giovedì 24 agosto 2017

Dylan Dog dal n. 369 al n. 371: mini recensioni!


Graphic Horror Novel si apre con un uomo rinchiuso in un bagno, spaventato e sotto shock. Nelle tasche ha degli oggetti che potrebbero fargli ricordare qualcosa e le pareti del bagno, a piastrelle bianche tutte uguali, sembrano i layout di un fumetto ancora da disegnare. L'uomo ha un pennarello e inizia a disegnare su una delle piastrelle bianche. Si accorge di essere bravo, di essere probabilmente un fumettista, e da lì vede che riesce meccanicamente a ricostruire, vignetta dopo vignetta, tutti gli eventi passati, che si trasferiscono dalla mente alle piastrelle con un ordine che non pensava di poter esprimere. In questa storia tracciata sui muri scopre di essere un artista di graphic Novel horror di grido. Inizia a ricordare che qualcuno aveva iniziato a realizzare davvero i delitti che lui inventava sulle pagine a fumetti e che per questo si era rivolto al nostro Dylan Dog. La parte di storia che riguarda il disegnatore nel bagno è disegnata da Bacilieri, con il suo tratto essenziale ed espressionista, semplice ma tormentato. La storia "disegnata sul muro" è invece realizzata dalle matite del duo storico Montanari e Grassani, con il loro stile ultra-codificato e apprezzato. La storia è di Rathiger, è più lineare della sua In fondo al male ma ugualmente singolare e potente. Non vi dico la fonte letteraria, alta, a cui viene strizzato l'occhio per non rovinarvi il piacere della sorpresa, ma il rimando mi è piaciuto molto. L'inizio che vi ho sopra raccontato è davvero folgorante e dalla interessante caratura satirica (una storia a fumetti può nascere anche tra le mattonelle di un bagno pubblico) ed è la base ideale per parlare della forza che scaturisce a volte per "magia" dalle pagine di un fumetto come di tutte quelle persone che partecipano alla realizzazione di un opera ma il cui nome non compare mai al pubblico. È un divertente gioco di specchi in cui è facile finire stregati e Rathiger è un bravo ammaliatore. Il personalissimo stile di Bacilieri si conferma interessante nella sua capacità di trasmettere tensione attraverso disegni semplici e quasi caricaturali. I suoi personaggi hanno paura e riescono a trasmetterlo come pochi altri. A Montanari e Grassani non si può dire nulla per puro timor reverentialis, ma la staticità ricercata delle loro tavole funziona ancora a dovere. Un numero interessante.


Il terrore. C'è un bambino di origine islamica che va in giro per Londra con una valigetta misteriosa. Ed è subito panico. Poco importa se nella valigetta c'è il suo progetto di scienze per un concorso locale, poco importa se a sollevare l'allarme terroristico è uno degli insegnanti della sua scuola, che dovrebbe almeno conoscerlo. Parte la paranoia e Londra si blocca e riempie di autopattuglie, carri armati, aerei e posti di blocco. Sembra di stare in un film di John Landis, in cui i tanti personaggi - macchietta che si avvicendano sono ottimi per una critica satirica. Dylan entra nel marasma forse spinto dal quinto senso e mezzo e affronta così uno degli incubi più attuali di questo momento. Un incubo contro il quale l'arma più potente non può che essere l'ironia, a meno di non voler mettere a ferro e fuoco il mondo. Ed è giusto che questa arma funzioni almeno nei fumetti, per non perdersi troppo d'animo e riuscire a mantenere uno spirito positivo per i tempi futuri. Esorcizzare paure di questa portata non è mai facile, ma è altrettanto importante che i fumetti ogni tanto abbiano il coraggio di trattare temi scomodi come questi. Gabriella Contu scrive con mano leggera, mette al primo posto i sentimenti e ha a cuore far respirare nonostante tutto un clima di integrazione razziale. La sua storia ha il sapore di una commedia anni '80 ma la paura aleggia nell'aria. C'è satira ma non è ridanciana, i terroristi ci sono e rimangono sinistramente impuniti. Non è una favola, ma invita ad un modo più proficuo di valutare il problema. Con la buona ambizione di dirci che se ci fosse maggiore comunicazione e comprensione tra le persone si farebbero forse meno sbagli e si avrebbe meno paura. Molto buoni i disegni di Casertano, che si deve essere studiato alla perfezione tutte le principali strade di Londra. Chi la conosce può ritrovarsi nell'intero percorso che compie il ragazzino durante il racconto. Molte le scene di massa, dettagliatissimi i fondali. I personaggi hanno  una forte mimica facciale di stampo umoristico e questo si sposa al meglio con l'impostazione del racconto. Certo l'ironia su certi temi potrebbe essere per qualcuno ancora troppo prematura. È di sicuro più confortevole per molti lettori parlare di mostri classici che di problemi reali... e di fatto già nel numero successivo.



