venerdì 31 gennaio 2014

Dragonero vol.8 “Il fascino del male”



Ian e Gmor giungono a Merovia, ricca cittadina tra le lande montuose della catena del Suprelurendal. La missione è fare luce su strane sparizioni avvenute nei pressi delle vie mercantili, probabile opera di alcuni ghoul. Accertati i fatti ed eliminata la minaccia, i ricchi commercianti meroviani potranno tirare un sospiro di sollievo, ma perché nel mentre evitare di darsi un po' di lustro? Così il nostro esploratore preferito viene messo virtualmente sotto il comando di un rampollo locale dal curriculum un po' ”pompato” e una piccola pattuglia meroviana parte in missione esplorativa sulle tracce dei ghoul. La missione pare essere una passeggiata in tutta tranquillità, fino a che il nostro manipolo di eroe si avvicina a un isolato avamposto abitato da gente molto impaurita e poco ospitale. Il nemico forse si nasconde nei pressi del loro isolato maniero e potrebbe pure essere un nemico ben più temibile di un paio di zombie...

Quella del numero 8 di Dragonero è una avventura one-shot autoconclusiva, piuttosto gradevole e ben gestita. Anche in questo caso il fatto di avere in scena solo Ian e Gmor aiuta a rendere rapidi e concisi gli eventi e allestire ottime scene d'azione. L'orco rimane ad ogni modo il personaggio più incisivo e le scene che lo riguardano sono le più riuscite e godibili. Sia che Gmor debba fare i conti tutti i giorni con la sua natura di orco-disfunzionale oppure debba semplicemente far roteare la sua enorme ascia, l'eroe verde spacca e catalizza tutto l'interesse del lettore. Ian d'altro canto possiede un passato nebuloso e delle doti belliche nascoste e sproporzionate che rendono difficoltoso immedesimarsi in lui. Nei rapporti interpersonali è sempre messo su un piedistallo alla stregua di una divinità, adorata dagli uomini e di sicuro colpo sulle donne (siano bambine, anziane, umane, elfe, pure suore o in parte creature vegetali) nei combattimenti risulta essere “troppo” determinante, al punto da risolvere le situazioni più intricate in pochissimo tempo. Fortuna che c'è Gmor. Il resto dei comprimari è piuttosto funzionale ma non banale, mentre il lato forte di questo numero si dimostra nuovamente l'ambientazione. Vietti dimostra una cura davvero certosina nella descrizione di un mondo sfaccettato e credibile, definendo con precisione personaggi, bestiario, usi e costumi differenti per ogni diverso territorio. Questo lo si apprezza in tanti piccoli dettagli della trama, gestiti con leggerezza e mai tediosi, che vanno a formare un quadro di cui ci sentiamo sempre più partecipi. Sembrerà cosa da poco, ma già con il numero 8 inizio a riconoscere glifi magici, rimembrare alleanze tra ordini (come quello tra le suore guerriere e i Luresindi), comprendere le diversità di armamento (tra scout, soldati e guerrieri orcheschi), perdere tempo nell'osservare mappe (esamino le mappe locali, le confronto con la mega-mappa e valuto l'esatta coerenza con l'ambiente effettivo). Mi sta “prendendo”, decisamente. I disegni di Antonella Platano sono molto belli e tengono alta la media grafica dela serie. Mi sono piaciute molto le scene d'azione, caratterizzate da spiccato dinamismo, così come belli sono gli scenari, dove fa ampio uso di chiaroscuri e dipinge ambienti particolarmente ricchi di dettaglio. Qualche sporadica incertezza tuttavia l'ho denotata in un paio di disegni con al centro Ian nelle prime pagine, ma sono peccati assolutamente veniali e la caratterizzazione dei personaggi rimane del resto sempre solida ed appropriata, con una autentica punta di eccellenza nelle scene in cui appaiono i mannari e soprattutto la driade.

Dragonero prosegue più che bene il suo cammino editoriale, accrescendo di numero in numero l'interesse. 
Talk0

martedì 28 gennaio 2014

Lo sguardo di Satana – Carrie

Un remake senza palle

Sinossi. Carrie sta diventando grande. Il suo corpo si sta sviluppando, inizia a provare sentimenti, pulsioni e paure nuove, da bambina sta diventando donna. Soprattutto per le donne tale cambiamento fisico può essere traumatico e doloroso, anche perché accompagnato dal sangue, elemento con il quale dovranno convivere, accettare. Carrie nel modo più umiliante possibile, in pubblico, scopre che anche il suo corpo perde sangue e non ancora ripresasi dal trauma (anche perché la madre per nulla l'ha preparata a una simile evenienza), viene derisa dalle sue compagne, giudicata immatura, sfigata. Poiché anche le sue compagne, pur da poco anche loro, sono diventate donne e al contempo pure stronze, da quel momento Carrie è bersaglio delle loro angherie per puro sadismo. Carrie che si veste in modo strano, Carrie che ha paura di tutto, Carrie la racchia decerebrata. 

Roba che solo a pensarci provoca l'orgasmo alle bulle. Se la scuola fa schifo a casa non va meglio. La madre (Julianne Moore) è severa se non addirittura folle, anche per via di alcune stranezze avvenute alla nascita della figlia. Una megera ultra-religiosa che vede il male, il peccato, ovunque e ora che la figlia è cresciuta è pronta a darle della sgualdrina sulla fiducia. Tra tanto putridume umano,Carrie trova in un'amica un po' di pace e serenità (non tutti sono stronzi a questo mondo). Una compagna di classe davvero sembra tenere a lei e ne scopre la gentilezza, la bontà d'animo, il sorriso. Ma il mondo va per il verso storto e il famoso ballo di fine anno, la massima occasione americana per celebrare la gioia dell'adolescenza prima dell'età adulta, sarà il massimo scenario per la burla definitiva, lo scherzaccio davvero cattivo ai danni della ragazza bruttina, escogitato da chi al posto del cuore (sarà pure per il caos ormonale) ha solo un pezzo di merda. Ma forse le cose non andranno come pensano i burloni. Sarà il momento di un nuovo cambiamento estetico e morale per Carrie. Anche in questo caso, ci sarà del sangue.
Un film culto tratto da un romanzo acerbo. Nel 1976 il grande Brian De Palma prendeva il primo romanzo di Stephen King e lo riadattava-tradiva per il grande schermo. Come nel caso di Shining, riadattato-tradito da Kubrick, il risultato finale fu diecimila volte meglio del testo di partenza. King scriveva di una ragazzina che con l'adolescenza scopriva di essere in grado di controllare dei poteri telecinetici, percepiti dalla madre come attività demoniaca. A scuola la bulleggiavano fino a che i poteri esplodevano e la nostra bimba distruggeva mezza città. King ci va giù rozzo, allestendo divertenti festini di sangue e personaggi stereotipo cattivissimi come solo lui sa fare. Ma manca ancora dell'esperienza per farci empatizzare con i personaggi, spara tutto sull'azione. De Palma è più sottile, dice e non dice relegando i fenomeni paranormali a quelli che appaiono all'inizio come piccoli incidenti, descrivendo al contempo una madre esagitata ma che non guardava alla figlia come a un mostro. Una madre che potevamo immaginare essere stata a sua volta vittima di violenza e che per effetto di paura e misticismo voleva preservare da tale sorte anche la figlia. I poteri di Carrie sono poi legati a doppia mandata con la scoperta della sessualità e relativa perdita dell'innocenza. Il mondo dei bambini è finito, siamo nella terra degli adulti ma non siamo soli, abbiamo delle armi con cui sopravvivere. É lo stesso concetto di Spiderman, solo che Spiderman non ha una madre che conosce i suoi poteri e lo accusa di essere l'Anticristo al punto da fargli pensare che potrebbe pure essere vero. Le scene di nudo sotto le docce della scuola all'inizio del film racchiudono magistralmente tutto il significato della pellicola di De Palma, il cuore-anima del film, il momento topico-cult-irrinunciabile. 
Vediamo corpi di donne acerbe che sorridono coperte dai fumi dell'acqua calda, quasi fossero ninfe, mentre la musica ha quasi un tasso erotico, ammiccante. Anche Carrie (Sissy Spacek) è nuda, così come tutte le compagna, bulla compresa (Nancy Allen, che rivedremo buona e redenta in Robocop di Verhoeven). Carrie è bruttina, dall'aria ancora acerba, ma sotto l'acqua è molto sensuale e sembra si trasformi in adulta. Poi mentre si insapona scopre che ha le mani sporche di sangue, scopre che è il suo corpo a perdere sangue. Non ha chiaro quello che succede ma pensa subito agli ammonimenti della madre, al peccato, alla sporcizia. Carrie si sente improvvisamente nuda, la musica si spegne e sentiamo solo le risate delle compagne di classe, vediamo che tutti gli sguardi sono su di lei, per prenderla in giro. Qualcosa si rompe allora nella testa di Carrie e noi viviamo realmente questo stato d'animo, anche se siamo maschi, non abbiamo mai avuto le nostre cose ed essere circondati da ragazzine nude in una doccia in genere non lo considereremmo un incubo. Il film segue nella desolante autodistruzione della ragazza ma noi, già dai primi minuti, siamo con lei, pietrificati da quanto il mondo sia cattivo con lei. Ne scaturisce un film magistrale e indimenticabile.
Aneddoto-gossip.pettegolezzo. Fornito da http://www.cineblog.it/post/31947/stasera-in-tv-carrie-lo-sguardo-di-satana-23-curiosita-sul-film-horror-di-brian-de-palma Sissy Spacek è perfetta per la parte, bruttina, ingenua, tenera e all'occorrenza spaventosissima. Ma il ruolo doveva in origine essere di Carrie Fisher, che rinunciò al ruolo proprio per via delle scene di nudo. Scene sulle quali evidentemente il regista non voleva cedere. Su questo punto torneremo tra poco.
Il remake. E ora passiamo a questo remake. Io non sono contrario a reboot o remake, anche perché se lo fossi attualmente andrei al cinema due volte all'anno. In genere il prodotto originale lo preferisco, ma ci sono casi in cui addirittura apprezzo maggiormente il remake, tra cui Millennium e The Ring. Sul fatto poi di fare un'opera-fotocopia dell'originale sono ugualmente ben disposto, ho apprezzato Psycho di Gus Van Sant e noto che a teatro sono soliti rappresentare più volte lo stesso racconto senza che nessuno si lamenti (anzi apprezzando che si sforza a essere bravo, strana gente). Non sentivo l'esigenza di un nuovo Carrie, vuoi remake, vuoi reboot, vuoi fotocopia, ma tuttavia l'idea non mi dispiaceva. Anche perché i produttori hanno sbandierato da subito di volersi ispirare a De Palma più che al testo di King, che a me ricordava più un b-movie anni '70 che un horror. Come chi ci segue avrà già letto, nel post in merito al primo trailer di questo film, io ero decisamente entusiasta tanto per la scelta di Kimberly Peirce alla regia, tanto per il ruolo di Carrie assegnato a Chloe Grace Moretz che per quello della madre assegnato a Julianne Moore. Una regista che in "Boys don't cry" aveva già messo a nudo le fragilità femminili in modo struggente, su Carrie un'attrice giovanissima in grado di dimostrare vulnerabilità ma anche grinta, sulla madre un'interprete di peso, mai banale. Certo lo sceneggiatore Roberto Aguirre-Sacasa ha in precedenza scritto Big Love che mi ha fatto sinceramente ribrezzo oltre che frantumarmi i coglioni (roba da desiderare di entrare nel telefilm con una mitragliatrice e fare una strage) e Glee (ma qui, non amando troppo questo tipo di opere, mi astengo da valutazioni), ma chissà mai...

