lunedì 27 maggio 2019

Aladdin - la nostra recensione del nuovo film live-action di Disney per la regia di Guy Ritchie





- Sinossi: Nel magico oriente, tra le dune del deserto e i comignoli dei palazzi arabi, è nascosta la caverna delle meraviglie. È un luogo che cela incomparabili ricchezze e una lampada magica recante un misterioso potere. Chi può entravi senza rischio è solo un prescelto, una persona che reca in sé la natura di un diamante allo stato grezzo. Forse a nascondere queste qualità è Aladdin (Mena Massoud), un ladruncolo di Agrabah che per un gioco del destino si incontra e innamora della bella principessa Jasmine (Naomi Scott). La lampada può avere il poter di farlo diventare un principe per chiedere la sua mano, ma dovrà fare i conti con il perfido Jafar (Marwan Kenzari), un potente e manipolatore Gran Visir. Ad aiutare il ragazzo ci sono però una scimmietta, un tappeto volante e la misteriosa e potentissima entità che vive nella lampada, un genio dalla pelle azzurra (Will Smith). 


- E vai di Amarcord: C'è una materia importante alla base di questo live-action, ed è ovviante il film animato del 1992. A tutti gli effetti parliamo di un film fantasy con Tom Cruise, più vicino idealmente ad un I predatori dell'arca perduta, fumi magici, fanatici di potere e scimmietta compresa, che a un Raperonzolo. C'erano gli inseguimenti, gli scontri con le scimitarre, i templi maledetti pieni di "tracobetti" e gli inseriti grafici in computer animation Made in Lucas Film stile Star Wars (e parlo di quello classico, la seconda trilogia sarebbe arrivata quasi un decennio dopo). Ovviamente a un certo punto la storia virava troppo sul sentimentale, ma rimaneva comunque un cartone animato più "per maschietti" che per femminucce, al netto di una colonna sonora grandiosa, anche se in un paio di casi sdolcinata, ma sempre supportata da scenografie da paura con tappeti che volano in tre dimensioni. Ed avere un film Disney con protagonista non una principessa ma anche "un eroe adulto normale" e non un "bimbetto-frignetto" era all'epoca un vero lusso. C'era stato giusto Taron e avremmo avuto Hercules solo nel 1997. E per un ragazzino non farsi trovare per una volta in sala a vedere un Disney con principesse protagoniste era già allora molto importante! E ho parlato delle musiche? Anche quelle erano per la maggior parte di argomento "maschile", sull'amicizia e il potere e non sul principe azzurro e sul lavare i piatti. Aladdin era ed è tutt'oggi un cartone animato bellissimo. Un colossal di stampo e filosofia hollywoodiana con bene in testa i colori e costumi dei "film di sandaloni". Con al centro una creatura folle, libero da ogni schema e realizzabile solo con l'animazione: il genio. Il genio è un film nel film. Rompe la quarta parete, fa riferimenti alla cultura degli anni '90, imita attori, si sdoppia, strizza, scompone, lancia fulmini, coriandoli e crea dal nulla scenari da quiz show o balletti di Broadway. Il genio c'è solo in Aladdin ed è la cifra anarchica che rende unico lo spettacolo, spesso il motivo più ghiotto per una seconda visione. Io il film lo avrò visto dieci milioni di volte e credo abbia definito un preciso look che ha influenzato negli anni cose come la saga di Prince of Persia (che nell'edizione del 1989 non è che avesse poi tutto l'appeal di questo mondo), le Mummie di Sommers e il ritorno dei film "sandaloni" come i vari scontri tra titani. Ma all'epoca, nel 1992, Aladdin era per me molto di più, era l'equivalente di una gita da 90 minuti al parco giochi di Gardaland (i parchi a tema Disney all'epoca erano solo in America). C'era la caverna che sembrava la Valle dei Re, i voli sul tappeto che sembrano montagne russe, le sfilate, i pappagalli, la zona bazar con al centro il celebre self service arabeggiante: il self service Aladino. E questo fatto, per ogni bambino del 1992 era da andare giù di testa dalla gioia. Ho di recente visto a Londra il musical di Aladdin, ritrovando tutti i colori, humor e musiche originali al netto di una trama abbastanza fedele che accennava anche a qualcosa di inedito (i fratelli di Aladdin). Come i migliori musical di Broadway. 



- Guy Ritchie alla regia: Si può fare oggi un film di "sandaloni" con attori mascelloni americani tutti biondi con occhi azzurri che fanno personaggi asiatici, greci o arabi e portano costumi che "sarebbero di duemila anni fa" che sembrano bikini o mantelli da super-eroe? Per qualcuno "fa brutto" e quella che è una ingenuità stilistica passa spesso per furto/fraintendimento/offesa culturale. Quindi i costumi e gli attori per un generale politically correct atto a evitare l'onta del cosiddetto whitewashing devono adeguarsi a un maggiore supposto "realismo". Quindi dell'Aladdin originale e un po' dell'Aladdin musical bisogna sottrarre qualcosa in tema di umorismo yankee, stile di ballo e costumi sgargianti, magari scegliendo abiti e movenze più simili ai musical di Bollywood e giochi di parole più "internazionali". Quindi invece di un Aladdin che cita graficamente Tom Cruise nel protagonista quanto Vincent Price nell'antagonista, bisogna cercare attori più vicini al contesto etnico arabeggiante. Queste scelte infliggono da sole per qualcuno delle ferite mortali alla riuscita del film, modificando sensibilmente l'aspetto visivo quanto il feeling. E qui arriva pure Guy Ritchie, che decide di infondere elementi pur interessanti ma che vanno in parte a discapito della leggerezza originale. Ritchie, similmente a quanto fatto per King Arthur e per ogni altro suo precedente film, decide di infilarci nella realtà più suburbana e criminale dello scenario. Aladdin diviene quindi un film in cui si fronteggiano due ladri venuti dal basso, il protagonista e Jafar, alla ricerca di un loro senso speculare di "realizzazione personale". Il potere è avere un oggetto come un titolo, il modo di ottenerlo è un "furto", in un contesto sociale in cui le regole sono graniticamente legate a chi è nobile ed è formalmente giusto ribellarsi. L'obiettivo indugia nella prima parte spesso su gioielli, bastoni ornamentali, pietre preziose e altri simboli "materiali" di ricchezza per poi trasformarsi in un secondo momento in una variante di My fair lady, con il genio che insegna ad Aladdin il modo migliore con cui "apparire come un principe". È tutto un balletto tra la "forma e sostanza" del concetto di potere, che coinvolge presto anche Jasmine, nella forma una principessa da "vendere in sposa" per ottenere un'alleanza, nella sostanza un capo politico forte che rivendica giustizia per il suo ruolo femminile contratto. Anche il genio è una vulcanica espressione di potere, che a sua volta vive il contrappasso di essere uno schiavo. Anche i "tre desideri" sono un simbolo della temporalità / fugacità del potere. Sono temi nelle corde di Ritchie e la sua personale cifra artistica che eleva la storiella di fondo a qualcosa di più tridimensionale. Peccato che la leggerezza del cartone animato fosse il suo vero potere, la sua capacità di sintetizzare in poche immagini e qualche canzone un ragionamento che Ritchie non riesce proprio a far suo, rimuginando scena su scena in ragione di un maggiore realismo nella rappresentazione. Servono alle volte più tappeti volanti di quanti il regista ne faccia volare.  


- Commento finale: l'ex Signor Madonna innesta il suo personale crime-world fatto di piccoli e grandi ladri, inseguimenti e donne forti nel cuore da 90 minuti dell'originale film animato Disney del 1992 per la regia di Clements e Musker. Ne esce un balenottero da 128 minuti. La favolosa colonna sonora di Alan Menken cerca di sposarsi con i balletti di Bollywood, risultando però spesso schiacciata su se stessa. La pelle bluastra da genio, che fu di Robin Williams, prova a rianimare l'ancora simpatico Will Smith, regalandogli, come ai tempi d'oro, anche dei brani di musica pop - rap adatti alla sua ugola. Gli effetti speciali e i balletti danno brio alla miscela, le scenografie sono molto particolareggiate e sontuose, ma la trama risulta forse troppo pesante alla prima visione (come spesso capita a Ritchie) e il povero Mena Massoud, che si sforza con impegno di imitare il sorriso beffardo di Tom Cruise che ispirò l'Aladdin originale, non scalda troppo i cuori e in alcuni frangenti non è chiaro nelle intenzioni (mentre cercano di ammazzarlo buttandolo da un balcone pare che rida). Ugualmente è impietoso paragonare il Jafar animato, a metà tra Vincent Price e Christopher Lee, con l'interpretazione un po' troppo trattenuta e seriosa di Kenzari. Il resto del cast lavora con diligenza, la Jasmine della Scott plasma e approfondisce bene il carattere indipendente e "politico" del suo personaggio (che sposa alla perfezione il Ritchie-pensiero). I costumi di scena per il sottoscritto vivono troppo nell'indecisione generale di stare tra la finzione più smaccatamente hollywoodiana (scelta stilistica chiave del cartone animato) e la ricerca della tradizione di Bollywood. Come vale per tutti i live-action di Disney usciti negli ultimi tempi, la visione risulta un compendio molto succoso e "affettuoso" per i fan, che troveranno approfondimenti sui personaggi e variazioni musicali dei brani più amati (qui anche con un pezzo del tutto nuovo per Jasmine). Ma forse si sono persi nel troppo "diluito" e "umanizzato" la bellezza di quei 90 minuti perfetti e stilizzati del film animato, il fascino di quei paesaggi dai colori caldi e definiti, il ritmo sempre incalzante di musica sfolgorante e mai ridondante nonché, infine, la pura e meravigliosa anarchia grafica del genio creato dalla penna di Al Hirschfeld, la voce di Williams (in italiano il nuovo doppiaggio poi è conseguentemente del doppiatore storico di Smith Moneta, con la voce di Marco Manca per le musiche, e non c'è quindi più Proietti) insieme al team di animatori capitanato di Eric Goldberg, si è un po' persa. Willie però è simpatico e gli vogliamo bene. 
Talk0