Arriva il Dampyr. In piena estate 2017 arriva il crossover tra le serie Dampyr e Dylan Dog. La prima parte viene pubblicata sulla collana regolare di Dylan Dog, la seconda sulla collana di Dampyr. Per ogni uscita è stata creata una doppia copertina ad hoc da collezione. Il risultato è che in poche ore il numero di Dampyr, che da sempre arriva in edicola con meno copie, si è drammaticamente esaurito a causa di collezionisti compulsivi. Per di più, essendo agosto e metà delle edicole chiuse,  per molti si è aperta una sconfortante caccia a vuoto, tamponata come possibile dal canale Facebook di Bonelli che si rendeva disposto su segnalazione a rinfoltire le copie.  A Settembre magari andrà meglio con la ricerca, ma sta di fatto che l'operazione ha effettivamente avuto la sua eco. Ma di cosa parliamo nello specifico? Di una storia in due parti in cui un leggendario re vichingo (lo stesso su cui l'History channel ha improntato la fortunata serie TV Vikings) diventato vampiro minaccia di occupare la Londra odierna. E questo in barba ad un accordo con la plenipotenziaria figura grigia conosciuta dal pubblico dylaniato come John Ghost. Sembra che sia una cosa privata, una questione personale riguardate una donna (dal nome pare proprio la moglie del re), e non c'è verso di fargli cambiare idea. Una torma di vampiri vichinghi è già pronta a fare i danni a Londra ma non solo i nuovi arrivi in città. Direttamente dalla truzzolandia (è assolutamente truzzo nel look questo tipo) è arrivato anche il Dampyr, un tizio vestito male con aria truce che con suo il sangue versato sulle pallottole e un paio di compagni d'armi parimenti truci è in grado di tenere testa anche ai vampiri più coriacei. Il Dampyr passa mesi interi a combattere vampiri in giro per il mondo, vive praticamente nel secondo tempo di Dal tramonto all'alba di Robert Rodriguez. La donna che cerca il re vichingo a sua volta cerca Dylan Dog per motivi oscuri e questa circostanza fa sì che l'indagatore dell'incubo incontri il Dampyr e che tra i due, dopo una tazza di tè, nasca un sodalizio per fermare l'occupazione della capitale inglese. Sarà guerra, ma saprà il nostro eroe londinese tenere testa a schiere infinite di vampiri vichinghi? La prima parte di questa storia, quella ospitata da Dylan Dog, è molto "dampyresca". L'universo narrativo creato da Boselli viene innestato nel mondo sclaviano con logiche sensate grazie ad una felice intuizione di Recchioni. Ne viene fuori un action bello tirato, pieno di mostri e proiettili che volano ovunque. Dylan sembra all'inizio un po' fuori posto ma i due eroi imparano presto a coordinarsi. Se le cose dovessero andare bene nel secondo numero, Dylan potrebbe poi avere dalla sua parte un alleato credibile in caso di eventuale conflitto contro la sua neo-nemesi John Ghost. Un bel deus ex machina pesantemente armato (un po' come avere Capitan Harlock nella risoluzione dell'anime di Galaxy 999). Certo il mondo di Dampyr declina l'horror in un modo diverso, più action e dalle parti di Blade Underworld. I vampiri conosciuti da Dylan sonno diversi, più malinconici e meno armati. Ma non è una formula incompatibile a priori e il tasso di splatter non è per nulla disprezzabile. Io colpevolmente non mi sono mai troppi avvicinato all'ammazzavampiri di Boselli, di cui per altro ho letto dei bei numeri di Tex (credo che il meglio lo dia con le storie molto lunghe, quelle che si dipanano su più numeri), e questa potrebbe essere l'occasione giusta per dare un'occhiata. Ho amici che lo seguono regolarmente e ne sono entusiasti. Il cattivo di turno è una bella intuizione che mescola sapientemente storia (o leggenda) e fantasia. Essendo un fan della serie Vikings trovo che la trasformazione in vampiro del celebre condottiero calzi a pennello. Bigliardo disegna molto bene questo numero quantomai sovraffollato da scene di massa e scenografie action complesse. Il tutto è molto divertente ma per esprimere un giudizio più completo aspetto di visionare in qualche forma la seconda parte dell'avventura. Di sicuro questi esperimento di crossover a monte di numeri speciali concepiti ad hoc è qualcosa di interessante e molto utile alle edicole e alle tirature dei fumetti.

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mercoledì 23 agosto 2017

Dylan Dog dal n. 366 al n. 368: mini recensioni!



Dopo il numero scritto e disegnato da Ambrosini, eccoci davanti a uno scritto da Secchi (figlio d'arte, di Bunker,  molto promettente) e disegnato da Puccioni: Il giorno della famiglia. E non è un numero meno strano! L'assunto è una banda di ragazzacci cattivi intenzionata a collezionare cadaveri per truccarli (il come sta a voi scoprirlo), vestirli e assemblarli al fine di ricostruire la copertina di Sgt. Pepper's dei Beatles. Potete pure rileggere più volte la frase che ho appena scritto ma vi giuro che non sembrerà meno folle. Lo trova folle anche il fantasma di una giovane ragazza, che contatta la medium più nota di Londra e mette così il nostro indagatore dell'incubo sulle tracce di questi svitati, scovandoli nella provincia. Finito il momento di esaltazione per la stralunata idea di partenza, ci troviamo a mio parere dinnanzi a un numero molto ben disegnato ma piuttosto verboso, depotenziato e inespresso. Troppe belle premesse e promesse non mantenute. I ragazzacci sono simpatici e abbastanza "fuori", ma noi passeremo più tempo sommersi dai baloons giganteschi partoriti da un vecchietto dolente e logorroico. La tentazione di saltarli è fortissima, anche perché gli sprazi di azione che poi sopraggiungono non sono male. Inutile per me citare Charles Manson e i fab four, inutile partire da un assunto originale e accattivante come il significato di "famiglia" se poi il tutto si riduce a una esecuzione lenta e poco attraente che culmina in un finale privo di mordente. Non mi ha preso, lo dico anche come mio limite personale. Ho fatto fatica a leggerlo. Avrei gradito cattiveria in più, avrei trovato interessante uno scontro / confronto generazionale rimasto solo accennato, avrei apprezzato più splatter e soprattutto meno, meno di quel vecchietto petulante... ma quell'idea iniziale, cavolo, era pura dinamite. Saper partorire trovate di questo tipo, roba da "necro-pop-art", non è da tutti e aspetto con entusiasmo il nuovo lavoro di Secchi. Va "calibrato" ma gli auguro il meglio per il prossimo lavoro, il potenziale c'è. Mi inchino a Puccioni, artista già noto ai fan di Julia, per la sua capacità di tratteggiare personaggi espressivi e ambienti ricchi di dettaglio. Io penso che l'approccio qui da lui usato verta più al giallo che all'horror, ma rimane un ottimo lavoro. 