Ora, io davvero non so, non capisco. Sulla fiducia voglio scaricare la colpa di questa operazione sui produttori e sugli agenti degli attori. Perché non riesco a concepire in altro modo come siano potute essere prese scelte tanto sbagliate per “omaggiare il capolavoro di De Palma”. Credo che con un paio di esempi tipo riesco magari a spiegarmi.
Prima scena del film, scena assente nella pellicola di De Palma e sinceramente che non mi ricordo essere o meno nel libro. La nascita di Carrie. Senza spoilerare, è una scena che mette subito chiaramente in luce i poteri paranormali della bimba e definisce l'atteggiamento futuro della madre nei suoi confronti. Cade il senso di impalpabilità del male, cade il discorso dello sviluppo del corpo nell'adolescenza unito alle insidie del peccato. Tutto è chiaro, scontato, fin da subito e il personaggio della Moore non può che essere di conseguenza peggiore e senza ritorno, un nemico già delineato, scontato, cui l'attrice dona un esagerato corredo di pose inquietanti per salvare il salvabile e dare un senso alla dicitura “Horror” della pellicola . Inquieta, ma davvero non ha senso, è troppo sopra le righe, un cattivo da fumetto. É molto più umana la Madre di “Mama” di Muschietti.
Scena due, che poi sarebbe il remake della scena della doccia di De Palma, l'apertura della pellicola originale. Qualcuno può dirmi perché in una doccia non c'è nemmeno una ragazza nuda? Perché sono tutte in costume da bagno? Sento già le vocine: “Talk0, se vogliono vendere questo film anche ai nuovi amanti dell'horror, le ragazzine di Twilight, non possono coprire di zinne le inquadrature!” oppure: “Ma Talk0, Cloe Grace Moretz è a inizio carriera, se le fai vedere le zinne al giorno d'oggi la relegheranno solo ai telefilm porconi della HBO e non potrà ambire a fare La bella addormentata contro il drago di fuoco!!”. E invece no cacchio!!! Aver tolto il nudo qui è non aver capito uno stracazzo di nulla della pellicola di De Palma. Era una scena di nudo non gratuita, ragionata, essenziale che dava un tono ben preciso a tutta la vicenda. De Palma defenestrò la Fisher per non aver accettato questo dettaglio. Spulciando in rete ho trovato interviste della Moretz che suonano tipo: “Abbiamo deciso, di comune accordo con la regista, che non era necessario calcare la mano anche sul nudo, ritenendo che il film avesse già sufficienti elementi...”. La Peirce, che ricordiamo ha girato per “Boy don't cry”, un'altra forte scena di nudo non gratuito (quello dello stupro della protagonista, lesbica, da parte di un branco), qui immaginiamo sotto il tiro incrociato di produzione e agente della Moretz (che peraltro nonostante tutto è messa già da trucco e parrucco troppo figa per rappresentare una ragazza bruttina e dissociata), ha così abbattuto la colonna portante, il senso della pellicola originale.
Sono Carrie, la ragazza bruttina...emh...
Non siamo nemmeno a dieci minuti di film che le pulsioni sessuali, i dubbi mistici e il disagio giovanile da brutto anatroccolo in un mondo cattivo e “bellissimo” li abbiamo già persi.
Cosa rimane. Un action-horror medio. Con effetti speciali che fanno sembrare la Moretz figlia di Magneto, ben gestite scene splatter, persino un paio di tette quando non servirebbe a niente mostrarle. La Moretz è abbastanza in parte, ma fallisce miseramente nel sembrarci un cesso a pedali. É gnocca, troppo, anche se cerca di camminare storta e si pettina con un frullatore. Se voleva poteva pure essere imbruttita, vedi la Theron in Monster, e la resa sarebbe stata ben diversa cosa. Ma dietro vedo troppo la logica di restare un certo tipo di personaggio, senza mettersi troppo in gioco. La Moore è così esagerata da essere quasi comica. Il resto è poco significativo. Pure il finale è una versione moscia di quello originale.

Insomma, se non conoscete l'originale magari lo vedete pure e schifo non fa, qua e là diverte e il giorno dopo magari lo dimenticate. Ma se conoscete l'originale e tutto il potenziale disperso in questo remake, un pochino male ci rimanete. Se la Moretz avesse avuto le palle di mettersi a nudo (e non parlo solo di tette), se la sceneggiatura non fosse stata così stupida da togliere tutto l'alone di mistero e misticismo del film originale. Troppi se. 
Talk0

lunedì 27 gennaio 2014

Orfani vol 4 – Spiriti nell'ombra


Sam è dovuta crescere troppo in fretta. Più piccola degli altri orfani, ha subito maggiormente la perdita della famiglia e degli affetti, divenendo negli anni una persona instabile resa ancor più pericolosa dagli esperimenti genetichi che ne hanno fortificato il corpo. Sam è così diventata “la mocciosa”, un soldato letale che si muove come un fantasma, una ragazza sola e ombrosa che non accetta qualsiasi tipo di affezione o contatto fisico. L'unica persona che in qualche modo era riuscita a superare la sua corazza emotiva era Ringo, ma Ringo è ora disperso sul pianeta alieno e una missione di recupero è così difficoltosa che viene scartata sul nascere. Gli ufficiali parlano pertanto già di perdita accettabile. Vinta una crisi di nervi, la Mocciosa è però nuovamente in forma, pronta ad affrontare una nuova missione sul campo. Gli scienziati forse hanno scoperto qualcosa sulla razza aliena degli “spettri” e stanno allestendo armi in grado di ribaltare le sorti del conflitto. Armi che però devono essere allestite sul pianeta alieno, motivo per cui gli Orfani forniranno la scorta.
La missione si rivelerà più difficile del previsto. Ma quando tutto sembra perduto ecco che davanti alla Mocciosa ricompare, misteriosamente il Pistolero.