lunedì 20 maggio 2019

Il pezzo "post-datato" del Goku Day

A volte capita: il Goku Day si è celebrato il 9/5 in tutto il mondo, con grande partecipazione popolare sui social. Tra le sorprese di questo evento, l'annuncio, inaspettato quanto "maldestro", da parte dei canali informativi di Xbox e quindi probabile al 98%, del nuovo combattente presente nel futuro DLC del fighting game Dragon Ball Fighterz, che è uno dei motivi per cui Goku oggi è più famoso che mai. Si parla del mitico, temibile, "diavolo vestito di rosa con gli scalda-muscoli " Janemba, villain del film Fusion reborn (da noi "il diabolico guerriero degli inferi"). Ne parleremo a tempo debito quando la notizia sarà al 100% affidabile. 

Il pezzo che state per leggere per il Goku Day c'era, era pronto. Ma il pc in cui era racchiuso è stato coinvolto in un rapimento alieno e solo oggi ha fatto ritorno, probabilmente con qualche sonda misteriosa nascosta al suo interno di cui ancora non siamo consapevoli. Visto che questo pezzo rocambolesco è già stato rinviato e rimaneggiato più o meno sei volte, aumentando i chilometri di testo a ogni passaggi, o lo pubblichiamo oggi o diventa lungo come un libro. Buona lettura a tutti i prodi e valorosi lettori che si avventureranno nella lettura!

Per volere della Japan Anniversary Association il 9 maggio è ufficialmente il giorno dedicato a Goku e al successo della serie a fumetti e animata di cui è protagonista, Dragon Ball. Dragon Ball è una delle opere maggiormente seminali degli ultimi trent'anni, per qualcuno è stata l'infanzia, per qualcuno è stata meglio dell'epica omerica, per qualcuno ha acceso la passione per l'Oriente (nonché lo spunto per studiare proprio quel "Viaggio verso Oriente", che aveva ispirato Toriyama quanto Matsumoto e mille altri), per qualcuno è ancora oggi la saga preferita, il videogame più giocato, il pupazzetto del cuore che sta nella stanza. Si può parlare di Dragon Ball a vari livelli e per i vari prodotti in cui si è declinato come il brand milionario che effettivamente e meritatamente è. Quale occasione migliore per uccidervi di parole con la mia famigerata logorrea? 


- E quindi qui vi beccate il solito preambolo inutile sul mio rapporto con Dragon Ball, se volete andare alle parti salienti del pezzo saltate felici tutto questo paragrafo: qualche tempo fa su queste pagine mi sono imbarcato nella notizia più "pacco" da quando abbiamo aperto questo blog, la "cospirazione della cancellazione del videogame Dragon Ball Fighterz". In pratica, due giorni dopo che ho pubblicato tale notizia "calda e sconcertante", tutto il caso si è sgonfiato, il gioco è vivo e vegeto e ha già avuto in dote dagli sviluppatori un season pass 2 con nuovi personaggi disponibili, svelati peraltro a fine gennaio, alle finali di Los Angeles del maxi evento di E-sport ufficiale legato al gioco, sponsorizzato da Red Bull: il Dragon Ball Fighterz World Tour. Anche solo a ripensarci oggi, alle mini-cospirazioni e intrighi vari che hanno messo momentaneamente il gioco nell'oblio (Leggete qui), mi cospargo di ceneri e vi chiedo scusa in ginocchio per la supercazzola propinatavi, pur in buona fede e con tutto l'amore del mondo. Mi ero forse preoccupato troppo e a vuoto. Perché Dragon Ball per me è amore. Un amore che mi porto dietro da piccino, da quando lo guardavo su Junior TV e c'era la sigla giapponese, la prima, leggendaria, "Makafushigi Adventure!", cantata dal grande Hitoki Takahashi... e non quelle varie merde sonore di Giorgio Vanni venute dopo sulle reti Mediaset.


Purtroppo sulla storica e sfortunata Junior TV lo vidi solo di sfuggita e nei folli orari di una folle programmazione da rete locale. Ma fu amore. Un amore sconfinato per Bulma, per lo scimmione gigante, il cattivo Pilaf, e il grande Muten. Un amore che si è riacceso quanto nel 1991 a Nipponia, fumetteria-centro culturale giapponese di Milano, ormai chiuso da anni, vidi la prima figure di Goku Adulto (da assemblare e colorare). Da allora toccai con mano i primi film, alcuni in giapponese, alcuni mi pare in spagnolo (arrivavano direttamente così nelle prime fumetterie che trattavano gli anime... ricordo che vidi pure, un paio di annetti dopo, il primo film su Broly all'epoca, dopo pochi mesi che ne ammirai la silouette in bianco e nero, tratta da un fotogramma dell'anime, tra le pagine del glorioso magazine Mangazine di Granata Press (quelle erano le fonti, ragazzuoli miei, internet non esisteva). E fu un nuovo amore la scoperta di Z, frutto della visione di quei film in lingue improponibile o senza sottotitoli, frutto del carisma che emanavano i Sayan biondi, il "grande mago Piccolo" (che in effetti detto così fa ridere), quel nano bastardo di Vegeta. Un amore che aveva per me un po' giocoforza la forma della sigla in spagnolo di Dragon Ball Z!


"Luce, fuego e destrusione, pel mundo puede esse la ruina!!" se mi fossi perso anche uno solo di questi film!! Il mio amore per la saga ha poi nuovamente arso come fuoco vivo quando è uscita la prima edizione italiana del fumetto, il primo manga "non ribaltato" della storia dell'editoria italiana (anche se penso che un paio di fumetti erotici di contrabbando prima ci avevano già provato), che leggevo nel tragitto dalla stazione alla scuola superiore la mattina presto, intorno alle 7.00, dalle parti di parco Sempione, per poi disegnare schizzi dei personaggi durante l'intervallo, quando ancora sognavo di fare i fumetti "da grande". Un amore che si è fatto quasi pazzia quando ho comprato a Console Generation, altro storico negozio di Milano chiuso da anni, per Super Nes (lo avevo americano, funzionava anche come Super Famicon, attraverso uno strano accrocchio di prese di corrente combinate e con una cartuccia speciale a due uscite con la "cartuccia-madre" di Street fighter 2), a un prezzo semplicemente "delirante", Dragon Ball Z Hyper Dimension, che trovo ancora bellissimo, e Chrono Trigger (preso in versione USA, pagato oro pure lui, gioco scelto perché aveva il chara di Toriyama, ma che considero a tutt'oggi, oltre che visivamente stupendo, anche il mio gioco di ruolo preferito di sempre). Nel frattempo "è successo". Mediaset ha ri-portato l'anime in Italia, con i nomi dei personaggi cambiati accazzo (perché Oscar al posto di Olong?? Yamcho??? Junior??????), con le censure... e con le sigle merdose del Vanni.


Le parole disposte in modo cretino, le frasi in inglese incomprensibile gettate nel testo fin da subito, fa tutto già schifo al primo ascolto e fa male constatare che moltissima gente ha avuto come primo contatto questa sigla e giocoforza voglia "un po' bene" a tale abominio musicale. Un minuto di silenzio. E dire che una volta ci stavano a fare le colonne sonore dei cartoni animati persone come gli Oliver Onions, i Cavalieri del re, i Cartoon Kids, Specrta, Massimo Dorati... E poi arrivi tu Vanni, dopo che siamo ancora provati da "L'uomo pipistrello che si avvolge nel mantello" di Cristina D'avena... Vanni, di cuore, ma vai a cagare!!! Riprendiamoci. Allora, Mediaset prende Dragon Ball e di colpo il "mio" fumetto preferito era il fumetto preferito di tutti. E sapete un po' com'è... c'è quella strana meccanica di quando sei adolescente e il tuo gruppo rock misconosciuto preferito inizia a girare sulla bocca di tutti... io quel cartone animato in italiano l'ho visto poco e male. Il fumetto era fico, era veloce, era divertente. I film erano divertenti, i videogame erano divertenti. L'anime, vuoi perché lo trasmettevano e ritrasmettevano in continuazione, vuoi per il modo diluito in cui narrava i fatti, vuoi per l'animazione così così, vuoi per le sigle sempre e per sempre merdose del Vanni, vuoi anche per la pesantezza della voce narrante (che abbiamo solo in Italia così logorroica!!!), vuoi che da feticista non apprezzavo i cambiamenti ai nomi dei personaggi... Insomma, l'anime italiano era un po' una cagata. O almeno così io la percepivo all'epoca e per uno strano imprinting anche oggi, piuttosto che avvicinarmici, mi ammazzerei. Un giorno tristemente impacchettavo la mia adolescenza insieme alla fine della saga di Buu tradotta in italiano, dopo che avevo letteralmente amato le saghe di Freezer e Cell.  Mediaset continuava le repliche, io ero diventato adulto e in questo Toriyama e Go Nagai (il suo Devil Man a fumetti mi ha cambiato la vita, è stato come partecipare al concerto storico di Woodstock) mi avevano "formato" quanto Omero, Dante, Boccaccio, Manzoni, Verga, Leopardi e Pascoli. Sentii di nuovo parlare di Dragon Ball mentre facevo l'università, si vociferava di nuova serie tra le fanzine di settore, Dynit garantiva l'home video.


