martedì 22 agosto 2017

Dylan Dog dal n. 363 al n. 365 - mini recensioni!

Ciao a tutti, come va?! È un po' di tempo che mancano sul blog recensioni di fumetti Bonelli e i miei mega-piani per un recupero integrale dei numeri passati si sono per ora spiaccicati contro mille problemi di coordinamento lavorativo. Ma in futuro le cose potrebbero cambiare, incrociamo le dita! Nella speranza di tappare quindi i buchi, (prima o poi) provo a fare una sintesi di come ho trovato Dylan negli ultimi tempi, per l'esattezza dalla nostra ultima  recensione dello sclaviano (e magnifico) Dopo un lungo silenzio


Abbiamo scoperto in Cose Perdute (che mi fa automatico eco in Cose preziose di King) qualcosa in più sull'infanzia di Dylan, sulle sue vacanze dagli "zii" (di cui sappiamo poco e nulla) e sui suoi amabilissimi amici immaginari. Si può dire in sintesi della storia che nella giovinezza il nostro eroe non badasse davvero molto alle donne... e nemmeno alla PlayStation! Simpatiche ombre tenebrose, bambine immaginarie e probabilmente affogate, cloni specchiati e immancabili orsetti infernali. Altro che il simpatico mr Bing Bong di Inside Out, Dylan da fanciullo nella scelta degli amici inventati era più creepy di Tim Burton, così che era gracilino, solo e vulnerabile, con difficoltà a cogliere le differenza tra la realtà e la fantasia. Già un sognatore. Il Dylan adulto di contro, da cui parte il racconto, guarda a quel bambino con lo stesso stupore dei lettori di vecchia data. Si era dimenticato di quegli sfavillanti e malinconici tempi andati fino a che qualcuno, dal passato, torna a visitarlo in quel di Craven Road. Il numero scritto da Paola Barbato funziona bene, soprattutto quando esplora i toni della favola dark. Si legge veloce, incuriosisce, ha un buon ritmo e dà vita a personaggi davvero suggestivi, con tutte le potenzialità e il fascino per tornare in futuro a fare capolino nella serie. C'è pure una bella citazione a Nightmare Nuovo Incubo, mia ossessione/amore personale. Molto belli i disegni di Freghieri, vividi e dettagliati. La campagna assolata che costituisce l'ambientazione principale  ha tutti gli stilemi i colori e luoghi del gotico americano e il "monster design" degli amici immaginari di Dylan è molto riuscito, subito riconoscibile. E poi c'è un Dylan bambino che è un vero amore.


Passiamo quindi a Gli anni selvaggi, il numero che racconta di quando un giovane Dylan, prima di inseguire mostri, prima di entrare in polizia, gestiva una incasinata rock band, i Bloody Hell. Da adesso sappiamo che quando Dylan impreca con il suo "Bloody Hell" si perde negli incubi personali scaturiti da quel periodo, fatto di troppo spray per capelli e coca cola. Barbara Baraldi è probabilmente una rockettara vissuta nel mito delle hair/glam/metal band della West Coast (chissà se ci ho preso...) e costruisce intorno al nostro giovane eroe un piccolo universo rock che grida Motley Crue (ci sono, mi pare, passaggi simili nel libro "The Heroine Diary" di Nikki Sixx) da tutti i pori. È una storia Glam e anche un po' teen, parecchio hair: la musica bella e maledetta si incastra nella vita spericolata di chi la scrive e suona perennemente sudato e laccato nei capelli. Nella ascesa e discesa dei Bloody Hell tutto ha il sapore della soap opera piuttosto "sporca" classica nella storia dei gruppi West coast. Il pacchetto classico che comprende relazioni disfunzionali tra Manager preoccupato e cantante egocentrico, tra batterista introverso e chitarrista eclettico, tutti contro il bassista carismatico, tutti contro i fan e la società che non capisce (vedere Almost Famous di Cameron Crowe oppure il divertentissimo Frank di Lenny Abrahamson). Ci sono i musicisti che dormono uno sopra l'altro in posti luridi dominati dalle blatte (Nikki Sixx le combatteva con un lanciafiamme ricavato dallo spray per capelli con l'innesto di un accendino e così ha dato fuoco a diverse abitazioni), c'è l'ostentazione per il look, le fan infoiate strappamutande, l'alcol, le pasticche, altro alcol e altre pasticche (Ozzy dopo aver bevuto troppo usava uscire da macchine in corsa rotolando nel deserto circostante), gli applausi, i "sono un Dio dorato!!". Tutti  "ci credono un casino" e sono nel mood noiosamente fighi e disperati, desiderosi di crocerossine che gli salvino l'anima. Tutti i gruppi finiscono poi ovviamente nello stesso modo: crisi, gelosie, rimpianti a cui si aggiunge qui un piccolo ingrediente soprannaturale, come la formula dylaniata vuole. La Baraldi in tutto questo marasma "metal finto maledetto" sfoggia una scrittura comunque attenta, innaffia di citazioni musicali gustose (che lascio agli intenditori), ma soprattutto punta a ricreare al meglio quel turbine di emozioni, sentimenti e confusione che è l'adolescenza. E non è un merito da poco. È una storia di rapporti personali e speranze infrante per egoismo, è più di tutto una storia di amicizia tra adolescenti scritta con un registro che è attuale per gli adolescenti d'oggi. Non c'è solo cornice ma anche spontaneità dei dialoghi, e la Baraldi si conferma scrittrice promettente e in crescita, attenta ai registri lessicali dei più giovani. C'è l'horror, ma non aspettatevi Morte a 33 giri, anche se magari ne ha le intenzioni. Nicola Mari si conferma un disegnatore ideale per le sceneggiature della Baraldi. Accanto a un intreccio che segue le regole dei young adult abbiamo disegni ultra-dettagliati e sognanti con protagoniste figure dai lineamenti allungati che per movenze e look strizzano un occhio e anche due alle produzioni shoyo. Lo young Dylan sfoggia pure un sexy collarino nero e ha un appeal tutto suo con il co- protagonista dell'opera. È chiaro che sia un numero maggiormente pensato per un pubblico femminile, ma potrebbe essere una bella sorpresa anche per gli altri. Chiaro che potrebbe non essere per tutti. A ogni modo chi non ama disegni sognanti e contesti attraenti principalmente per un pubblico femminile, nonché una scrittura che non nasconde una forte sensibilità femminile, è avvisato. Ma se Dylan ha tante lettrici non ci trovo nulla di male in un lavoro di questo tipo, anzi. 


