tag:blogger.com,1999:blog-25265267983243288302024-03-18T16:28:40.834+01:00Le Conseguenze Del Troppo Tempo LiberoGianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.comBlogger1567125tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-9814480309681147262024-03-16T17:00:00.003+01:002024-03-16T17:00:21.277+01:00Povere Creature! (Poor Things!): la nostra recensione del nuovo film di Yorgos Lanthimos, trionfatore agli Oscar, con protagonisti Emma Stone, Mark Ruffalo e Willem Dafoe<p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwUWv6SZ_t9_vVMQ_o0UKVeiv3VP5mEh4ancB2Wjzmy2h0yeIIuEyISLbvxfXwNUxjg6PgskzLPJA09lLdMLLhgJMyZRo4UTJ4bdAay20LkOFlhlatoiaHT3JS8RyqiqpvTNWtx3aMWmE6JMJ-CMwKfFubNfTNgGkIBa55kqCmQwBn1Ze4RXZClfqsjGc/s980/Povere-creature-980x551.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="551" data-original-width="980" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwUWv6SZ_t9_vVMQ_o0UKVeiv3VP5mEh4ancB2Wjzmy2h0yeIIuEyISLbvxfXwNUxjg6PgskzLPJA09lLdMLLhgJMyZRo4UTJ4bdAay20LkOFlhlatoiaHT3JS8RyqiqpvTNWtx3aMWmE6JMJ-CMwKfFubNfTNgGkIBa55kqCmQwBn1Ze4RXZClfqsjGc/w400-h225/Povere-creature-980x551.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ci troviamo in una sgargiante Londra blu notte, nell’epoca vittoriana di un mondo alternativo, tra macchine a vapore, dirigibili e novelli Prometeo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Una donna bellissima, aristocratica e misteriosa, in un bellissimo e sgargiante abito blu da sera (Emma Stone), si getta da un ponte nelle fredde acque dei Tamigi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ritroviamo subito dopo sulla scena una donna uguale a lei, di nome Bella Baxter, viva, ma dall’atteggiamento del tutto incompatibile a prima, eccentrico e quasi infantile.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ama sporcarsi il volto con ogni genere di cosa, correre su e giù, giocare con piccoli animaletti anche in modi crudeli e fare i capricci con il cibo. Spesso ha in mano armi da taglio e indossa vestitini sporchi di terra. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Questa donna non la vediamo più muoversi in una Londra sgargiante e colorata ma in un surreale piccolo mondo in bianco e nero, dai contorni dell’immagine “sbordati”: esteticamente ci sentiamo di colpo proiettati nell’atmosfera degli horror delle Hammer degli anni '50 e al contempo ci pare di scrutare attraverso l’immagine di una antica telecamera medica per laparoscopie degli anni '70. Stiamo forse assistendo “clinicamente” alla nascita di una creatura fantastica. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Questa Bella si trova nella sfarzosa e immensa villa di un eccentrico e imponente figuro, uno scienziato con il volto e il corpo rappezzato e ricucito come un puzzle umano, dall’aria buona ma dalla voce quasi atona, che la ragazza chiama “God” (Willem Dafoe): un “God” che pur essendo il diminutivo di un nome, Godwin, in italiano si può tradurre come “Dio”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il dottor Godwin Baxter, da perfetto ed elegante “scienziato pazzo” vittoriano, seziona cadaveri e qualche volta li ricompone cercando di “riportarli in vita”, conservando l’immagine pubblica di stimato docente di una rinomata facoltà di medicina. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">In facoltà insegna e redarguisce sui limiti della chirurgia, nel tempo libero crea, tagliando e ricucendo, ibridi con la testa di una papera e il corpo di un cane: piccole povere creature ibride che gironzolano indisturbate nel suo parco. Lo stesso corpo a mosaico di God, a sua volta, sembra essere stato “ricomposto” da qualcun altro: è fragile e percorso da continui dolori e per essere conservato al meglio ogni tanto deve essere collegato a degli enormi macchinari. Come effetto collaterale e surreale qualche volta l’uomo-mosaico, con uno strano rumore, riesce ad emettere dalla bocca quelle che sembrano enormi bolle di sapone. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib-mU6_mkUxrhMNQQ-jIi1qJouVrJ-WjyIDvY5IqCMzqEg0g5oXoD3fXC9wGUUzTHB7poRgJVElGlcc_zS8HhcimhsziiaZOfi1T7gvz76hDyIPo0RmlbxueyiGTIfB1dFn7Sd3Yr8B-xZmK7vlhn0Xgrwp4DnEWMfH2rJaNitjgsw-s7kyF48vQSCWyo/s1200/poverecreature-65ba26b13199c.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib-mU6_mkUxrhMNQQ-jIi1qJouVrJ-WjyIDvY5IqCMzqEg0g5oXoD3fXC9wGUUzTHB7poRgJVElGlcc_zS8HhcimhsziiaZOfi1T7gvz76hDyIPo0RmlbxueyiGTIfB1dFn7Sd3Yr8B-xZmK7vlhn0Xgrwp4DnEWMfH2rJaNitjgsw-s7kyF48vQSCWyo/w400-h225/poverecreature-65ba26b13199c.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">God guarda a Bella come lo farebbe un buon genitore, anche se ha decisamente dei brutti ricordi di chi lo è stato per lui: di fatto sente di aver contribuito attivamente alla nascita della ragazza, anche se in un modo incredibile e per la scienza quasi impossibile. Ma prima di ogni cosa le è affezionato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Bella ricambia a suo modo, pur essendo involuta nei modi e nell’eloquio come una bambina piccola. Scostante nelle emozioni, passa da felicità a ira in pochi secondi. È lunare nell’approcciarsi alle cose ma soprattutto agli altri esseri viventi, come se non distinguesse il gioco dalla violenza, non afferrando la differenza della vita dalla morte. Spesso è autolesionista, più per la curiosità spericolata di scoprire il suo corpo e i suoi limiti che nel trovare piacere nel dolore. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Questa strana donna-bambina sta crescendo in fretta in pochi giorni e in modo sempre più bizzarro, così “il suo God” ha bisogno di un aiuto esterno. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Un aiuto che potrebbe essere offerto dallo studente di medicina Max McCandles (Ramy Youssef), un uomo posato e attento, premuroso quanto sensibile nell’annotare nel suo taccuino ogni singola variazione fisica e caratteriale di Bella. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Max inizia a frequentare l’eccentrica Villa Baxter, trovando una sempre maggiore confidenza con la ragazza e il suo strano mondo di animali ibridi, governanti arcigne e autopsie e “riassemblaggi” a cui lei attivamente partecipa come assistente maldestra. Tra un nota e l’altra i due si avvicinano e forse la ragazza prova qualcosa per lui. Il corpo di Bella, ancora prima della sua “testa”, sembra rivolgere sempre più attenzione alle zone erogene, al punto da sviluppare una precoce sessualità. Parallelamente, sale in lei l’insofferenza nel dover essere costretta a vivere in quella villa e Max decide di perorare questo bisogno, offrendosi di accompagnarla personalmente “fuori da quel piccolo mondo”, con tutte le cure e premure necessarie. Anche Max sente di essere legato a lei, forse anche innamorato, decidendo così di proteggere quella creatura con tutto se stesso. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">God accetta i tanti mutamenti di Bella e le riflessioni accorate di Max. Pur rattristato, in virtù di una libertà che lui stesso non ha potuto sperimentare, decide di assecondarli, magari gradualmente, magari con tutte le precauzioni possibili. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ma ecco che nella vita della ragazza irrompe l’avvocato Duncan </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Wedderburn (Mark Ruffalo), formalmente chiamato per redigere un accordo scritto tra God e Max. Duncan è affascinante, ambiguo, egocentrico, perennemente eccitato e amante del gioco d’azzardo. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">In un attimo seduce e rapisce Bella, la porta in giro per l’Europa facendole conoscere un mondo che la ragazza non aveva mai immaginato potesse esistere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È un mondo che torna ad essere anche per noi spettatori tutto a colori: sgargiante e infinto, pieno di macchine volanti, architetture vittoriane, cavalli meccanici, vapori steam-punk. Un mondo che sembra uscito da una graphic novel di Jodorowsky o Moebius o da un videogame come <i>Bioshock Infinite</i>.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Un mondo tutto da esplorare per Bella, anche se Duncan non vorrebbe mai farla uscire da una camera da letto. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Duncan scatena costantemente sulla ragazza tutta la sua energia sessuale e libido su un corpo che sembra non averne mai abbastanza. Bella sembra presto averlo a noia, preferendogli la compagnia di altre persone, l’esplorazione di luoghi ed esperienze sempre nuovi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">L’eccentricità continua della ragazza, unita alla incapacità di Duncan di controllarla e alla sua sempre più frustrata gelosia e inadeguatezza come compagno, spingono l’avvocato a portarla in una lunga crociera: ponendola così su una nave bellissima, ma dove per lo meno la ragazza non può fuggire continuamente alle sue attenzioni. Sulla nave Bella incontra prima la gentile appassionata di filosofia Martha (Hanna Schygulla) e poi il cinico e malinconico Harry (Jerrod Carmichael), che durante una fermata del viaggio ad Alessandria le mostra come il mondo possa essere un luogo anche brutto, iniquo per i più poveri, più simile a un inferno che a un paradiso. Nonostante le continue angherie e insicurezze di Duncan, qualche volta “guardata a distanza” da God e Max, Bella continuerà a viaggiare, conoscendo sempre più qualcosa su se stessa e sul mondo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Progressivamente trasformandosi in donna emancipata anche con la testa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Arriverà forse a conoscere qualcosa anche sul suo passato: i dettagli più tragici e inaspettati della sua strana origine. Dettagli che inevitabilmente riportano ad una donna in elegante vestito blu che un giorno si gettò nel Tamigi, che forse venne raccolta da un novello Prometeo.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifKRRehwcvg7gGbgNsnTtv_8aHMZVR-UefDDsAV9zRN2KvXlVHjJZ-m6YbRhiIDiF-6j1hcU-WTBJYLM3CNEuiQBLAHiQyAOm9O4M0jUWB9CyNBgO2clNs35_11hQrZtpge28H-RxfH0P2Q_VkpQfDpBA6FHHVzyl1YY1j2eZR0QokQwBoms8qkWaWKDY/s1600/Trailer-di-Poor-Things-il-stranamente-segnato-Willem-Dafoe-da.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifKRRehwcvg7gGbgNsnTtv_8aHMZVR-UefDDsAV9zRN2KvXlVHjJZ-m6YbRhiIDiF-6j1hcU-WTBJYLM3CNEuiQBLAHiQyAOm9O4M0jUWB9CyNBgO2clNs35_11hQrZtpge28H-RxfH0P2Q_VkpQfDpBA6FHHVzyl1YY1j2eZR0QokQwBoms8qkWaWKDY/w400-h200/Trailer-di-Poor-Things-il-stranamente-segnato-Willem-Dafoe-da.webp" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il regista greco Yorgos Lanthimos, autore di film “disturbanti”, affascinanti quanto surreali come <i>Dogtooth</i>, <i>The Lobster</i>, <i>Il sacrificio del cervo sacro</i> e <i>La favorita</i>, adatta con la sceneggiatura del sodale Tony McNamara (già insieme a lui ne <i>La Favorita</i>) un romanzo dello scozzese Alasdair Gray, autore di “low-fantasy” considerato dal The Guardian come uno dei pilastri della letteratura del ventesimo secolo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Sperimentatore, sensuale, surreale e per alcuni critici anche “post-moderno” (in riferimento alla costruzione della sua più opera monumentale, Lanark), Gray in qualche modo “reinterpreta” nel suo romanzo <i>Povere Creature!</i> il Frankenstein di Mary Shelley, quasi fosse un “seguito”, quasi fosse una “versione al femminile”. Giocando con temi cari alla scienza come alla psicologia, creando infiniti giochi di specchi e rimandi tra religione ed etica, passato e presente, Gray va a delineare personaggi complessi, simili a mosaici: personaggi a cui mancano però sempre delle tessere per essere “completi” </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">e che per questo, nell’imperfezione, ci appaiono ancora più profondamente umani. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Umane e imperfette creature “sospese” come God e Bella, ma anche un po’ come l’Edward (Mani di Forbice) di Tim Burton, come il <i>Pinocchio </i>di Collodi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Creature “pure”, di fatto “neo-nate”, in costante confronto e critica verso un mondo “moderno”, con i suoi usi e costumi ricchi di chiaro-scuri, affascinante quanto respingente, una “realtà” nei loro confronti spesso troppe volte “giudicante”. Creature libere di pensare, quanto poste più volte nella condizione di essere rinchiuse in gabbie sociali sempre più elaborate. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Lanthimos ci ha raccontato più volte nella sua cinematografia di personaggi rinchiusi in gabbie sociali e morali opprimenti, costretti a decisioni difficili se non impossibili, al solo scopo di sopravvivere a un ingranaggio “più grande” che li contiene. Nell’horror <i>Il sacrificio del cervo sacro</i>, come nel surreale fantascientifico/esistenziale <i>The Lobster</i>, un destino beffardo incombe sulla vita di persone che non possono fare altro che accettarne la crudeltà: accogliere la melanconia degli eventi o impazzire. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Lanthimos ama immergerci nel caos emotivo che vivono i suoi personaggi, un </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">caos che il regista vuole farci assorbire in tutta la sua anarchica ma inestinguibile potenza anche a livello uditivo, affidandosi a musiche sperimentali, dissonanti e quasi ipnotiche, per le quali in questo caso ha scelto il compositore Jerskin Fendrix. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Più che una colonna sonora, il musicista crea un “rumore avvolgente”, spigoloso, che sono dopo qualche minuto si riesce a comprendere, introiettare e infine accettare e apprezzare. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7TCOsFfv3mocGYAjpeBT4CIjm3P1EXd07yxm5bP02lL2LBsu9vMEiWCFsuDYxH1y2oACOZ3acKxR8mQCCeyiyr3Dt6MFS4VLB6P1MDTv4ztKlbkYbrfFFdfVBWlVs_vpl3a2DJpTqufS_Yu_0drazjltzhOuRyuB4TQPZZlARJ5E4PvRiPXQLUzVWUkk/s1200/Emma-Stone-Poor-Things.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7TCOsFfv3mocGYAjpeBT4CIjm3P1EXd07yxm5bP02lL2LBsu9vMEiWCFsuDYxH1y2oACOZ3acKxR8mQCCeyiyr3Dt6MFS4VLB6P1MDTv4ztKlbkYbrfFFdfVBWlVs_vpl3a2DJpTqufS_Yu_0drazjltzhOuRyuB4TQPZZlARJ5E4PvRiPXQLUzVWUkk/w400-h225/Emma-Stone-Poor-Things.webp" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Se il sonoro esprime un caos che poi “riverbera nelle relazioni umane”, il caos rimane invece nascosto tra le pieghe di uno scenario caratterizzato da una geometrica precisione formale (quasi alla Dario Argento). Una “scenografia statica” simile a quella di un palco teatrale sulla quale si muovono i personaggi, qui improntata su una fantascienza “estetizzante” di stampo quasi pittorico, con rimandi sì alle Graphic Novel e Moebius, ma con tratti oscuri e viscerali anche vicini alla scene espressionista tedesca. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Lanthimos con questa formula ha spesso parlato di disperazione, dell’impossibilità dei suoi personaggi di gestire il proprio destino in un momento di particolare caos esistenziale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ma in <i>Povere Creature!</i> a “cavalcare il caos” e “piegare il destino al suo volere” è un personaggio in controtendenza su tutto e tutti. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Bella Maxwell diventa lei stessa, con la sua vitalità e poliedricità un “motore del caos, gioioso, per una volta quasi un caos “positivo”. Forse sono vere le voci che vorrebbero Lanthimos innamorato della sua attrice al punto da mettere da parte per lei il suo pessimismo cosmico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Emma Stone, da sempre considerata alla stregua di “fidanzatina d’America” dopo l’esordio di <i>SuXbad</i>, <i>Zombieland </i>e pellicole come <i>La La Land</i>, è sempre più sgargiante e spregiudicata al suo secondo incontro “cinematografico” con Lanthimos dopo <i>La Favorita</i> (e al terzo incontro con lo sceneggiatore McNamara, che ha scritto per lei <i>Crudelia</i>). La diva riesce a dare vita a un personaggio unico, fuori da ogni schema e per questo nella condizione di spezzare ogni tipo di gabbia che provi a reprimerla. Un'eroina che con la forza della sua interpretazione è in grado di gettarsi a testa alta, con coraggio e incoscienza, in scene di stampo horror/fiabesco, momenti carichi di sensualità esplicita, “giochi infantili”, soliloqui drammatici, parentesi oniriche, scene sarcastiche, situazioni dalla forte carica emotiva. Senza mai vergognarsi o trattenendosi, esprimendo al 100% lo spirito libero e anticonformista di una creatura che va al di là della morale costituita, Emma Stone piano piano riesce a far evolvere Bella, aiutandola a smarcarsi, diventare sempre più “proprietaria e consapevole” della sua esistenza e del suo pensiero. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Una bambina, una donna, un'amante e una creatura artificiale sono tutte racchiuse dalla Stone nello stesso tempo e nello stesso corpo: ognuna di esse riesce a trovare la sua voce con assoluta naturalezza attraverso i mille volti e la corporatura quasi mutante di Bella Baxter. L’attrice offre in assoluto la sua performance più complessa e riesce in ogni frangente narrativo a trovarsi a suo agio, dando prova di un talento eclettico quanto generosa, anche grazie a un Lanthimos che riesce sempre ad illuminarla al cento della scena rendendole satellite ogni altro personaggio, offendo a quella che è stata definita come la sua nuova “musa” la possibilità di improvvisare e dominare ogni spazio con eleganza quando “sfacciataggine”. Un po’ Pinocchio, un po’ Edward Mani di Forbice, Bella Baxter è forse più di tutto la sorella segreta della Barbie di Margot Robbie. Anche se la chiave di lettura di <i>Povere Creature! </i>è più vicina a una sensibilità adulta, il tema dei corpi e ruoli femminili in evoluzione e rivoluzione è il medesimo di Barbie, risultando forse per qualche spettatore scomodo quanto per altri magari affascinante, ma sempre gioiosamente scorretto, intelligentemente cattivo e ben coperto sotto una patina di glamour. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgelFuFJutryLdPyUwuPAnoRGj4yY0wDkN2PSA1EqjiqYSpGHyNMlDR5b0fJL4IzYnTTbo86y_ZzNNdexGqJ2vxc3c7NEnB3FLh8usKU2Fblq5WQr3oNGmuD1JocAuMR_KPWhkbGpf4pwHORFRcFjLq14nv1cDxjUhSot_G_7LKPtwYO_HQgA80kaYXHAY/s1000/povere-creature-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="1000" height="250" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgelFuFJutryLdPyUwuPAnoRGj4yY0wDkN2PSA1EqjiqYSpGHyNMlDR5b0fJL4IzYnTTbo86y_ZzNNdexGqJ2vxc3c7NEnB3FLh8usKU2Fblq5WQr3oNGmuD1JocAuMR_KPWhkbGpf4pwHORFRcFjLq14nv1cDxjUhSot_G_7LKPtwYO_HQgA80kaYXHAY/w400-h250/povere-creature-1.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Dicevamo che Bella ha quasi il potere di rendere satelliti tutti gli altri personaggi sulla scena, ma ce ne sono almeno due che vanno oltre questo ruolo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Uno è il dottor Godwin Maxwell di Willem Dafoe, che ogni giorno sul set si è sottoposto a lunghe sessioni di trucco, per incarnare idealmente una “creatura di Frankenstein pentita”: un uomo/meccanico, plasmato dalla cattiveria paterna, che ha saputo rinascere da un dolore che ci viene raccontato, più che da mille parole, dalle mille cicatrici e disfunzioni del suo complicato corpo-mosaico. C’è nel tragico God qualcosa del paterno Vincent Price di <i>Edward Mani di Forbice</i>, ma il riferimento principale sembra essere proprio il Frankenstein di Boris Karloff. God è per lo più assente alle emozioni, afflitto nel suo modo di incedere, poco loquace. Ma riesce a sprigionare la sua grande umanità in ogni piccolo movimento e sguardo, anche solo giocando con la sua stessa ombra. È un mostro “inattuale”, che non fa più paura ma in cui rimane una piccola forza vitale che lo spinge ad amare, anche le piccole cose, come <i>L’uomo dal fiore in bocca</i> di Pirandello. Del tutto opposto, in corpo e spirito, al God di Dafoe è il Duncan di Ruffalo: un esagitato ed esagerato omuncolo vanitoso, tragicomico in una ostentazione di virilità e potenza che viene più volte, con facilità e quasi indifferenza, disarcionata proprio dal personaggio della Stone. Ruffalo, giocando con intelligenza e sarcasmo con lo stereotipo dell’uomo tutto di un pezzo, dimostra ancora una volta di possedere incredibili tempi comici, quasi una “allure fantozziana” al contempo respingente quanto travolgente. Lo fa in un modo così spazzante che conquista. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Lanthimos con <i>Povere Creature!</i> crea una delle sue opere più anarchiche e sarcastiche, divertente quanto ricca di spunti narrativi e visivi. Emma Stone è straordinaria e non a caso ha vinto per la sua interpretazione gli Academy Awards come miglior attrice per questo ruolo, ma molto bravi sono anche Dafoe e Ruffalo. Magnifiche le scenografie, curate da Shona Heath, che anche loro, insieme ai ricchi costumi vittoriani di Holly Waddington, hanno ricevuto le onorificenze della Academy. Belli anche gli effetti visivi che senza essere troppo invasivi sono riusciti a ricreare la “fantascienza a vapore” vittoriana del romanzo originale. Strane ma infine quasi “accoglienti” le musiche. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Anche solo per la performance di Emma Stone e per il bizzarro e complesso mondo in cui la storia è ambientata <i>Povere Creature!</i> meriterebbe una visione, magari sul grande schermo ora che è tornato in sala. Ma l’ultimo film di Lanthimos è un'opera carica di mille dettagli e suggestioni in grado di affascinare anche oltre una prima visione, andando a dipingere un nuovo piccolo surreale mondo di celluloide, sospeso tra passato e presente, dove è ancora bello e affascinante perdersi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-21062819378672321452024-03-12T19:13:00.005+01:002024-03-12T19:13:37.658+01:00 Memory: la nostra recensione del film romantico e malinconico, scritto e diretto da Michel Franco, con protagonisti Peter Sarsgaard e Jessica Chastain. Vincitore a Venezia con la Coppa Volpi per il miglior attore<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzJwfDDN2VWTHPQqJxo0KWJv4zgnLRWDV9bAzPR_xUIfaPJGh3cIgsAfWHBAhkqw8klUxV6t2L49-6JrmSJOXDLcg6UH9Xw_rDPEZhzpqFIUHZXQKcQQQz-zhe0_w_o0s427CdPkGUYF-RmAKLCOkrHaG7ht6tjR4k9KTfKWp-kxdvbHOBPCljVW0Ywxw/s320/download.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="158" data-original-width="320" height="198" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzJwfDDN2VWTHPQqJxo0KWJv4zgnLRWDV9bAzPR_xUIfaPJGh3cIgsAfWHBAhkqw8klUxV6t2L49-6JrmSJOXDLcg6UH9Xw_rDPEZhzpqFIUHZXQKcQQQz-zhe0_w_o0s427CdPkGUYF-RmAKLCOkrHaG7ht6tjR4k9KTfKWp-kxdvbHOBPCljVW0Ywxw/w400-h198/download.jpeg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">A Whiter shade of pale, dei Procol Harum. Un pezzo del 1967, tratto dall’album Summer of Love. Qualcosa di molto sdolcinato che in genere si balla lento durante le feste scolastiche. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">È ascoltando questo pezzo a una riunione di ex alunni che il loro sguardo si incrocia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Lei, Sylvia (Jessica Chastain), è una rossa sui quaranta dall’aria stanca e disincantata, un’assistente sociale con una famiglia disastrata, un brutto passato di alcolista e pochissima voglia di trovarsi lì, trascinata a forza dalla sorella Olivia (Merritt Wever). Lui, che scopriremo in seguito chiamarsi Saul (Peter Sarsgaard), è un bell’uomo sorridente forse della stessa età, che non si ricorda di niente e nemmeno, come non conosce i motivi per cui si trovi lì quella sera, ma appena vede Sylvia “sente qualcosa”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">I Procol Harum affondano con il loro “We skipped the light fandango” e nel mentre Sylvia ha già “skippato la festa”, è letteralmente in corsa verso casa, a piedi, camminata veloce, preoccupata. Dietro di lei c’è ancora Saul, che la segue e forse insegue, sorridendo, lungo la strada principale, attraverso il parco, fin sotto casa sua. </span><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Sylvia si è blindata in casa e questo tizio che lei non ha ancora capito chi sia è fermo sotto la sua veranda, immobile. Inizia a piovere e lui è ancora lì imperterrito, quasi sinistro, per tutta la notte. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Arriva il giorno e il tizio non è più davanti all’uscio, si è abbandonato tra i copertoni usati di un gommista poco distante, avvolto in un sacco della spazzatura usato come coperta. Dorme come un bambino. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Sylvia chiama il numero di telefono che trova nel portafogli di “Saul”, risponde Isaac (Josh Charles). Isaac dice di essere il fratello e racconta della strana malattia di Saul: ha una forma di demenza che ne compromette la memoria in modo grave da tempo, facendogli dimenticare anche avvenimenti molto recenti. Non ricorda quasi nulla del suo passato e necessita di molte attenzioni. Ogni tanto “se lo perdono” e per questo la figlia di Saul, Sara (Elsie Fisher), che presto andrà al college, gli sta preparando un bel foglietto con le sue generalità da portare sempre con se, al collo, sostenuto da una collana di perline. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Per Isaac ad attirare Saul potrebbero essere stati i capelli dì Sylvia, molto simili a quelli della sua defunta moglie. Uno scherzo della memoria.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Compensa la situazione e accertatasi del fatto che Saul sia tutto sommato “innocuo”, Sylvia propone che con il suo lavoro da assistente sociale potrebbe dare una mano a Saul, assisterlo nei momenti in cui la figlia o il fratello non sono reperibili. La donna scambia il suo numero con Isaac.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Tuttavia, sfogliando un vecchio annuario, in Sylvia riaffiora qualcosa di sinistro dal suo passato, anche se forse le appare ancora un po’ indistinto. Su quello spunto matura un’idea ben diversa da quella di aiutare Saul e la sua famiglia, ha in serbo un “piano di vendetta”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Decide di accompagnare Saul per una camminata nel parco e quando sono soli lei gli rivela di ricordarsi benissimo di lui: era non ancora maggiormente quando quattro ragazzi della sua scuola avevano abusato di lei e sicuramente Saul era in quel gruppo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Saul si scusa, anche se non si ricorda nulla di quella vicenda. Sylvia non ci crede e per “vendetta” lo lascia da solo in una zona isolata tra il verde, senza portafogli e documento di riconoscimento, a perdersi immerso nella natura. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Il pentimento però arriva presto, quando la sorella Olivia, che ha fatto ricerche sul conto della sua nuova strana frequentazione, con una telefonata la rassicura sul fatto che Saul non era nemmeno nella stessa scuola quando la sorella era stata aggredita. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">La donna ritorna da lui, lo trova, gli riporta il cartellino e il resto, si scusa, mentre lui la guarda sorridente come se non fosse mai accaduto nulla, come se non fossero passate diverse ore.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Sylvia ha agito di impulso per via dei tanti conti in sospeso con il passato, alcuni dei quali riguardano anche il rapporto conflittuale con sua madre Samantha (Jessica Harper), così come ha troppo alcol alle spalle e un futuro che non riesce nemmeno a immaginare, nel quale spera solo di essere per la figlia una persona migliore. Saul ha un passato come del tutto annullato, vive un presente felice anche se spesso finisce disperso da qualche parte o non si ricorda di cosa parla un film che sta vedendo. Guardare Sylvia lo rende felice e gli basta. Spesso a casa mette su disco A Whiter shade of pale, dei Procol Harum, e lo ascolta e riascolta felice pensando a lei. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Riuscirà anche Sylvia a vedere Saul ed essere felice, mettendo da parte tutto il passato, concentrandosi sulla gioia del presente senza preoccuparsi troppo del futuro? </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Sembra una strada difficile, ma piano piano tra lo smemorato e l'assistente sociale inizia a svilupparsi un legame molto forte, in grado di andare oltre alle parole e alla memoria. Un legame fatto di sguardi e gesti d’affetto che rivoluzionerà la vita di entrambi, anche se inizialmente preoccuperà i rispettivi parenti per le difficoltà intrinseche di questo tipo di relazione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Ma in fondo A Whiter shade of pale, dei Procol Harum, è un brano che racconta dell’importanza di “lasciarsi andare” ed essere felici. A dispetto di tutti e di tutto. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCEo0Zn9lYsI87xV0IaTsGMFzb9Td1Im0ixZJ-HaAKmlWfavL5Md67O7chQ8ZyaJEr7PVHgMKZFH7d4TDSTZg-x2lJlppeOUkwr97KvZfcT3L33ROEp1_I9OL41Alb709vHWgOxZsX5lu7MU1VE7ekoXDBza7VvfEu7TYF-8EFOKXRY8PMYuGGqOk4L4I/s300/download%20(1).jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="300" height="224" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCEo0Zn9lYsI87xV0IaTsGMFzb9Td1Im0ixZJ-HaAKmlWfavL5Md67O7chQ8ZyaJEr7PVHgMKZFH7d4TDSTZg-x2lJlppeOUkwr97KvZfcT3L33ROEp1_I9OL41Alb709vHWgOxZsX5lu7MU1VE7ekoXDBza7VvfEu7TYF-8EFOKXRY8PMYuGGqOk4L4I/w400-h224/download%20(1).jpeg" width="400" /></a></div><span style="color: #351c75; font-family: arial;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Il regista e sceneggiatore Michel Franco ci racconta una love story, con lievi tinte di thriller, con al centro due straordinari interpreti che si sono ritrovati sulla scena con estrema naturalezza e complicità. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;"><i>Memory </i>è un film che si basa su una premessa tutto sommato semplice: un uomo “soavemente” smemorato che incontra per caso una donna che ha dedicato fin troppo a pensare ai suoi traumi, “perdendosi” tra l’alcol e i rimpianti delle mille ossessioni che si sono accumulate. Franco ci parla del bisogno di affettività, della solidarietà tra persone “ferite dalla vita”, del rimpianto e delle soluzioni “mediche e tossiche” legate a quel costrutto misterioso che chiamiamo “memoria”, ma più di tutto ci racconta di come due anime si avvicinino, prima si scontrino e infine riescano a trovare uno stato di grazia reciproca. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Come in <i>Harry ti presento Sally,</i> come in<i> Qualcosa è cambiato</i>, come per qualcuno in <i>Mr e Mrs Smith</i> (per me,no), Sarsgaard e la Chastain sembrano essere entrati così in sintonia con i loro personaggi da innamorarsi per davvero sotto le telecamere. Al punto che perfino una scena chiave del film, centrale per l’evoluzione emotiva di entrambi i personaggi (la scena “della vasca”), sembra qualcosa di non scritto, di improvvisato sul momento, “nato per caso”, con una naturalezza del tutto non programmata, autentica quanto vitale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Qualcosa che è scaturito da una magica intesa di corpi e sguardi più che grazie a mille sceneggiatori di Hollywood. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Ci si sente “quasi in imbarazzo”, a guardarli da spettatori di un cinema a pomiciare in un multisala buio, insieme ad altre duecento persone, per il modo spontaneo e sincero con cui i due si cercano e scrutano a vicenda, accoccolandosi e rincorrendosi, risolvendo le principali questioni di convivenza quasi senza parlare, senza snocciolare frasi da baci perugina.