La ninna nanna dell'ultima notte, il numero successivo, è una vera sorpresa, probabilmente la migliore storia della Baraldi finora, disegnata da un Corrado Roi gigantesco. Siamo dalle parti di Sinister e viene affrontato in modo molto coraggioso un tema scottante e impopolare (scomodissimo), il valore e la forza delle fiabe. La cito spesso, ma è una cosa in cui credo, è una scena di Nightmare - Il nuovo incubo. La protagonista sta leggendo Hansel e Gretel al figlio, arriva al momento in cui i fratellini devono mettere la strega nel forno e si ferma. Dice: "Adesso basta, questa scena è troppo violenta!". Il bambino allora la incalza: "Continua, è importante!". I mostri esistono, i pericoli esistono. La madre cerca di non infettare e spaventare il figlio con la rappresentazione di una violenza. Il figlio cerca risposte a un mondo che intuisce violento, ma che è impreparato ad affrontare. La violenza fa parte della vita e deve essere fatta conoscere per insegnare quanto sia sbagliata. Ma come farlo al meglio? Perché di suo, senza filtri morali, la violenza è adrenalina, è potere, è sinistramente affascinante. Ai giorni nostri la violenza delle fiabe così come nei cartoni animati viene epurata e nullificata con l'illusione di preservare per sempre i bambini sotto una campana di vetro. La fiaba perde il valore educativo e rimane solo intrattenimento. Non c'è più il bene o il male, solo stronzi pupazzetti felici del cazzo. Questo è tremendo, perché così le favole sono solo sterile fuga in mondi immaginari, peraltro tutti uguali e senza mordente, noiosi per lo scopo "altro" di far magari appisolare il pupo. Le fiabe, che sono in fondo la versione moderna dei racconti davanti al fuoco, erano concepite per preparare i più giovani alla violenza che c'è nel mondo. Il loro scopo era far scegliere la strada giusta, evitare i pericoli e saper riconoscere il bene dal male. Ma come fare in modo che le fiabe insegnino il coraggio e non trasmettano solo la paura? È uno dei più grandi misteri dell' "educare", ma è una battaglia che ogni buon genitore non dovrebbe eludere. Il racconto della Baraldi parla esattamente di questo. Di bambini che, come in Sinister, si avvicinano al culto della violenza senza sapere esattamente cosa sia, a causa della noia e della indifferenza che vedono da parte dei genitori nei loro confronti. Scoprono che è adrenalina, che li rende indipendenti, forti e uniti. Come fermarli? La soluzione a questa situazione, con derive orrorifiche ben gestite, è semplice quanto brillante, dolorosa ma necessaria, assolutamente "impopolare". Ma è questo l'horror come deve essere. È questa la materia magmatica e scomoda che si deve aver il coraggio di maneggiare. Interessante come il nostro eroe per questo caso si metta a dialogare con un operatore sociale, come la pedagogia esplori l'horror. La Baraldi fa un grande lavoro nella descrizione psicologica dei personaggi e crea una figura, il marionettista, davvero immensa, tragica e romantica, necessaria quanto terrorizzante. Il nostro Dylan appare combattuto come non mai nella scelta della decisione più giusta. E così in fondo mi sono sentito pure io come lettore, anche grazie al mondo di incubo costruito da un Roi quantomai tetro e ispirato ( la parte finale nel Lunapark è eccezionale). 


Il passo dell'angelo. C'è una storia horror che mi ha da sempre buttato addosso una paura maledetta, il cartone animato: Il grande sogno di Maya. Protagonista è questa giovane attrice masochista che incontra un'insegnante quantomai sadica ossessionata dalla perfezione totale assoluta. Entrambe sono pazze terminali ovviamente e vivono di drammi esistenziali assurdi e continui al ricerca di quel "non si sa cosa (che sia un colpo speciale, una danza, una interpretazione, un bonsai) eseguito da Dio". Tana delle tigri? Troppo piena di ottimismo a confronto. Avete presente Il Cigno nero di Darren Aronofsky? Non è niente al confronto, troppo autocompiaciuto nel simbolismo. Pensate a Whiplash di Damien Chazelle? Siete forse più vicini, ma lì la pazzia è più sana... forse. In questo Dylan Dog, scritto da un Gigi Simeoni autore completo, ho trovato quella follia tipica di "Il sogno di Maya", arricchita da un'ambientazione folgorante stile Dario Argento prima maniera. L'ossessione per la rappresentazione artistica definitiva, qui incarnata nella capacità di eseguire in danza il fantomatico passo dell'angelo, si sposa alla perfezione con le atmosfere horror architettate da Simeoni. Quindi c'è una scuola di danza classica esclusiva, c'è una maestra intransigente depositaria della perfezione artistica definitiva, ci sono delle allieve che scompaiono nel nulla. Allieve forse distratte e poche coinvolte nell'impegno necessario, ma pure allieve allieve provette. Dylan indaga sotto copertura, ma senza tutù. Peccato, sarebbe stato spettacolare. Il passo dell'angelo fa molto horror anni '70, dalle parti di Phenomena Suspiria (ma con una punta moderna alla Del Toro), e Simeoni ci fa respirare a piene mani dentro quegli ambienti austeri e asettici popolati da da giovani donne e consunti mostri. Il ritmo narrativo funziona, il versante grafico fa il resto. È una storia semplice ma che funziona bene, diverte e lascia l'occhio appagato. È meno potente di Nel fumo della battaglia, forse uno dei suoi numeri recenti migliori, ma mi ritengo soddisfatto. 

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martedì 22 agosto 2017

Dylan Dog dal n. 363 al n. 365 - mini recensioni!

Ciao a tutti, come va?! È un po' di tempo che mancano sul blog recensioni di fumetti Bonelli e i miei mega-piani per un recupero integrale dei numeri passati si sono per ora spiaccicati contro mille problemi di coordinamento lavorativo. Ma in futuro le cose potrebbero cambiare, incrociamo le dita! Nella speranza di tappare quindi i buchi, (prima o poi) provo a fare una sintesi di come ho trovato Dylan negli ultimi tempi, per l'esattezza dalla nostra ultima  recensione dello sclaviano (e magnifico) Dopo un lungo silenzio


Abbiamo scoperto in Cose Perdute (che mi fa automatico eco in Cose preziose di King) qualcosa in più sull'infanzia di Dylan, sulle sue vacanze dagli "zii" (di cui sappiamo poco e nulla) e sui suoi amabilissimi amici immaginari. Si può dire in sintesi della storia che nella giovinezza il nostro eroe non badasse davvero molto alle donne... e nemmeno alla PlayStation! Simpatiche ombre tenebrose, bambine immaginarie e probabilmente affogate, cloni specchiati e immancabili orsetti infernali. Altro che il simpatico mr Bing Bong di Inside Out, Dylan da fanciullo nella scelta degli amici inventati era più creepy di Tim Burton, così che era gracilino, solo e vulnerabile, con difficoltà a cogliere le differenza tra la realtà e la fantasia. Già un sognatore. Il Dylan adulto di contro, da cui parte il racconto, guarda a quel bambino con lo stesso stupore dei lettori di vecchia data. Si era dimenticato di quegli sfavillanti e malinconici tempi andati fino a che qualcuno, dal passato, torna a visitarlo in quel di Craven Road. Il numero scritto da Paola Barbato funziona bene, soprattutto quando esplora i toni della favola dark. Si legge veloce, incuriosisce, ha un buon ritmo e dà vita a personaggi davvero suggestivi, con tutte le potenzialità e il fascino per tornare in futuro a fare capolino nella serie. C'è pure una bella citazione a Nightmare Nuovo Incubo, mia ossessione/amore personale. Molto belli i disegni di Freghieri, vividi e dettagliati. La campagna assolata che costituisce l'ambientazione principale  ha tutti gli stilemi i colori e luoghi del gotico americano e il "monster design" degli amici immaginari di Dylan è molto riuscito, subito riconoscibile. E poi c'è un Dylan bambino che è un vero amore.