Siamo gli alieni squali gommosi ... 
Nuovo numero degli Orfani e decisamente l'episodio migliore della serie. Il personaggio di Sam è complicato, vive in bilico tra tenerezza e pazzia e scrivere una storia su di lei è impresa meno facile che sulla carta. Recchioni la sviluppa al meglio, regalandoci un personaggio davvero bello e affascinante, decisamente non convenzionale. A questo si aggiunge una narrazione delle vicende ancora più corposa e approfondita del solito, con molte pagine deputate a dialoghi e approfondimenti sul mondo alieno e il misterioso programma Ospiti che effettivamente espandono e ci rendono più stimolante l'ambientazione. I disegni opera di Dell'Oglio e Cavenago, per i colori di De Felici, mi piacciono moltissimo. I personaggi giovani sono ritratti in modo valido, non snaturando le linee guida base, ma arricchendo il tratto con una gamma espressiva accattivante che in qualche modo si ispira a Tomino. I personaggi adulti sono tostissimi e richiamano sempre ai comics americani per dettaglio e solidità. A sorpresa trovo molto belli anche i veicoli militari e pure gli alieni, da sempre anello debole dell'operazione, riescono a essere molto più fighi e accattivanti del solito. Si può dire che dagli orsetti gommosi siamo passati agli squaletti gommosi, che sono comunque più fighi. Non servirebbe altro, quando ecco che ci troviamo davanti ad ambientazioni molto ispirate e dettagliate, impreziosite da stupendi effetti grafici e climatici. La serie, pur lentamente, sta iniziando ad ingranare. Per la gioia di Gianluca segnalo che Orfani sarà pubblicato anche in volumi extra lusso da libreria da Bao Edizioni. Ogni volume sarà con pagine patinate, molti extra grafici e aggiunte in appendice e ospiterà tre episodi della serie regolare. Il prezzo di questa deluxe edition è sui 28 euro. Motivo per cui Gianluca credo non se la farà davvero scappare...
Talk0

domenica 26 gennaio 2014

Space Dandy

Su Popcorntv by Dynit!!! Più un breve cazzeggio, scritto malino, sulle opere di Watanabe...


Letteralmente a tempo di record, con la messa in onda giapponese veramente a un paio di giorni di distanza, su PopcornTv grazie a Dynit potete godervi in tempo reale, una volta a settimana, la nuova fichissima serie di Watanabe, realizzata per l'occasione dall'eccelso studio Bones. Eccovi il link diretto! L'anime è completamente gratuito e sottotitolato in italiano. E un paio di puntate dovreste già trovarle


Ma chi è Watanabe?

1) Breve cazzeggio. Potete saltare al prossimo punto e nessuno si fa male. Cowboy Bebop, Macross plus, Gundam 0083, Samurai Champloo. Shinichiro Watanabe è l'uomo dietro a queste bellezze. Cartoni animati adulti, in giappolandia trasmessi il fascia tardo-serale, strambi miscugli musicali accompagnati da animazioni estreme, esagerate. Piccoli mondi ipnotici in cui perdersi, dove spesso si scopre che la trama del singolo episodio, così come logica e morale delle azioni dei nostri protagonisti non sempre ci sono chiare fino in fondo. Ma in ogni caso per vivere sereni queste esperienze visive non ci occorre altro che rimanere imbrigliati nel ritmo, spalancare occhi e orecchie e goderci il viaggio. Anche perché, opinione mia personale, difficilmente in ambito musicale quanto grafico si può trovare di meglio delle opere di Watanabe.
Ho detto che è bravo, non bello...
Macross plus rimase a lungo un oggetto misterioso della collana Mangavideo, etichetta inglese con cui la fu Dynamic Italia intesse qualche importante importazione (roba anche pensante, mi viene in mente l'estremo Megalopolis così come La città delle bestie). Il nome era un eco del passato, la gloriosa serie sulle idol e i combattimenti spaziali che conoscevamo come la prima parte di Robotech. Roba che a ricordarla ci si gasa. Roba che a riguardarla è effettivamente un'insostenibile telenovelona con lui che ama lei che ama però di più un'altra che è più simile a lui. Altro che robottoni... pare "É quasi magia Johnny"... Non che non guardassi pure io Johnny e commediacce sentimentalose come "Touch" o "Prendi il mondo e vai", ma di robottoni in Macross se ne vedono comunque troppo pochi per considerarlo un epigono di Gundam. Ma vuoi i caccia trasformabili, l'SDF1, che figata che era Macross. Quando Macross Plus giunse da noi, un paio di anni dopo che avevamo già visionato il divertente e poco più Macross 2, era semplicemente il top dell'animazione dell'epoca ma non solo. L'opera di Watanabe aveva ritmo da vendere, una colonna sonora pazzesca e non tradiva la linea sentimentale tanto cara agli appassionati della serie, pur infarcendo tutto con esaltanti battaglie spaziali. Già si notava il tratto grafico di riconoscimento delle opere watanabiane, un segno che con gli anni si è evoluto fino a divenire iconico. Mancava al piatto giusto una porzione in più di divertimento da aggiungere alla malinconia, che poi è l'esatta cifra stilistica delle opere di questo grande regista.

Così quando dallo spazio piombò su Mtv Italia Cowboy Bebop la gente se ne innamorò all'istante. Una fantascienza credibile dove il futuro viene letto dagli sciamani nella sabbia. Astronavi che si preparano al decollo come barche che mollano gli ormeggi, un'atmosfera birichina alla Lupin, tante belle donne e tanti comprimari assurdi. Nemici spietati e poveri diavoli. Azione roccambolesca che mischia kung fu (addirittura coreografato con l'ausilio di esperti) con sparatorie alla John Woo. Betamax, cani parlanti, bambine congelate e giovani maestre dei venti. Il destino, la pioggia, il sukiyaki senza sukiyaki. Lacrime. La storia di Spike e soci è tutt'oggi quanto di più fico l'animazione giapponese “adulta” abbia mai prodotto. Musica che di entra nel sangue, con pezzi così particolari e ritmati tra fusion e jazz che in animazione non si erano mai sentiti. Animazioni stupende, frutto di un modo nuovo di “riprendere” l'azione, tantissimi combattimenti che hanno addirittura goduto della supervisione di esperti di arti marziali, inseguimenti terrestri e spaziali, sparatorie con pallottole che deformano l'immagine e bucano lo schermo. Personaggi unici, trame fuori di testa. Una storia principale che c'è ma si nasconde tra le righe, cercando di coprire nella commedia il suo tragico, e che quando diventa importante, mentre si avvia la serie al finale, quando capite che state guardando una serie adulta e non è detto che le cose finiscano bene, è in grado di farvi piangere come vitelli. Capolavoro. Mancherebbe a coronamento una bella versione blu ray, ma Dynit ha in catalogo una versione dvd praticamente già allo stato dell'arte. L'animazione è Sunrise ed è al top. Dalle schiere di animatori che hanno lavorato a questo capolavoro sono nate realtà dell'animazione importanti come la Mad House e lo studio Bones. E sticazzi.
Champloo reppeggia con i samurai come Bebop jazzeggia con le astronavi. Non so perché. Ma Champloo non mi ha mai preso fino in fondo. Animazioni straordinarie, una coppia di protagonisti unica nel suo genere e della quale è facile affezionarsi, molte storie decisamente fiche. Eppure la scintilla non è scattata, non quanto con Bebop, al punto che non sono ancora riuscito a vedermi per bene la serie.
Esistono davvero!
Gundam 0083 l'ho scoperta da poco anche se cronologicamente è la prima opera importante di Watanabe. Il fatto è che la Dynit l'ha editata da poco in dvd e che anche se a metà anni '90 era possibile trovarla in versione “fumetto-rippato” in edicola, il prodotto costava un occhio. É una bellissima serie, caratterizzata già da un tratto sui personaggi riconoscibile, ottime animazioni. Un finale decisamente stronzo, roba da far prudere le mani, a tutt'oggi per me inconcepibile.
Niente, per me Watanabe sarà sempre Cowboy Bebop. E chi l'ha detto che sia poi un male...
Se avete Animatrix, date un occhio ai due corti realizzati da Watanabe, "Kid's Story" e "A Detective Story". Il primo corto è disegnato in modo pazzesco e colpisce come un tram negli occhi. Il secondo è malinconico e ricorda tantissimo le atmosfere di Cowboy Bebop.

