cose SPOILER!!!


Dopo il film sulla Vedova Nera, il film di esordio Shang-Chi, la serie Moon Knight e il Colossal autoriale di Chloé Zaho su Gli Eterni, tutte opere in qualche modo “stand alone”, Marvel/Disney con il nuovo film del Dottor Strange torna a parlarci di un universo cinematografico di supereroi molto intrecciato. Un universo in continua espansione e condivisione, pronto a rilanciarsi al futuro con il recupero di vecchi e nuovi personaggi Marvel fino ad ora non legati alle produzioni Disney. A fare da anfitrione tra personaggi vecchi e nuovi è ancora il buon Doctor Strange, già special guest di lusso e in fondo con lo “stesso ruolo” per l’ultimo film di Spiderman prodotto da Sony. Il mago apre una porta dimensionale e “puff”, ecco che arrivano da altre dimensioni supereroi e villain pronti a sorprendere e stupire il pubblico, stimolando molti dei sogni più inconfessabili degli amanti dei fumetti. Ma grazie al cielo e ad un regista di razza come Sam Raimi, la nuova pellicola delle avventure del super mago interpretato da Benedict Cumberbatch non è solo una sfilata di vecchi e nuovi eroi, ma anche una divertente avventura psichedelica, carica di azione, umorismo e gustosi momenti horror. Una pellicola che volendo si può vedere anche autonomamente rispetto alle opere cui è principalmente collegata, come la serie tv Wandavision e l’ultimo Spiderman, al netto di fare i conti con alcune “rivelazioni” che saranno ormai già note i fan Marvel più puri e duri (ma se non amate gli SPOILER!!! di nessuna natura consiglio un re watch). Una volta giunti in sala si è già pronti a salire sulle montagne russe, saltellando continuamente da un estremità all’altra del multiverso, con la compiacenza di una azione su schermo che non conosce sosta e confini e travolge in una roboante girandola di colori ed effetti speciali. Cumberbatch conferisce nuovamente a Strage tutti gli amabili tic e paranoie che lo hanno reso un personaggio imperfetto quanto amatissimo: dalla ossessione per gli ingranaggi alla forte autoironia, dalla finta calma malcelata da nervi costantemente “a fior di pelle”, passando alla sua costante malinconia per non sentirsi mai troppo vicino ai sentimenti di chi ha intorno. È un eroe complesso e complicato a cui si affianca come contraltare il sempre gigantesco, solare e buffamente corrucciato Wong, interpretato da un Justin Wong sempre più divertente e “in odore da Bud Spencer”. Sempre interessante e mai banale la Olsen, anche lei alle prese con un personaggio tra i più complicati della Casa delle Idee. Wanda è cresciuta, si è evoluta come donna e supereroina, ha mutato pelle e aspirazioni ma ha dovuto sempre fare i conti con una vita ingrata, carica di dubbi, sofferenze e tanta sfortuna. Wanda grazie alla Olsen diventa sempre più negli anni un personaggio magnifico, quasi Shakespeariano, in perenne lotta “jungiana” con la sua “ombra” e con il suo mondo interiore. Poi ci sono ovviamente  i già citati “SPOILER!!!“ che piovono come ovetti kinder di scena in scena, anticipando future pellicole legate all’universo Marvel o magari solo “a uso ridere/trollare”, come quando era apparso Evan Peters in Wandavision. Sta di fatto che queste “special guest”, interpretate da attori giganteschi, sono protagoniste di scene corali così gustose che rimarranno della memoria anche se non avranno un seguito reale, per via della “legge universale del re-casting degli universi paralleli” (già vista nel nuovo Spiderman). Ma la scena più bella della pellicola ha per me a che fare con la musica, in una sequenza tutta sbrilluccicosa che la colloca con la magia in un mondo sfizioso quanto amabilmente vicino alle sonorità  elettroniche e ai colori acidi degli anni ‘70. Un'atmosfera peraltro molto vicina ai primi fumetti del Doctor Strange, che farà sicuramente felici i fan di vecchia data. 


Raimi si vede che ama ancora la materia fumettistica (il cine-fumetto di fatto lo ha inventato e codificato “anche lui” con il suo Darkman) e il suo ritorno alle pellicole dei supereroi è fresco, divertito, carico di azione e umorismo. La  sua trilogia della Casa (Evil Dead - L’armata delle tenebre) è citata più volte a piene mani: dalle accurate e terribili rilegature dei libri maledetti alla scelta di offrirci il punto di vista di un mostro famelico attraverso inquadrature velocissime e cariche di tensione, alla presenza “obbligatoria” del grande Bruce Campbell in un ruolo pur piccolo, ma già iconico e che riesce bene a rievocare il suo anti-eroe Ash Williams. 