Passiamo quindi a Gli anni selvaggi, il numero che racconta di quando un giovane Dylan, prima di inseguire mostri, prima di entrare in polizia, gestiva una incasinata rock band, i Bloody Hell. Da adesso sappiamo che quando Dylan impreca con il suo "Bloody Hell" si perde negli incubi personali scaturiti da quel periodo, fatto di troppo spray per capelli e coca cola. Barbara Baraldi è probabilmente una rockettara vissuta nel mito delle hair/glam/metal band della West Coast (chissà se ci ho preso...) e costruisce intorno al nostro giovane eroe un piccolo universo rock che grida Motley Crue (ci sono, mi pare, passaggi simili nel libro "The Heroine Diary" di Nikki Sixx) da tutti i pori. È una storia Glam e anche un po' teen, parecchio hair: la musica bella e maledetta si incastra nella vita spericolata di chi la scrive e suona perennemente sudato e laccato nei capelli. Nella ascesa e discesa dei Bloody Hell tutto ha il sapore della soap opera piuttosto "sporca" classica nella storia dei gruppi West coast. Il pacchetto classico che comprende relazioni disfunzionali tra Manager preoccupato e cantante egocentrico, tra batterista introverso e chitarrista eclettico, tutti contro il bassista carismatico, tutti contro i fan e la società che non capisce (vedere Almost Famous di Cameron Crowe oppure il divertentissimo Frank di Lenny Abrahamson). Ci sono i musicisti che dormono uno sopra l'altro in posti luridi dominati dalle blatte (Nikki Sixx le combatteva con un lanciafiamme ricavato dallo spray per capelli con l'innesto di un accendino e così ha dato fuoco a diverse abitazioni), c'è l'ostentazione per il look, le fan infoiate strappamutande, l'alcol, le pasticche, altro alcol e altre pasticche (Ozzy dopo aver bevuto troppo usava uscire da macchine in corsa rotolando nel deserto circostante), gli applausi, i "sono un Dio dorato!!". Tutti  "ci credono un casino" e sono nel mood noiosamente fighi e disperati, desiderosi di crocerossine che gli salvino l'anima. Tutti i gruppi finiscono poi ovviamente nello stesso modo: crisi, gelosie, rimpianti a cui si aggiunge qui un piccolo ingrediente soprannaturale, come la formula dylaniata vuole. La Baraldi in tutto questo marasma "metal finto maledetto" sfoggia una scrittura comunque attenta, innaffia di citazioni musicali gustose (che lascio agli intenditori), ma soprattutto punta a ricreare al meglio quel turbine di emozioni, sentimenti e confusione che è l'adolescenza. E non è un merito da poco. È una storia di rapporti personali e speranze infrante per egoismo, è più di tutto una storia di amicizia tra adolescenti scritta con un registro che è attuale per gli adolescenti d'oggi. Non c'è solo cornice ma anche spontaneità dei dialoghi, e la Baraldi si conferma scrittrice promettente e in crescita, attenta ai registri lessicali dei più giovani. C'è l'horror, ma non aspettatevi Morte a 33 giri, anche se magari ne ha le intenzioni. Nicola Mari si conferma un disegnatore ideale per le sceneggiature della Baraldi. Accanto a un intreccio che segue le regole dei young adult abbiamo disegni ultra-dettagliati e sognanti con protagoniste figure dai lineamenti allungati che per movenze e look strizzano un occhio e anche due alle produzioni shoyo. Lo young Dylan sfoggia pure un sexy collarino nero e ha un appeal tutto suo con il co- protagonista dell'opera. È chiaro che sia un numero maggiormente pensato per un pubblico femminile, ma potrebbe essere una bella sorpresa anche per gli altri. Chiaro che potrebbe non essere per tutti. A ogni modo chi non ama disegni sognanti e contesti attraenti principalmente per un pubblico femminile, nonché una scrittura che non nasconde una forte sensibilità femminile, è avvisato. Ma se Dylan ha tante lettrici non ci trovo nulla di male in un lavoro di questo tipo, anzi. 


Dopo quattro storie (comprese quella di Recchioni e Sclavi) che hanno indagato a modo loro sul passato di Dylan Dog, facendo un'opera di ret-con che ha incuriosito, sorpreso e forse pure spaventato (anche alcuni fan di vecchia data che conosco e saluto), torniamo, con Cronodramma, scritto e diretto da un grande Ambrosini con "guest Star" alle matite Walter Dell'edera, un po' agli albori della gestione di Recchioni, quando con quel 337, Spazio Profondo, indagavamo la possibilità di conoscere dei Dylan diversi creati da visioni diverse del personaggio. Ci sono due Dylan in questa storia, che vivono in realtà diverse. La trovata interessate è poi che i due mondi sono anche disegnati con stile diverso da dell'edera e Ambrosini. Quello di Dell'edera è più "fumettoso", quasi caricaturale. Quello di Ambrosini è più squadrato e tagliato con l'accetta, più cupo. Il mondo "canonico" ci racconta una storia che ha a che fare con una scrittrice famosa perseguitata dal fantasma di una bambina che le impedisce di uscire dalla sua abitazione. Nell'altro, con un Groucho molto più alternativo del solito, la missione del nostro eroe è quella di riportare una bambina sperduta a casa. Sulla vicenda che si intreccia mano a mano, aleggia un terribile killer, un complotto e un destino mai così indeterminabile. Ambrosini che qui parla di rimpianti e della difficoltà di comunicare tra le persone (con gli altri e con se stessi), è forse meno cupo che nel recente Lacrime di pietra e scarica sul racconto tutta la sua vena più surreale, quella che ha espresso al massimo con la sua serie Napoleone. Rimane una prosa lunare, criptica e dolente. Il risultato è interessante, strano, ambiguo, lineare all'inizio quanto complicato ad una rilettura. Una storia - rebus da leggere e rileggere che mi ha invischiato per diverso tempo rigettandomi più volte all'inizio, anche con "crudeltà", alla scoperta di una interpretazione diversa che non arriva. Una storia malinconica, amara  e sofferta, nascosta e mascherata da una patina surreale che la rende quasi euforica, fatta della stessa stoffa dei sogni. Ambrosini non lascia mai indifferenti, ci fa scavare nei personaggi che racconta e disegna, ci fa ispezionare le rughe dei volti dei suoi personaggi e ci fa giocare con le sue tavole come sulla settimana enigmistica, alla ricerca di elementi curiosi e spesso nascosti come i suoi curiosi e muti pupazzi animati. Dell'edera riesce con il suo tratto ad alleggerire il tono generale, senza dimenticare che nel suo "mondo" abbiamo inoltre un Groucho che mangia canarini vivi e porta occhiali da sole. Decisamente strano quanto intrigante. Un numero davvero bello. 