2)Ed eccoci al nostro Space Dandy. Ho finora visto solo il primo e il secondo capitolo e devo dire che ne sono rimasto estremamente colpito e traumatizzato. Ma subito vi dico una cosa, è il prodotto più vicino a Cowboy Bebop che potrete mai trovare.
Il Dandy è un alien-hunter, in pratica un tizio che si guadagna da vivere scoprendo nuove specie aliene vagando di pianeta in pianeta. L'attività sarebbe pure redditizia, giornalmente vengono scoperte migliaia di nuove forme di vita. Ma Dandy non è esattamente il tipo che prende troppo sul serio il suo lavoro. Anche se si sforzasse, sarebbe comunque una persona che si dimentica all'istante di cose e persone con cui ha avuto a che fare un minuto prima, arrivando al punto di andare a sedurre una donna che di fatto aveva già incontrato la mattina senza minimamente collegare che fosse la stessa persona. L'astronave sulla quale si muove non è il Falcon o il Bebop, ma letteralmente un cesso a pedali fatiscente e quasi interamente da rottamare. La sua Robot assistente, QT , nonostante sia la persona più sensata del gruppo è in pratica l'incrocio tra un aspirapolvere e un robot giocattolo di modello stra-arcaico, al punto da non avere che una autonomia limitatissima. QT servirebbe poi per catalogare gli alieni, ma visto che i programmi di database di aggiornamento costano, la robottina può permettersi solo di comprare degli opuscoli cartacei da edicola.
Il nostro pigro eroe passa letteralmente la giornata a grattarsi le palle, disquisendo sulla superiorità estetica del culo in luogo delle tette (letteralmente), coltivando come massima aspirazione il sogno di vedere tutti gli strip-club dell'universo. Ma pure in questo è pigro, motivo per cui si rivolge sempre e solo al solito “tettificio cosmico” plurirazza (prendete il postribolo di Total recall, la cantina di Star Wars ed elevate a quadrato). Proprio nel suddetto “tettodromo” incontra Meow, alieno dalle caratteristiche feline anch'esso grande estimatore delle tette, con il quale metterà subito in piedi un sincero sodalizio. Meow sembra sapere molte cose, ma è ampiamente probabile che in fondo sia solo uno scroccone che vuole vivere sulla pelle di Dandy.
Mentre il nostro cazzeggia, nel cosmo è in atto una specie di maxi guerra galattica tra due fazioni, un conflitto che sta distruggendo tutto e tutti. Misteriosamente il commodoro Perry, una specie di teschio volante infuocato a capo dell'impero Gogol, sembra particolarmente interessato alla sorte del nostro Dandy, al punto da mettere sulle sue tracce il Dr.Gel, uno scienziato dalle fattezze schimmiesche al comando di un incrociatore che ha le fattezze della testa (sodomizzata) della statua della Libertà (Pianeta delle Scimmie, citaz. diretta). Il temibile Dr.Gel prende seriamente il suo lavoro, ma in fondo è un povero ottuso che si limita a cercare Space Dandy sul computer con la versione spaziale di google maps. Quando basterebbe aspettarlo al suddetto tettodromo.

Sì. La parola che state cercando è proprio “demenziale”. Questo Space Dandy è letteralmente il trionfo delle situazioni più assurde e ridicole che possiate immaginare. Il nostro eroe è tronfio, supponente e così cretino che c'è da non crederci ed è per giunta circondato da personaggi ancora più assurdi. Meow è un parassita, QT una specie di sorella maggiore senza alcun potere. La ciurma c'è, così come i comprimari sanno essere spiritosi e interessanti. Conoscendo Watanabe possiamo letteralmente aspettarci di tutto ma abbiamo già due certezze. Prima certezza. L'animazione è a livelli stratosferici, ultra-colorata e dettagliata, con personaggi amabili all'istante e un'azione visiva incessante e appagante. Lo studio Bones, noto prorio per avere avuto tra le file molto dello staff di Cowboy Bebop qui si vede a piena potenza ed è puro orgasmo visivo. Le musiche non sono da meno, anche se per questo progetto Watanabe ha preferito sonorità più classiche e meno riconoscibili. Seconda certezza. Fa sbellicare. Magari in modo grezzo (ma contenuto, si vedono gnocche in continuazione ma il tutto è molto soft e ironico), ma fa sbellicare dando sfoggio di tempi comici perfetti e di un umorismo davvero sano e comprensibile a tutti. L'idiotometro urla “Excel Saga” e anche solo nominare questo anime è questa stessa una gag in quanto l'autore di Excel Saga si chiama Watanabe, ma è un diverso Watanabe, Shinichi, che ad ogni modo approverebbe questo prodotto (Excel saga cit.) Viene in mente anche Gintama, ma lo humor qui è ancora più estremo.
Non vi parlo del finale del primo episodio, ma vorrei vedere le vostre facce dopo che lo avete visto voi. Anche perché all'inizio dell'episodio 2 tutto sembra calmo e tranquillo. Geniale.
Allo stato attuale è davvero arduo prevedere dove andrà a finire questo cartone animato. Conoscendo l'autore c'è da aspettarsi davvero di tutto, compreso il fatto che, senza che nessuno se lo aspetti, vengano intraprese anche trame di tipo drammatico, aspetto che già dal secondo episodio si può appurare. Anche l'umorismo è materia da maneggiare con cura e serie che facciano ridere davvero ce ne sono pochine. Noi ci sentiamo ad ogni modo di supportare questo Space Dandy senza sé e senza ma, ebbri delle maxi-risate che l'opera in una manciata di minuti è già riuscita a elargirci. E poi è gratis!!!
Spero che Dynit faccia cosa buona e giusta e si sia già accaparrata i diritti per l'adattamento in italiano e futura distribuzione home video. Se il buongiorno si vede dal mattino...
Talk0



sabato 25 gennaio 2014

The Raid 2

Il trailer dei trailer

Sappiamo tutti come è finito il primo Raid. Se ancora non lo sapete correte a recuperarlo al volo e sventrate il dvd. È oggi un nuovo giorno e l'eroe Rama (Iko Uwais) è pronto a tornare a dispensare calci a tutta la corruzione di Jakarta. Sembra che i boss del crimine si moltiplichino e alcuni vengano pure dall'estero a incasinare ulteriormente le cose. Rama dovrà infiltrarsi. Agire sotto copertura. Diventare un detenuto per avvicinare un importante personaggio della criminalità locale. E poi saranno botte. Botte uno contro uno, botte di gruppo, botte su auto veloci, botte nel fango, botte con mazze da baseball, botte con tizi vestiti da samurai, botte sulle scale mobili, botte al sushi bar. Un mare di botte. Botte come non ci fosse domani.
Direttamente dalla Merantau Films ecco il trailer che annuncia l'avvento del nuovo capitolo della trilogia delle trilogie del nuovo messia degli action movie. Che il palco internazionale sia nuovamente il Sundance Film Festival, che già tenne a battesimo il capitolo 1, è la riprova che per tizi come Ken Loach, Von Trier, Liv Ullmann, Van Sant e Kim Ki-duk è tempo di sloggiare. Basta film sulle paranoie esistenzialiste della middle class inglese, polpettoni sul sesso represso dove non si scopa, inquadrature di dieci minuti sulla bava di Von Sydow che sborda dalla bocca e panoramiche di trenta minuti su foglie morenti che si staccano dagli alberi in autunno. Sembra che finalmente Redford, dipartito il co-fondatore Newman, voglia fare cosa buona e giusta e trasformare il festival dei film altolocati e che un po' se la tirano nel festival del kung-fu mondiale. Certo ci vorrà tempo, ma un Raid oggi e uno domani...

Che dire di queste prime pazzesche immagini? Senza dubbio che, se ancora non lo avete fatto, dovete fiondarvi a comprare e visionare "The raid: redemption", da poco uscito in dvd e blu ray. Dopo di che non vi resta che rivedere e rivedere la suddetta pellicola fino a distruggere il lettore ottico casalingo, operazione che non vi costerà alcun sforzo (tranne il vil danaro per un nuovo lettore) perché vedere e rivedere The Raid, il miglior film action degli ultimi venti anni, vi risulterà naturale quanto respirare. Dopo di che tornate qui, rivedete il trailer sopra riportato e vi sentirete come se l'Italia avesse appena vinto, a metà gennaio, la Coppa del Mondo.
The Raid è essenziale, ruvido, spietato, frenetico, spettacolare, ipnotico e perfino un po' erotico (sempre in termini virili comunque). Questo sequel vuole fare e può fare di più e nel trailer c'è già tutto, il manifesto programmatico del film è tutto esibito e pronto alla contemplazione. Ecco un signor trailer e siamo certi che non si tratta di “tutto il meglio”, come capita spesso in molti film americani, ma solo di un piccolo antipasto della grande abbuffata che ci aspetta.

Per chi ha già amato The Raid lascio una chicca. Osservate bene il trailer, ultima scena. Sì, quello vicino al nostro amatissimo Iko Uwais è sempre Yayan Ruhian, il più pazzesco combattente marziale della prima pellicola, qui in un nuovo ruolo. Credo che sia la più alta dimostrazione di giustizia morale che un film di arti marziali possa offrire. Non credo di dover aggiungere altro. 
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venerdì 24 gennaio 2014

L'esorcista versione anniversario e L'evocazione – The Conjuring


L'esorcista. Padre Damian Karras (Jason Miller) è il pastore di una piccola comunità di Georgetown e vive insieme alla madre malata. Regan MacNeil (Linda Blair) è la figlia di un'attrice (Ellen Burstyn) ed è ammalata al punto da mutare la sua personalità. La madre, non credente (e bestemmiatrice incallita, almeno nella versione italiana) cerca in tutti i modi di scoprire le cause della malattia di Regan affidandosi all'ospedale, sottoponendo la figlia a tutti i possibili controlli in ambito celebrale e non, ma la situazione non cambia e anzi degenera. Fino a che non si rassegna a considerare l'imponderabile, il soprannaturale, e decide di contattare padre Damian. Il giovane prete, trovandosi davanti a un drammatico caso di possessione chiede ai superiori il da farsi e la Chiesa invia in suo aiuto l'anziano esorcista Padre Merrin (Max Von Sydow), tanto devoto quanto debilitato nel corpo. Sotto la guida di Padre Merrin e con il supporto della madre della bambina Padre Damian parteciperà a un lungo e difficile rito di esorcismo che minerà le sue convinzioni, insinuerà in lui terribili dubbi e lo porterà a una rinnovata fede. Monumentale
Il film di William Friedkin rappresenta una delle pagine più importanti della cinematografia mondiale. Attori straordinari mettono in scena il grande conflitto tra bene e male, fornendo una dolorosa e realistica interpretazione supportata da una solida sceneggiatura, ricca di informazioni di stampo documentale-scientifico. Linda Blair offre nello specifico un'interpretazione pregna di spaventosa violenza visiva, tanto da assurgere a icona del genere horror. La pellicola è seguita dal valido ma non pari ai botteghini “L'esorcista – l'eretico”, ma gli altri seguiti non riescono a fare altrettanto bene. La pellicola originale vive per anni nel circuito delle seconde visioni prima e dell'home video poi, trovando nel 2000 la strada per una nuova versione director's cut (a parer mio anche piuttosto illogica nel modo in cui rimonta determinate scene) e ora viene riproposta con un libretto allegato sulla produzione e tanti extra nel nuovo formato blu ray. Decisamente imperdibile.