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRMnnR9Lthcd-tAz3KSYb3Lf5LHY1Tic-qYfOTjIvMEu2LFZxewVazjZRjg6h4NnwRSU-ymQVhAQJ4Ft9cCzheH9MVSXXRb8E4ZC-Vk9SH9A0Vkqrp_onPueQbvyXgON5hCyPeE7JQGt_Bo06U4FDfAzGQ1HPQhXHs3DGdAyzsGhqjX7ToeKCAm4C-Ktc/s2048/MEM11.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1369" data-original-width="2048" height="268" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRMnnR9Lthcd-tAz3KSYb3Lf5LHY1Tic-qYfOTjIvMEu2LFZxewVazjZRjg6h4NnwRSU-ymQVhAQJ4Ft9cCzheH9MVSXXRb8E4ZC-Vk9SH9A0Vkqrp_onPueQbvyXgON5hCyPeE7JQGt_Bo06U4FDfAzGQ1HPQhXHs3DGdAyzsGhqjX7ToeKCAm4C-Ktc/w400-h268/MEM11.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #351c75; font-family: arial;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">È davvero “pura recitazione”, se vogliamo primordiale come quella che insegnano al primo anno di scuola di recitazione: “mettervi a coppie e fate gli innamorati.” Ma non per questo è meno potente. Perché “come imparare a cucinare un uovo sodo” può essere di certo tra le prime ricette di un libro di cucina, ma saper cucinare un ottimo uovo sodo richiede sempre una raffinatezza e attenzione sublime. Da fuoriclasse. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Peter Sarsgaard è molto bravo, ha un sorriso sghembo, occhi da bambino e una corporatura quasi troppo grande, che incurva per sembrare più basso. Ha un lungo curriculum televisivo e cinematografico, per qualcuno può confondersi con Colin Firth, ma non è tra i volti più famosi del cinema e per questo è una felicissima sorpresa. Il suo Saul è un uomo che ha accettato stoicamente la sua condizione e cerca di vivere nel mondo senza creare disturbo a nessuno, consapevole di aver magari fatto dei torti di cui non si ricorda quanto del fatto che non è più in grado nemmeno di vedere un film senza dimenticarsi la trama ogni venti minuti. Tuttavia è un uomo che è spinto da una forza misteriosa ad amare. È un ruolo che ricorda la vita reale di Augusto Gongora, come raccontata nel bellissimo e struggente docu-film <i>La memoria eterna</i>, di Maite Alberadi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Jessica Chastain è invece semplicemente una delle più straordinarie e versatili attrici di Hollywood, in grado di interpretare letteralmente qualsiasi personaggio con assoluta credibilità e naturalezza. Vedere la Chastain così innamorata e indifesa, nei panni di una donna “incasinata” come Sylvia, è qualcosa di ancora una volta inedito, nuovo e inatteso, soprattutto grazie alla chimica con il suo partner sul set, che sembra quasi frutto di una frequentazione decennale. Sylvia è una donna in perenne lotta con se stessa e con gli altri, una donna spesso messa in secondo piano e alla disperata ricerca di una tranquillità che non riesce forse nemmeno a immaginare. Il modo in cui il personaggio di Sarsgaard riesce ad accettare il suo dolore e renderla più serena anche con un solo abbraccio i un gesto maldestro, scatena delle piccole gioiose rivoluzioni nel carattere di Sylvia. Quasi la trasformano. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">Molto brava anche Jessica Harper, a cui viene affidato un ruolo breve, ma piuttosto complesso e centrale nella trama. Un ruolo “respingente” sul piano emotivo ma che risulta molto coerente sul lato psicologico, che bene si incardina al tema portante della narrazione di Franco, aggiungendo particolare spessore e gravità anche al personaggio della Chastain. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;">È un film d’amore e traumi ma che tra le righe ci parla anche di volontariato, di associazioni come gli alcolisti anonimi, delle reti sociali e delle molte cure indispensabili per fronteggiare le difficoltà che la malattia ogni giorno presenta. È un film che parla con garbo anche delle piccole strategie del quotidiano che devono mettere in atto i parenti di persone con problemi di salute, per riuscire a supportarli al meglio. Cose pratiche ma impegnative, come trovare un infermiere, essere sempre reperibili in caso di problemi, predisporre una stanza affinché una persona “smemorata” non si faccia male da sola o prenda più medicine del dovuto, preparare cartellini e foglietti di cui munirli nel caso qualcuno li trovi dispersi da qualche parte, munirli di telefonini con gps. Tante attività che possono essere anche faticose e possono qualche volta mettere i parenti dalla parte dei “cattivi”, come capita all’Isaac di Josh Charles: decisamente un fratello preoccupato più che un infido approfittatore che ama rinchiuderlo in una stanza per diletto. Come capita alla Sara di Elsie Fisher, che da figlia ancora giovane deve occuparsi del padre accettando la sua vulnerabilità come il fatto di doversi affidare per le cure giornaliere a degli estranei. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial;"><i>Memory </i>è un film semplice, che “si costruisce” in modo “semplice quanto perfetto”, grazie a un'ottima intesa tra gli interpreti. È un film dal ritmo lento e malinconico quando A Whiter shade of pale dei Procol Harum, che invita a vivere le felicità del momento invece che a perdersi nei meandri più oscuri della memoria. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="color: #351c75;">Una pellicola per sentirsi coccolati dalla magia del cinema, come da un “dolce fandango”. </span><span style="color: #990000; font-size: large;">Talk0</span></span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-23109890468904426002024-03-06T21:30:00.005+01:002024-03-06T21:30:54.524+01:00Connected - The post Human species: la nostra recensione del documentario sull’intelligenza artificiale di Simona Calo, scritto da Luca Monaco e prodotto dalla multinazionale di consulenza Bip, vincitore del Western Canadian Film Festival e da ora disponibile su Prime Video ed Apple TV<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXHl4vc_fAmWsWR3WPQTiBGIhhANqh56UD3f1t6rY3UI_TXU7tnqDCY7Q2FNHYBWnYGUhzc5lEH8ZRRIJBGSDHD3e3_EfxiOPYmf2j-F67vyFnoKxC_YLI0Weq1GAHiukHScRxvmH5GmdRA2wpS4PTsW5oTHvxE7flMjja-51EDoyhWcQtoYRZ40Ew6pY/s3840/2744b28520454f5d263e45863effa6d59c445ffb278260d58f759baadb775a18.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2160" data-original-width="3840" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXHl4vc_fAmWsWR3WPQTiBGIhhANqh56UD3f1t6rY3UI_TXU7tnqDCY7Q2FNHYBWnYGUhzc5lEH8ZRRIJBGSDHD3e3_EfxiOPYmf2j-F67vyFnoKxC_YLI0Weq1GAHiukHScRxvmH5GmdRA2wpS4PTsW5oTHvxE7flMjja-51EDoyhWcQtoYRZ40Ew6pY/w400-h225/2744b28520454f5d263e45863effa6d59c445ffb278260d58f759baadb775a18.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">In un appartamento periferico di una grande città del giorni nostri un musicista è in crisi creativa (Richard Rowden). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Si trova impantanato da mesi, a riascoltare vecchi vinili nel suo loft rigorosamente “analogico”, un eremo privo di ogni diavoleria social e a contatto con la sua sola ispirazione. </span><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;">Suonano alla porta, lui apre, entra il suo agente (Ketora Williams) insieme a un losco figuro (Tom Feasby), si siedono tutti in salotto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">L’agente rimbrotta l’artista che non risponde mai al telefono o alle mail, l’artista rimbrotta l’agente dicendo che lui può fare a meno di telefono e mail. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">L’agente gli propone un “aiuto forzato”, una “intelligenza artificiale”, in gergo una “IA”, che poi sarebbe il tizio che è ora con loro due in salotto: il meglio del meglio del futuro/presente, da usare non come “sostituto dell’artista” ma come “un suo strumento di lavoro più performante”, come se fosse una nuova pianola hi-tech. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il musicista accetta un po’ riluttante, inizia a far fare all'intelligenza artificiale i primi lavori di casa, le attività più ripetitive e pesanti. Poi, stimolato dalla sua presenza, decide di iniziare a comporre qualche nuova musica con lui, scegliendo di accedere “per ispirarsi” alla sconfinata banca dati di cui dispone. In un attimo la musica creata da loro due “insieme” fa presa sui followers. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Ma potrà davvero fidarsi il musicista di questa “IA” o finirà malissimo come in <i>Terminator</i>, <i>Matrix</i>, <i>M3gan</i>, <i>Ex Machina</i>, con i robo-soldati di <i>Guerre Stellari</i>, come ne <i>Il mondo dei robot</i>, <i>Blade Runner</i>, come con i borg di <i>Star Trek,</i> come in <i>Avengers Age of Ultron</i>, <i>Caterina</i>, come con l’ED209 di <i>Robocop</i>, <i>Frankenstein</i>, con la cattiva di <i>Superman 3</i>, con i prof di <i>Classe 1999</i>, come con i dalek del <i>Doctor Who</i>, come in <i>Pluto</i>, <i>Cyborg</i>, <i>Cyborg 2</i>, <i>Cyborg 3</i>, <i>2001 odissea nello spazio</i>, <i>Kill Commando</i>, <i>Tron</i>, <i>Hardware</i>, <i>Dovevi essere morta</i>, <i>Alien</i>, <i>Christmas Bloody Christmas</i>, <i>Monsters and Man</i>, <i>Daitarn 3</i> e potrei continuare ancora e ancora e ancora?</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">In sostanza: nonostante da secoli la tradizione mitologica e religiosa (Talos, il Golem), la letteratura (da Shelley a Dick passando per Asimov), l’arte e il mondo del cinema ci portino a diffidare quasi istintivamente della tecnologia, siamo davvero arrivati a uno snodo storico in cui possiamo accoglierla nel nostro quotidiano senza timore di essere annientati da lei all’istante? Citando i cattivi di Star Trek, “io sono Borg, la resistenza è inutile?”</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Oltre alla storia del musicista di cui sopra, ispirata proprio dalla esperienza personale con le IA legate del compositore della colonna sonora Vincenzo Adelini, lo scopriamo con una serie di interviste e persone come l’eurodeputato Brando Benifei, il parlamentare con disabilità Maurizio Molinari, la responsabile del centro di eccellenza Human Capital di Bip Alessia Canfarini, il competence manager Andrea Taglioni, il romanziere Paolo Ciuccarelli, il manager Ryan Duff e tanti altri. Sono approfondimenti che spaziano su più campi: dal mondo della politica alla inclusività, dal business al design alla scrittura creativa. Interventi che parlano anche di come l’Italia sia stata centrale nel regolamentare a livello europeo un uso delle IA che sia “consapevole ed equo” sul piano tanto della competitività che del diritto al lavoro. Interventi che parlano di come la nuova tecnologia stia già aiutando moltissimo le persone con disabilità, permettendo anche ai ciechi di “vedere” attraverso IA, integrate ai sistemi di geolocalizzazione, che descrivono loro fotograficamente gli ambienti in cui si trovano e le persone che incontrano. Interventi che parlano della futura necessaria transizione a un modello di lavoro 2.0 ancora “in fase di sviluppo”, come del fatto che le macchine abbiano portato a una efficienza aumentata sul piano produttivo cambiando le regole della concorrenza, di come anche l’ambiente potrà essere meglio tutelato con l’uomo proprio grazie alle nuove tecnologie. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Per ogni tesi ci sarà un pro e un contro, come in ogni ambito si incontrano scettici ed entusiasti. Si parla quindi anche dei timori più recenti, tra ChatGPT e Sora, intelligenze in grado di esprimersi anche in ambito “artistico”: per molti l’ultimo passo prima che le IA soppiantino l’uomo anche nel campo della “fantasia” e forse dei “sogni”: dando presto probabilmente una risposta al famoso romanzo di Philip Dick “Do androids dream of electric sheep?”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Connected </i>non punta a offrire risposte semplici ma domande interessanti su cui riflettere… anche perché, nonostante tutti i nostri sforzi, a questo mondo super tecnologico siamo già tutti, da anni, “connessi”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Domande se vogliamo solo parziali, ma pur gioiosamente pionieristiche, in attesa che altre opere raccontino le intelligenze artificiali magari maggiormente sul piano degli effetti sociali e sociologici sugli “esseri di carne e ossa”, sul piano medico e psicologico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Ma è già un inizio e brilla per una certa equidistanza, non glorificando o abbattendo troppo il dibattito, facendo un uso suggestivo, un po’ inquietante ma anche “gioiosamente labirintico” della colonna sonora del bravo Vincenzo Adelini, utilizzando uno stile narrativo sobrio e a tratti quasi chirurgico, scegliendo testimonianze concrete, a tratti “brutalmente materiali”, ma per questo anche oneste.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Connected</i>, giocando intelligentemente con le paure scaturite dai “freddi dati” è un’opera che punta a non far dormire qualcuno la notte, come il migliore horror fantascientifico. Al contempo è qualcosa che riesce a scatenare un dibattito che oggi diventa sempre più centrale e inevitabile.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il sorriso “terrificantemente neutro” della IA di Tom Feasby ci apre davvero a un mondo nuovo, dove forse sì “la resistenza è inutile”, ma almeno un dibattito per ora si può fare.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Un plauso alla regia di Simona Calo e a tutto il suo staff per l’interessante opportunità di iniziare a esplorare queste nuove intelligenze artificiali. Almeno fino a che si ribelleranno agli umani e finiremo tutti come in Terminator. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-23167537947777071012024-03-03T10:00:00.001+01:002024-03-03T10:00:00.138+01:00 La quercia e i suoi abitanti ( Le Chene): la nostra recensione del pluripremiato documentario francese del 2022 ,di Laurent Charbonnier e Michel Seydoux, oggi in Italia con la distribuzione di I Wonder<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhI4l4_yXxUngokxX6-dHop5XbVx4mE3tNJpYDjgVdcFplMdYLQvMPPX5Z3SHfEkguVv6xmirwLKeDQIfl9TqyMRQvhTB0qGpGSnfZQQOaWbGm6TcdoR2EEYfcFpMOEMIp1I3FgDcdRFBYtwoD6EFj97SOwiOQAAYRVQC8nArWWyWgOtW-YDN0CVA2fXSQ/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhI4l4_yXxUngokxX6-dHop5XbVx4mE3tNJpYDjgVdcFplMdYLQvMPPX5Z3SHfEkguVv6xmirwLKeDQIfl9TqyMRQvhTB0qGpGSnfZQQOaWbGm6TcdoR2EEYfcFpMOEMIp1I3FgDcdRFBYtwoD6EFj97SOwiOQAAYRVQC8nArWWyWgOtW-YDN0CVA2fXSQ/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nel cuore della Francia, al centro della Valle della Loira, si trova l’area naturalistica di cinquemila ettari quadrati di Sologne, dove da 210 anni vive e prospera una imponente quercia di 17 metri d’altezza. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Il nobile e immenso albero, quasi come il mitologico Yggdrasil, è il fulcro vitale di un intero piccolo mondo, abitato ha creature grandi quanto microscopiche. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">È una casa accogliente, che con le sue robuste pareti di legno difende dal freddo e dai predatori.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">È una madre che sfama i suoi piccoli abitanti con le gocce di rugiada, le ghiande, i funghi che vi si depositano ai margini e le radici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un enorme cantiere in continuo sviluppo, dalla superficie imponente, grandiosa in altezza ma che sottoterra non è da meno, estendendosi tra infiniti canali di radici che ogni giorno diventano più profondi e ramificati, dove ogni singola gocciolina di pioggia arriva idraulicamente ed alimenta come “carburante” la costruzione febbrile di nuove estensioni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ma, come spesso accade in natura, tutto è sorretto alle volte è sorretto o “condizionato” da raffinatissime, quanto quasi microscopiche, alchimie biologiche di cui sono protagoniste centrali soprattutto le creature più piccole, quelle quasi invisibili. Un ruolo da protagonista, se non più propriamente da “piccolo villain” o antagonista, spetta quindi al fiero e indomito parassita “balanino” (o Curculio Elephas). È un buffo quanto duttile insettino grigio della famiglia dei Curculionidi, dotato di un lungo rostro/nasone, due antennine rossastre e sei zampette, lungo non più di 10 millimetri da adulto. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvdYngeLIbInP5qswZBapOATTIK8G8nNV-QC0S6vGu3Qx3PJIACV9s_BnIEdXPWprxACmlA8eJ3IwtNC2rEy1SrvHKTCKpxkfdB_J1Nyh-DdztysSiQfDxhw2YXhKWFxLqlbdZqv5zJsjamulLWGFP9uYpcFk21N5IlTQUsWlCufDbsL7w3ZbEnTWqTp0/s800/Curculio-elephas-800x445.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="445" data-original-width="800" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvdYngeLIbInP5qswZBapOATTIK8G8nNV-QC0S6vGu3Qx3PJIACV9s_BnIEdXPWprxACmlA8eJ3IwtNC2rEy1SrvHKTCKpxkfdB_J1Nyh-DdztysSiQfDxhw2YXhKWFxLqlbdZqv5zJsjamulLWGFP9uYpcFk21N5IlTQUsWlCufDbsL7w3ZbEnTWqTp0/w400-h223/Curculio-elephas-800x445.jpeg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Combattendo la forza di gravità, il vento e le piogge, potendo contare solo su un fisico tozzo poco atletico che lo invita più volte a ribaltarsi, il balanino stoicamente affronta la sua guerra quotidiana per sopravvivere e amare, accaparrandosi goccioline d’acqua e piccole ghiande in modo spericolato. È proprio nelle ghiande più grosse che la femmina di balanino, dopo essere stata ingravidata in una travolgente Summer of love acrobatica, (i balanini sono amanti pazzeschi anche a gravità zero, con i maschi che a volte finiscono per morire dopo l’amplesso per la qualità estrema della performance), deposita le sue piccole uova bianche per riprodursi: offrendo una solida casa e un riparo per le future generazioni, da costruirsi nel brevissimo lasso di vita delle creaturine. Senza la quercia i balanini potrebbero quindi non esistere per niente, il loro rapporto è simbiotico anche se spesso invisibile agli occhi dei più, ma spesso se non tenuto sotto controllo anche “maligno”, in quanto pur per sopravvivere guastano le ghiande. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Legatissimo della quercia bicentenaria tanto sul pianto “edilizio” che “alimentare” è anche lo scoiattolo rosso (Sciurus Vulgaris). Come i tassi o le nutrie, ma a piani ben più altri del “bosco verticale” (in quando “sciuro”…ma questa battuta la possono capire solo quello che conoscono il milanese…), lo scoiattolo rosso, ammantato di pellicciotto naturale 100% non sintetico, risiede e accumula cibo bio tra le cavità più esclusive della quercia, anche se a volte pure lui rimane invischiato in complicati problemi idraulici condominiali durante le piogge o la neve. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La vista di cui gode sarà top di gamma ma lo spazio abitativo ne risente spesso, con improvvisate e un po’ proletarie camerette naturali simili a casermoni con letti a castello. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Anche il cibo sarà di lusso, ma ha un basso costo/beneficio in quanto spesso conteso con animali volanti che godono di maggiore agilità nel take away direttamene a chilometro zero dai rami più alti, con lo scoiattolo che deve un po’ accontentarsi di quello che rimane a fine planata. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoO2adQoZ8TzyPgUS5By3Tn4mpeb6Eg4fXJZQ-J5cNjDqfY3RrK1GVewlIGasoDxvGMivHIghwbwJokpatIO77PRrRvYZziHoNLt2hKOrYTp_ISMHd5nE9AL1sIkJg0hp_HSAvK9btLjBEp1MGsyMidqookdXXHrEd7DlMva8V_EsIsc-4E6TDJe4Z3Eo/s266/IWP_laquercia_COPYRIGHT-2022-camera-one-winds-gaumont-ressources_2021-12-21_LE-CHENE_PHOTO_08.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="266" data-original-width="266" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoO2adQoZ8TzyPgUS5By3Tn4mpeb6Eg4fXJZQ-J5cNjDqfY3RrK1GVewlIGasoDxvGMivHIghwbwJokpatIO77PRrRvYZziHoNLt2hKOrYTp_ISMHd5nE9AL1sIkJg0hp_HSAvK9btLjBEp1MGsyMidqookdXXHrEd7DlMva8V_EsIsc-4E6TDJe4Z3Eo/w400-h400/IWP_laquercia_COPYRIGHT-2022-camera-one-winds-gaumont-ressources_2021-12-21_LE-CHENE_PHOTO_08.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Tutti gli status symobol hanno il loro costo. Come sanno bene anche le ghiandaie azzurre (o Cyanocitta cristala), che vivono nell’attico dell’albero, pur avendo spesso ai piani bassi una cambusa da ristorante stellato tutta per loro. Con eleganza sfoggiano sulle piume, nella zona collo alta, quella pigmentazione a scacchiera super fashion. Gli uccellini amati da Emily Dickens e dagli Hunger Games sono un po’ timidi ma sgargianti, intrattengono sulla quercia relazioni amorose ricche e nuclei famigliari solidi, ma spesso si trovano ad avere a che fare con i grossi predatori volanti come l’Astore (Accipiter Gentilis), della famiglia degli Accipitridi. Brutali quanto implacabili. Così ogni tanto la caccia alla ghianda si trasforma in un duello aereo alla guerre stellari, dove i rami della quercia e delle altre piante offrono più di una occasione per impalare l’inseguitore in volo, come nella corsa delle overbike sulla luna boscosa di Endor. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La quercia protegge con le sue solide pareti i suoi abitanti più indifesi, anche se le stesse solide pareti a volte diventano vittime delle “culate da accaparramento” dei cinghiali selvatici (Sus Scrofa). Che sia primavera, estate, autunno o inverno, per avere ghiande dalla quercia i cinghialini vanno giù di spallata o culata come i truzzi che danno i pugni ai distributori automatici delle merendine in stazione. Spesso assaltano di notte, forse per evitare la presenza di altri predatori o forse perché più propriamente sono dei casinari nottambuli. Si ubriacano di ghiande, dormono a pancia all’aria a prescindere dalle condizioni atmosferiche, magari si grattano la schiena in modo poco signorile usando qualche ramo. Anche questo è vivere ai piani bassi di una quercia. Mentre vivere dentro alla quercia come sua stessa emanazione, come i funghi, è tutta una storia psichedelica a parte: una storia sulla capacità di formarsi e costruirsi da piccolissimi filamenti (le tecniche di ripresa per rendere il processo sono semplicemente strabilianti, usano probabilmente obiettivi da chirurgia) fino a “disegnarsi” dentro cerchi concentrici, emergere e poi diventare alimento da sballo (specie se velenosi) per tutti i commensali. Pura arte astratta alimentare.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjTdE7G_MBNn6LatZp_1A05jVAnP-RMoUF7dSm2p_0N0QYAmSVbV8vDT2keRrV0qWbncNsKDQ5csi4IOb_cN1QSJpeCggdw0ZHGKQ2vUCLJZbSFZe88KL6uS1Qe1qv6MstQfanf33yXrkPNiepGnSRuiA-Z3_jMc1lg0pm7yzw-icOFtEwWnF1DFiBoSI/s2048/IWP_laquercia_COPYRIGHT-2022-camera-one-winds-gaumont-ressources_2021-12-21_LE-CHENE_PHOTO_19.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="858" data-original-width="2048" height="168" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjTdE7G_MBNn6LatZp_1A05jVAnP-RMoUF7dSm2p_0N0QYAmSVbV8vDT2keRrV0qWbncNsKDQ5csi4IOb_cN1QSJpeCggdw0ZHGKQ2vUCLJZbSFZe88KL6uS1Qe1qv6MstQfanf33yXrkPNiepGnSRuiA-Z3_jMc1lg0pm7yzw-icOFtEwWnF1DFiBoSI/w400-h168/IWP_laquercia_COPYRIGHT-2022-camera-one-winds-gaumont-ressources_2021-12-21_LE-CHENE_PHOTO_19.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Da spettatori non possiamo che ammirare questo mondo in pieno silenzio, accompagnati dal solo commento di musica sinfonica, facendoci trasportare dai mille suoni della natura e da camere da presa super tecnologiche in una realtà sensoriale diversa, a tratti quasi aliena ma spesso incredibilmente vicina a casa nostra.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il documentarista Laurent Charbonnier (già direttore della fotografia per <i>Il popolo migratore</i>) e il produttore Michel Seydoux (il <i>Cyrano </i>con Depardieu, ma noto anche per un celebre progetto di adattamento di <i>Dune </i>con Jodorowsky) ci portano all’interno del microcosmo di una quercia secolare, che impariamo a conoscere durante l’arco delle quarto stagioni, dall’autunno fino alla primavera. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il lavoro di costruzione dello storytelling ha visto la partecipazione di esperti di scienze naturali e l’osservazione giornaliera della quercia e del suo mondo circostante per per cinque anni. È incredibile quanto più essere emozionante ed erotica le vita di un balanino, sempre sospeso tra attività da sport estremi e riproduzione. È ingegnoso come gli scoiattoli adattino la loro quercia/casa che continua a mutare con il mutare del tempo e delle stagioni, nel segno di una edilizia creativa. È tenero immergersi nei nidi di ghiandaia e sui rami-trampolino da cui i più piccoli spiccano il primo volo, quando un secondo prima li avevamo ancora visti in forma di ovetto. È tragicomico è desolante il modo in cui il cinghiale a seconda delle stagioni faccia imperterrito nel stesse cose e si gratti le chiappe negli stessi punti. È pura arte performativa stile Marina Abramovich la continua ricerca estetica ed espressiva di un fungo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ogni animale o pianta si incontra o scontra, nascono legami e rivalità, si avverte un senso di famiglia e comunità nel modo in cui i piccoli gruppi fanno fronte comune davanti al freddo, alla pioggia o nei momenti di caccia. Anche il temporale, il vento e la neve hanno la loro voce e il loro ruolo, diventano protagonisti attivi di una vicenda articolata. Il lavoro sinfonico, che spazia dalla musica corale ai tamburi di un action movie, dalle chitarre hippy alle musiche “da cartone animato”, è originale e composto da Cyrille Aufort, già autore ne <i>La marcia dei pinguini</i>. È molto trascinante, variegato e ritmato, ma soprattutto riesce attraverso un uso ingegnoso dei registri sonori a sviluppare un funzionario “linguaggio cinematografico”, in grado di sostenere da solo la narrazione abbinandosi alle immagini, senza bisogno del commento descrittivo audio di qualche narratore/attore. Sul finale un brano molto bello del cantautore Tim Dup ci racconta tutto quello che abbiamo visto come fosse una favola. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">L’esperienza è estetica quanto estatica: una pura elegia avvolgente in cui è per lo spettatore bello perdersi. La quercia e i suoi abitanti è un prodigio per le tecniche documentaristiche usate, ma ha anche molto cuore nelle scelte narrative. Un piccolo gioiello. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-1927339033991524602024-03-01T10:00:00.056+01:002024-03-01T10:00:00.308+01:0020.000 specie di api: la nostra recensione del film drammatico basco diretto da Estibaliz Urresola Solaguren, con protagoniste Sofia Otero e Patricia Lopez Arnaiz, vincitore nel 2023 di molti riconoscimenti internazionali<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikc_zvkEJfo0DEiG4CVuyXCdFXqYf422dHVJRU2BeqKRYhyphenhyphenI33E-pPV1ZC5-xttRxoD_318O_ecbwe6kFZpnkhLlCcljSXyvDqszNrvvv1XnsD0IKnBl2cbKe_aUNP0tbECPyUl4-n7p2qQg75T4Cu9vJohsNNLvhQejjd-vir5w-WDh37_My8SgrfG8Q/s400/download%20(1).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="400" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikc_zvkEJfo0DEiG4CVuyXCdFXqYf422dHVJRU2BeqKRYhyphenhyphenI33E-pPV1ZC5-xttRxoD_318O_ecbwe6kFZpnkhLlCcljSXyvDqszNrvvv1XnsD0IKnBl2cbKe_aUNP0tbECPyUl4-n7p2qQg75T4Cu9vJohsNNLvhQejjd-vir5w-WDh37_My8SgrfG8Q/w400-h225/download%20(1).jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Dopo un lungo periodo dedicato alla famiglia e alla maternità, la giovane Ane (Patricia Lopez Arnaiz), figlia di uno scultore e di un'apicultrice, in un momento molto convulso della sua vita sogna di insegnare all’università e al contempo “continuare” insieme alla famiglia l’attività artistica del padre, creando repliche in cera d’api delle sue opere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Recuperati dagli scaffali i suoi vecchi lavori universitari per crearsi un nuovo portfolio in vista di un concorso, Ane decide al contempo di ricreare con la cera anche “le silfidi”, statue raffiguranti giovani corpi femminili realizzate dal padre, ispirate a modelle con le quali probabilmente aveva in passato tradito la moglie. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Per il battesimo di Peiyo, figlio della sorella, Ane torna così per qualche giorno alla casa di famiglia immersa nella natura e al vecchio laboratorio paterno. Qui vivono ancora sua madre Lita (Itziar Lazkano) e la zia Lourdes (Ane Gabarain), impegnate nottetempo in strane e misteriose attività, come la cura delle api e la sartoria tradizionale.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">In viaggio con Ane ci sono i suoi tre figli, il più piccolo dei quali si chiama Aitor (Sofia Otero) e sta vivendo in una situazione psicologica molto complessa.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Aitor ha otto anni, ma spesso viene chiamato da tutti Cocò. Ha lineamenti femminili e capelli lunghi, è taciturno, non vuole essere nemmeno sfiorato da nessuno, non vuole mostrarsi senza vestiti da nessuno, vuole dormire isolato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Un pomeriggio, nella piscina comunale, Aitor insiste per andare a cambiarsi nello spogliatoio femminile e la sorella della mamma, prima perplessa, infine lo asseconda.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">In famiglia tutti sembrano bisbigliare qualcosa sul conto di Aitor e il ragazzino si chiude sempre più in se stesso, ma la zia </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Lourdes in qualche modo riesce al ascoltarlo. </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Lo coinvolge giorno dopo giorno sempre di più nell’allevamento delle api, gli spiega che è tradizione antica di famiglia che risale alla bisnonna. Gli mostra le arnie, gli racconta la complessa dinamica relazionale delle api tra fuchi, api operaie, soldato e regina, lo fa assistere a una misteriosa forma terapeutica di agopuntura in cui si impiegano tradizionalmente proprio le loro api. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Lourdes parla con Aitor di tutto, anche di Santa Lucia. Il ragazzo è sorpreso da tutte queste storie e dalla calma e calore di quella casa e quei luoghi che sembrano coperti da una patina dorata. Impara velocemente e sente il suo cuore sempre più sollevato, come se per la prima volta si trovasse nel “posto giusto” del mondo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Aitor infine si apre anche emotivamente alla zia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Le racconta del risentimento che nutre per la madre che lo chiama Aitor o peggio con quel Cocò che sembra una presa in giro. Parla dei suoi compagni di classe che non lo capiscono, di tutti che non lo capiscono. Dice che ora, dopo aver conosciuto la storia della Santa, preferirebbe essere chiamato anche lui Lucia. Vorrebbe tanto che gli altri imparassero a chiamarlo così, con un nome scelto da lui per definirlo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Nel frattempo Ana è come assente, immersa nel lavoro di calco e assemblaggio come nei suoi pensieri. Insegue e ricostruisce un po’ con rabbia i corpi femminili che il padre amava e che erano diventati le sue “Silfidi”. Corpi che sono stati l’emblema massimo della crisi della sua famiglia ma che ora possono sublimarsi a “qualcosa di positivo”, ma che al contempo possiedono forme di una bellezza e solarità a cui Ane stessa aveva “rinunciato troppo presto”, essendo diventata madre in giovane età. Ana è come se “odiasse” quel lato aggraziato femminile che sembra invece indossare con innocenza il suo figlio più piccolo. Un figlio che aveva chiesto per Carnevale di potersi vestire da sirena. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ana e “Lucia” non sono mai state così distanti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Così arriva il giorno del battesimo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Durante la festa Aitor si presenta prima con indosso un abito da ragazza. </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Poi, quasi colpito a morte dalla indifferenza generale, si cambia. </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Successivamente durante la festa Aitor decide di scappare per i boschi: con il padre (eterno assente) Gorka, la madre Ane, la nonna, la zia e tutti gli altri che lo cercano disperati, corrono tra la boscaglia, lo chiamano. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ma riusciranno a chiamarlo con il nome giusto?</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix7BwZWs5EcQpfJOrx7wuDHKJ5DfZ8rO_te5D0gt_P-Jhs-PVr4sSuROk1ok5H8H-94bYfdjvGEW5nXosoLTmFg8Gg-a6aaJCXlJpXCBI4ugjv_S1gxJjUBjV_6jnwGNvUPyibY7O-fSwlchefoXcT_xDZQ8lLSJg1O-K-ZzXzMVrYJneq7GkS2SjQ3iw/s1920/F_1_20000_species_of_bees_photo_ec47bbafa5.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix7BwZWs5EcQpfJOrx7wuDHKJ5DfZ8rO_te5D0gt_P-Jhs-PVr4sSuROk1ok5H8H-94bYfdjvGEW5nXosoLTmFg8Gg-a6aaJCXlJpXCBI4ugjv_S1gxJjUBjV_6jnwGNvUPyibY7O-fSwlchefoXcT_xDZQ8lLSJg1O-K-ZzXzMVrYJneq7GkS2SjQ3iw/w400-h225/F_1_20000_species_of_bees_photo_ec47bbafa5.jpeg" width="400" /></a></div><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><i>20.000 specie di Api</i> è un film sulla crisi di identità, che coinvolge tanto una giovane madre quanto suo figlio di otto anni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">È un film in cui i personaggi inseguono un “simbolico famigliare” distrutto, cercando di ricostruire i rapporto sulla base di riti e tradizioni millenarie aspirando, se non alla serenità, ad un proprio “ruolo nel mondo”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">È un film dove la pace e armonia “primordiale” dei luoghi si contrappongono a una rumorosa rabbia e finta accoglienza famigliare. Tutto sembra mosso da dolorosi fantasmi del passato che si sovrappongono e imperversano nelle vite dei personaggi, infestando un “presente inaridito” con il rumore della loro assenza. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Assente quasi del tutto è la figura maschile, didascalicamente simboleggiata, nel mondo delle api di zia Lourdes, nella figura “fugace ma centrale” del fuco. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Assente è il nonno di Aitor, ma di fatto le “api operaie” della sua famiglia continuano a costruire “simulacri” della sua arte. È ugualmente assente il padre di Aitor e marito di Ane: uomo che Ane ha sopportato di fatto rinunciando ai suoi sogni, vedendolo diventare sempre più lontano quanto affermato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Di contro tutte le donne sulla scena aspirano a diventare “api regine”, prendendo decisioni e di conseguenza “spostando il loro esercito”, in modo spesso arbitrario, come se i sudditi non potessero che assecondarle senza ribellarsi. Zia Lourdes lo fa “materialmente”, gestendo le arnie, ma Lita e Ane non sono dissimili nella gestione della casa e della azienda. Le api regina spostano, dividono, si punzecchiano. In tutta questa lotta di potere (che narrativamente abbraccia “sociologicamente” tanto il mondo degli insetti che il mondo reale) Aitor è un po’ un ape operaia che aspira, anche timidamente, a diventare un'ape regina, con un nome nuovo, “suo”. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRIndbxW61qaZnrIw-2_iKyW7XkC7u-c-fq5E3_3FJN1krQ2pYeDHRIEi3_HAm-hwSVCHjdao_7FzSvGbMDInvMtX_p6eZJWt6JG1fhnGAEDStFyclrfIW3RG7wd3HvQSqJZaUHrnc2Sf2hepYQ-kVZOS0rOqCFghMmOobnFByiQLTk-14wipVS53KhsM/s800/download.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRIndbxW61qaZnrIw-2_iKyW7XkC7u-c-fq5E3_3FJN1krQ2pYeDHRIEi3_HAm-hwSVCHjdao_7FzSvGbMDInvMtX_p6eZJWt6JG1fhnGAEDStFyclrfIW3RG7wd3HvQSqJZaUHrnc2Sf2hepYQ-kVZOS0rOqCFghMmOobnFByiQLTk-14wipVS53KhsM/w400-h225/download.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Aitor vuole essere per lo meno “visto” da sua madre (e forse in questo il richiamo alla iconografia di Santa Lucia non è secondario): accettato nella sua ricerca della sessualità, supportato nelle scelte di vita senza essere “spostato da una parte all’altra” come le truppe dell’esercito di una ape regina che decide di cambiare alveare.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Forse, ci suggerisce la trama, zia Lourdes è un'ape regina provvisoria migliore per Aitor, una che in quel luogo dorato lontano dalla città sa maggiormente immergerlo in una realtà/arnia accogliente. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Una realtà accogliente, in perfetta armonia tra uomo e natura, costruita dalla macchina da presa nel verde e nel sole delle cittadina francese di Hendaye, in Nuova Aquitania, quanto tra gli squarci boschivi e correnti d’acqua ricercati in Spagna, a Laudio, nei Paesi Baschi. Una cornice accogliente che asseconda bene i molti momenti di riflessione che la pellicola riesce a portare sulla scena.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Premiato nel 2023 da molti riconoscimenti internazionali per la indubbia bravura di tutto il cast e tecnici, <i>20.000 specie di Api</i> arriva finalmente anche in italiano grazie a Wanted ed è un film tutto da scoprire: carico di molta profondità emotiva quando di momenti visivi quasi fiabeschi, ricco di simboli e suggestioni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Un film complesso, che a tratti può risultare anche difficile, destinato in prima battuta a chi cerca il cinema d’autore ed è disposto a farsi sedurre dall’idea di una “melittologia” sorprendentemente, nella metafora, drammaturgica. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #3d85c6; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-50450297976752159372024-02-29T10:00:00.041+01:002024-02-29T10:00:00.247+01:00Caracas: la nostra recensione del film su una Napoli “tra sogno e realtà” scritto, diretto e interpretato da Marco D’Amore, con co-protagonisti Toni Servillo e Lina Camelia Lumbroso<p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRUwC-sWHws3RvldjA1C7tLgO4s1Qc8wCT6wavtbAvrEkdn1FVnP-9QvXFtdxQKm0fRUxO_glZRLiT065MNF3KLdJCFN3SamU8PqgwjWe30536htgXptANmfIwb1b99a_c-FtbcKvwGX3V-wqB6iGdijKhw78bac0OP7RIipPHKaH59p0bG9K0HNKVvQc/s1280/Caracas-2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRUwC-sWHws3RvldjA1C7tLgO4s1Qc8wCT6wavtbAvrEkdn1FVnP-9QvXFtdxQKm0fRUxO_glZRLiT065MNF3KLdJCFN3SamU8PqgwjWe30536htgXptANmfIwb1b99a_c-FtbcKvwGX3V-wqB6iGdijKhw78bac0OP7RIipPHKaH59p0bG9K0HNKVvQc/w400-h225/Caracas-2.jpg" width="400" /></a></span></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ci troviamo nell’aria, a molti metri dal suolo. Si apre lo sportello del piccolo aereo e con un unico tuffo un gruppo di paracadutisti si lancia nel vuoto, coordinato e compatto, con le mani e i corpi che si cercano e incontrano per formare coreografe ordinate, arrivare a una armonia perfetta di testa e di cuore. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Il suolo si avvicina e uno del gruppo, di grossa stazza, si stacca mentre gli altri già aprono il paracadute. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Aspetta, vuole stare ancora “sospeso”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Vuole ancora per un po’ provare il brivido dello schianto. </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Alla fine apre ma è già tardi, la velocità è troppa e l’atterraggio è scomposto. </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">L’uomo ruzzola male al suolo, gli altri accorrono preoccupati ma lui si rialza da solo, accartocciato ma con calma. Quando si toglie il casco ha il volto coperto di sangue, ma sorride.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">È quello stesso uomo “ardito” (Marco D’Amore) che di sera percorre le strade piccole, sporche e labirintiche di un quartiere popolare di Napoli, la zona “ferrovia”, ai cui angoli si assiepa una umanità multietnica che potrebbe provenire da tutte le zone povere del mondo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">L’uomo si addentra nei cunicoli, quasi sotto terra. Giunge fino alla tana di un gruppo di suprematisti, riuniti intorno a un tavolo da tatuatore, mentre stanno marchiando un giovane adepto con una svastica. Anche l’uomo è stato marchiato, su un braccio. Prosegue in un corridoio ancora più stretto per poi accedere a una zona più larga, dove tra il gruppo riunito in assemblea imperversa la politica e si reclama l’azione, dura e immediata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">L’uomo è di nuovo per strada, cammina sospeso senza ascoltare i suoni e rumori, come quando era in aria. Ai suoi lati i compagni con spranghe, fuoco e catene stanno radendo al suolo ogni auto, negozio e “straniero” che gli capiti davanti: stanno ripristinando un “ordine”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">L’uomo però sembra non reggere questo equilibrio di forze, non ce la fa a reggere alla vista di soprusi e di quello che appare come un omicidio intenzionale davanti ai suoi occhi. Cerca di opporsi al suo compagno anche se il danno è ormai fatto e la lama ha fatto il suo corso nella carne. Rimane insieme allo straniero mentre tutti fuggono, mentre quell’uomo steso lo ringrazia della sua premura, prega con lui. L’uomo piange e si sente di colpo parte di una comunità diversa. Decide di abbracciare l’Islam e frequentare persone diverse.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Al contempo arriva alla stazione di Napoli Giordano (Toni Servillo), autore di libri e saggista anziano, che ha sempre raccontato storie di Napoli ma ora non ne può più, ha deciso di appendere la penna al chiodo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Percorre le strade della sua infanzia, il quartiere periferico di zona stazione, quando si imbatte in un ragazzino che viene malmenato da un branco di coetanei. lo salva e questo di tutta risposta gli ruba la borsa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Giordano lo rincorre tra i vicoli, fino a una casa che in qualche modo gli “è familiare”, al cui interno trova però l’uomo convertitosi all’Islam, insieme alla donna che ora ama, la marocchina tossicodipendente Jasmine (Lina Camelia Lumbroso). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Il bambino sembra sparito o forse non è mai esistito.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">L’uomo, che presto Giordano scoprirà essersi dato il nome esotico di “Caracas”, è con lui all’inizio scontroso e gli dice di andare via: che nessuno lì dentro ha visto un bambino o una borsa. Ma lo scrittore tornerà più volte in quel luogo e con il tempo annoderà in modo sempre più stretto la sua esistenza con quella di Caracas, diventato al contempo il personaggio del suo nuovo e inatteso libro. Un libro di speranza dopo tanti libri di depressione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Magari un libro d’amore dopo troppi libri di rabbia.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ma tra la realtà e l’immaginazione dello scrittore iniziano sempre più a crearsi zone d’ombra e di confusione, dove tutto si mischia, tra sogno e realtà. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Forse come il bambino anche Caracas e il suo disperato bisogno di trovare “un equilibrio”, un posto nel mondo dove dare un senso alla sua rabbia, è solo un sogno partorito dalla fantasia di Giordano. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Un personaggio e non una persona, un mosaico costruito ad arte perché simboleggi qualcosa: magari “Napoli stessa” o magari i timori e paranoie verso cui si sta spostando il mondo intero.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Riuscirà la storia di Caracas per lo meno a trovare un bel finale?</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM4btW1iOuGfWpJhus7RxiD9u1ONbHilyX3PgRyBs9f1D8RtV6roU5Wdyu8HR4FJpWtVm5wjG8aTMLtIA5NCvZ0X2db-iAhu0IMBB0VhTVJ-bLrKa-J77Ec4N9XrolYUqas2Msx7EACW4PeAGY_zdg5NT2FTcZiL7AV4e_CgIMNSYGUpPzwzuRbb4E5-o/s500/Caracas_nelle_sale_Napoletane_il_film_di_Marco_DAmore_con_Toni_Servillo.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="260" data-original-width="500" height="208" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM4btW1iOuGfWpJhus7RxiD9u1ONbHilyX3PgRyBs9f1D8RtV6roU5Wdyu8HR4FJpWtVm5wjG8aTMLtIA5NCvZ0X2db-iAhu0IMBB0VhTVJ-bLrKa-J77Ec4N9XrolYUqas2Msx7EACW4PeAGY_zdg5NT2FTcZiL7AV4e_CgIMNSYGUpPzwzuRbb4E5-o/w400-h208/Caracas_nelle_sale_Napoletane_il_film_di_Marco_DAmore_con_Toni_Servillo.png" width="400" /></a></div><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Marco D’Amore, prendendo spunto dal romanzo Napoli Ferrovia di Ermanno Rea, ci trascina nel ventre di una Napoli labirintica, una nuova Babilonia che trovatasi di colpo incapace di amare rimane sospesa tra il caos e la necessità di inseguire “simboli di ordine”, affascinanti e accoglienti quando spesso forvianti, autodistruttivi. Tra le vie della sua infanzia, lo scrittore stanco Giordano, interpretato da un Toni Servillo come sempre straordinario, incontra o forse solo immagina di imbattersi, tra tanti volti, in Caracas. Il personaggio, interpretato del sempre più “massiccio” Marco D’amore, è quasi un anti-eroe “metafisico”, un uomo perennemente arrabbiato della propria immobilità umana e alla ricerca di mondi lontani e “scopi più alti”, ma senza la voglia di allontanarsi mai veramente dall’unico luogo che lui chiama “casa”, che vivrebbe come una sconfitta. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Un eroe che vive per questo “sospeso”, tra i pensieri più che tra le persone, viaggiando prima attraverso il mito di famiglia, patria e padre promesso dal Duce e poi attratto in egual misura dalla spiritualità e accoglienza dell’Islam. Ma in fondo prima di tutto un uomo che in cerca di amore trovando sempre strade nuove per negarselo, che lo scrittore cercherà di guidare come può verso questa meta, seppur tra mille avversità. Uno scrittore che rivive in qualche modo in Caracas la sua vita in un quartiere difficile, prima da bambino che cerca di sopravvivere, poi da adulto confuso come Caracas, infine da “padre” di un luogo che, seppur gli anni ne hanno mutato la forma, non è variato nella sostanza e nello spirito, spigoloso ma anche accogliente. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0J2mQvvbNFYJWpVOaZuVtaRPMfHKelxlJ6vNV7U5sNzqkFRx5Va-2MUy2yttiY6oPMZCmSQM7zLSALLKsAcd71kedAOIRD0toK2QQEhned2yrOtw2ww7jamup920tVn7wb0CfqRNH0ucDOJmgA_uf48VBoLbZk9k80tzEqHs6PTInT4DU1F0gY0zjlqQ/s1280/934414-thumb-full-720-caracas.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0J2mQvvbNFYJWpVOaZuVtaRPMfHKelxlJ6vNV7U5sNzqkFRx5Va-2MUy2yttiY6oPMZCmSQM7zLSALLKsAcd71kedAOIRD0toK2QQEhned2yrOtw2ww7jamup920tVn7wb0CfqRNH0ucDOJmgA_uf48VBoLbZk9k80tzEqHs6PTInT4DU1F0gY0zjlqQ/w400-h225/934414-thumb-full-720-caracas.