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Addio Jerry


Da tempo malato, ci lascia a 91 anni dopo averci regalato milioni di risate con la sua comicità dirompente, indiavolata quanto innocua. Se fosse stato un cartone animato, sarebbe stato il perfetto Paperino. Pensare a lui mi fa partire in automatico tutta una serie di ricordi su quando, da bambino, guardavo di pomeriggio i suoi film in TV insieme al nonno. Ciao Jerry!

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venerdì 18 agosto 2017

WE3 di Grant Morrison e Frank Quitely


 Si chiamano NOI (in inglese WE), un acronimo che sta per "Nuovo Organismo Ibrido". Sono cavie da laboratorio trafugate un po' per strada, rubate ai loro proprietari. Un cane, un gatto, un coniglietto. Li hanno addestrati e poi corazzati, riempiti di componenti cyborg, stipati di missili. Li hanno teleguidati a distanza come fossero macchinine radiocomandate ed usati per combattere il crimine in campo aperto. Perfetti robocop animali. Poi il progetto è finito e i cucciolotti con in corpo più cavi di Darth Vader devono andare in pensione. Solo che non possono essere smontati, perché partirebbe un meccanismo di autodistruzione. Non possono essere lasciati liberi, non tanto perché sarebbero letali macchine di morte ma soprattutto l'opinione pubblica li scoprirebbe e si farebbe delle domande serie su una sperimentazione bellica così invasiva e contraria all'etica. Vanno soppressi. Iniezione letale. Nessuno soffrirà. Ma la ragazza che li ha cresciti ed educati non ci sta, decide di liberarli. Inizierà per i tre robo-animali una piccola, sanguinolenta e tragica odissea tra i boschi. Braccati da uomini senza scrupoli e da creature come loro, ma ancora "radio-comandate". 



Grazie alla Lion torna in edicola WE3 di Morrison e Quitely. Una storia in tre parti, raccolta in elegante cartonato, che è tra le letture imprescindibili per chi ama il fumetto. A livello grafico è semplicemente sensazionale, a livello di racconto è un autentico pugno allo stomaco per crudezza e drammaticità. Se amate gli animali è davvero difficile da approcciare, anche se gli autori lo hanno creato come arma di denuncia e critica alla sperimentazione scientifica. Il sangue scorre a fiumi, il versante splatter del disegno è fuori scala. Ma al contempo gli animali protagonisti sono autentici, hanno un cuore e una malinconia che li rende tragici, "potenti". Ci si esalta, molte cose sono anche divertenti, ma soprattutto si avverte l'amarezza dell'opera. È facile ritrovarsi a piangere sfogliando le pagine e in questo ci avviciniamo davvero tantissimo alla tragicità di ferro e sangue del primo Robocop di Paul Verhoeven. 


Le tavole di Quitely sono immense, cariche di dettagli, da analizzare centimetro per centimetro. Ogni scelta grafica è chiara, di impatto, sadicamente orchestrata. I suoi disegni al contempo hanno una naturalezza unica, soprattutto quando descrivono i tre animali protagonisti. È da leggere. È tremendo, assolutamente non adatto ai più sensibili e ai più piccoli ma è da leggere. Ci trovate dentro tutta la potenza, la forza e la gentilezza che un media come il fumetto può esprimere. Qualcuno (la New Line, nel 2006) una volta pensava di farci una trasposizione cinematografica. Non credo che un film avrà mai il coraggio di rappresentare esattamente la crudezza (ma anche la poetica distorta) di questo fumetto. 

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martedì 15 agosto 2017

La torre nera - la nostra recensione



L'uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì. Cominciava così una "saga per caso" che cambiava forma e stile a ogni uscita e con il passaparola diventava grande, autentica. Una epopea horror/futur/western ruvida, sconnessa e dall'autore, Stephen King, mai pianificata veramente, costruita sull'onda del momento, spesso inseguita e ricercata dall'autore tra le righe dei suoi altri romanzi, come un chiodo fisso o un memento. Un'epopea culminata dopo anni, anni e anni in un capitolo geniale, grande, ma che non era poi davvero conclusivo. Lì si pone, con spericolata baldanza e assoluta follia, questa riduzione cinematografica della Torre Nera. Un seguito, un nuovo punto di inizio per i nuovi futuri lettori, un "Elseworld" che ripercorre i passi del primo romanzo, L'ultimo cavaliere e che solo chi ha letto i libri fino alla fine, fino all'ultima pagina dell'ultimo libro, può collocare al meglio (certo serve una certa interpretazione, ma ci può stare). È un mondo simile a quello cartaceo, ma mosso da regole diverse (le porte qui fungono da teletrasporti completi, non solo dell'anima), percorsi temporali diversi e nemici in parte diversi. Meno horror e più fantasy, più rivolto ai giovani. Una favola oscura dalle parti dei fantasy come Legend di Ridley Scott, narrativamente più dalle parti del kinghiano Il talismano e quasi in zona dell'Endiano La Storia infinita, con cui condivide tantissimi punti. C'è un bambino che sogna un mondo lontano, c'è un eroe ultimo della sua razza, c'è un potere che ingoia ogni cosa simile al potente "Nulla". Il gioco rimane lo stesso del libro. C'è una torre nera che protegge alcuni mondo dall'oscurità. C'è un nemico che vuole abbatterla corrompendo quanto di più puro e indifeso ci sia al mondo. Ci sono i pistoleri, l'unico baluardo contro il male a difesa della torre e tra loro c'è Roland, l'ultimo di loro, che impugna contro i demoni pistole ricavate da Excalibur. Roland ha mantra quando si prepara alla lotta. Non mira con la mano, perché colui che mira con la mano ha dimenticato il volto di suo padre. Lui mira con l'occhio. Non spara con la mano, perché colui che spara con la mano ha dimenticato il volto di suo padre. Lui spara con la mente. Non uccide con la mano, perché colui che uccide con la mano ha dimenticato il volto di suo padre. Lui uccide con il cuore. Codice, onore, sacrificio e molto sconforto, uniti a una pellaccia quasi d'acciaio e da una mira sovrumana, muovono Roland nella infinita e spietata lotta contro il re rosso e uno dei suoi attendenti più temibili, Walther. Walther assomiglia qui tanto al Randal Flagg del kinghiano L'ombra dello scorpione. È un demone quasi onnipotente, terribile e letale. C'è questa lotta, ci sono i mostri e un desolato mondo parallelo post apocalittico e c'è la storia di Jake, un bambino che ha strani sogni, viene bullizzato e quasi internato perché creduto pazzo dalla sua stessa, pessima ma amatissima madre. Ma come King insegna, non bisogna mai sottovalutare le capacità delle persone più tartassate e sconfitte dalla vita, perché è in loro che risiede la vera forza. 