Dragon Ball GT mi sembrava però sbagliato in tutto, dalla caratterizzazione dei personaggi alle musiche, a tutt'oggi non ne ho ancora visti abbondanti pezzi (ma ho recuperato in cofanetto, tipo "ieri").  E poi ovviamente arrivò il Vanni...


Se per il Vanni con Dragon Ball GT "siamo tutti qui, non c'è un drago più super di così!", io mi sentivo ancora meno parte del gruppo. Vecchio. Come quell'assurdo e sbagliato "Goku vecchio trasformato in bambino", simile a Fantozzi che si tinge i capelli e cerca di sembrare un ventenne.



Mi sono sentito di colpo, come quel Goku vecchio finto-giovane, inadeguato al fandom. Negli  anni mi sono sentito sempre più "fuori tempo massimo" e da allora il mio unico e timido ritorno al brand, è avvenuto con il gioco abominevole Dragon Ball Final Bout per PS1. Mi aveva fatto sentire quasi "sporco" quell'esperienza videoludica. Come se con quell'acquisto avessi voluto bruciare dei soldi sull'altare del marketing più infame, in cambio di pupù. Anche i videogiochi legati alla serie negli anni erano diventati mainstream, al punto che Dragon Ball Budokai per PlayStation 2 era regalato con i menù da McDonald's!!! La serie Budokai non era male, ma ero in un mood tale che ci avrò giocato al massimo quattro ore. Poi, storia recente, è arrivato Dragon Ball Super di Toyotaro e Toriyama, anime e fumetto, preceduto dal film Dragon Ball Z la battaglia degli Dei e dal film La Resurrezione di F. Toyotaro era il primo fan di Dragon Ball, l'autore di una delle "fan fiction più amate". Toriyama cercava dalla fine della saga di Buu il modo giusto per proseguire il brand e Toyotaro era forse l'alleato giusto. Non che i primi passi di questa operazione fossero comunque rivoluzionari, si partiva come premessa da un timidissimo filmetto il cui vero scopo era essere una specie di volantino della commissione affari culturali del Giappone da esportare a qualche convention sullo slow food o da esporre al salone del mobile di Osaka (storia vera), ma con questo pur timidissimo film si cancellava virtualmente quell'abominevole GT e si ripartiva a narrare la storia dalla saga finale di Dragon Ball Z, quella di Buu, come se nulla fosse. E questo bastava di brutto alla maggior parte dei fan, come bastava a me: il Goku vecchio bambino era stato cancellato dalla faccia dell'universo da uno spot lungo sulla cultura del sushi. Qualcosa in me è risbocciato, la produzione del nuovo corso di Dragon Ball è iniziata ufficialmente, fumetto compreso, e in un attimo sono tornato il ragazzino del liceo che leggeva le saghe di Freezer e il Cell Game. Non che Super e compagnia siano stati degni di allacciare le scarpe alle saghe più storiche e amate di Dragon Ball, tanto a livello di disegno come di animazione, bene inteso. Molti episodi proseguivano in modo un po' stanco, gli avversari dei nostri eroi non erano tutti così memorabili e anche le "trasformazioni" dei Sayan sembravano più che dei veri upgrade fisici degli estemporanei cambi di tinta da uno shampista. Anche dal punto di vista narrativo la salsa "più action e quasi splatter", che saltuariamente nella serie classica faceva capolino per regalare un po' di tensione extra, sembrava essersi esaurita e si dava più spazio all'ironia più ingenua propria della primissima saga, rendendo l'insieme carino ma forse manco troppo accattivante. Ma Super mi ha comunque preso bene. Forse perché quei personaggi straordinari di Toriyama, dopo tanti anni, mi erano mancati e nemmeno me ne ero reso conto. Super non inventava molto, ma arricchiva bene, ti faceva "sentire a casa" (cosa in cui GT per me falliva). La storia andava avanti appunto dopo la saga di Buu e recuperava i personaggi più iconici. Se ancora adesso non riesco a empatizzare con quel tipo assurdo di invincibile gaudente che è Goku (del resto anche Ruffy di One Piece non è che mi faccia impazzire), tornavo a vedere con interesse gente come Vegeta, come Freezer, persino C17. Vegeta da "eterno secondo" stava iniziando a crescere come marito, come genitore, come possibile nuovo leader di nuovi Sayan. Stava iniziando a fare gioco di squadra. Sorprendentemente pure Freezer tornava in scena e aveva qualcosa da dire una volta che sceso dal piedistallo si faceva più sfaccettato, rimanendo sempre pericoloso, dimostrando in qualche sporadico caso onore. C17 da ragazzino arrogante era diventato un uomo responsabile e altruista. Certo si può liquidare queste evoluzioni con un salomonico "sono tutti più buoni", ma andava bene così, non c'era niente di davvero rivoluzionario in Dragon Ball Super ma lo storytelling girava bene, i personaggi si facevano amare e qualche guizzo narrativo ogni tanto sorprendeva in positivo. Vuoi anche l'idea trita e ritrita (ma si dovrebbe dire pure "rituale" e "sempre bene accetta") di organizzare un super torneo o duo, che anche se non originalissima sapeva sempre donare una onesta razione di azione senza inventarsi troppo e intrattenendo al massimo. 
Poi è arrivato Dragon Ball Fighterz, realizzato dai geni della Arc System Works di Guilty Gear, il primo videogame di Dragon Ball dopo una vita intera, dopo Hyper Dimension, che finalmente vedevo realizzato bene per i miei standard. Perché era per una volta picchiaduro in stile cartone animato e non una specie di simulatore di volo in grafica poligonale spoglia. Fighterz riusciva davvero a nobilitare visivamente e ludicamente il materiale vecchio e nuovo di Dragon Ball, fino a mandarmi in estasi. Ed era lì che ci sono rimasto male per il fatto che il gioco poteva chiudere e mi è venuta la voglia di scrivere quel pezzo. Ed ecco che siamo ad oggi, alle novità. 
Fine del preambolo. 


-Dragon Ball Super: Broly. Se ancora ve lo siete perso, non c'è modo migliore di celebrare il Goku Day che gustarsi il nuovo film cinematografico. È il terzo film del nuovo corso, inaugurato con quello spot al sushi che fu La battaglia degli dei (anche se figura come il primo film ufficiale di Super), è collocato direttamente nell'arco narrativo di Dragon Ball Super più recentemente animato, la saga del Torneo del Potere, ed è l'esordio, nella "continuity ufficiale", del personaggio di Broly, conosciuto e amato storico villain apparso per la prima volta sullo schermo nel film Dragon Ball Z: Il Super Sayan della leggenda, del 1993. Broly è sempre stato nella saga filmica del brand il sayan "più grosso", una gigantesca montagna di muscoli e rabbia fuori controllo, un gigante di inesorabile potenza, concepito per riuscire a schiacciare chiunque gli capiti davanti. Una specie di Hulk, con tanta voglia di menare le mani e con un passato succinto ma preciso. In un flashback si spiegava la rabbia di Broly come conseguenza di un disturbo della primissima fase dello sviluppo. Poiché  il suo vicino di culla spaziale, Goku, piangeva sempre e gli rompeva le palle, il piccolo Hulk aveva sviluppato un inconscio odio verso quest'ultimo. Broly visivamente era l'espressione di come sarebbe potuta essere  la trasformazione fisica più "gonfia" in Super Sayan, quella  per capirci che ha visto lo sviluppo del "Trunks gonfio" nell'epoca di Cell. In un epoca vicina a quella di Vialli alla Juve, quando tutti sembravano evolversi in montagne di muscoli e anabolizzanti come Kenshiro. Per chi è nato negli anni '80 di Scharzenegger una specie di must, per tutti gli altri, Toriyama stesso (pentito) e il buon senso comune, una esagerazione grafica interessante ma naïf, ma che andava benissimo limitare e magari relegare come "curiosità" a giusto un personaggio. Appunto Broly. Grande successo, pupazzetti venduti ovunque, altri due film meno belli sul personaggio, ma comunque di successo, e tanto amore per lui nei successivi quasi trent'anni, presenza quasi fissa nei videogame e  si arriva a un Broly aggiornato al presente, anno 2018.  E viene fuori che può non essere neanche poi così villain, può non urlare tanto e incazzarsi tanto, può esserci "un Banner dietro all'Hulk". Il film, uscito con successo nelle sale anche in Italia, ci mostra un Broly molto più protagonista che antagonista, molto più umano che bestiale, quasi amabile al punto di essere inquadrato come una bestia con al suo fianco una interessata e invitante bella (che ci mostra quanto sexy possono essere le tute spaziali dell'esercito di Freezer). Insomma, un taglio molto diverso, anche solo dal punto di vista visivo, del Super Sayan della leggenda. Anche qui, come per Vegeta, Freezer e C17, tutti "ripescati celebri" di Dragon Ball Super, siamo in un'ottica di sfruttamento/approfondimento di più lunga durata e il film assume da subito i contorni di una introduzione del "nuovo personaggio di Broly", la sua origin story, piuttosto che essere come rilegato come nei film di Dragon Ball del passato al ruolo sporadico di cattivo di un evento a sé. C'è molto "World building" nella prima parte della storia, circa un'ora, di quello convincente ed esaltante, che lega e arricchisce il passato della saga, sa sviscerare il carisma delle parti in causa, prepara a prospettive ghiotte di sviluppi futuri. Ci sono guerre, intrighi, mondi che esplodono, grandi rivalse, pure qualcosa di Shakespeariano. Poi le botte arrivano, tutte insieme, dopo un siparietto buffo sulle motivazioni di Freezer e Bulma per evocare nuovamente Shenron. E l'ultima parte è davvero un lungo e unico combattimento, travolgente,  di quasi 40 minuti. E lì si mena, non si parla più, il carattere dei personaggi prende forma nella loro arte marziale, con un tappeto sonoro sullo sfondo incessante, tra la techno e il coro da stadio, idealmente vicino al celebre "inno dance" di Mortal Kombat. Certo i fan storici più integralisti che amano pensare Broly alla stregua della migliore incarnazione del villain dragonballesco definitivo, ci resteranno magari male, ma per tutti gli altri questo nuovo corso, la prospettiva quasi anti-eroica del nuovo Broly, funziona, ha solide fondamenta, urla "dateci su di lui una saga spin-off". E la cosa non può che esaltarci. Visivamente il film non è niente male, la trama è abbastanza lineare ma corretta, si parte un po' lenti come è giusto, si decolla e verso il finale ci arriva pure a un paio di belle sorprese (che sono già state rese mesi fa segreto di pulcinella, ma tant'è). Forse la prima parte e l'epilogo riempiono di più la testa e sollecitano la fantasia. La maxi zuffa del secondo tempo esalta, ma forse in qualche punto fa tirare un paio di sbadigli e gli inserti in animazione 3D sono gustosi quanto svilimenti a momenti alterni. 
Di sicuro vedere questo spettacolo al cinema dà soddisfazione e la ricca platea in sala con me sembrava più che soddisfatta del risultato (poi  tutti i bimbiminkia, che un secondo prima urlavano in sala esaltati, usciti dalla sala commentavano "chemmmerda raga!!!" Per darsi un tono, un po' da veri bimbiminkia, come se fossero stati lì per veder Kubrick e avessero sbagliato sala). 