L'evocazione. Lorraine (Vera Farmiga) ed Ed (Patrick Wilson) Warren sono dei demonologi o esperti dell'occulto per altro realmente vissuti e coinvolti in casi di possessione documentati e trasposti pure in pellicola come il noto Esorcismo di Emily Rose e la possessione di Amityville. Lorraine è una sensitiva, da sempre in possesso del dono-maledizione di vedere i fantasmi. La sua vita non è facile e ogni volta che entra in contatto con creature del mondo dell'ombra è come se una parte di lei si andasse a perdere. Tuttavia Lorraine crede che questi suoi poteri debbano essere messi a disposizione di tutti, sente la necessità di fare del bene al prossimo. Ed è un ex poliziotto e ha deciso di seguire la moglie, di starle vicino nella sua missione. Teme per lei, si rimprovera di non potere vedere quello che Lorraine vede, cerca di fare in modo che la moglie corra meno pericoli possibili e in cuor suo maledice la frase con cui spesso lo rimbrotta: “E' il destino che ci ha fatto incontrare, perché tu mi permetti di fare questo lavoro proteggendomi”. Pertanto Ed la protegge con il massimo del suo amore e con la scienza, elaborando e mettendo in atto i principali protocolli e apparecchiature per la caccia ai fantasmi e difendendo la loro abitazione con continue benedizioni da parte del prete locale. Perché spesso il male si trasmette attraverso gli oggetti e per proteggere il resto del mondo da tali manufatti loro li raccolgono. Nella casa dei Warren vi è infatti una stanza, interdetta alla figlia, nella quale i manufatti vengono stipati e sigillati, nonché costantemente benedetti, per privarli del potere o quantomeno cercare di contenerli. Lorraine ed Ed Warren vivono la loro maledizione con coraggio e altruismo, aiutano nel casi soprannaturali più strani e tengono saltuariamente conferenze per spiegare come il mondo dell'occulto spesso si confonda e mimetizzi nei confini della scienza.

La famiglia Perron ha da poco cambiato abitazione scegliendo per una stranamente economica abitazione ai margini di un bosco. Ha fatto all'apparenza un affare, ma il posto nasconde delle insidie inaspettate. Ogni notte una delle figlie, già affetta da sonnambulismo, sbatte la testa contro un armadio mentre l'altra si sente tirare i piedi nel buio da mani invisibili. Con il tempo tutto degenera, iniziano a comparire ombre minacciose, le porte della casa si aprono senza motivo e qualcosa sembra abitare la sinistra cantina interrata. La logica non sembra più potersi applicare. Nella casa c'è qualcuno. Carolyn Potter (Lily Tayor) decide così di rivolgersi ai Warren.
Regista del primo Saw e nuovo regista per la saga di Fast'n'Furious, James Wan negli anni si è confermato come abile e dotato cineasta, particolarmente devoto al genere horror e thriller. Con grande rispetto per le tematiche più classiche del cinema di genere, spirito citazionista, capacità di re-invenzione e sapiente utilizzo della macchina da presa oltre a omaggiare Cane di Paglia con "Dead Sentence", ha rinverdito il mito dei film sui pupazzi maledetti, ha confezionato anche l'interessante "Dead Silence" e diretto la sua personale re-interpretazione della casa stregata con la saga di Insidious. Con "L'evocazione" Wan reinterpreta e mette la sua personale impronta autorale nel genere delle pellicole sulla possessione diabolica, accogliendo la lezione di opere del passato di spessore come "L'Esorcista" e creando con esse un ponte con le attuali tendenze dell'horror moderno rappresentate da "Paranormal Activity" e le nuove tv serie di sedicenti cacciatori di fantasmi. Quello che ne esce è un prodotto dalle qualità grandemente superiori alla media grazie a una sapiente e chirurgica regia, attori strepitosi tra i quali si segnala una straordinaria Vera Farmiga, un intreccio intenso e credibile e una prospettiva per molti aspetti nuova nell'affrontare il tema. Una pellicola giustamente premiata al botteghino nonché una delle principali sorprese di questo ultimo periodo di horror movie.
La concomitanza de "L'esorcista" e de "L'evocazione" in Home video mi permette di parlare un po' dei film a tema possessione. Un filone florido nel campo dell'horror che vede nelle due pellicole sopracitate una diretta connessione per temi e meccaniche. Due prodotti di qualità che a ogni modo non voglio mettere in relazione in ambito di chi sia il più bello (che comunque è L'esorcista, pur restando L'evocazione un ottimo film) quanto di quello che rappresentano o per me rappresenterebbero oggi nello sterminato campo dell'horror cinematografico.
"E' pronta la cena!"
"Arrivo mammina!"
"Ti porto dal medico..."
Chi non è credente vede nei film sulle possessioni diaboliche un motivo come un altro per provare dei brividi, testare la capacità del regista di spaventare. In fondo che si sogni Freddy Kruger, due gemelline che si incontrano per caso svoltando nel corridoio di un hotel deserto o ci si imbatta in un fauno con gli zoccoli tra le rovine di un giardino, quello che conta maggiormente è che il film possa spaventare. Certo il diavolo risulta mattatore in gran parte delle pellicole horror, contendendosi con gli zombi il maggior numero di pellicole dedicate. Ha i suoi “fan cinefili” anche solo come icona horror. Per chi è credente invece non c'è niente di peggio che un film horror sulle possessioni diaboliche, si avverte una pulsione trascendente che spaventa a prescindere dallo spettacolo inscenato. Questa dicotomia, in un mondo in cui tantissima gente ama spaventarsi, fa indubbiamente la fortuna di pellicolacce da due soldi tipo “L'altra faccia del diavolo” (che vengono visionate per sfizio per poi essere giustamente dimenticate), ma non impedisce che siano realizzate pellicole realmente belle e complesse sul tema, frutto di complessi studi e documentazioni, come "L'Esorcista", la saga classica di "Omen", "Rosmary's Baby", "Il Rito", "Paranormal Activity" (in parte), "Rec", "L'esorcismo di Emily Rose", "Insidious" (che affronta in piccola parte il tema, ma il cui “demone” è terrificante) e appunto questo, splendido, "L'evocazione". Pellicole che al di là di fare paura si soffermano su rituali e stilemi classici delle pratiche di esorcismo, dimostrandosi nei casi più estremi quasi dei medical drama “religiosi” più che film horror in senso stretto.