Il film è ben recitato, è carico di scene suggestive, scenari evocativi  e preso per quello che vuole essere, cioè una favola dark, funziona e alla fine ha pure una chiusa interessante. Rimane un fatto netto: non è, ne mira ad essere, una trasposizione fedele dei libri della Torre Nera. Il fatto che ne sia in qualche modo un sequel non è male, ma la scelta di farne un prodotto più per ragazzi può far storcere magari il naso a chi voleva un taglio più horror e adulto. C'è chi poi ha letto che è una saga fantasy, non ha letto i libri e si aspettava una specie di Signore degli anelli. Ovviamente si sono sentiti fregati, anche se magari potevano informarsi prima. In rete lo hanno demolito anche più del necessario, il botteghino è andato deserto, difficilmente il progetto della Sony, che includeva altri capitoli cinematografici e serie TV a tema, sarà prolungato, salvo miracoli. A un occhio critico non è affatto la monnezza tanto sventolata dall'indignato pubblico. È un film piuttosto onesto e nemmeno troppo lungo, con belle scene d'azione e un finale, per una volta, che è autosufficiente a future pellicole. Io lo metto nella schiera delle pellicole fantasy carine anche se non epocali come Blade, The Last Witch Hunter, Shadow Hunters, Underworld. Lo metto quasi una spanna sopra però. Per una sera, specie se molto calda, va benissimo, magari accompagnato a una coca cola. 


Idris Elba è granitico, fico a non finire e fa un sacco di cose ganze con le sue pistole. In alcune scene non fa che sparare e ricaricare contro montagne di mostri che gli si parano davanti. Matthew McConaughay sembra Christopher Walken da giovane e si diverte un pazzo a creare un cattivo cattivo crudele quasi quanto il T-1000 di Terminator (c'è una scena ad hoc in cui vedrete questo aspetto). Un cattivo che per una volta non ha un filo di ironia e che quando arriva fa veramente paura. Il piccolo Tom Taylor non recita affatto male, lega molto bene con Elba ed è molto credibile pur nel contesto incredibile della storia. In molte scene tra Elba e Taylor si recita il classico buddy movie, e questi sono tra i momenti più riusciti della pellicola. L'aria pesante da dark fantasy, stile Legend, funziona e la musica da un accompagnamento niente male. C'è tutta una pletora di mostri tentacolari, demoni che comprano al mercato nero pelli umane da indossare, poteri telecinetici e pure un raggio mortale creato dal terrore. Ci si diverte. Ci si aspettava a ogni modo a livello di "mondo" qualcosa di parecchio diverso, di più grosso, di più profondo, di più aderente ai testi, di piu pauroso, di più adulto. Tutte vie che potevano essere percorribili ma che non si sono intraprese, complice una produzione che è un po' naufragata dopo che Ron Howard si è allontanato troppo dal progetto e dopo che la solita coppia di produttori pasticcioni (si dice) si è chiusa per due settimane in sala montaggio a fare i macelli cosmici. Qualunque sia la verità, il film è carino e abbastanza solido pure dal punto di vista del montaggio, privo delle bestialità di montaggio viste in Suicide Squad o Batman v Superman. Non ci sono buchi di sceneggiatura qui. Manca semmai all'intera produzione un po' di ambizione in più per elevarlo a un prodotto di serie A. Il gigante produttivo ha partorito un topolino. Anche se un topolino simpaticissimo.


Mi viene in mente un aneddoto. Ho visto tempo fa Daredevil al cinema. Era bruttino, diciamo. Poteva venire meglio. Ma da allora mi sono incuriosito e ho iniziato a leggere il fumetto, che è ancora oggi uno dei migliori comics in circolazione e una delle mie letture imprescindibili. Forse qualcuno, come me allora, dopo aver visto questo film potrebbe avvicinarsi alla saga cartacea della Torre Nera. E so già che così facendo avranno una bellissima sorpresa. Ma a prescindere da tutto, se non lo avete ancora fatto correte a leggere la saga di King appena potete. Ho sentito in giro che c'è troppa gente che ancora non la conosce e questo è davvero un peccato. 
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sabato 12 agosto 2017

Pacific Rim Uprising - gli Jeager!!

Abbiamo finalmente avuto i primi contatti ravvicinati con il futuro film robottonico per la regia di Steven DeKnight grazie al Comicon di San Diego. Si sono viste due tutine, due pupazzetti, un teaser vedo non vedo e poco altro. Tra quel poco altro ci sono le schedine dei robottoni e siccome queste fesserie ci mandano in estasi, condividiamo la pazzia con voi. Non chiedeteci però chi pilota cosa, che è troppo presto e quello che in fondo davvero importa di tutta la trama è che esploda degli Jeager solo quello con Scott Eastwood, magari facendogli fare una fine (sempre virtuale ma decisamente orribile). Evvai di pupazzi quindi!


Gipsy Avenger è l'evoluzione del Gipsy Danger classico. Monta sul petto, alla Mazinga, un cannone  Vortez in questo caso "doppio" (uno grande e uno più piccino sotto). Sfoggia di nuovo i mitici pugni "accelerati" a razzo, è dotato di spada a catena (che speriamo stavolta si ricordi di avere prima della fine del film) e mantiene la mano trasformabile in plasmacaster (speriamo dalla ricarica più veloce di prima). Molto interessanti gli upgrade alle gambe, che dovrebbero garantire una velocità superiore a quella da "muflone morto" del Gipsy precedente. L'elmo è più da soldato spartano e meno da motociclista, le spallotte giganti qui sembrano più "sobrie". Un bel pupazzino.


Il Titan Redeemer sembra a tutti gli effetti l'evoluzione di questo oggetto adattato alla lotta contro i Kaiju...





Ha molti componenti ma pochi usi specifici. Deve fare male. Non deve essere bello per un Kaiju avere alle spalle il "Redentore Titanico". Un'arma come le "granate nebbiose" serve probabilmente ad occultare un robottone da mezzo chilometro dalla vista di Kaiju piuttosto tonti.


Ok, il riboninja con doppie katane e aggeggi per incrementare la velocità. Sarà pilotato da donne per via della colorazione? Durerà di più del Crimson Typhoon, per la gioia dei produttori principali della pellicola?