- Dragon Ball Super, l'arco narrativo del Prigioniero della pattuglia galattica: dopo l'arco del Torneo del Potere (che ancora tiene banco nel numero 7 della versione italiana del manga, edito da Star Comics, mentre è già interamente stato trasposto in animazione), dopo il film Dragon Ball Super: Broly, è partita una nuova saga in cui il principale antagonista dei guerrieri Z sembra essere un alieno dal volto caprino potentissimo di nome Moro. E siamo subito nello spazio, su pianeti lontani ad "ambientazione western" come nel migliore scenario da pianeta sabbioso con taverna di Star Wars (o saloon da Captain Harlock). Tra assalti a treni gravitazionali per Juma, scontri all'arma da fuoco inquadrati come Mezzogiorno di Fuoco e criminali evasi con astronavi da penitenziari ultra-sorvegliati. La pattuglia galattica crede che per fermare Moro l'unica possibilità sia quella di risvegliare il Daikaioh, essere supremo che risiede all'interno del corpo di Majin Buu. E quindi prepariamoci a una nuova evoluzione - approfondimento dell'amabile Fat Buu. Mi sta piacendo questa saga, e pure parecchio. Tutto funziona come dovrebbe, meglio che nei numeri passati sul torneo. C'è molta azione, una bella ambientazione, un po' di thrilling e sembra per ora lontano l'effetto "mischione" che ha un po' caratterizzato il manga di Toyotaro. Assolutamente da recuperare la versione italiana di Star Comics, appena sarà in edicola. Un'ottima occasione per riprendere in mano il fumetto in questo Goku Day.



- Dragon Ball Fighterz - il Season pass 2 trova il suo terzo combattente: dopo la premiazione finale del Dragon Ball Fighterz World Tour è partito il primo trailer della stagione due del season pass dei contenuti a pagamento del picchiaduro Bandai-Namco-Arc System Works, in vendita dal 31 gennaio. Sono in totale 6 i combattenti del pacchetto che  andranno in questi mesi ad aggiungersi ai personaggi giocabili. Due sono già acquistabili nei negozi digitali, Jiren e Videl, due sono già stati rivelati come le ultime due uscite, il nuovo Broly e Gogeta blu, due erano ancora avvolti nel mistero fino all'altro ieri. 
Videl è la terza "ragazza" selezionabile del gioco (le altre due, C18 e C21 sono donne cyborg). Come C18, Videl può usufruire di un aiuto nel combattimento da parte di un secondo personaggio e nel suo caso si parla di Gohan, vestito per l'occasione come il suo alter-ego supereroistico Super Sayaman. I due hanno divertenti attacchi combinati tra cui una super in cui si lanciano in aria per poi realizzare degli attacchi sincronizzati alla maniera di Shinji e Asuka dell'episodio 9 di Evangelion (scena poi copiata ovunque e da chiunque). Videl è la figlia di Mr Satan (Videl è anagramma di Devil), nonché moglie di Gohan e madre di Pan (eroina di Dragon Ball GT), ed è un personaggio molto amato quanto poco rappresentato nei videogame. Spesso perché relegata troppo rapidamente nella storia a "donna di casa", la stessa sorte capitata a Chichi, tanto nell'anime quanto nel manga. È interessante vederla come nuova aggiunta ai combattenti, ha delle animazioni fantastiche, fa delle "monate" molto scenografiche con il Super Sayaman, ma tra tutti i personaggi da aggiungere dell'intero franchise e ancora non rappresentati non era esattamente ciò che cercavo. Fossi stato in Arc System l'avrei scelta dopo altri 90 possibili personaggi. Anzi no, non vorrei apparire troppo femminista, ma diciamo che probabilmente non la avrei mai scelta in tutta la vita. È comunque veloce e divertente da usare? No, non lo è, almeno per me. Però è abbastanza originale e con il tempo magari mi ci divertirò. Ma non credo. C'è la possibilità di selezionarla con i codini (e in quel caso Gohan compare con in testa, al posto della bandana, il casco di Sayaman). È più interessate così? No, per niente, e ti fa ancora più incazzare pensando che "C'è il Great Sayaman", con animazioni e tutto e non puoi usare direttamente lui. 



Jiren (da ren-ji : "caldaia") è il più forte dei Pride Troopers dell'universo 11, una specie di gruppo di difensori della pace con tanto di divisa rosso-nera. Ha fatto la sua prima apparizione nell'arco di Super del Torneo del Potere ed è di fatto lo sfidante definitivo, quello più grosso e potente. Jiren visivamente è un "grigio", ossia uno di quegli alieni con gli occhioni che dicono ogni tanto si facciano un giro sulla Terra, solo che a dispetto della corporatura magrolina e idrocefala del "grigio medio", Jiren è ultra-palestrato e inguainato nella sua tutina da supereroe (ma che fa anche un po' Star Trek per accostamento cromatico). Idealmente è interessante, incarna al contempo un alieno quanto un power ranger quanto un supereroe di tipo americano (tutti i pride troopers richiamano un sacco il corpo delle lanterne verdi dc), ultra muscoloso e pieno di pose plastiche. Anche il fatto che sia "duro come una roccia" e profondamente cupo di carattere come un Kenshiro è interessante. Visivamente e caratterialmente, Jiren (che comunque mi piace un sacco per la sua diversità rispetto al rato del cast)  forse poteva essere "più interessante", almeno "per ora" (nel fumetto si accenna a una strana storia che riguarda il suo maestro e sarebbe interessante approfondire). Non è amatissimo tra molti fan di Dragon Ball, almeno tra quelli occidentali mi pare, forse perché lo vedono (cosa che effettivamente è) come uno stereotipo molto diretto dei tizi dei comics americani supereroistici (non considerando che in fondo non è neppure troppo diverso dalle serie Super Sentai, e quindi "giapponesissimo come concetto", ma vaglielo tu a spiegare...). Però è grosso (un po' più di Goku, non certo "enorme" come C16, Cooler o Broly), ha delle mosse interessanti (non facili da padroneggiare, basate molto su contromosse e attacchi media distanza) e uno stile unico. Arc System ha fatto davvero un gran lavoro con lui, replicandone anche le movenze più strane, come il vezzo di saltare arrotolandosi su se stesso, prediligendo movimenti netti e plastico/scultorei del corpo, creando barriere respingenti che si materializzano dalle fiamme dei suoi occhi. Non è facilissimo da usare, regala gioie solo se si entra nell'ottica di idee di gestire un personaggio con pattern molto diversi dal solito, più difensivo e spinto sui contrattacchi. È un po' "per esperti", ma ben venga, può dare soddisfazioni. 