C’è molto da divertirsi con il nuovo film del Doctor Strange, tra personaggi incredibili, mondi alterativi, mostri tentacolari e non morti autoironici a ogni inquadratura. Il ritmo è sempre perfetto, la mano di Sam Raimi sa regalare scene sempre spettacolari e gli attori, Cumberbatch e la Olsen in testa, sono in grado di sprigionare una bella chimica, tale da farci credere a qualsiasi cosa. C’è qualcosa forse di “incompiuto” nella messa in scena, qualcosa che ci rimanda “alle pellicole future” per essere compreso fino in fondo. Ma è una sensazione che ormai ci è nota in questo tipo di cinema e che in fondo già ci stuzzica all’idea di tornare in sala, per il nuovo capitolo. 

Talk0

giovedì 5 maggio 2022

Gli amori di Anais: la nostra recensione

 


Anais (Anais Demoustier) è una ragazza sempre in corsa, pronta a farsi travolgere dalla vita mentre lei stessa travolge tutto e tutti quelli che le sono intorno. Specializzata in confusionari sub-affitti al limite del legale, casini occasionali riguardanti biciclette e lavori disertati, domande molto personali in direzione di perfetti sconosciuti e altre amenità relazionali, Anais salta di fiore in fiore, innamorandosi ora di coetanei, ora di anziani ora di un lavoro, ora di un luogo. Poi quando le cose si fanno più concrete e meno giocose lei scappa, si dilegua, stacca i telefoni. Forse, senza saperlo, nel tentativo titanico di scappare da qualcosa di interiore che incombe ma che lei stessa non vuole vedere, Anais si caccia in una nuova passione e in un nuovo amore. Così dopo essere saltata da un coetaneo un po’ rozzo a un intellettuale di mezza età, la ragazza si innamora perdutamente della moglie di quest’ultimo (Valeria Bruni Tedeschi), di professione scrittrice affermata. La scopre prima su un romanzo, poi la incontra. La ragazza pur di inseguirla si imbuca in un centro congressi nella campagna francese. Decide di farsi assumere dalla struttura come cameriera per pagarsi il soggiorno, diserta un impegno lavorativo di vecchia data, ignora una situazione familiare difficile da poco emersa, scompare perfino agli amici. Tutto, pur di conquistare quella donna e l’incredibile calore che scaturisce con la sua arte. Sarà davvero amore o solo un’altra passione passeggera?

Il film dell’esordiente Charline Bourgeois-Tacquet, sottolineato da una frizzantina colonna sonora di Nicola Piovani, ci porta in un mondo popolato di intellettuali e sognatori, innaffiato da amori platonici e casini amorosi e che piacerebbe molto a Woody Allen. Un mondo che viviamo all’inseguimento continuo di una protagonista solare quanto sfuggente, stralunata quanto seducente, perennemente travolta da una passione atavica che la pervade e la caccia nelle situazioni più assurde, spesso comiche o surreali. Se l’Amelie Poullain di Jeunet era sempre curiosa e innamorata del mondo fin nei dettagli di ogni cosa, Anais ogni volta che sposta lo sguardo da un obiettivo e l’altro è come se incenerisse (come l’arma dell'ironia, la più affilata del buon cinema francese) tutto quello che non le interessa più, in un gioioso inno distruttivo all’ES freudiano. Tra case che allagano e incontri di lavoro importanti ignorati all’ultimo minuto, la nostra eroina segue la sua passione e nient’altro. Con una strabiliante capacità di riemergere dai casini in totale indifferenza, come se “le cose del mondo che non sono passione” non la toccassero.  Anais Demoustier la interpreta come una donna sempre in corsa, che parla di continuo, che elargisce infiniti sorrisi e poi sparisce, che quando arriva al culmine di un rapporto e subentra l’impegno tronca tutto. Questa “adolescente infinita” non può che scontrarsi e specchiarsi nel suo opposto, la donna matura interpretata da Valeria Bruni Tedeschi. Sempre timida, quasi silenziosa, fuori-posto, in punta di piedi. Ma in grado di far esplodere i suoi sentimenti sulla carta. Una figura femminile che è forse spinta dalla stessa passione e trasposto della ragazza, ma che ha imparato a contenersi, sublimare, creare confini e regole, forse anche a discapito della felicità. In un infinito balletto tra giovinezza e età adulta, tra passionalità sfrenata e disincanto, il film di Charline Bourgeois-Tacquet cerca una strada e identità  tutta sua, veleggiando tra i generi. Gioca con l’ironia, la fisicità dei corpi, il romanzo epistolare e una piccola porzione di dramma, che piano piano incombe, si palesa e forse può dare un ordine alle cose. Tra scene molto divertenti e surreali, fiumi di parole (anche letterarie) e intensi momenti passionali, cresce l’alchimia tra le due protagoniste. Le interpreti sono state entrambe molto brave nel delineare malinconicamente i tratti di quella che infine appare come un'unica figura femminile, scissa a metà, che si insegue tra adolescenza ed età adulta un po’ con paura e un po’ con gioco. 