Ecco il robot "razzista"del gruppo. Spara dalle gambe, dalle braccia, dal petto. Sembra il frato-cugino dello Striker Eureka: grosso, potente e pieno di missili. Si raccomanda ai bambini di non puntare i missili a grappolo contro gli occhi.


E questo chi è? Sembra pure lui grosso e cattivo e pieno di acceleratori per i movimenti. Si vede che i robottoni alla Cherno sono ormai fuori moda, qui dovrebbero schizzare tutti come schegge. A occhio pare il pupazzino che se lo trovi nell'happy meal ci rimani male, quello che McDonald ci impiegherà gli anni per eliminare le scorte. 

E adesso non vediamo l'ora di vedere i pupazzini Kaiju! Febbraio si avvicina! 
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martedì 8 agosto 2017

Deadpool 2



Le prime foto di Josh Brolin così come apparirà nel ruolo di Cable nel secondo film di Deadpool. È un look molto vicino alla controparte cartacea pensata da Rob Liefeld, ma giocoforza meno muscolare e più ruvida e rugosa. L'ingresso di Cable nel pantheon mutante significa che presto arriverà nelle sale (o in TV) anche la X-Force, la squadra di mutanti pesantemente armati di cui spesso lui è leader sulla carta stampata. Il personaggio è molto misterioso in effetti, al punto che le sue origini (da non spoilerare) divergono tra la versione classica e quella ultimate. Ma il succo, quello che più lo contraddistingue da sempre come personaggio, è il fatto di essere un soldato e un leader carismatico. Un'aggiunta interessante, che si pone tra il sognatore Charles e il terrorista Victor. Le sue avventure con Deadpool sono comunque tantissime e fuori di testa,  e immaginiamo che presto ce le troveremo tutte di nuovo in edicola. 


Oltre a Cable, in Deadpool 2 troveremo anche Domino, altro membro storico della X-Force. Non c'è che dire, il nuovo film del mercenario chiacchierone, previsto in sala per il 2018, sta iniziando a farsi interessante...

Anche Deadpool è pronto a perdere ogni dignità per una Domino (Zazie Beets) così!
Torneranno ovviamente anche il Colosso "digitale", la minuta Testata Mutante Negasonica, la fidanzata Vanessa (la bellissima Morena Baccarin) e il tassista Dopinder. 

Il primo Deadpool, diretto da Tim Miller, è stata una bella sorpresa. Un film di supereroi pieno di parolacce, sangue e scoregge. Un film sgangheratamente ironico, ultra-action, trucidamente splatter, sentitamente sopra le righe ma anche immensamente auto-parodistico. Ci ha conquistato questo anti-eroe brutto come Freddy Krueger, immortale come Wolverine, grezzo da far paura, ma soprattutto sorprendentemente tenero e innamorato. Un eroe imperfetto e per questo più umano del solito. Il timone della pellicola numero 2 va ora a David Leitch, coinvolto nel progetto già dalla pellicola numero uno (soprattutto nel mitico "corto di prova", quello con il combattimento girato in auto che ha attirato i produttori al progetto), uno della cricca degli ex stunt-man passati dietro la macchina da presa con John Wick (l'altro è ovviamente Chad Stahelski) e in sala adesso oggi, come regista, con Atomica Bionda. Ci piace il modo in cui questo regista sta riscrivendo con i suoi soci le regole dell'action, frullando arti marziali e pistole in un modo nuovo e originale (ma che comunque strizza l'occhio a John Woo, al judo quanto alle scoperte orientali di Gareth Evans). Ci piace l'ironia e i "mondi segreti" che affiorano dalle sceneggiature delle loro opere. Sul lato squisitamente delle "botte", la "rallenty -action" del primo Deadpool era divertente quanto plastica, ma forse un po' già vista. La "gun-fight " più spinta e "meno contemplata" vista in John Wick e Atomica Bionda è invece una scelta più realistica, più sofferta e più tecnica. Sembrano davvero pugni, sembrano davvero provenire da persone sudate, nonostante tutto rimanga assolutamente sopra le righe. Se Leitch la importerà o tradurrà per Deadpool non è ancora dato saperlo, ma sarebbe un'implementazione mica male. Il villain della pellicola è ancora senza nome, anche se potrebbe benissimo essere Cable stesso. Insomma, lo ripetiamo: hype a mille. 
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venerdì 4 agosto 2017

The Assignment - Nemesi - il nuovo film di Walter Hill con la colonna sonora di Giorgio Moroder



Frank Kitchen è muscoloso, peloso, sudato e con una nerchia grande così. La sua vita consiste in sesso compulsivo e continuo intervallato da una carriera professionale da assassino prezzolato. Come spesso capita ai cattivi nei film, avrà la sua punizione. Una scienziata pazza interpretata da Sigourney Weaver, la dottoressa Rachel Jane, decide di punire il killer per aver assassinato suo fratello. Siccome oltre che pazza e geniale è filosofa e cita Shakespeare a memoria decide di dare all'assassino macho sesso-dipendente una punizione esemplare. Lo trasformerà fisicamente in una donna. Così dopo essere stato aggredito, rapito e operato il buon Frank si ritrova a guardarsi allo specchio, nudo come dottoressa Jane lo ha fatto, dopo essersi dolorosamente e feralmente tolto le bende, quale novello Joker. La scena qui è forte. Sembra quasi di trovarsi in una grottesca imitazione di una delle più celebri scene di Orlando di Sally Potter con Tilda Swinton. Nell'adattamento del romanzo di Virginia Woolf, Orlando, reincarnatosi in un corpo femminile dice: "Stessa persona, nulla è cambiato. Solo il sesso è diverso". È un manifesto della superiorità della sostanza sulla forma, che si definisce e contrasta, in una lotta continua, in altre frasi celebri tratte dalla stessa opera letteraria come: "Sono gli abiti a portare noi e non noi a portare gli abiti; possono far sì che modellino bene un braccio, o il seno, ma essi ci modellano a piacer loro il cuore, il cervello, la lingua. Essere e apparire. Frank Kitchen si specchia nel corpo nudo di Michelle Rodriguez. Non ci sono più i suoi muscoli scultorei, i suoi peli e la barba irsuta, la sua nerchia gigante. Frank urla come un cinghiale ferito a morte da una tagliola. La dottoressa, che è fan anche di Poe, gli/le riempie la casa di citazione al Corvo: "Nevermore, mai più" scritto ovunque. Lo/la invita a prendere le pastiglie, gli antidolorifici e gli ormoni, per far scomparire i residui di mascolinità insieme allo sgraziato vocione. Frank  è morto e forse può rimanere tale, la ragazza del caffè che aveva conosciuto per caso prima del rapimento/ intervento gli/ le vuole bene anche nel "dopo". La punizione può essere un dono? Per Frank no. E armato/a di pistola decise di fare una strage e di non fermarsi fino a che non scoprirà chi lo/la ha venduto/a,chi lo/la ha operato/a. Troverà pace o vendetta?