Di Gogeta e del "nuovo" Broly, che arriveranno pare alla fine del season pass, sono state presentate solo alcune sequenze animate riprese dall'ultimo film ed è quindi difficile prevedere come saranno i personaggi finiti per ora. Certo Gogeta potrebbe assomigliare a Vegetto in qualche misura, ma Broly potrebbe essere davvero "ogni cosa". Nel roster è già presente il Broly tratto dal film Il supersayan della leggenda, nella sua forma più enorme, muscolosa ed esplosiva. Forse un po' lenta. Il nuovo Broly potrebbe essere una versione più piccola e umana, magari in grado di diventare enorme e hulkesca in limitati periodi di tempo come mossa speciale. Certo se fosse unicamente un reskin del Broly già nel gioco sarebbe una delusione. Vedremo. 
Infine è confermato, dopo un paio di mesi in cui si sono seguire informazioni tuttora parziali sul personaggio, l'arrivo come nuovo combattente nel roster di Kid Goku, difettante della serie GT. Sì, il Goku bambino vecchio stile Fantozzi tinto, sarà il prossimo eroe giocabile e sarà rilasciato proprio il 9 maggio, in occasione del Goku Day. È il primo personaggio della serie GT a essere preso in considerazione dal gioco, alla faccia di chi diceva che "non può esistere, perché la serie non è canonica" e questo apre virtualmente la strada per il futuro a un sacco di personaggi, che mi fanno un po' cagare come background ma sono visivamente fighi e perfetti come combattenti (cosa che mi fa benissimo perché parliamo di un gioco di combattimento), come Baby-Vegeta, Omega Shenron, Super C-17, gli altri draghi ecc. ecc.. Secondo quanto trapelato Kid Goku GT avrà come secondo costume la classica tuta arancione della serie originale (per renderlo meno indigesto), pare potrà usare il bastone allungabile classico e possa attingere a tutto il repertorio di mosse appreso nelle saghe della serie Z, con l'aggiunta di un paio di colpi iconici della serie GT, compresa la Genkidama finale e la super kamehameha. Si è fatto mistero, su V-Jump, il mensile che in anteprima ha pubblicato le prime immagini, su una mossa di livello 3 "segreta". Per molti fin da subito sarebbe potuta essere una trasformazione temporale (o "install" in gergo), come quella che muta Freezer in golden Freezer. Si parlava nello specifico del fatto che con questa mossa il piccolo Goku potesse mutare nell'adulto SSJ4, con tutto il suo specifico e spaventoso set di mosse. Il SSJ4 è forse una delle cose più fighe di GT, il fan medio ha subito sperato di poter splittare velocemente il Goku-baby-vecchio in ragione del sayan peloso. C'era gente che letteralmente ha orgasmato su questa possibilità, non nego che pure io sarei in estasi se si concretizzasse, anche perché il goku versione minchietto non mi esaltava poi troppo di per sé. Se ci fosse la possibile trasformazione in SSJ4 in questi termini, e questo renderebbe Kid Goku a tutti gli effetti un personaggio "doppio", credo pure io, a mani basse, che sarebbe facile il personaggio più fico e divertente da usare di sempre, nonché il regalo più bello per il Goku day. Ma già dall'epoca della news non sono l'unico ad  avere enormi e spaventosi dubbi sul fatto che ciò possa realizzarsi, sembrerebbe troppo bello per essere vero e quei maledetti di V-Jump, anche il mese dopo, hanno rimarcato tale ambiguità. La trasformazione effettivamente è stata rivelata, ma ha tutto l'aspetto di una cinematica e non di un set di mosse autonome. Poi è arrivato il trailer.



L'ambiguità rimane e probabilmente solo all'uscita del personaggio sapremo come sarà effettivamente. Rimane nel season pass 2 ancora un personaggio misterioso da svelare. Ne parleremo quando sarà rivelato, ma dubito accada prima di luglio. Nella mia wish list, e ve lo racconto come se fossi tornato per un istante un bambino di undici anni con cui parlate durante l'intervallo, al top c'è Janemba. Questo perché, argomenterei con in mano un tegolino, manca finora nel season pass 2 un vero "villain" e Janemba è visivamente  e per stile tra i più interessanti. Apprezzerei ad ogni modo tra i villain anche Darbula, Omega Shenron, Vegeta-Baby, C19+C20, Zarbon+Dodoria. Se capitassero i "vecchietti", cioè Mr. Satan o Muten, sarei comunque contentissimo, come se arrivasse a sorpresa un Toppo o (e sarebbe un vero colpo di genio) Ribrianne. Ma alla fine mi andrebbe bene davvero tutto, anche i magari più "scontati" Kefla o Radish, anche Jaco. Perché appunto spero, come spero che in futuro il Mulino Bianco torni a produrre il "Soldino", che questo gioco continui ad essere supportato ancora per tanto tempo, con una terza e quarta stagione da dieci personaggi l'una. Magari con l'aggiunta di livelli extra come la stanza dello spirito del tempo e il pianeta di re Kaioh, magari con l'aggiunta di bonus stage da integrare in una possibile modalità arcade, in cui sia possibile scontrarsi con mostri enormi come gli Ozaru (magari che si muovono come Galactus in Marvel vs Capcom 3). Credo che queste ultime cose non servirebbero magari a una fava nelle competizioni mondiali del gioco, ma il mio bambino interiore, con le mani tutte zozze di Tegolino, sarebbe felice un botto di vederle.


-Dragon Ball Project Z: ed eccoci al nuovo gioco legato al franchise di Dragon Ball, in uscita per questo 2019 è che quindi per questo Goku Day possiamo solo immaginare. Dovrebbe essere un action - rpg in grafica Cell-shading, dovrebbe integrare più componenti narrative tratte dalla serie Z (in pratica dalla saga dei Sayan a quella di Majin Buu, ma dai filmati si è visto giusto l'arco di Freezer), dovrebbe essere fico. Dovrebbe essere fico perché a lavorarci copra sono i Cyberconnect2, un gruppo di veterani nel campo degli rpg (la fortunata saga cross-mediale  ". hack" ma anche il simpatico SolatoRobo) quanto nella trasposizione di anime in Game (la quadrilogia di Naruto Ninja Storm, JoJo All Star Battle), quanto sperimentatori  di curiosi ibridi tra anime e videogame (come il bellissimo, imperfetto e sfortunato Asura's Wrath). Ci aspettiamo grandi cose, ma è ancora troppo presto per esprimersi sensatamente, il materiale divulgato è davvero poco.

Ora dovrei parlarvi di Dragon Ball Heroes, di Dragon Ball Xenoverse, di Dragon Ball Legends, magari di Jump Force, che (anche se orribile) ha pure al suo interno dei personaggi di Dragon ball e dei villain disegnati da Toriyama... ma sono territori che non frequento e per i quali vi rimando alla rete e agli appassionati.
Certo fa strano celebrare il Goku Day. 
Certo fa strano che nel 2019 Dragon Ball sia ancora tanto di moda, quanto al centro di mille progetti, così come il fatto che lo stile grafico di Toriyama continui ad impazzare anche su altri prodotti di successo come la saga di Dragon Quest. Ma tutto questo non può che farmi piacere e farmi tornare un po' alla memoria le mattine assolate di ormai troppi anni fa in cui andavo a scuola. Forse alla prima ora ci sarebbe stata l'interrogazione di greco, ma per una buona mezz'ora ero tra le pagine di Dragon Ball con Goku, sul pianeta Namec, a raccogliere le sfere per evocare Polunga cercando di non farmi scoprire dal terribile Zarbon. Buon Goku Day a tutti i bambini attempati e a tutti i bambini autentici che ancora oggi sognano di volare su una nuvola dorata.


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domenica 19 maggio 2019

John Wick 3: Parabellum



Sinossi: in un mondo parallelo al nostro dove la violenza è accettata e istituzionalizzata esistono assassini che vivono come star della TV, famosi e stimati come gladiatori moderni. John Wick, il "Baba Yaga", "l'uomo nero", il più terribile dei killer (Keanu Reeves) aveva deposto le armi e la sua brama di sangue per ritrarsi a vita privata. Ma quella forza quasi mistica non poteva certo placarsi facilmente ed è bastata una goccia per risvegliare il demone che si riteneva ormai sepolto dentro un uomo dallo sguardo triste. Il ciclo di morte frutto delle elaborate danze di sangue di Baba Yaga era ripreso, in un turbinio di lame e pistole, anche se il lato umano nell'ultimo periodo emerso da quella strana creatura lo aveva fatto percepire agli altri come debole, manipolabile, pronto da sottomettere e ricattare. Un grave errore di valutazione di pochi uomini ambiziosi in grado di sgretolare e distruggere tutto il piccolo mondo parallelo in cui vivono. La precedente pellicola si chiudeva con tutto il mondo in caccia, per soldi, della testa dell'uomo nero. Il killer aveva violato le sacre regole dell'albergo/rifugio Continental, il direttore Winston (Ian McShane) aveva concesso un'ora di tempo a John per scappare prima di mettere sopra di lui la più grossa taglia di sempre. Sembrava questione di minuti, il fatto di abbattere un piccolo uomo che in virtù delle regole violata non poteva più disporre dei privilegi dei vip-killer: cure, armi e rifugi. Ma tutti si erano dimenticati del fatto che quel piccolo uomo un tempo era soprannominato Baba Yaga.