Molti non credenti pensano che "L'Esorcista" (da poco uscio in una lussuosa riedizione celebrativa in blu ray) debba gran parte del suo successo agli effetti speciali all'avanguardia (e alcuni oggi lo bollano come “bruttino” perché ritengono oggi tale effettistica antiquata), al di là del fatto di essere indubbiamente un bellissimo film recitato magistralmente e assolutamente terrificante. Ma per i credenti gran parte del successo della pellicola risieda in due aspetti che stranamente vengono meno frequentemente citati. La componente scientifica del racconto e il realismo dei personaggi, spesso uomini comuni e non “peccatori da punire” come nella maggioranza dei film horror moderni, soprattutto nei “teen horror” (vedasi in merito il simbolismo fornito ad hoc in pellicole spettacolari come “Quella casa nel bosco”). Un approccio clinico alla materia, una attenta e procedurale disamina della fasi dell'intervento, supportato dall'uso anche di materiale scientifico realmente esistente, donano alla messa in scena dei film sulle possessioni un taglio documentaristico in grado di offrire una certificazione dei fatti, di calarci nel reale. É noto come tale strada sia poi stata la fortuna di film come Rec o Paranormal Activity in cui è la telecamera a fornire la giusta prospettiva documentaristica. A tale approccio realisti ai tempi de L'Esorcista contribuì una circostanza del tutto imprevista e davvero spaventosa (e dove la religione ha il suo peso), il Vaticano in occasione proprio di questa pellicola ha confermato l'esistenza delle pratiche di Esorcismo, una specie di parente scomodo tra le pratiche demandate ai sacerdoti di cui si accennava nel diritto canonico (chi ha studiato magari a giurisprudenza la materia saprà che in un tempo passato il cosiddetto “esorcistato” era materia del primo anno nel corso per sacerdoti praticato nei seminari), ma che non era bella cosa mostrare troppo. Certo era poi contorto anche a livello meramente di catechesi affermare l'esistenza di Dio discendendo dall'esistenza del diavolo. 
Non son tanto bella, ma parlo cinque lingue!
Ai tempi de “L'esorcista” veniva a ogni modo dalla Chiesa autenticata la presenza di preti-combattenti-specializzati, effettivamente schedulati e operanti nel mondo che, spinti da fede incrollabile, erano di fatto capaci di confrontarsi e sconfiggere entità di tipo ultraterreno. Ulteriore riserbo sulle pratiche di esorcismo da parte della Chiesa era volto a impedire la strumentalizzazione di tali pratiche, gli abusi da parte di sedicenti guaritori o esaltati che oggi impestano anche youtube trasformando quasi in barzelletta l'intera pratica (mi vengono in mente video di predicatori americani che a colpi di kung fu scacciano demoni che collaboratori gli lanciano contro). Ma non si poteva ulteriormente non dare conto dell'esistenza degli esorcisti, che da sempre operano solo e soltanto dopo che vi siano accertamenti medico-scientifici e l'approvazione vescovile all'uso. Pertanto esiste addirittura un corso in Vaticano, presso il Pontifico Ateneo Regina Apostolorum, cui è possibile accedere con certi requisiti (ma sembra che sotto richiesta si possa partecipare anche senza essere sacerdoti e siano pertanto aperti agli interessati); se siete interessati vi consiglio anche il recente film “Il rito” con Hopkins nonché il libro da cui lo stesso è tratto, che riporta sotto forma di saggio una dissertazione del suddetto corso ed esperienze di esorcismo pratiche, focalizzandosi sui metodi di indagine investigativa e sulla critica analisi di casi limite, dove possessione e schizofrenia potrebbero sovrapporsi. Questo libro, interessante proprio per il suo punto scientifico più che religioso, si intitola: “Il rito - storia vera di un esorcista di oggi” di Matt Baglio.Tornando a noi, se ci sono quindi esorcisti addestrati, ci sono anche figure come i demonologi, laici che insieme a medici e psicologi si impegnano allo scopo di fornire le prove scientifiche propedeutiche perché l'esorcista possa essere autorizzato a intervenire, referti che con certezza escludano cause mediche o in ogni caso incompatibili con un intervento che, se non necessario, potrebbe minare la sanità mentale del soggetto passivo. 
"Mamma guarda cosa ho imparato dal gufo dello zoo!"
Considerazione personale. Si può cassare tutte queste storie, buttare tutto via e ritenere che sia tutta una recita organizzata a uso e consumo della campagna acquisti di nuovi credenti. Ma al di là della bontà ti tale prospettiva (che poi vi pare possibile che si riesca davvero a convincere qualcuno a convertirsi al cristianesimo paventando un uomo nero con corna e zoccolo? Per me no) siamo davvero disposti a “chiudere quella porta”, a ritenere che tutto sia finto al di là di un ragionevole dubbio? Come possono persone di colpo parlare in lingue antiche mentre i loro connotati si deformano? Come possono delle preghiere, pur mirate, portare alla guarigione di dette persone? Possibile che esorcismi si pratichino in altre culture, ho in mente il Buddhismo, e i procedimenti ed esiti siano similari? Circostanze strane e (ad oggi) non spiegabili (a meno che non si “creda in qualcosa”... e “credere” significa “affidarsi senza poter sapere”). Anche il più fermo non credente teme in una certa misura l'ignoto e l'inesplicabile, dopotutto, così come considera il Big Bang come l'inizio di tutto pur non sapendo cosa ha provocato “dal nulla” quel Big Bang. Personalmente apprezzo il dubbio, lo nutro come stimolo intellettuale, fidando e al contempo diffidando di tutto, ma non escludendo a priori qualcosa (e ricordandomi di avere una testa pensante). Vi invito a non tracciare confini definiti-definitivi su nulla: il mondo vi apparirà di colpo più interessante.

Oltre a questo approccio scientifico l'Esorcista aveva un altro indubbio merito, rappresentava persone di indubbia normalità e umanità. Padre Damien non era un eroe senza paura, ma un uomo pieno di dubbi che viveva preoccupato per la salute della madre e si trovava di colpo in un mondo per lui troppo grande; lo stesso esorcista era un uomo anziano e provato, pronto a sacrificarsi per il bene altrui. Stessa impostazione realistica che riscontriamo in "Rec", un po' meno in "Paranormal Activity". Il film potrebbe reggersi da solo anche senza gli effetti speciali.

Scientificità dell'approccio e umanità dei personaggi. Queste sono le chiavi per me del reale successo de "L'esorcista". Le stesse chiavi di lettura che troviamo oggi magistralmente impiegate ne "L'evocazione" di James Wan. Ma dove i due film meno si accostano è sulla speculazione della paura con “connotazioni religiose”, per me affrontata diversamente anche alla luce dei differenti periodi storici in cui sono state concepite queste opere. "L'esorcista" è terrificante, subdolo, carico di agghiaccianti immagini subliminali volte ad espandere il terrore dello spettatore. In esso bene si rispecchia un periodo (metà anni '70) in cui la religione vacillava a causa di una sempre più accesa crisi dei valori cristiani. Si può quindi dire che l'opera bene descriva una crisi della religiosità. "L'evocazione" ha un approccio più soft, spiega che anche le presenze più terrificanti sono in fondo creature definite che, pur avvolte da una cortina di fumo che le rende intangibili, non riusciranno mai a sfondare la quarta parete, rimanendo prigioniere della loro dimensione. Per questo possono essere combattute e contenute. "L'evocazione" (così come "Il rito" e in una certa misura "Rec") giunge in un periodo di crisi della religiosità così acuta che più che spaventare punta a riaffermare le potenzialità della fede. "L'evocazione" è frutto di un rinnovato sentimento di fiducia verso la religione, frutto peraltro dei tempi recenti. Se nel caso de "L'esorcista" provavamo quindi paura per via delle spuntate armi della fede (che nonostante tutto vinceva grazie al titanismo sacrificale del prete e dell'esorcista) ne "L'evocazione" la paura, che pur rimane potente e strisciante, può essere guardata negli occhi, da occhi che quasi la sezionano in modo scientifico, e sconfitta, pur a monte di grandi sacrifici. Conta maggiormente l'indagine che il senso di paura collegato, si potrebbe dire. Qualcuno si è lamentato del fatto che "L'evocazione" spaventi molto di più nella prima parte, dove le presenze sono per lo più invisibili, rispetto alla seconda parte del film, dove gli occhi di Loranne Warren riescono a vedere chiaramente i mostri che cercano di nascondersi nell'ombra, riuscendo nel contempo a definirli e catalogarli grazie alla collaborazione del marito e del loro staff. Di fatto non avviene proprio così e certe scene della seconda parte sono in grado di farvi schizzare sulla sedia. Ma per me è proprio questo l'aspetto più accattivante dell'opera di Wan, il trattare il tema delle possessioni come una malattia da curare e opportunamente studiare scientificamente. 
Il terrore non deve per forza risultare solo dal “buh!” che vi fa rizzare i capelli a ogni cambio repentino di inquadratura (aspetto su cui ha sadicamente giocato Zemeckis ne "Le Verità Nascoste"), ma può essere qualcosa di più inconscio e strisciante, una “sensazione di disagio” che bene può corrispondere alla apertura di una porta sull'ignoto. E ciò corrisponde a una precisa filosofia di Wan nel trattare del soprannaturale, riscontrabile anche nel suo "Insidious" e in "Dead Silence", opere che risultano per solidità di tali “regole” quasi legate da un filo rosso (che mi dite se speculo sul fatto che la megera dei burattini di "Dead Silence" potrebbe essere la stessa dama velata “che muove corpi altrui” di Insidious nonché lo spirito che alberga nella terrificante bambola de "L'evocazione"? Potrebbe starci...). Wan non mira a spaventarci a morte quanto a ricercare nel reale la presenza di mondi diversi. Ma non sottovalutate in ambito horrorifico le potenzialità del senso di “smarrimento dello spettatore” di cui si pregna questa pellicola, è qualcosa di molto più potente di un qualsiasi babau alla Jason o Freddy. Per questo, per farci credere che stiamo assistendo a qualcosa di reale, è ben disposto a sacrificare persino colpi di scena e spettacolarità. E l'operazione riesce talmente bene che il film potrebbe funzionare anche senza gli elementi soprannaturali, limitandosi a raccontare il profondo legame affettivo tra un marito devoto e una moglie destinata alla sofferenza ma spinta da profondo altruismo, un sentimento che grazie alla straordinaria bravura di Patrick Wilson e Vera Varmiga riesce davvero a commuovere e coinvolgere anche i più tenaci amanti dell'horror. 
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, ci troviamo davanti aduno script straordinario, attori eccezionali e un'impostazione dal taglio quasi documentaristico nel narrare eventi soprannaturali. Gli effetti speciali, complice un budget contenuto, sono davvero minimali. Zero computer grafica, zero gratuiti effetti spavento posticci (ma solo autentici e terribili effetti spavento correttamente e funzionalmente collocati). Atmosfera a mille. Ce ne fossero di film di questo tipo! Non sorprende che si stiano già muovendo per un capitolo 2, questa pellicola è solo un assaggio di tutti i casi documentati dei Warren e nasconde “in bella vista” suggestioni degne di essere trattate in più di una iterazione cinematografica. Ad ogni modo da spettatore mi auguro che le prossime storie permettano di stare ben lontani, a una distanza di sicurezza di 20 km minimo diciamo, dalla personale stanza delle “reliquie” dei Warren. Ce n'è abbastanza da non riuscire a dormire mai più. 
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giovedì 23 gennaio 2014