Con la colonna sonora di Giorgio Moroder, un paio di attrici cazzute, un budget da prodotto indipendente e una estetica che rimanda dritto con la carta carbone alle opere a fumetti più muscolari e deviate di Frank Miller, Sin City su tutte, il regista de I guerrieri della notte adatta una sceneggiatura maledetta, da pura black list di Hollywood, a firma Denis Hamill. Un gender-thriller da commedia nera che subito ha indignato la comunità transgender per l'uso punitivo/sadico della pratica del cambio di sesso. In realtà, volando molto più basso, trattasi di fumettone folle e un po' sconclusionato, che puzza di sudore e ormoni e fornisce l'occasione pruriginosa di vedere un fullfrontal della spesso inibita Michelle Rodriguez. Certo fa un po' specie vederla nuda dopo averla vista nuda e "maschile" con un appariscente corpo protesico da maschio alfa anabolizzato latino con tanto di pacco penzolante. Peccato che il lato action sia un po' deficitario, peccato che la trama proceda a balzi insensati tenendo come debole cornice l'interrogatorio della polizia alla Weaver (su certi fattacci che non vi spoilero).  Però è un film strano forte. Ci sono scene assurde e spiazzanti, c'è tutta una stilizzazione delle immagini a fumetto (un pallino di Hill fin dai tempi de I guerrieri della notte) che non si sa come appiccicare bene al resto del contesto. Sorprende anche un po' il fatto che forse Hill se lo avesse fatto trent'anni fa lo avrebbe fatto uguale. Però questo è per gli "hilliani doc" un guilty pleasure, un po' masochista. Alla Jimmy Bobo direi, anche lui con di base il fumetto. Oltre ai già citati Guerrieri di New York il cinema ha visto anche i suoi cavalieri dalle lunghe ombre,  le sue Strade di Fuoco rock , 96 ore di pura action - commedy , il quasimodo Johnny il bello, perfino la sua personale "sfida del samurai western" (Ancora vivo con Bruce Willis). Hill ha fatto tanta roba e tanto buona che non gli si può voler male in fondo nemmeno oggi, che dirige una Michelle Rodriguez barbuta e con un pisellone finto tra le gambe. Se lui si diverte... noi forse un po' meno del solito. Ma se cercate la Rodriguez nuda, sapete che film guardare. In sintesi: un fumettone, ma bello strano. Se vi piacciono le cose assurde e un po' illogiche. 
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martedì 1 agosto 2017

Operazione Chromite - la nostra recensione!


In genere ai miei tempi al liceo si finiva il programma di storia intorno al 1949, quello che accadde dopo all'umanità era descritto per lo più da La dolce vita di Fellini. Oggi non so come vadano le cose, ma forse a questa guerra di "Coree", intorno al 1960, il programma di storia arriva, e sarebbe pure un'occasione per spiegare perché c'è una Corea del Nord e una del Sud. La storia serve a capire i popoli. Gli americani non hanno forse ancora afferrato il problema e film come The interview di Seth Rogen (e conseguente furto di materiali Sony Pictures per rappresaglia) dovrebbero aver fatto capire che la Corea non è un tema da prendere troppo alla leggera. Nel recente Far East Film Festival di Udine mi è capitato di assistere a Confidential Assignment di Lim Sung-hoon, un film poliziesco stile Danko, in cui due poliziotti delle due coree cercano, tra incomprensioni varie e molti colpi di kung fu, di trovare un criminale comune. Si vede che c'era un clima disteso a monte. In due Far East precedenti è arrivata pure una pellicola della Corea del Nord e in genere si stanno vedendo più """aperture"""", almeno a livello culturale. Certo rimangono, e fanno paura, i test missilistici e una sostanziale incomunicabilità con il mondo della Corea del Nord. Certo film come questo Operation Chromite, realizzati in clima decisamente non disteso, dipingono scenari terribili, dove la Corea del Nord viene rappresentata con toni non inferiori al regime nazista. Certo anche questo film è "di parte", ma è un punto di partenza per interessarsi, sui libri di storia, alle vicende di un territorio che seppur centrale nello scacchiere mondiale si conosce pochissimo. Certo l'idea che mentre in Italia c'era la "Dolce vita" si combatteva una guerra come questa, con la storia indietro di un ventennio per crudezza, fa specie. Fa specie vedere anche un Liam Neeson così bolso e poco reattivo, ma questa è davvero l'unica battuta che mi concedo per questo articolo. 



L'operazione Chromite così come descritta qui è una missione suicida che prevede l'infiltrazione di spie sud-coreane tra le fila del nord e il furto, presso un alto-comando, della mappa con l'ubicazione di milioni di mine sottomarine. E se avanza il tempo impossessarsi pure di un faro e guidare con quello lo sbarco di un fantastiliardo di truppe americane capitanate dal generale MacArthur (Liam Neeson). La trama va giù un po' in "sborona " dicendo che tutto sto popò di piano lo hanno fatto solo in otto Rambo sud-coreani, ma già verso la fine del film si parla di sedici uomini. Sta di fatto che quello a cui assistiamo è un film alla John Woo vecchio stampo, con i nostri eroi che prima crivellano di colpi montagnole di cattivissimi e spietatissimi nazi -  troopers - nord - coreani e poi vengono decimati in scene patriottiche e malinconiche. Stiamo a metà tra A Better Tomorrow e Windtalkers e c'è da dire che le scene action sono davvero gigantesche ma nulla è a livello della crudezza con cui viene rappresentata la Corea del Nord e i suoi ufficiali. Alcune scene arrivano dritte allo stomaco come un pugno. Guerra, dramma e anche politica. Infatti è presente anche una poco velata critica all'esercito americano, che non ha dato le truppe a un generale per vincere una guerra perché temeva che, diventato troppo noto, volesse muoversi verso la Casa Bianca a pre-pensionare l'attuale presidente. John H. Lee dirige un plotone di attori ben amalgamati, su cui spiccano il titanico Lee Jung - Jae e il terribile  capo della KLO interpretato da Kim Byeong-Ok. Il finale è tutto un crescendo action ultra - esagerato che gli amanti dei war movie non possono farsi scappare. Un film duro ma davvero ben realizzato che, ripeto, potrebbe essere un punto di partenza per "incuriosirvi" sulla storia (da approfondire poi sui libri) di un paese che in fondo non ci è così distante.  
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