Dopo quattro storie (comprese quella di Recchioni e Sclavi) che hanno indagato a modo loro sul passato di Dylan Dog, facendo un'opera di ret-con che ha incuriosito, sorpreso e forse pure spaventato (anche alcuni fan di vecchia data che conosco e saluto), torniamo, con Cronodramma, scritto e diretto da un grande Ambrosini con "guest Star" alle matite Walter Dell'edera, un po' agli albori della gestione di Recchioni, quando con quel 337, Spazio Profondo, indagavamo la possibilità di conoscere dei Dylan diversi creati da visioni diverse del personaggio. Ci sono due Dylan in questa storia, che vivono in realtà diverse. La trovata interessate è poi che i due mondi sono anche disegnati con stile diverso da dell'edera e Ambrosini. Quello di Dell'edera è più "fumettoso", quasi caricaturale. Quello di Ambrosini è più squadrato e tagliato con l'accetta, più cupo. Il mondo "canonico" ci racconta una storia che ha a che fare con una scrittrice famosa perseguitata dal fantasma di una bambina che le impedisce di uscire dalla sua abitazione. Nell'altro, con un Groucho molto più alternativo del solito, la missione del nostro eroe è quella di riportare una bambina sperduta a casa. Sulla vicenda che si intreccia mano a mano, aleggia un terribile killer, un complotto e un destino mai così indeterminabile. Ambrosini che qui parla di rimpianti e della difficoltà di comunicare tra le persone (con gli altri e con se stessi), è forse meno cupo che nel recente Lacrime di pietra e scarica sul racconto tutta la sua vena più surreale, quella che ha espresso al massimo con la sua serie Napoleone. Rimane una prosa lunare, criptica e dolente. Il risultato è interessante, strano, ambiguo, lineare all'inizio quanto complicato ad una rilettura. Una storia - rebus da leggere e rileggere che mi ha invischiato per diverso tempo rigettandomi più volte all'inizio, anche con "crudeltà", alla scoperta di una interpretazione diversa che non arriva. Una storia malinconica, amara  e sofferta, nascosta e mascherata da una patina surreale che la rende quasi euforica, fatta della stessa stoffa dei sogni. Ambrosini non lascia mai indifferenti, ci fa scavare nei personaggi che racconta e disegna, ci fa ispezionare le rughe dei volti dei suoi personaggi e ci fa giocare con le sue tavole come sulla settimana enigmistica, alla ricerca di elementi curiosi e spesso nascosti come i suoi curiosi e muti pupazzi animati. Dell'edera riesce con il suo tratto ad alleggerire il tono generale, senza dimenticare che nel suo "mondo" abbiamo inoltre un Groucho che mangia canarini vivi e porta occhiali da sole. Decisamente strano quanto intrigante. Un numero davvero bello. 

Continua...

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