Cardio-action-comics-movie: si fa sempre più astratto e supereroistico il piccolo e sgargiante mondo action-criminale nato quasi per caso dalla pellicola low- budget realizzata dalla coppia di registi stunt-man Chad Stahelski e David Leitch, nuovi re Mida dell'action moderno (insieme al sodale Tim Miller) con ora a curriculum oltre ai John Wick, robetta come Atomica Bionda, Deadpool, il nuovo spin-off di Fast'n'furious e presto, forse, il rilancio di Highlander. In queste teste matte rivive tutta la follia della anarchica coppia Neveldine/Taylor negli anni 2006/2012, ma forse con meno atteggiamenti interpersonali stile Oasis e una progettualità più solida e "solidale". Una follia nobilitata anche da interpreti, ricordiamo Rainolds, la Theron e Reeves (ma anche The rock e Statham non sono da meno) che si sono buttati nei loro action con tutto il corpo e la testa, scommettendo sugli stunt in prima persona e sulla preparazione fisica. In un mondo dove Daniel Craig si rompe una gamba facendo una corsetta leggera nella produzione del prossimo Bond, attori anche premi Oscar che si riempiono di lividi buttandosi dai palazzi per un action commuovono e fanno lacrimare i bulbi dello scrivente. E Keanu Reeves commuove per quanto "ci crede", per quanto si impegna fisicamente nelle arti marziali e scommette sul carisma di un personaggio che ormai, sveliamolo, punta senza troppa vergogna a essere un'immagine alternativa del Neo di Matrix, quanto lo è Violence Jack per Devilman (mi scuso con tutti quelli che non sono fan delle opere di Go Nagai e che quindi non hanno davvero capito questa metafora). Perché ormai siamo "a quel punto" con questa pellicola numero 3 di "n" pellicole future già programmate (non si parla quindi di trilogia in questo caso), al punto in cui per sopravvivere la trama si deve evolvere ancora su qualcosa di scala più vasta. Dopo che John Wick ci ha presentato un mondo con proprie regole, propri luoghi di potere, propria moneta, proprie classi sociali, arriviamo anche alla conferma di una peculiare "religione" e "fisica dei corpi". Tipo che assume un senso il fatto che Wick dopo aver steso un avversario si premuri di "sparargli alla testa", come se fosse quello l'unico modo di "uccidere davvero qualcuno" senza che possa essere curato, "sconnettendolo neuralmente" dal mondo di John Wick. Siamo davvero "a tanto così" da Matrix, e non solo per un paio di citazioni gustose e la presenza nel cast anche di Lawrence Fishburne. Il personaggio di Asia Kate Dillon ricopre un ruolo che se sarà sviluppato in un certo senso non sarà troppo dissimile da quello dell'agente Smith di Hugo Weaving. Tra le dune del deserto, potrebbe nascondersi anche una specie di "architetto". È un gioco infinito di rimandi, che bene si appoggia per la profondità di analisi e suggestioni filosofiche annesse alla nostra memoria storica legata alle opere delle sorelle Wachowski, ma è un gioco che funziona. Una trama che come sempre pare uscita da un lavoro a fumetti di Brian Azzarello, la scenografia sontuosa, gli abiti firmati e le macchine veloci, permettono alla nuova pellicola di Stahelski di essere quello che ha sempre voluto rappresentare al meglio: uno showcase esaltante di arti e artisti marziali intenti a fare al meglio il loro lavoro, forniti di tutto l'arsenale che potrebbe sognare un feticista di lame e pistole. Tra il kung-fu della Hong Kong classica degli Shao Brothers alle sue "evoluzioni moderne, il "gun-fu"e "car-fu" della Hong Kong di John Woo. Con un occhio alle arti indonesiane del "vate" Gareth Evans e senza dimenticare la esecuzione fulminea di lame e le lacrime dei Twilight Samurai di Yamada (c'è pure un piccolo ruolo per Hiroyuki Sanada) e del Freeman di Koike/Ikegami portato su schermo da Gans. Forme marziali che da sole rappresentano universi interiori, come le spade che forgiano l'essenza del samurai. Non è un caso che nel "pacchetto John Wick 3" ci siano persone legate alle loro armi quanto ai loro ruoli. Come il grande Yayan "Mad Dog" Ruhian armato dei suoi cari Karambit a mezza luna, visti tra gli altri in The Raid. Come Mark Decascos che si affida ad una katana da samuari, che di recente ha impugnato anche per il videogame For Honor. Non è un caso che alle arti marziali si alternino, con pari attenzione per l'esecuzione quanto per le ecchimosi frutto della dura pratica, i balletti classici della tradizione del Bolshoi. John Wick, ancora di più in questo terzo film, è una sinfonia di corpi danzanti coperti di ferite e sudori mossi al ritmo incalzante di un musical. Nessuno si risparmia, tutti si impegnano per uno spettacolo che non lascia fiato e riempie di pugni e calci ogni minuto. Reeves dal primo al terzo film è più veloce, più competente, più aggraziato nell'uso anche delle armi più strane. Non è un caso che al posto di quadri e scultore il mondo di Wick esponga alle pareti pistole, armature e coltelli e qualsiasi cosa (anche gli animali!!) possa di fatto essere usata e venga usata come arma. Le bocche di fuoco preferite dalla pellicola sono le armi a ricarica, i nemici senza volto della parte finale hanno corpetti anti-proiettile così pesanti da sembrare armature medioevali. 


- Conclusione: John Wick 3 è l'apoteosi feticistica del film di genere action. Che amiate i film di calci e pugni, pistole, inseguimenti e spadate, qui trovate davvero di tutto e in proporzioni generose. Uno spettacolo di acrobati eseguito con passione, tecnica e amore e abbastanza stile nella confezione da sembrare raffinato come cinema mainstream. Il composto Lance Reddick (lo vedrei bene in un film di James Ivory), il sornione e luciferino Ian McShane, la divina Anjelica Huston (qui davvero straordinaria), il sempre più matto e lunare Fishburne (quasi un umano gatto di Cheshire), la sensuale Halle Berry e l'androgina, eterea Asia Kate Dillon (brava, quasi una novella Tilda Swinton!!) donano, con la loro bravura, ulteriore credibilità al contesto. Reeves alla fine di questa pellicola, con un colpo di scena potente quanto surreale, spalanca le porte alle future iterazioni di quello che ormai è un franchise di successo. Se siete spettatori sensibili e non amate una rappresentazione, pur così parodisticamente/innocuamente "esagerata" della violenza, è decisamente un film da evitare. Così come è da evitare se cercate qualcosa che per profondità vada oltre a un magnifico fumetto colorato di supereroi o simili. Non si può pretendere Shakespeare da persone intente a danzare come forsennati per due ore filate, godetevi il balletto e portate i popcorn. 
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venerdì 10 maggio 2019

Sonic - il film : un occhiata al Trailer in Italiano!



Jeff Fowler, il direttore del reparto animazioni di Nel Paese delle creature selvagge ora passato alla regia, ha deciso di regalarmi altri incubi notturni con questo spaventoso Sonic umanizzato ultra creepy. Bisogna riprendersi un attimo dopo la prima, ma anche la seconda, terza e quarta visione del trailer. Poi ci si concentra sul paesaggio, sugli attori umani, su quel roboante "dai produttori di Fast'n'furious" che sembra per connessione neurale la più ovvia e giusta delle idee. Allora inizio a pensare positivo. Degli otto tizi che sono dietro la sceneggiatura, scopro che almeno uno, Oren Uziel, ha scritto roba interessante come Freaks of Nature, 22 Jump Street, The Cloverfield Paradox ed è pure accreditato, già ora, alla sceneggiatura di Detective Pikachu 2. Il cast, tra cui volti abbastanza poco-noti come James "Ciclope" Marsden, Neil "l'ho visto in mille film" (era anche Dum Dum Dugan in Captain America) McDonough, mi regala poi con un tocco di genio, surreale e inaspettato, una gioia/sogno proibito: Jim Carrey.  Jim Carrey, che diventava noto al grande pubblico nei panni di Ace Ventura l'acchiappa-animali, impersona qui Ivo Robotnik (per i nippofili il Dr.Eggman), lo scienziato che acchiappa gli animali per trasformarli in robot da combattimento e dominare il mondo. E allora questo Sonic the movie magari mi può conquistare, anche se vince subito facile la trasposizione da videogame con personaggio animato più brutto di tutti i tempi. E oggi ogni ora che passa rivaluto il Super Mario Bros con Bob Hoskins, da gustare magari in combo con Brazil, per fare un po' gli hipster... ma torniamo in tema. Visualizziamo: Sonic The Movie come Ace Ventura 3, con inseguimenti e look visivo da Fast'n'furious, idealmente nello stesso girone infernale delle guilty pleasure  come le nuove ( e già decadute) tartarughe ninja o i criceti spie alla G-Force della Disney. Magari (come appunto per le Tartarughe Ninja e G-Force) con un "tocco di Transformers", a rendere più tridimensionali e succulente le creazioni robotiche del perfido scienziato. Chissà! Ho paura che esca come Monster Trucks di Wedge... nel senso che possa uscire direttamente in home video per tamponare il disastro di una nuova bella idea gestita male, ma voglio aspettare di saperne di più. Magari nel frattempo mi faccio una partita ad uno dei giochi più fighi della mia infanzia...

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domenica 5 maggio 2019

Nell'attesa di mettere le mani su Mortal Kombat 11 vi presentiamo "La strana storia della scoperta del politically correct in Mortal Kombat."