Un ottimo esordio alla regia con una pellicola leggera ma piena di passione. Un film non perfetto forse, dove non tutto è bilanciato e alcuni personaggi ce li perdiamo via da un momento all’altro (cose che però è anche la cifra del carattere di Anais), ma anche un film che con maestria riesce bene a descrivere sentimenti complessi, travolgenti, contraddittori e assolutamente umani. 

Talk0

martedì 3 maggio 2022

The Lost city: la nostra recensione del nuovo film con Sandra Bullock, Channing Tatum e un pizzico di Brad Pitt in versione “Vento di passioni”

La scrittrice di romanzi “rosa di avventura” Angela (Sandra Bullock) voleva in realtà fare l'archeologa e oggi è incatenata a una vita che non la stimola più. Ogni nuovo libro significa per lei anche un estenuante tour promozionale in compagnia di Dash (Channing Tatum), un vanitoso attore di quinta categoria che impersona per le sue fan il co-protagonista fascinoso, dai muscoli guizzanti e dai lunghi capelli biondi fluenti delle sue avventure romanzate. Tra Dash che crede di essere per davvero quell’eroe dei romanzi e spesso si improvvisa stripper e Angela che è costretta a indossare improbabili capi di abbigliamento glitterati per riprodurre dal vivo le copertine di questi “harmony”, la scrittrice sogna di scappare via da tutti e da tutto. Poi in effetti viene rapita, da un super fan milionario e pure un po’ pazzo (Daniel Radcliffe) che è convinto che dietro ai romanzi di Angela si trovi la chiave per raggiungere una fantomatica città misteriosa (simile a quella “Z” che per qualcuno è Eldorado). Di fatto Angela per i suoi libri si ispira a delle reali ricerche svolte da lei quando si occupava di archeologia e la cosa può sembrare meno insensata di quanto si penserebbe: motivo per cui la scrittrice viene rapita anzitempo da questo fan e dal suo esercito personale di mercenari hi-tech, con Dash che parte all’inseguimento seguendo il gps del suo cellulare. L’attore raggiungerà la scrittrice in una misteriosa località esotica anche grazie all’aiuto del suo insegnante di yoga/guru/personal trainer Jack Trainer (Brad Pitt).

I “Nee Brothers”, Aaron e Adam Nee, che forse un giorno ricorderemo anche per il futuro film dei Masters of the Universe (se si concretizzerà), confezionano un commedia action divertente e carica di black humor, che idealmente ci rimanda a film come Alla Ricerca della pietra verde o il Gioiello del Nilo, strizza l’occhio a cose come Grimsby e soprattutto non disdegna una spruzzata o due dei coloratissimi e ultra-action nuovi Jumanji. In tutto questo c’è però un buon equilibrio, frutto di una sceneggiatura ben scritta e di ottimi interpreti. Presentato dai trailer, come dalle prime scene, come un film molto ridanciano e sopra le righe, quasi una “farsetta”, in realtà The Lost City presto abbassa i toni, si fa più sentimentale, diventa quasi uno psicanalitico Road movie a due, ma senza mai abbandonare situazioni assurde e un senso dell’azione che potremmo dire quasi “giocosamente splatter”. C’è l’archeologa della Bullock, finita “infelicemente” per diventare scrittrice di romanzi rosa, c’è l’attore spiantato di Tatum, finito “felicemente” a interpretare una specie di cosplayer per le fiere. E poi ci sono i pazzi, il cattivo stile 007 di Radcliffe e il “super personal trainer“ di Pitt, vicino al suo stunt-man di C’era una volta Hollywood quanto con il capello fluente del Tristan di Vento di Passioni, che sembrano giocosamente vivere sospesi tra realtà e fantasia, come i protagonisti improbabili di un fumetto. La Bullock non sembra invecchiata di un anno dai tempi di Miss Detective, sia dal punto di vista del suo fisico strepitoso che da quello del suo senso dell’umorismo, i perfetti tempi comici e l’autoironia. Tatum, presto in sala anche con un bel film ”Eastwoodiano”, Dog, da lui anche diretto, non è assolutamente da meno e a fianco dei muscoli di Magic Mike sfoggia con disinvoltura le doti comiche emerse nei suoi 21 Jump Street come nei piccoli camei nelle produzioni Franco/Rogen (il suo cameo in Facciamola finita è ancora il suo apice autoironico). Come coppia la Bullock e Tatum funzionano molto bene, sono affiatati, spontanei  e riescono con entusiasmo a lanciarsi nei momenti più assurdi della pellicola. 

Molto grazioso, divertente e carico di azione, The Lost City è la pellicola ideale per una serata spensierata, specie se amate i muscoli e i capelli fluenti biondi di Tatum e Pitt. 

Talk0