Le storie vol. 16 Friedrichstrasse

Disegni: Matteo Mosca. Storia: Alessando Bilotta


Berlino, prima della caduta del muro. Nella parte della città della Repubblica Democratica Tedesca la Stasi, la polizia politica, in un clima di terrore sorveglia con pugno di ferro ogni possibile moto di ribellione, soffocando nel sangue ogni minaccia. Friedrich è un ottimo agente, uno che porta dei risultati concreti, un uomo freddo e determinato, silenzioso. La sua vita al di fuori del lavoro è solitaria, dedita per lo più al modellismo e al sesso frugale, vissuti con pari indifferenza. Dopo aver sedato un oppositore del regime, freddandolo tra le braccia della stessa madre, all'agente viene conferito un nuovo incarico, tenere sotto controllo la cantante Marlene Becker, rea di aver espresso opinioni non gradite al partito. Lo scopo non è però indagare, ma confermare possibili complotti o, nel caso, crearli ad hoc. E dire che la Becker ha l'abitazione proprio in Friedrichstrasse, sul confine, a ridosso del muro, a un passo dalla libertà.

La storia di questo mese ripropone un tema già affrontato dalla collana con il numero 6, Ritorno a Berlino. La casa di via Buonarroti ha molto a cuore questo tema, non vuole che sia con gli anni dimenticato e per questo punta sempre su autori e disegnatori di prima grandezza. In questo numero ritroviamo con piacere quindi gli stessi artefici di due delle più belle storie della collana, il n.5, "Il lato oscuro della luna" e il n.10, "Nobody". É sempre affascinante constatare come pur muovendosi in contesti sempre diversi, vuoi la fantascienza, vuoi il romanzo d'avventura o il thriller, la coppia Mosca-Bilotta riesca sempre a dimostrarsi fresca, innovativa, originale. Il personaggio di Friedrich nasconde molto più di quello che l'apparenza mostra. È un uomo tormentato, ma con una sua precisa morale e determinato a fare sempre la cosa giusta per il partito. Quando incontra la Becker arriva ad un punto di rottura ma non perde la sua scorza, pur giungendo a una lenta rinascita esistenziale. Ugualmente complessa è la figura di Marlene Becker, donna che ha conosciuto le luci dei riflettori e ora è costretta a vivere tra le quattro mura di un appartamento senza poter nemmeno parlare, per evitare che i microfoni sondino e con interpolazioni trovino una scusa qualsiasi per eliminarla. Si potrebbe dire una situazione peggiore di quella di un uccellino in gabbia, al quale per lo meno la voce per cantare rimane. Una condizione di vita disumana che muta profondamente la Becker, in virtù anche del fatto che le sue deboli contestazioni al regime sono di fatto più un capriccio da diva, un piccolo errore che ingigantito dalla Stasi la sta portando a una lunga agonia. Personaggi tormentati quindi, non privi di lati oscuri e contraddizioni, che vivono in bilico del muro. Mosca li dipinge sofferenti, ingabbiati in una Berlino simile a un gabbia geometrica in cui tutti i luoghi, persino quelli aperti, paiono scorci di una enorme prigione. Come per "Nobody" e "Il lato oscuro della luna" non mancano ad ogni modo momenti di lirismo e i sentimenti umani sono sempre autentici e ben rappresentati.

Se siete interessati al tema la rubrica Story Teller propone ottimi libri e film sul tema, consigli ai quali vorrei umilmente aggiungere il dissacrante film "Confessioni di una mente pericolosa!. Numero consigliato. 
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mercoledì 22 gennaio 2014

L'impeccabile di Keigo Higashino

L'anno scorso mi sono imbattuto in Sospettato X, giallo nipponico proposto da Giunti nella collana Mystery. Un thriller serrato, sorprendente, carico di personaggi profondi e contorti. Un'ottima lettura alla cui nostra recensione vi rimando. Quest'anno Giunti propone una nuova opera dello stesso autore e io ovviamente mi ci butto con salto carpiato.
Un imprenditore e un'autrice di coperte fashion (!) sono in rotta. La coppia, benchè formata da un paio d'anni, è in crisi e decide di farla finita con il matrimonio. I figli non arrivano. Lui li vuole, lei non può dargliene. Lui decide di cornificarla con la prima vagina che ha a portata, l'assistente della moglie, e glielo dice praticamente in faccia. Una sera ci sono a cena degli amici e la sua assistente, guarda caso si parla delle gioie di avere figli e la nostra mogliettina va fuori di testa, progettando un piano omicida. Con la scusa di andare a trovare la madre malata, la sarta parte per una misconosciuta località termale lasciando marito e assistente soli nel week end. Lui ovviamente chiama l'assistente per copulare, ma il giorno dopo del nostro si perdono le tracce. Non risponde al telefono, non va sul luogo di lavoro. L'assistente ha le chiavi di casa della coppia, furbescamente affibiatele dalla sarta prima di patire, apre la porta e trova l'uomo riverso al suolo con ancora in mano una brocca di caffè. Avvelenamento. Panico, chiama la polizia, riordina i pensieri. Un atroce dubbio. Come è possibile che lei sia sfuggita all'avvelenamento, avendo lei stessa preparato e bevuto dalla brocca di caffè che il cadavere ha ancora in mano?
Il libro è di 330 pagine e parla quasi integralmente di questo cavolo di avvelenamento col caffè. Che tipo di caffè' ? Ma macinato o tostato? Da supermercato o su ordinazione? Infuso come the (roba che apprendo amino i giapponesi... drogati!) o preparato con la moka (come Dio comanderebbe)? Ma che acqua è stata usata, quella del rubinetto, di quale rubinetto o quella minerale nel frigo? Ma prima di essere consumato è stato messo dentro del miele o un cucchiaio di Nutella? Ma se il marito non sa fare il caffè (!!!!!!) come ha fatto a prepararselo da solo e auto-avvelenarsi?
I detective indagano, partono per noiosissime e inutili spedizioni per scoprire, come già a pagina 2, che la coppia non può avere figli e si sta cornificando. Torna in scena seppur sfuggevolmente il Detective Galileo (mattatore di Sospettato x), ma la coppia di detective che si divide le indagini sono il solito detective bolso-distratto-idiota e una nuova spocchiosissima e saputella recluta alla detective Conan. La sospettata è collaborativa, tranquilla e serena, perfino accondiscendente nei confronti dell'amante, ma è evidente che sia lei l'artefice del tutto, da pagina 3.

Ho amati i dialoghi cerebrali e i colpi di scena di Sospettato X, l'intrigo era proprio figo, articolato e i pezzi del puzzle ben difficili da scorgere ma possibili, credibili. Un romanzo appagante, preciso, dotato perfino di punte drammatiche convincenti. L'impeccabile è monomaniacalmente legato all'indagine di un solo elemento. 330 pagine a parlare di caffè. Accattivante, originale magari, ma 330 pagine sono pure una mazzata. Il ritmo narrativo sarà pure buono, interessanti i personaggi, ma 330 pagine a parlare di caffè (frase ripetuta a sottolineare il concetto)... Non che il finale sia male, anzi. A molti in ogni caso il romanzo è piaciuto e pure parecchio ed è innegabile che l'autore cerchi in tutti i modi di rendere dinamico l'intreccio e desta l'attenzione del lettore con estro e trovate anche originali. Io in ogni caso ho visto mortificata sul nascere la vena thrilling-drammatica dell'opera, aspetto che in un giallo può anche essere non essenziale o non esserci del tutto, ma che per me è importante per empatizzare. Ma direi la stessa cosa per una puntata qualsiasi della Signora in Giallo o Detective in corsia, storie di pura componente enigmistica aggravate da personaggi cui ho augurato le morti più atroci per supponenza, anaffettività, superficialità e cagacazzaggine. E la detective Uzumi di questo libro è l'esatta stronza alla Signora in giallo, tanto “vincente” quanto caratterialmente orribile per monomaniacalità nell'analizzare tutto e tutti. Insomma il libro ha i suoi meriti e mi è piaciuto abbastanza. Ma mi ha anche un po' rotto le palle per i limiti sopra espressi. Se amate il caffè consigliato. 
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martedì 21 gennaio 2014

La notte del giudizio – The Purge



In un futuro distopico i nuovi Padri Fondatori hanno varato una legge sorprendente in grado di cambiare in un istante il volto dell'America, annullando la criminalità e la disoccupazione. Viene così disposto lo “Sfogo”, una notte nella quale ogni cittadino può liberamente andare in giro a commettere omicidi senza che il giorno dopo subisca alcuna conseguenza giuridica. Di fatto chi può permetterselo e non ha istinti omicidi può sempre acquistare sistemi di sicurezza in grado di blindare la sua abitazione e passare la notte a guardarsi la stagione otto dei Griffin. Ma chi è povero o senza fissa dimora non può che pregare e correre, in quanto sarà facilmente un bersaglio ambito.