Siamo tutti un po' ragazzini, da queste parti sul blog, quando parliamo di Mortal Kombat. Anche se siamo già adulti da un sacco di tempo, questo gioco ci smuove passioni "pruriginose". Il senso del proibito che emana questo titolo da adulti attrae da sempre generazioni di ragazzini, spesso al di sotto della soglia di età richiesta dalla censura. Ci attirano la violenza visiva (anche se ultra-eccessiva al punto da essere parodistica), i contenuti più sessuali (anche se sono solo un paio di bikini succinti), il tema della lotta tra bene e male (anche se è affrontato come una faida tra due schieramenti di lottatori non dissimile dalla "trama" di una stagione di wrestling). Mortal Kombat è così eccessivo da essere innocuo. Davanti agli occhi di un ragazzino però è davvero roba mitica.


Donne succinte e splatter, un po' di epica, mostri a quattro braccia, ninja, uomini serpente e Christopher Lambert. Un tempo, anno del Signore 1995, con la regia di Anderson pre-Resident Evil, pre-Event Orizon, pre-Death Race, Mortal Kombat è diventato un film di successo e pure una hit musicale da discoteca quasi tuttora intramontabile.



Ma facciamo un passo indietro. Oggi parliamo della "sensualità in Mortal Kombat", analizzandola come uno dei (presunti) "pilastri del proibito" in virtù dei quali il gioco potrebbe di fatto avere il seguito di fan che ha. È un po' un delirio e un po' una supercazzola, come molti dei pezzi che scrivo per voi alle due di notte. Partiamo.


Quando uscì il primo Mortal Kombat, gli oggi storici e un po' mitologici sviluppatori, Ed Boon e John Tobias nel 1992, lavoravano per Midway, la casa di Rampage (da cui il brutto film recente con The Rock), ed erano nel pieno della fase storica di maggiore sperimentazione dei videogame con grafica digitalizzata, con NBA JAM che sarebbe uscito nel 1993.



La digitalizzazione è un processo che permette a partire dalle foto di attori veri (o da modellini) di imbastire in sequenza, frame by frame, delle animazioni di gioco. Se la grafica pixel, quella dei primi Street Fighter per intenderci, ha molto più a che fare con la tecnica del disegno a mano (cosa che si sta peraltro recuperando oggi con il cell shading che rielabora su base tridimensionale, come in Guilty Gear Xrd e Dragon Ball Fighterz), la grafica digitalizzata cerca di convertire al Game una tecnica più "cinematografica". Il gioco di combattimento Pit-Fighter di Atari aveva nel 1990 fatto scalpore più di altri prodotti simili che sfoggiavano questa tecnica, per il fatto di calare i giocatori in una atmosfera da film action b-movie anni '80. Roba muscolare, esagerata, scorretta e ipersessualizzata, tra il wrestling e il combattimento da strada, con l'appeal generale di una serata particolarmente truzza davanti alle peggiori discoteche di provincia. Gente mezza nuda che urla, birra ovunque, tre metallari e due punk, ci stava benissimo (nel senso che non c'è ma se c'era era ok) come colonna sonora un pezzo a caso dei Baltimora tipo Woody Boogie, oppure qualche b-side di Michael Sembello.



A monte di una grossa progettualità e investimento di risorse Mortal Kombat arrivò a costare il doppio rispetto agli altri cabinati da sala giochi. Venne ripreso un certo appeal da Pit-fighter, Boon e Tobias rielaborano un po' la tecnica e fecero sembrare gli esseri umani digitalizzati qualcosa di meno simile a delle scimmiette salterine in bianco e nero. Certo a dirlo oggi sembra strano, ma vedere su un cabinato delle scene di presentazione che sembravano uscire da un film, anche se in definizione laidissima, per l'epoca era roba da orgasmo multiplo. E Mortal Kombat ce le aveva! E pure "attori veri!!".


Soprattutto decisero di ficcare dentro al loro titolo, oltre a questo "digitalume" (per certi aspetti anche amabilmente trash),  un marasma di roba nerd citazionista che guardava ai film di Bruce Lee quanto a Grosso Guaio a China Town, Predator, tanto Van Damme e Michael Dudikoff. Tutta roba che Quentin Tarantino e in genere ogni ragazzo cresciuto negli anni '80 poteva volere da un intrattenimento digitale  in ambito di sesso, droga e rock'n'roll. Nasceva così una roba psichedelica e ultra-splatter che ambiva a collocarsi permanentemente nei cuori come gli amati film horror vietati ai minori che trasmetteva su Italia 1 lo Zio Tibia dopo Festival Bar. Se il rock'n'roll e la droga erano rimpiazzate/surrogate dal furioso ritmo di gioco e dall'atmosfera mistico-psichedelica, di sesso non ce n'era però ancora tantissimo, in quel del 1992. C'erano una masnada di uomini, alcuni mezzi nudi, ma di donne giusto una "eccezione meritevole", inserita all'ultimo per evidente mancanza di genere femminile (si racconta che per introdurre il personaggio si sacrificò "Stryker", che esordì solo in Mortal Kombat 2).


Il principale personaggio femminile del picchiaduro, Sonya Blade, era ispirata nelle forme e pose all'attrice marziale Cynthia Rothrock. Con quella specie di tuta da palestra alla Jane Fonda che indossava, era decisamente diversa e "interessante" (personalmente non la trovo nemmeno troppo "sessualizzata") rispetto a quelle "combattenti mezze nude" che già imperversavano in altri giochi di combattimento (in realtà pochissime e per lo più pure loro copertissime). Con  Mortal Kombat II, del 1993, arrivarono come rappresentati del gentil sesso le più "scoperte" donne-Ninja. Le mitiche Kitana, Meelina e Skarlet.


Non è che potevamo parlare ancora quindi di "donne troppo scoperte". In compenso in Mortal Kombat 3 nel cast femminile trovarono posto anche la quasi punk-Queen, un po' milf e un po' Crudelia, Syndel, ma soprattutto la mitica Sheeva. Sheeva era una guerriera della razza Shokan, a cui appartenevano altri storici personaggi della storia di Mortal Kombat, Goro e Motaro. Erano creature primitive e muscolose, con 4 braccia, tre dita per mano, aria cattiva. Erano combattenti tostissimi, che andavano in giro mezzi nudi come i barbari dei racconti fantasy. Sheeva era il primo Shokan ad essere giocabile, gli altri in sala giochi ti picchiavano e basta, in genere picchiavano molto duro. Non si poteva usare Sheeva nelle versioni console perché era un personaggio troppo difficile da convertire (e in effetti l'home computer gaming all'epoca era un piccolo martirio). Se Goro e Motaro erano un inno e omaggio alle creature fantasy dei film di Larry Harryhausen, pupazzi realizzati con l'animazione della tecnica passo a uno, pur mantenendo una certa cifra "grottesca" Sheeva risultava una figura femminile molto sensuale, una specie di culturista dal corpo sproporzionato ma armonioso e attraente, anche grazie al generosissimo e striminzito costumino che ne copre del corpo giusto nelle parti più intime. Ma sarebbe stato strano vedere Sheeva vestita diversamente, gli Shokan hanno una visione della moda tutta loro



Arriviamo all'era del "primo 3D" di Mortal Kombat. Messe in soffitta le foto e filmini di modelli e pupazzi, Boon e socio sperimentarono i primi rudimenti di picchiaduro in 3D. Il focus era ancora sulla valorizzazione dei movimenti del corpo (probabilmente grazie al motion capture), lo sviluppo dei vestiti non permetteva ancora particolari raffinatezze e si limitava quindi a completini molto aderenti o squadrati male, con pochi elementi di vestiario adatti a essere mossi dall'azione legata al combattimento. Visivamente i personaggi maschili erano un po' inquartati in goffe armature decorative (che nascondono goffe articolazioni), mentre i femminili erano tutti molto simili, un po' standardizzati/stereotipati e cartooneschi nelle forme, ma avevano comunque quella sensualità da Lara Croft prima maniera, che su qualche rotondità di fatto indugiava, giocando sulla fluidità delle animazioni ma anche sulla sinuosità della colorazione metallizzata dei (pochi) completini con cui erano vestite. È da qui che Mortal Kombat è sempre più diventato uno scenario ideale per vedere belle ragazze digitali in costumi da bagno più che in vestiti adatti alla lotta. La bella "Ninja verde" Jade, con il suo costumino striminzito, guanti e stivali con tacco e vezzoso mascherino ninja  era in pratica una combattente con l'animo della lap-dancer ultra sexy. E il palo da lap-dance era la sua arma.


Da qui Mortal Kombat, complice se vogliamo la difficoltà di creare al meglio i tessuti dei vestiti femminili dei personaggi 3D (evitando cose grottesche alle volte come le gonne che sembrano "origami"), ha in effetti un po' sessualizzato soprattutto le sue ninja (al netto di una laracroftizzazione che ha toccato pure la tenuta militare di Sonya). Che poi le Ninja sono già di loro personaggi super sexy in tutti i picchiaduro, compresa Ibuki di Street Fighter che peraltro usa vestiti molto più castigati. 
I comandi di gioco in ambiente 3D risultarono alla fine un po' scomodi, la voglia di sbattersi nel fare un buon gioco andava e veniva, con l'impressione generale che si lavorasse un tanto al chilo. A un certo punto in Mortal Kombat si arrivò non si sa come, a programmare come extra del gioco principale roba come quella qui sotto documentata.



Oltre al super go-kart, brutti spin-off di genere action adventure che ho i brividi anche solo a citare. Tutto crollò a picco, Tobias andò per altri lidi, Mortal Kombat andò in stand-by fino a che si apprestò a rinascere a nuova forma con un nuovo investitore.
Si arrivava al nuovo corso di Mortal Kombat, con il capitolo "9" del 2011, con alle redini solo Ed Boon che si ergeva a capo del nuovo studio "Netherrealm", per la produzione di Warner Bros Interactive Entertainmant. 
Ora la tecnologia 3d riusciva a creare oltre che modelli 3d più convincenti anche figure femminili meno stereotipate e più simili alle attrici digitalizzate dei primi episodi. Ora gli sfondi abbandonavano una impostazione tridimensionale libera (diventando subito così dettagliatissimi e meno confusionari da affrontare), scegliendo le "2 dimensioni e mezzo" che sposavano appunto il 3D dei personaggi e sfondi con movimenti e meccaniche più legati ai giochi di combattimento 2D. Potevano quindi essere  in qualche modo ri-considerati i personaggi femminili, ora che la tecnologia permetteva maggiori dettagli, compreso il fatto di animare in modo dinamico gli effetti sui corpi e vestiti di ogni colpo e taglio? O le "Ninja in bikini" ormai erano standard accettato e selling Point di Mortal Kombat quanto le fatality splatter e il contesto da b-movie fantasy? Nel dubbio, Ed Boon e soci presero questa strada...



Skarlet era davvero "Mortal Kombat all'ennesimo potenza". Un personaggio tanto splatter (in pratica è "fatta di sangue vivo") quanto sexy (micro - bikini rosso fuoco, il vestito più sexy fra tutti nella serie). Sembrava ancora più convincente come "stripper combattente" di quanto lo fosse Jade nei primi Mortal Kombat 3D. Forse per via della fatality che faceva tanto Flashdance.
In quel periodo Warner Bros Interactive, dopo l'ottimo rilancio di Batman Arkham Asylum realizzato da Rocksteady Interactive, del 2009, si stava riscattando da una carriera produttiva un po' moscia, giochi branderizzati Lego a parte. Aveva investito tantissimo sul rilancio di Mortal Kombat, già dai primi trailer e demo era evidente lo sforzo e la qualità produttiva, di sicuro puntava a preservare il brand come lo conoscevano i fan. Poi arrivò Injustice, sempre commissionato a Boon e al suo NetherRealm, un "Mortal Kombat senza sangue e senza donne svestite con protagonisti i personaggi dei fumetti DC Comics". Un'idea che non andava troppo lontano dall'interessante (ma criticato già allora per assenza di sangue e "tette", per usare un termine tecnico) "Mortal Kombat vs DC universe" del 2008, prodotto da Midway sotto le mani di un Boon ancora già nel ruolo di leader del gruppo di sviluppo interno. Ma un'idea che si aggiornava al motore del Mortal Kombat del 2011, visivamente anni luce in avanti. Era inevitabile il successo. Da allora Boon a periodi alterni si è occupato di nuovi capitoli di Mortal Kombat o di Injustice e quindi diveniva progressivamente inevitabile che i due brand iniziassero ad avvicinarsi sempre di più anche a livello concettuale. Se lo storytelling di Mortal Kombat ha abbracciato anche la prospettiva dell'incontro "generazionale" (sviluppando il buon seme narrativo proprio di Mortal Kombat vs DC Universe, già approcciato ulteriormente in Mortal Kombat 9), presentando sullo sfondo dei combattimenti le vicende di genitori e figli impegnati nella eterna lotta tra bene e male (che è uno dei cavalli di battaglia classici dei fumetti DC Comics), era inevitabile che qualcosa di Injustice influenzasse anche Mortal Kombat. Anche perché, svelando l'inevitabile velo di ipocrisia, al di là della differenza di target di utenti cui i due prodotti sono formalmente destinati secondo il visto censura che sfoggiano in copertina (Mortal Kombat "vietato ai minori", Injustice "per tutti"), i giocatori di entrambi i prodotti sono gli stessi. E Warner Bros ovviamente sa questa cosa e ci gioca, come nell'ultimo film su Shazam, dove il "supereroe bambino" come primo atto di "essere diventato grande" gioca con un suo amichetto a Mortal Kombat (siamo lontani dai tempi in cui Renato Pozzetto, in Da grande, come segno di essere diventato adulto voleva "Il Lego grande"). 
E torniamo a Skarlet, personaggio fatto di sangue, bikini e pelle gioiosamente, spudoratamente esposta... vediamo come appare da Mortal Kombat 9 al nuovo Mortal Kombat 11  uscito il 24 di aprile di questo 2019. Vediamo il suo nuovo "set di vestiti" selezionabile, giusto per vedere se nel suo camerino ha ancora stivali rossi e micro-bikini allegato...


C'è da dire che dal 2011 al 2018 il passo in avanti nella modellazione dei corpi, vestiti e volti, è pazzesco. Skarlett sembra una attrice vera, con tratti etnici e somatici riconoscibili, forme realistiche e un suo preciso carattere e sex appeal. Tuttavia i vestitini e bikini sono spariti del tutto in ragione di abiti ultra-coprenti. Allo stesso modo con cui il vestitino sexy di Miss Marvel si è trasformato nel competo quasi integrale da motociclista di Captain Marvel nell'ultimo film Marvel-Disney. Oggi presentare personaggi femminili con troppi centimetri di pelle esposta è "male". E ciò che si può dire per la nuova caratterizzazione di Skarlet vale per tutte le donne di Mortal Kombat 11, per una scelta motivata dal produttore stesso, nel senso di creare "figure femminili più reali e meno stereotipate". La cosa può forse sembrare ancora più strana, se vediamo come i personaggi maschili siano tuttora rappresentati da parecchi uomini mezzi nudi. 
Niente sesso, "siamo moderni".
Se nasceva fieramente come "piacere proibito per adulti"  (che poi non erano cosi adulti), Mortal Kombat sta ora passando "dalla serie b alla serie a" anche a livello di contenuti. Si sta "laccando", sta diventando mainstream e quindi cerca di essere più accettabile per tutti. Anche perché condivide sempre più personaggi con Injustice (che usano più la magia che le mosse splatter). Così le combattenti digitali sono corse a coprirsi di corazze di foglie di fico, aspetto che per me non pesa forse troppo, perché il Mortal Kombat degli inizi aveva appunto una sessualità piuttosto blanda. Certo posso capire che la cosa pesi su quanti sono cresciuti con le versioni di Mortal Kombat più scollacciate, è in effetti una censurata questa nuova visione del brand, oltre ovviamente che una modernizzazione. 
MA è un altro l'aspetto di Mortal Kombat che presto credo sarà soggetto di modernizzazione più profonda: la componente splatter dei combattimenti. Da sempre il gioco presenta delle mosse finali, le cosiddette Fatality, con cui è possibile letteralmente fare a pezzi l'avversario sconfitto, nei modi più perversi ed eccentrici possibili. Da quando le storie che riguardano lo sfondo dei combattimenti di Mortal Kombat, (dal capitolo 10 per l'esattezza, il capitolo che ha seguito il primo Injustice) hanno iniziato a mettere sul ring genitori contro figli (o fratelli contro fratelli), per molti giocatori è iniziato a sembrare sempre più inaccettabile che tra personaggi con questo legame si potesse di fatto realizzare, pur per finta, pur per gioco, pur in modo de tutto opzionale e non necessario, una Fatality. Allo stesso modo, in questi giorni YouTube sta oscurando, con la richiesta obbligatoria di accesso ristretto ai maggiorenni per la visione, ogni filmato di Mortal Kombat 11 che riguarda l'esecuzione di una fatality. Le fatality sono sempre più scomode. E Injustice (sempre più la Coca zero di Mortal Kombat) è lì, con le sue "mosse finali non violente" a dare una risposta al possibile contenimento di questo ulteriore aspetto caratterizzante di Mortal Kombat. Il passo da fare è breve e fattibile, probabilmente sarà pure indolore. Ma in questo modo un altro tratto esagerato quanto specifico di Mortal Kombat andrà, prima o poi, a cadere. Presto un gioco di Mortal Kombat avrà molto più in comune con i film di supereroi che con i film action del passato. Non che vedere Subzero che estrae da un nemico sconfitto la colonna vertebrale abbia un profondo valore simbolico, formativo o filosofico, bene inteso. Era solo un'amabile stronzata che richiamava al film Predator (Predator che oggi è un personaggio extra di Mortal Kombat XL, da citazione è diventato "cover autorizzata"). Forse presto genitori e figli giocheranno insieme a Mortal Kombat, mentre noi quando eravamo piccini facevamo una fatica boia a nascondere quel "gioco proibito" dagli occhi dei nostri genitori. Perché quel gioco era "nostro" quanto proibito, come svegliarsi di notte, bere coca cola e stare a vedere un horror fino alle due del mattino. Roba da ragazzini. E qualche madre al posto di comprarci quel gioco, ha pure tentato di limitare la nostra "violenza interiore e voglia di essere adulti", propinandoci un gioco di golf


Altri tempi. Forse.
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