James Sandin (Ethan Hawke) vende dispositivi di sicurezza e considerate le entrate dell'ultimo periodo è un grande fan dello Sfogo. Il nostro è riuscito a vendere a tutto il vicinato un sistema protettivo, che a conti fatti si rivelerà alquanto merdoso, arricchendosi e destando qualche invidia. La sua bella mogliettina (Leda Heady), ha così scoperto con sorpresa di non essere stata invitata all'annuale festa organizzata dai vicini per l'evento e un po' ci ha patito, ma in ogni caso ha piantato nel prati i bei fiorellini blu, simbolo dell'approvazione e sostegno alla notte dello Sfogo. Mentre la figlia Zoey (Adelaide Kane )inizia a capire che il suo ragazzo è potenzialmente una testa di cazzo e il figlio Charlie (Max Burkholder, attore di rara bruttezza e antipatia tattile) si domanda sulla reale esigenza di una simile ricorrenza, la famigliola consuma insieme la cena e si prepara alla visione dei Griffin. Ma urla di terrore attraggono l'attenzione di Charlie. Dalle telecamere posizionate al di fuori della casa c'è un evidentemente sinistro e pericoloso individuo di colore (Edwin Hodge) che non ha mai visto in vita sua, probabilmente armato e violento, che supplica qualcuno di aiutarlo. Charlie si commuove e apre le porte di casa allo sconosciuto, che subito si nasconde nel buio. Neanche il tempo di riempire di botte il figlio per stupidità manifesta, che pure il ragazzo di Zoey si dimostra un idiota e in un attimo l'abitazione dei Sandin è invasa da una torma di riccastri psicopatici che minaccia di fare irruzione e ammazzare tutti se non sarà dato loro indietro il tizio di colore. Ma c'è comunque il sistema di sicurezza, eccheddiavolo! Peccato che dall'esterno sia comunque possibile staccare la corrente all'abitazione e un Suv basti a spaccare la porta blindata. Certo, se costruisci impianti così merdosi, un po' te lo meriti...

James DeMonaco scrive e dirige quello che a prima vista è il classico film di assedio. Non è un caso che il nostro abbia scritto la sceneggiatura de Il Negoziatore e del remake del Carpenteriano Distretto 13, La notte del Giudizio funziona benissimo come ritmo, suspance e adrenalina, regalando perfino un paio di scene cult che vi rimarranno in testa anche a distanza di tempo. Se quindi il film risulta essere un compito ben fatto, la pellicola possiede altresì alcune geniali trovate cervellotiche meno banali del solito che la elevano dalla massa fino a farne un papabile brand reiterabile. Senza che vi rovini alcunché. Sappiate che per il successo di questo film è già in cantiere un seguito, diretto dallo stesso regista. Perché il concetto di fondo, di una notte in cui tutto è permesso per legge, permette con un po' di fantasia di creare migliaia di scenari e situazioni diverse, al punto che se qui abbiamo un film di assedio una nuova pellicola potrebbe essere davvero qualsiasi cosa. Ed è un concetto stimolante in quanto profondamente tetro, cinico e soprattutto, nell'ottica della pellicola, funzionale nello specifico al miglioramento del paese. Cosa accade di fatto agli Americani in questa notte?
Alcuni vivono effettivamente nella certezza che la violenza serva, sia utile e necessaria al miglioramento del paese. Le pulizie etniche e la falcidazione di piccoli criminali, poveri, sbandati sono atti doverosi in grado di provocare effettivo sgomento nel caso qualcuno senza motivo cercasse di impedirne l'esecuzione. Un mondo folle dove i carnefici sono spesso una elite sociale in preda ad una allucinatoria crisi di valori, che non a caso nella pellicola spesso indossa delle maschere che richiamano ai visi plastificati tutti uguali della chirurgia estetica, a simboleggiare che la ricchezza porta a perfezionamenti estetici proprie e peculiari a monte di qualsiasi problema di età o rughe. Belle statuine sorridenti dall'animo sadico. Perchè se le la legge lo permette, tutto diventa giusto, permesso, doveroso.
Altri non credono nella funzione salvifica dello Sfogo, ma lo appoggiano per mettere in atto vendette personali e rivalse nell'ottica che se si prende il proprio avversario in contropiede il giorno dopo si avrà un odioso collega di lavoro in meno e forse si farà carriera.
Altri ancora se ne sbattono ma comunque approvano, esponendo fuori casa gli schifosi fiorellini azzurri, preferendo rimanere ben protetti e tappati durante la mattanza magari seguendo in tv i collegamenti giornalistici sui luoghi più accesi dei tafferugli come fosse tutto un enorme reality show. Vivono con i paraocchi affidandosi a delle protezioni che, per volere divino e per cinismo dei costruttori, non sono che dei palliativi, rimedi solo provvisori e non soddisfacenti. Mi piace pensare che i sistemi di sicurezza prevedano oltre che grate metalliche e telecamere un arsenale di armi private così letali da non dover essere consentite a un cittadino comune. In fondo l'America è sempre rappresentata come un paese dominato dalle lobby delle armi da fuoco. Questi spettatori-non-attivi non sono meno colpevoli degli altri che impazzano nelle strade. Supportano una legge palesemente ingiusta e si fanno sostanzialmente gli affari loro. Forse per paura, per ignavia, sono i meno pericolosi, salvo che tu non debba fare affidamento su di loro per salvarti la pelle quando ti trovi in strada.
Perché c'è un'ultima categoria di americani, gli ultimi. Quelli che la società ha progressivamente emarginata, i falliti, gli immigrati, i poveri. Questi non possono difendersi e se vengono abbattuti non vengono più a chiederti l'elemosina. In un mondo che non conosce l'altruismo, carattere che nonostante tutto dovrebbe sempre definire la parola “umanità”, gli ultimi sono i primi a dover morire per non rovinare il paesaggio a chi è più fortunato di loro. Forse c'è una categoria ulteriore, quella di chi si ribella al sistema. Ma in questo mondo persino noi spettatori la vediamo come qualcosa di sconcertante, utopistico e inverosimile. Così quando il film ce la mostra, dicendoci che è una realtà ancora possibile per una battaglia superiore, quella dell'animo umano, noi la diamo subito per spacciata nonostante in cuor nostro non possiamo che tifare per quei ribelli, quei pochi che sono ancora uomini e non animali.
Se rimarrete affascinati da questa prospettiva il film potrà ben piacervi, diventando magari tema di qualche chiacchiera tra amici. Se non entrate nell'ottica, il film potreste comunque trovarlo gradevole, ma non memorabile.
Perché al di là di un cast molto valido, al di là di un perfetto uso degli ambienti e di riusciti colpi di scena, ottime sequenza di sparatorie e splatter, il giorno del Giudizio lascia un po' l'amaro in bocca per una trovata narrativa che sarebbe stato gradito fosse approfondita con maggiore originalità e convinzione. Perché tutto il mondo sembra esplodere in questa notte ma noi spettatori rimaniamo ingiustamente intrappolati tra le mura della casa dei Sandin.Tanto per dare una suggestione, ripensate a Rampage di Uwe Boll e provate a immaginarlo in questo contesto, con operai lower-class che si corazzano e vanno a rompere le palle a qualche tirchio e spietato datore di lavoro. Sarebbe stato dinamite pura. Non è detto che però scenari di questo tipo non possiamo vederne in futuro, ora che La notte del giudizio è branderizzata.
Menzione d'onore per Ethan Hawke. Con il suo cinico venditore di impianti d'allarme arricchisce la sua collezione di ruoli da bastardo disfunzionale dopo l'ottima prova, da “padre dell'anno”, di Sinister. Hawke riesce a farci empatizzare con personaggi che non vorremmo incontrare nemmeno di sfuggita al casello autostradale, autentici mostri pronti a sacrificare la propria vita in ragione del dio denaro. Hawke ce li rende quasi umani e in questo è realmente un titano. Da segnalare anche il personaggio del capo dei giovinastri, interpretato da Rhys Wakefield, un tizio completamente fuso amabilmente sopra le righe. Se mai qualcuno in futuro penserà di riportare il Joker, storico nemico di Batman, sullo schermo, io tra i papabil vedrei bene anche il suo nome. Non male per uno che ha esordito con una serie tv chiamata: “Lasciamo in pace i koala”.

Alla fine il film convince, nonostante (vuoi anche per sacrosanti problemi produttivi) risulti “più piccolo” di quanto il potenziale di trama vorrebbe. Ideale per passare un paio di ore in allegria. Magari nell'attesa che Ethan Hawke scazzi e metta mano a quel fucile a pompa modificato che si intravede nelle prime scene. 
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