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">D’Amore rimane fedele all’opera originale, ma cerca spesso nella scrittura di destrutturarla, complicarla e “polemizzarla”. Grazie anche al montaggio di Mirko Platania scompone a puzzle alcune sequenze, viaggiando sulla continua linea di confine tra reale ed onirico, sottraendo alcuni pezzi necessari per la ricostruzione della storia ma rendendo il racconto qualcosa di più viscerale e profondo. Quasi una circolarità esistenziale. Crea così nei suoi personaggi, tanto per l’eroe che per il suo scrittore, una complessità emotiva tragica: qualcosa che ce li rende in egual modo rarefatti, malinconici e sfuggenti, quanto intimamente autentici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">La Napoli della “zona ferrovia diventa attraverso la fotografia di Stefano Meloni e alle scenografie di Fabrizio D’Arpino un non-luogo universale, una città/mondo che potrebbe trovarsi in Italia o in Messico o a Caracas. Il comparto sonoro curato da Rodrigo D’Erasmo lavora in sottrazione, sceglie di soffermarsi con grande trasporto “naturalistico” nella descrizione dei mille rumori e suoni di questo mondo, dalla poesia delle onde di un mare percepito sempre “troppo lontano”, al suono da “percussioni” delle randellate che esplodono nell’odio sociale. Dall’estatica calma della preghiera condivisa al rimbombo della vita notturna, dai monti di “calca politica” in cui sembra partire una nuova guerra ai momenti riflessivi e quasi muti in “equilibrio” con la natura. Tutto ha un suono, compresa un’emotività dei personaggi che prende a volte il suo “spazio di sospensione” attraverso il fischio interno di un acufene. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Caracas </i>di Marco D’Amore è un’interessante pellicola su uno scrittore stanco e tormentato (Servillo) che cerca la sua nuova storia tra una Napoli quasi metafisica, che ama e dalla quale al contempo vuole fuggire, tra estremismi e personaggi che lui costruisce quasi a mosaico (come il Caracas di D’Amore), sovrapponendo sugli stessi più “volti e luoghi”, a volte anche lontani tra spazio, tempo e ricordo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">D’Amore, già convincente come attore, come regista e sceneggiatore (accompagnato da Ghiaccio) reinterpreta bene il libro di Rea, cercando di destrutturarlo e scomporlo in modi anche complessi, alimentando sulla scena quasi un senso di perenne sospensione emotiva e precaria “identità”. Un senso di smarrimento sottolineato anche visivamente da una Napoli “dai mille colori e persone” che diventa lei stessa un non-luogo tra presente, passato e futuro, universale e labirintico quanto sempre uguale a se stesso, al contempo “centro e periferia del mondo”, attraverso un uso visivo quasi “emozionale” di fotografia e scenografia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Molto validi tutti gli attori coinvolti, buono un comparto sonoro che fa un ampio uso di rumori ambientali. </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">D’Amore sta diventando un autore sempre più completo e interessante. </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Al netto di alcune imprecisioni nella gestione dei tempi nella parte centrale, questo suo lavoro risulta lodevole per costruzione e direzione degli attori. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Un film originale e pieno di spunti di riflessione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-88940811223707223672024-02-28T10:00:00.042+01:002024-02-28T10:00:00.249+01:00La natura dell’amore (Simple comme Sylvain): La nostra recensione della nuova commedia sentimentale scritta e diretta da Monia Chokri, autrice canadese musa di Xavier Doland<p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuc0QJ6GHPUf8jUsrxsDW_dMMb8xxchcLt0QZlmHqvnZkezYC_s7wg4ZjhjDZyv9kwqcLVtuPEe_x74pWxtNa6v68zMO7RJsYARyGllfcs8LqUNuGCBpptDDzCW1QMN5oyYtG1V5fpKyrX1XdjUSM_MA5qjuT_rxyycbDHslfedPYEmor0LJfDdDFSio0/s620/1684751835435_0620x0413_0x139x1878x1251_1684751920640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="413" data-original-width="620" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuc0QJ6GHPUf8jUsrxsDW_dMMb8xxchcLt0QZlmHqvnZkezYC_s7wg4ZjhjDZyv9kwqcLVtuPEe_x74pWxtNa6v68zMO7RJsYARyGllfcs8LqUNuGCBpptDDzCW1QMN5oyYtG1V5fpKyrX1XdjUSM_MA5qjuT_rxyycbDHslfedPYEmor0LJfDdDFSio0/w400-h266/1684751835435_0620x0413_0x139x1878x1251_1684751920640.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il rapporto tra la docente universitaria Sophia (Magalie Lepine Blondeau) e il suo finanziato Xavier (Francis-William Rheaume), intellettuale sempre in giro per conferenze a Ottawa, si è fermato alla pompa di benzina. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Lui seduto in auto, lei alla pompa, a fissare una coppia più felice di loro a ruoli invertiti a pochi metri. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Lui, finisco minuto e occhialetti rotondi, ha appena tacchinato una francese di nome Josephine e ora, a casa, sembra indubbiamente intenzionato a tradire la moglie, essendo cascato nel classico giochino psicologico femminile: “Mi tradiresti con questa tizia se tu e lei doveste essere gli ultimi uomini sulla terra?”. Lui è caduto nel tranello e ha risposto di sì, anche se gli sembrava impossibile sopravvivere per un mingherlino come lui, in un’era postatomica, rispetto al nascente popolo di “uomini medi /super atleti” dedito al crossfitness. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ma tanto è bastato per la crisi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">A letto, in letti separati. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La coppia inizia a vacillare.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il giorno dopo lui parte per congressi e lei va a supervisionare lo stato dei lavori della loro nuova casa di campagna, affidata da un muratore del posto di nome Sylvain (Pierre-Yves Cardinal). Lui parla per ore di ripristinare tubature del 1942 e spera che il circuito elettrico regga. Lei vede un ragazzone affascinante enorme e barbuto in camicia a quadri da boscaiolo, ma dallo sguardo gentile. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Gli piace, si sente “sola” e si sfoga. Lui mansueto la ascolta nei suoi drammi personali più che sulle richieste di un sottotetto con cappotto. La conversazione parte sul luogo dei lavori, passa nel folcloristico bar locale pieno di boscaioli e poi direttamente nell’auto piena di chiavi inglesi e attrezzi del muratore, con intenti sempre più peccaminosi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Dopo un paio d’ore fanno sesso direttamente in quella che sarà la nuova taverna. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">I giorni passano, ma Sophia sente sempre più bisogno di contattare Sylvain per parlare del cappotto termico. Un po’ a tutte le ore. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La nuova relazione prosegue, mentre Xavier non se ne accorge anche perché ha problemi con il padre con l’altzeimer e la gestione di una madre super preoccupata per la discendenza della prole, che vuole nipoti già ora, subito. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La suocera chiede anche a Sophia se è disposta per lo meno a congelare gli ovuli adesso, mentre è ancora fertile, nel caso dovesse protrarsi per troppo tempo la sua “mania carrieristica dall’insegnamento” per quel suo corso di filosofia per anziani che non servirà mai a niente e nessuno. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">La coppia originale piano piano si rompe del tutto, anche perché lei sa che di passione per il segaligno intellettuale non ne ha più e non ce ne era più già da tempo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Basta salottini/conferenze per libri/ incontri chic con tizi che sproloquiano sulla fine del mondo, scenari da terza guerra mondiale, l’immigrazione e l’abbassamento dell’asticella del mondo verso il proletariato. Meno visite anche al fratello lunare di Sophia, il poliamoroso Olivier, come alla sua mamma perennemente depressa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il marito Xavier piange e se ne va con tutto il suo mondo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ora Sophia frequenta i salotti più rumorosi e proletari di Sylvain, dove la gente urla, è promiscuamente attiva e le donne vengono trattate non troppo raffinatamente. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La birra alla Alien ha in fondo spesso un sapore più buono delle bottiglie di vino di lusso. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ma in un attimo anche per il rude ma gentile Sylvain la gelosia pullula e galoppa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Accade per un vecchio giaccone di Xavier incautamente conservato da Sophia “solo perché comodo”. Il muratore in brevissimo mette fine alle gite sul gatto delle nevi, al nuovo sesso creativo sadomaso a base di collari, alle sue “sentite ma un po’ goffe” citazioni poetiche/amorose di autori controversi in odore di Xenofobia amati da lui. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Sophia intanto cerca di venire a capo di quello che ha avuto e ancora vuole dall’amore, cercando di decifrarlo e comprenderlo nelle sue mille sfumature proprio a partire dagli insegnamenti dei filosofi che affronta in aula per i suoi studenti della terza età. L’insegnante sarà in grado di definire razionalmente la natura altalenante del sentimento confusivo e stordente che la sta travolgendo? </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">O forse ciò che davvero sta cercando oggi è solo voglia di libertà? da ogni tipo di legame nei confronti di uomini così diversi ma in fondo ugualmente “tossici”?</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggBHdx5rfCC3oyNpkq-nzVQz9NoLPmcYCJNKdpg9VyT22hqhyoAyYQa_ahgBmjXWrNAlHcgebqvb3OFNfnqfeY4jUgj2rvDZrHEzZZ-w4cMWvfq-7XF90B73TCF433C5Ps61aS7BpX2StI57UPPDz8pvCAvO4uMiC9K69PPIZw31hkVBjOvdeUklf_Hx0/s1200/natura-dellamore-1.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggBHdx5rfCC3oyNpkq-nzVQz9NoLPmcYCJNKdpg9VyT22hqhyoAyYQa_ahgBmjXWrNAlHcgebqvb3OFNfnqfeY4jUgj2rvDZrHEzZZ-w4cMWvfq-7XF90B73TCF433C5Ps61aS7BpX2StI57UPPDz8pvCAvO4uMiC9K69PPIZw31hkVBjOvdeUklf_Hx0/w400-h225/natura-dellamore-1.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Monia Chokri scrive e dirige una divertentissima commedia sull’amore e i suoi problemi tra “passione e quotidianità”, tra “cuore e cervello”, con al centro una irresistibile protagonista simpatica e stralunata con il volto della brava Magalie Lepine Blondeau. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La nostra eroina riflette, si scervella, abbozza e soppesa ogni pro e contro, ma infine si muove come una palla impazzita tra ragione e sentimento. Dribbla i luoghi comuni tra borghesia e proletariato con un sincero “chissenefrega” di pancia, cambia stoicamente punto di vista.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ma infine Sophia si invischia comunque nei casini di un troppo grande gioco di ruolo “sociologico/escatologico”, da lei stessa avviato ma forse più grande di lei, che in ultima istanza appare più tragico che erotico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Difficile non voler bene al personaggio della Blondeau, che in fondo è perfetta sintesi delle quattro donne di <i>Sex and the City</i>, specie quando sembra distaccarsi dal corso della trama e andare per una strada narrativa tutta sua, abbattendo i più triti luoghi comuni e dinamiche relazionali consolidate, in ragione di uno spirito più avventuroso che rivoluzionario. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">I suoi due “pretendenti” di contro, sospesi tra intellettualismo e machismo, sono entrambi destinati a soccombere dentro i cliché grandiosi che li muovono, autoparodizzati fino alla macchietta, tragicamente incapaci di reinventarsi guardando oltre al loro ego ed egoismo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"> Alla fine l’autrice di questa pellicola sembra quasi dire, con tutta la dovuta ironia del caso e tutta la forza della metafora, che chi mette la benzina nella propria auto è chi comanda davvero il suo destino, e forse deve pensarci più di una volta se caricarsi in auto un passeggero troppo ingombrante. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La natura dell’amore non è quindi un film sull’amore per gli altri, quanto sull’amore per se stessi. È prima di tutto una ironica e irresistibile pellicola sulla “crescita personale”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ottimi i tempi comici, brillanti gli interpreti, una narrazione sempre gioiosamente sopra le righe, ma anche un interessante utilizzo del pensiero accademico (qui si parla di filosofia universitaria come in <i>Supereroi </i>di Genovese si parlava di matematica) che sa dare più di una stoccata intelligente e originale all’intreccio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Un ottimo film per imparare ad amarsi prima di cercare il vero “grande amore”, se mai esiste. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-84925482985998739742024-02-27T10:00:00.112+01:002024-02-27T10:00:00.260+01:00Night Swim: la nostra recensione dell’horror di Bryce McGuire con Wyatt Russell e Kerry Condon, prodotto dalla Atomic Monster di James Wan e da Blumhouse, su una piscina privata che risulta essere particolarmente spettrale sotto la sua superficie<p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsagNqDD9Z70rAGnFKLhZ3uRqMP0qs78tPFzsSozGBOvl-UMHMmMi9UrPpwMEYsMuH4p4pkt3_5r_Mi6fjjm6570Zo9nGxaoRkn-QpsqyAtIulncT-vFQVM6Blac9y2fDeuDQ8gzBLvBIMPtjB-HlbLQfvRoFMtLbQzqOl9tdzP9NuM6Cb4ENx-1U4kGI/s1280/night-swim.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsagNqDD9Z70rAGnFKLhZ3uRqMP0qs78tPFzsSozGBOvl-UMHMmMi9UrPpwMEYsMuH4p4pkt3_5r_Mi6fjjm6570Zo9nGxaoRkn-QpsqyAtIulncT-vFQVM6Blac9y2fDeuDQ8gzBLvBIMPtjB-HlbLQfvRoFMtLbQzqOl9tdzP9NuM6Cb4ENx-1U4kGI/w400-h225/night-swim.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Contea di Essex, anni '80. La piccola Rebecca (Ayazhan Dalabayeva) vive in una casetta con giardino e piscina insieme alla mamma e al fratellino malato Thomas. Una notte dall’acqua sembra riaffiorare la barchetta a molla rossa di Thomas, che si credeva perduta chissà dove. La barchetta vortica sull’acqua e Rebecca cerca di prenderla sporgendosi sulla vasca usando un retino. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Di colpo cade in acqua sospinta da una forza misteriosa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">A mollo sente una voce flebile, pensa per un istante di vedere al suo fianco Thomas. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Risuona sussurrata nelle sue orecchie una parola strana e antica. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Poi la luce si spegne. Poi la luce ritorna.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Di Rebecca rimane solo una ciabattina a forma di coniglietto a galleggiare sull’acqua. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Passano gli anni, arriviamo ai giorni nostri. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Costretto da un improvviso ritiro a causa di una malattia degenerativa, il giocatore di baseball Ray Waller (Wyatt Russell, figlio di Kurt Russell, che si è dimostrato particolarmente carismatico nell’action-horror <i>Overlord </i>di Julius Avery) si traferisce insieme alla moglie Eve (Kerry Condon, vista nella serie <i>Better call Saul</i> e nella pellicola <i>Gli spiriti dell’isola</i>) e ai due figli, proprio nella casetta accogliente e dotata di una bella piscina che un tempo era di Rebecca. Un'occasione unica, irrinunciabile, a basso costo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Lì l’ex giocatore può continuare più facilmente la sua ginnastica riabilitativa e tutta la famiglia è ben disposta e felice al fatto di aver cambiare vita, lavoro e scuola per il bene del loro papà. Sembra poi, alle rilevazione degli esperti, che la piscina nasconda in profondità una preziosa fonte termale e i benefici su Ray sono immediati: l’uomo in pochissimo tempo sta rifiorendo, a dispetto di ogni più rosea previsione medica. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Un vero miracolo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Ormai tutta la famiglia è solita giocare in acqua insieme, magari lanciando delle monetine in successive sul fondo e sfidandosi a raccoglierle. Si può giocare a “mosca cieca”, adagiarsi nei pomeriggi assolati su un galleggiante a forma di fenicottero rosa, dedicarsi a una energica nuotata anti stress notturna. La piscina ha portato popolarità anche ai ragazzi e molti amici della nuova scuola o della squadra di baseball sono ben felici di organizzare feste a casa Waller. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">È stato un sacrifico trasferirsi, ne è valsa la pena, ma c’è come la sensazione che qualcuno o qualcosa osservi di nascosto la famigliola felice, da sotto la superficie dell’acqua. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Eve una sera sembra aver visto mentre era in immersione, sul bordo della piscina, la figura di una bambina. E poco dopo una voce ha iniziato a sussurrale un nome: Rebecca. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFC1Jx8AO12bg9kIRA1D8_pNvvSNBNOPrtpfrtczTU3FhVtV9EeLI_wnkSbrMYTaKCy2ba1vh_MYPiVSQ5JxjOVS7ll-bKLSkbmH3oupPr3qKXrFPR6ghei9dt3VT8X3Fo5CTFW6PrRYuWkQNiKNU4YmVaX5IEiJs-KWHgjKqOTNHGO1CIkE7Ns7Tp4og/s1280/Night-Swim-recensione.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFC1Jx8AO12bg9kIRA1D8_pNvvSNBNOPrtpfrtczTU3FhVtV9EeLI_wnkSbrMYTaKCy2ba1vh_MYPiVSQ5JxjOVS7ll-bKLSkbmH3oupPr3qKXrFPR6ghei9dt3VT8X3Fo5CTFW6PrRYuWkQNiKNU4YmVaX5IEiJs-KWHgjKqOTNHGO1CIkE7Ns7Tp4og/w400-h225/Night-Swim-recensione.webp" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Bryce McGuire dirige e scrive, insieme a Rod Blackhurst, un horror di stampo classico, sviluppato a partire da un corto cinematografico da lui diretto nel 2014.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Nel cinema abbiamo avuto nel 1969 una Piscina “romantica” con al centro il divo Alain Delon, per la regia di Jacques Deray, che in qualche modo è stata omaggiata in seguito, nel 2003, da François Ozon con il suo <i>Swimming Pool</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Abbiamo avuto il drammatico<i> La ragazza della Piscina</i>, di Fernandez del 1986, con Mary Carrillo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">C’è stata una <i>Lady in The Water</i>, una giovane e bellissima Bryce Dallas Howard, che usciva fatatamente come donna-sirena proprio dalla piscina di un caseggiato popolare, nel film di genere fantasy di M.Nighy Shyamalan del 2006. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Ma è soprattutto con il genere thriller/horror che le piscine hanno trovato un feeling tutto speciale, anche se al loro interno non erano presenti “minacce specifiche” come squali (<i>Lo squalo 3</i>) o Piranha (<i>Piranha 3DD</i>) o vecchietti (<i>Cocoon</i>). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Abbiamo avuto l’horror-slasher tedesco <i>The Pool</i> del 2001, di Boris Von Sychowski, dove in una piscina comunale un gruppo di studenti “un po’ bevuti“ di Praga diventava vittima di un serial killer durante una sera di potenziali bagordi finiti male. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Abbiamo avuto il tailandese horror-survival <i>The Pool</i> del 2018, di Ping Lumpraploeng, dove il divo Theeradej Wongpuapan si svegliava sul fondo di una piscina olimpionica senza acqua, impossibilitato a uscire con le proprie gambe per via di un infortunio, senza poter mangiare e con l’ingombrante compagnia di un coccodrillo gigante (per il sottoscritto “minaccia non-specifica”) in vena di mordicchiarlo . </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Abbiamo avuto film horror-comedy su piscine grandi come un intero parco acquatico, “pruriginose e stupidine” come una commedia sexy anni ‘70, come l’<i>Aquaslasher</i> del 2019 di Renaud Gauthier: ancora al centro ragazzini “bevuti”, che in una mega festa venivano uccisi da uno spietato quando pigrissimo killer: uno che si era limitato a innestato delle lame a fine corsa dei tubi degli scivoli d’acqua, lasciano che con la sola forza di gravità i ragazzini andassero a spiaccicarsi e finire a pezzi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Se poi consideriamo una cisterna d’acqua condominiale come una “piscina molto piccola”, ritroviamo in <i>Dark Water</i> di Hideo Nakata, il regista anche del seminale <i>The Ring,</i> un piccolo ma “denso” ambiente acquatico che secondo la tradizione asiatica si può rivelare il perfetto “conduttore” tra il mondo dei vivi e il regno dei morti, nonché una fruttosissima base per leggende urbane (come il caso misterioso di Elisa Lam). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Era quindi solo questione di tempo prima che i produttori Jason Bloom e James Wan decidessero di indossare accappatoio, cuffiette e ciabattine giallo fluo, per immergersi nell’acqua addizionata al cloro di qualche piscina per una loro nuova pellicola.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8QRNebDEPm7-cfxBdiczw8-klq5bqo4k24Z8BkPA_MxpC0ao_vLSUBcjPjGxShG5ulPeSzOlwt-UZCvG-xMP_OhDd7iZSaLbAjasMk_8ou0dE-GuUA-AJd-2owbpQG6zSkW1dZgBW9thoJwxNPBP72XNx8eRjfHfueGKB71hBC53xTWQG9YMzA5HCszc/s1500/night-swim-010324-2-cc9b24c6b844468991f9a5700d1ff31f.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1500" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8QRNebDEPm7-cfxBdiczw8-klq5bqo4k24Z8BkPA_MxpC0ao_vLSUBcjPjGxShG5ulPeSzOlwt-UZCvG-xMP_OhDd7iZSaLbAjasMk_8ou0dE-GuUA-AJd-2owbpQG6zSkW1dZgBW9thoJwxNPBP72XNx8eRjfHfueGKB71hBC53xTWQG9YMzA5HCszc/w400-h266/night-swim-010324-2-cc9b24c6b844468991f9a5700d1ff31f.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Da buoni “pescatori di tesori indipendenti” il dinamico duo ha quindi “visto e approvato” il corto di Bryce McGuire, come in passato avevano già visto e approvato il corto <i>The Gallows</i> di Lofing e Cluff o il corto <i>Light Out</i> di David F.Sandberg o il corto <i>Oculus </i>di Mike Flanagan (e tanti altri). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Come sempre raccontano nelle interviste, li ha colpiti una idea semplice: il cosiddetto “high concept” che si può raccontare in due minuti e che può essere prodotto con pochi spicci, affidandosi al loro stile produttivo “da etichetta” riconoscibile e amato. Un’idea che può attirare giovani attori o magnifici attori pazzi come Ethan Hawke (dio benedica Ethan Hawke e Nick Cage), che per un progetto “interessante” rinunciano anche ad alti compensi. Come qui è il caso per i giovani, bravi e lanciatissimi Wyatt Russell e Kerry Condon, promettenti “carneadi” ancora in cerca della consacrazione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Circa le strategie per “allungare il corto” e ri-fare colpo su Bloom e e Wan con qualcosa di “più strutturato”, il nostro McGuire ha detto che si sarebbe ispirato un po’ a <i>La creatura della laguna nera</i>, un po’ a <i>Poltergeist</i>, un po’ a <i>Christine la macchina infernale</i>, un po’ a <i>La morte corre sul fiume</i> con Robert Mitchum, e ovviamente un po’ anche all’imprescindibile <i>The Abyss</i> di James Cameron. Oltre a tutto questo, ha promesso di metterci dentro pure una sua mezza cosa autobiografica del periodo dell’adolescenza in Florida, come fanno i tizi che vanno al Sundance. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Alla fine li ha convinti a spendere 15 milioni di dollari, che è pure tanto rispetto alla media Blumhouse, che con quei soldi ci fa almeno quattro <i>Paranormal Activity</i>. Vengono disposti una trentina di giorni di riprese nei mesi caldi. Una scorta di performanti telecamere subacquee per delle riprese da fondo piscina che saranno davvero suggestive. Il reparto trucco ha allestito un paio di “mostracci”, uno malinconicamente vicino agli horror asiatici e uno malinconicamente vicino agli horror Troma. Il reparto effetti ha rispolverato archeologicamente i programmi grafici di <i>The Abyss</i>, che giravano su un Olivetti 289 pimpato. Noleggiata la casetta con piscina e i cestini per la troupe, si partiva per fare tutto il popò di cose promesse di cui sopra. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Come sarebbero potute andare storte le cose? </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Che cosa si nasconderà nell’acqua? </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Purtroppo poco più di semplice acqua. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Ed eccoci al punto dolente. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX8y23yn7WbzSOjtOKORjSBpwqdEShrtBF2KJbpUMuLcpzua_wzudaxfYrPGj91oLcvC_4aI2ZzorsJOLczNK47B8edOEkH41Le_GeHk9ksxFQuG3zctGB3L7di_hwYhMQvRKBZsLzSZPTpeO3fhxXSKGzajAvNG7Xnww18zijmfxuYIm7vxQkK9LabbY/s1200/2573_FP_00258.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX8y23yn7WbzSOjtOKORjSBpwqdEShrtBF2KJbpUMuLcpzua_wzudaxfYrPGj91oLcvC_4aI2ZzorsJOLczNK47B8edOEkH41Le_GeHk9ksxFQuG3zctGB3L7di_hwYhMQvRKBZsLzSZPTpeO3fhxXSKGzajAvNG7Xnww18zijmfxuYIm7vxQkK9LabbY/w400-h225/2573_FP_00258.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Blumhouse e Atomic Monsters sanno il fatto loro e hanno permesso a McGuire di avere un'ottima cornice produttiva, buoni attori e un discreto reparto tecnico generale. McGuire di suo ha pure dimostrato di essere bravo nel dirigere attori già di loro ben motivati, che si sono impegnati a fondo per non rendere i loro ruoli troppi banali, trovando in un paio di casi anche spunti interpretativi di pregio. Le telecamere acquatiche hanno fatto il loro lavoro e anche la fotografia, il montaggio e pure la scenografia si sono rivelate funzionali, puntuali ed efficaci alla messe in scena. Purtroppo narrativamente, ma anche con “ricadute” sul piano visivo, questa storia della piscina maledetta “fa acqua da tutte le parti”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Tristemente non è solo un gioco di parole, anche perché vengono alla luce tutte le peggiori fisime in cui sta incorrendo “l’ultima Blumhouse”, in lavori come la nuova saga dell’Esorcista. Film programmati per essere visti senza censure da tutte le età e per questo privi delle “malizie” dell’horror di genere come le mutilazioni splatter (al max un taglietto sul dito), il sesso/il sexy, il politicamente scorrettissimo. Film che puntano a una serietà che spesso stona programmaticamente come “seriosità”: come se l’ironia-farsa non fosse più uno dei linguaggi che vanno a braccetto a bilanciarsi con l’horror-tragedia. Aggiungiamo l’azzardo, alla Shyamalan, di identificare come nemico credibile e pericoloso una pozza d’acqua cristallina, nel quale le vittime possono occasionalmente “inciampare dentro”, bere cloro e imbattersi in una macchia di “ordinatissima e bio compatibile” colorazione nera, che fa un po’ l’effetto “chiazza gialla in piscina”. In questa costruzione del “mostro” decidono pure, un po’ da kamikaze, di non usare quasi mai i malinconici mostracci di cui sopra, che pure sarebbero stati utilissimi per inanellare dei facilissimi ed efficaci “jump-scare”, come se fosse una soluzione “troppo facile” e magari troppo gradita da un pubblico poco sofisticato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">La visione di <i>Night Swim</i> risulta quindi, nonostante la buona prova degli attori e un impianto tecnico funzionale e a tratti anche ispirato, accattivante e spericolata quanto un bicchiere di acqua oligominerale sgasata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Magari una oligominerale di marca, con ottime qualità organolettiche e digeribilissima nell’oretta e mezza di durata complessiva della proiezione, ma comunque uno spettacolo sgasato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Night Swim </i>per regole auto imposte non riesce mai a fare paura, non brilla mai di particolare tensione e non affronta mai a muso duro il tema Horror che sottende alla costruzione narrativa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Poteva essere un <i>The Grudge</i> sulla famiglia medio borghese americana, poteva giocare con i fluidi e gli incidenti come <i>Final Destination</i> e avere un animo “quantomeno action”. Non lo fa. Si gioca, e purtroppo malino, solo alcuni riflessi e suggestioni ascrivibili a note opere di Stephen King. Ogni tanto sbanda sul “supereroistico involontario” come il remake di <i>Carrie - lo sguardo di Satana</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Si gioca con stile invece una piccola parentesi “onirica” che lo avvicina per un istante, in un momento di vera grazia, a <i>The Hole </i>di Joe Dante. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Da un certo strano punto di vista, McGuire cerca pure di dare un senso effettivo a quel listone di film che prometteva di usare come ispirazione per il lungometraggio, ma il lavoro generale risulta piuttosto acerbo. Viste invece le davvero buone capacità di regista, ci auguriamo che McGuire sia affiancato da un migliore team di sceneggiatori per le sue future opere.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Il potenziale c’è, ma la piscina termale di <i>Night Swim</i> non decolla, per lo più idrata, e si perde nel più classico “bicchiere d’acqua”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Peccato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-13433079857846257192024-02-26T19:37:00.007+01:002024-02-26T19:37:59.225+01:00Prima danza, poi pensa - Scoprendo Beckett: la nostra recensione del film di James March sulla vita del drammaturgo Samuel Beckett, impersonato da uno straordinario Gabriel Byrne<p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigUfU_HcxIvXSwgogmja6-1c1kTpfHhkdQDmNfJ1Hyr_Ll08ict0p6Lv3sF4bRd3bfkfe1nILLoyNhoARDXgt685iBy2fCEE1OwjvRHYl_KClPKovh0es6Mmvh8qkMO_SNih6-3-5CQ8455I8i98LmRh3afsbfzU4qB_brOHjfOiCj7EK5LF5xY1Oe630/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigUfU_HcxIvXSwgogmja6-1c1kTpfHhkdQDmNfJ1Hyr_Ll08ict0p6Lv3sF4bRd3bfkfe1nILLoyNhoARDXgt685iBy2fCEE1OwjvRHYl_KClPKovh0es6Mmvh8qkMO_SNih6-3-5CQ8455I8i98LmRh3afsbfzU4qB_brOHjfOiCj7EK5LF5xY1Oe630/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La massima onorificenza a coronamento di una carriera: il premio Nobel. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il grande drammaturgo Samuel Beckett (Gabriel Byrne) è seduto in platea, al fianco della moglie Suzanne (Sandrine Bonnaire), quando viene fatto il suo nome.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Partono gli applausi e gli sguardi si dirigono tutti verso di lui. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">“È terribile” è tutto ciò che riesce a dire e pensare Samuel in quel momento. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Vorrebbe scomparire, magari riuscire a fare l’indifferente restando seduto, ma la folla chiama e reclama, lui deve alzarsi. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Percorre la distanza verso il palco a testa bassa, sale verso il pulpito e non si ferma, con l’annunciatore che rimane sorpreso e perplesso. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Prosegue verso le scale verticali in metallo oltre la scena, prima delle quinte, verso il soffitto del palco. Le sale, facendo maldestramente cadere un faro che esplode e fa sobbalzare la folla, arriva in cima, va oltre, fino a un passaggio stretto e surreale che si apre verso un pertugio oscuro. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Varca il “confine” e si trova in un luogo oltre il tempo e lo spazio, una specie di nicchia contornata da pietre quasi megalitiche, al cui centro c’è…lui. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Un “altro lui” (come in Godot), un altro se stesso, che si pone al dialogo come fosse in una sua opera teatrale: un Samuel Beckett che è suo doppio, forse la sua coscienza o forse la “morte stessa” che si burla di lui, mentre magari ha avuto un infarto seduto in platea. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Samuel ci parla come fosse la sua coscienza e definisce subito la questione: non vuole quel premio, non se lo merita, non lui e di sicuro non “solo” lui . </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">L’altro lo cerca di convincere: il Nobel comporta un premio in denaro, in fondo, e il drammaturgo potrebbe devolverlo a favore di una persona che davvero se lo merita, qualcuno a cui lui deve molto della sua fortuna, ma che non è mai riuscito a ripagare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Parte una sequenza di capitoli ognuno dedicato a una persona diversa “da encomiare al suo posto”, caratterizzati ognuno da toni e color differenti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La prima della lista è di sicuro l’austera e terribile madre, May (Lisa Dwyer Hogg), che quando era bambino (interpretato da Caleb Johnson-Miller) lo ha tormentato con lo studio e coperto di critiche feroci leggendo i suoi primi racconti, immedesimandosi con rabbia sempre nella “cattiva della storia”. Il padre William (Barry O’Connor) invece era tutto aquiloni rossi, spirito di libertà e frasi motivazionali come “combattere, combattere combattere”. Ma forse proprio senza la severità della madre Samuel non sarebbe andato da nessuna parte. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il secondo nome della lista è la figlia di Joyce (Aidan Gillen), Lucia (Grainne Good), che quando lui era ragazzo (interpretato da Fionn O’Shea) anche per dei brutti giochetti manipolatori della sua coppia di genitori, lo obbligava a ballare, mangiare gnocchi e fare passeggiate nel parco. Al posto di permettergli di stare a fianco del padre come apprendista e diventare scrittore, magari componendo il “suo” Ulisse. Ma la gioia e la pazzia di Lucia alla fine lo avrebbero forse ispirato più di ogni altra cosa e lettura.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il terzo destinatario della somma di denaro al merito era poi, in graduatoria, sicuramente Alfred o “Alfy” (Robert Aramayo). Amico fedele e collega scrittore a cui Samuel sente di aver rovinato la vita, imbottendolo con sogni di libertà e patriottismo troppo elevati, convincendolo infine a morire in guerra tra le file della resistenza ai tedeschi, mentre lui stava nascosto a coltivare patate in una casetta nei boschi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">L’amante Nora (Bronagh Gallagher), sua co-autrice, lettrice appassionati, complice e correttrice di bozze di lungo corso, meritava sicuramente pure lei un encomio, pur sempre in secondo posto rispetto a Suzanne.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La moglie Suzanne. “Suzanne del Tennis”, la “crocerossina” caritatevole che lo raccolse e ne aggiustò la vita, raddrizzandola dal degrado “bohemien”, dopo una aggressione notturna a base di alcol e papponi. La donna che coltivò con lui le patate durante la guerra, lo supportò nei momenti di crisi, cambio di case e allestimenti, fu sua musa e compagna di vita. Anche dopo la fine della passione, come manager e detentrice dei suoi diritti, dopo e oltre quel tradimento ingrato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ma infine a tutti questi beneficiari, perché non considerare la possibilità di un fondo per giovani autori? In fondo il futuro non è più importante dei rimpianti? </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Perennemente distratto dalla vita, alla ricerca di un flusso geniale di coscienza che passa e non torna mai più, come quello cavalcato dal suo maestro Joyce con il suo Ulisse, Sam ha vissuto razionalmente forse troppo insoddisfatto di se stesso, per capire emotivamente quanto più di tutto deve a se stesso l’essere diventato quello che è. Forse ha troppo pensato e poco “danzato” con i sentimenti e le situazioni della vita. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Tornerà sul palco a ritirare il premio, uscendo dal caldo ma disperato guscio interiore in cui si è confinato?</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg03Ems4w7r_vpPGlSzFcxqDtaudXLYgl5mNDOIZn6pJzd-9YYeb16cRiYl04M9MUwC0-9rOA8J4mhzc2VUBHkUzTv0XMBNVz9KEFHA7GLNDbvR6L_pr1KJ-0h-C-_7aaNB08a7ht0Fm0weQ56fzZVZZ5FgjtOpa4hf5TPUqxpshvtvCFGT_RLML3-EmMk/s1200/Prima-Danza-poi-pensa.-Scoprendo-Beckett-2023-di-James-Marsh-con-Gabriel-Byrne-foto-ufficio-stampa.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1200" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg03Ems4w7r_vpPGlSzFcxqDtaudXLYgl5mNDOIZn6pJzd-9YYeb16cRiYl04M9MUwC0-9rOA8J4mhzc2VUBHkUzTv0XMBNVz9KEFHA7GLNDbvR6L_pr1KJ-0h-C-_7aaNB08a7ht0Fm0weQ56fzZVZZ5FgjtOpa4hf5TPUqxpshvtvCFGT_RLML3-EmMk/w400-h266/Prima-Danza-poi-pensa.-Scoprendo-Beckett-2023-di-James-Marsh-con-Gabriel-Byrne-foto-ufficio-stampa.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il regista e sceneggiatore James Marsh, autore anche dell’ottimo <i>La teoria del tutto</i>, porta in scena una pellicola ispirata alla vita di Samuel Beckett che gioca con gusto e intelligenza con molti temi, ironia e suggestioni vicine al lavori teatrali dell’autore di <i>Aspettando Godot</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Gioca con il tema del “doppio”, con la centralità degli oggetti sulla scena (come L’aquilone rosso), con l’incomunicabilità “ironica“ dell’amore, con le disillusioni. E naturalmente mastica tutto con l’assurdo, di cui Beckett è stata una delle voci più originali e geniali. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Byrne si impasta in Beckett e tutte le sue fisime in modo naturale quando leggero, impossessandosi dell’imponente ma ricurva fisicità dell’autore, rifuggendo “molto alla Woody Allen” ogni “gravitas” drammatica con la stessa leggerezza di cui era capace il drammaturgo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">La parabola umana, descritta attraverso gli incontri di Samuel con le persone che ne hanno influenzato la vita, ha un piglio quasi psicanalitico, quasi da psicologia archetipica di James Hillman. Sono infatti gli incontri, felici come meno felici, a plasmare l’animo dell’autore invitandolo a prendere delle direzioni emotive specifiche. Una madre severa e intransigente aiuterà a sviluppare, per contrasto, delle importanti capacità di ascolto e analisi. Un'amante, rinchiusa in una “gabbia emotiva” da cui non può scappare, lo aiuterà a ricercare un senso di gioia e libertà. Un amico devoto ed entusiasta lo farà scontrare contro la disillusione dei grandi valori sociali e morali dei tempi bellici. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWmjjqNsxAfzJ_GLC2M3-xMhgYaBIlPyMPPB50j4csQyn8Mg9vCKKFQekMo7pn3rWgTfJo-Ag28VUkjIfXr2yAd7zyw-2nNCsWlLi2N19SzlhhAj5w3vml2xhs4y1Yy6ljlj4UtFJy3YqycJAUoME8nis_RQBffDTPFV4PV0DDe80Ib3aj6hOKlXQLvhQ/s1280/Prima-danza-poi-pensa-Beckett.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWmjjqNsxAfzJ_GLC2M3-xMhgYaBIlPyMPPB50j4csQyn8Mg9vCKKFQekMo7pn3rWgTfJo-Ag28VUkjIfXr2yAd7zyw-2nNCsWlLi2N19SzlhhAj5w3vml2xhs4y1Yy6ljlj4UtFJy3YqycJAUoME8nis_RQBffDTPFV4PV0DDe80Ib3aj6hOKlXQLvhQ/w400-h225/Prima-danza-poi-pensa-Beckett.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Marsh descrive questo percorso emotivo di crescita, con frustrazione annesse, attraverso piccoli quadri visivi con toni e sequenze sempre uniche nella forma e colori, ponendoci davanti quasi ad un film per episodi, che si rincorrono e scontrano l’un l’altro alla ricerca di un significato più strutturato del “senso della vita” del protagonista. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Episodi che spesso ascendono visivamente in una sospensione estatica simbolica, come l’aquilone rosso o la luna piena. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Pennellate di vita cariche di umorismo, di dramma come di sarcasmo ovviamente, come tradizione brechttiana impone, a cui contribuiscono attivamente e con slancio tutti i bravi attori coinvolti.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Una “cornice onirica” onnipresente, la cui origine ed epilogo rimandano a quella “stanza sopra il teatro” (ideale “stanza di psicanalisi”), che strizza l’occhio direttamente a un teatro classico, fungendo quasi da “tribunale dell’anima“ per il grande drammaturgo, calandolo quasi in una atmosfera da <i>Settimo Sigillo</i>.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Potente ma al contempo gentile, razionale quanto estroversa, la pellicola non perde mai un colpo nel suo montaggio perfetto, portandoci dalla stanzetta buia della casa tetra alle scenografie naturalistiche calde e aperte quanto un pomeriggio d’estate dell’infanzia. Dalle mille luci della città infinita, notturna quanto euforica, che accompagnano l’adolescenza fino ad arrivare alle piccole casette del periodo dell’isolamento. Dalla guerra, verso altre stanze sempre più piccole e segrete, d’albergo, del periodo di tradimento, in contrasto con i grandi teatri in cui sono rappresentati i suoi lavoro. Marsh, come l’ultimo Miyazaki, gioca con gli spazi. Ci fa viaggiare attraverso le passioni da luoghi immensi a piccolissimi e viceversa, per poi farci tornare più volte al di là della stanza sopra il teatro, attraverso un passaggio elevato e stretto come un cordone ombelicale. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimuIrN7jcmZM9EyQHIlKBcoiQ8s9JjbYkU7Oj_CN7ZNXKRdvh1IceWhslyRy4WQz5QDzaP3igWzvJNDcrbgtNeknbGVcbTuSgCHwqCY6bL6i0s0melOP7l5ZoGdhiBXFX09wCpQtsdWUuTZNd1bo2X8NtSTjtIDqR5-ckWz1at7OEi5lhlrSmgVDqG2Xw/s1217/beckett3.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="694" data-original-width="1217" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimuIrN7jcmZM9EyQHIlKBcoiQ8s9JjbYkU7Oj_CN7ZNXKRdvh1IceWhslyRy4WQz5QDzaP3igWzvJNDcrbgtNeknbGVcbTuSgCHwqCY6bL6i0s0melOP7l5ZoGdhiBXFX09wCpQtsdWUuTZNd1bo2X8NtSTjtIDqR5-ckWz1at7OEi5lhlrSmgVDqG2Xw/w400-h228/beckett3.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">In tutti questi passaggi “a imbuto” la telecamera, anche grazie alla fotografia di Antonio Paladino, si muove visivamente in modo così “organico”, “sensoriale”, da ricordare il processo di continua “nascita e rinascita” di <i>Povere creature!</i> di Lanthimos. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ma quello che più affascina di questa pellicola è il modo di Marsh di cogliere appieno il “Beckettaino”, pur rinunciando quasi del tutto alla sua rappresentazione attraverso citazioni dirette ai suoi lavori, di cui comunque respiriamo aromi noti in più occasioni. Non è un film biografico tradizionale, non è una mera celebrazione. Diventa per il regista, pur nelle necessarie semplificazioni della messa in scena, il manifesto del pensiero specifico e potente, che è poi alla base del motivo per cui ancora oggi Beckett è Beckett: la scelta di porre al centro delle storie la vitalità dei personaggi prima del contesto. La volontà di vivere gli eventi, e anche le lunghe attese, senza farsi dominare dalla paura degli stessi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Un ottimo film per accedere a Beckett e poi avvicinarsi ai suoi lavori. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Un rispettoso e gentile omaggio a un autore senza tempo, da una produzione e da un cast in stato di grazia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-39725652496751649782024-02-21T11:00:00.000+01:002024-02-21T11:00:00.164+01:00 How to have sex: la nostra recensione del film di esordio di Molly Manning Walker, vincitore a Cannes con il premio Un certain regard<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6DkgQ6jeiiuFh6QKuzglHr_yeTdI7lWTt-0Cymstc5kCAYZ_XOCr6CCpOVg7JwddB7-4XTfp5w8RjGLriIb1hux4SdfJDYAtZIPnowbWJ3Am0W8OqOPDQjj2h6WCUXODc8te_s3hIUx4PHhcrvehIcevUUgYJTLc63o7zHDDNx9SOAzcwm1199qvoOB8/s800/image-w1280.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6DkgQ6jeiiuFh6QKuzglHr_yeTdI7lWTt-0Cymstc5kCAYZ_XOCr6CCpOVg7JwddB7-4XTfp5w8RjGLriIb1hux4SdfJDYAtZIPnowbWJ3Am0W8OqOPDQjj2h6WCUXODc8te_s3hIUx4PHhcrvehIcevUUgYJTLc63o7zHDDNx9SOAzcwm1199qvoOB8/w400-h225/image-w1280.webp" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Malia, da qualche parte in Grecia, diventa a volte un piccolo mondo di discoteche e giovani a caccia di divertimento, tra uno spring breaker e una pausa post esami d’ammissione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Il posto ideale per passare dall'adolescenza all’età adulta sperimentando “un po’ di tutto e tutto insieme”, compresi rapporti interpersonali molto ravvicinati. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">A Malia arrivano in volo dall’Inghilterra tre inglesine graziose, con un carico infinito di bikini fluo e micro abitini da sera verde pisello fosforescenti. Ci arrivano giurando che a ogni domanda delle “autorità” risponderanno che hanno almeno 18 anni, per non precludersi quanto più alcol e svago possibile.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Tara (Mia McKenna-Bruce), che al collo porta una collanina con scritto “Angel”, è una biondina gioiosa, carina e un po‘ timida, ancora vergine, ma intenzionatissima a rimanerlo ancora per poco. I giorni delle vacanze a Malia sono pochi ma è convinta di trovare in loco, per la “pratica”, anche il grande amore: qualcuno di gentile, sensibile, interessante e magari ancora un po’ bambino come lei. Ha già individuato allo scopo, direttamente, davanti al balcone dell’hotel in cui alloggia con le amiche, Badger (Samuel Bottomley): un ragazzetto biondo finto, tatuato sulle braccia con disegni simili ad ali di angelo e delle finte labbra tatuale sul collo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Tara è in cerca di amore e leggerezza soprattuto perché ha paura che gli esami non siano andati bene e che quella potrebbe essere l’ultima volta che sta insieme con Skye e Taz, le sue amiche di sempre, prima che loro partano per il college e lei magari finisca per fare la cameriera in un bar. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Skye (Lara Peake) è anche lei biondina, anche se più disincantata e dedita allo studio. Ha al collo una collanina con al centro la lettera “S”, è in cerca di festa e divertimento e si accontenterebbe di una compagnia casuale: va bene un rasta a caso oppure il muscoloso ma poco elegante Paddy (Samuel Bottomley) e la sua fallica Palma con noci di cocco tatuala sopra il </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">capezzolo. Al di fuori di questa, che considera una parentesi giocosa della sua vita, è molto protettiva e quasi materna nei confronti delle sue amiche.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Em (Enva Lewis), qualche volta chiamata “Taz”, è una morettina dai capelli rasta in cerca di una compagna divertente e spigliata come lei. Incontra presto la muscolosa Paige (Laura Ambler) e si fa una storia tutta sua con lei h24.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Dormire di mattina a bordo piscina in costume o direttamente sull’acqua, con per materasso un galleggiante a forma di ciambella rosa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Partecipare a giochi di gruppo con tanto di presentatori simpatici e “birbanti” e cori da stadio. Giochi di gruppo che riguardano sempre lo scolare lattine di birra da zone corporee equivoche di un’altra persona mezza o del tutto nuda. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Divertimento esagerato intervallato da piccole pause per smaltire. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Una mezz’ora sul campo di calcetto con in corpo più birra che sangue. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">La sera il locale “Crusher”, con le sue luci psichedeliche blu profondo o rosa big bubble, dove scatenarsi saltando senza coordinazione al ritmo di qualcosa di indefinito e sempre uguale, debitamente alternato con shottini di grappe superalcoliche. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Tra uno sballo e un incontro più o meno romantico, compare spesso alle tre inglesine “l’amico vomito” e i giramenti di testa. Momenti che le portano a buttarsi a terra anche sulla strada principale di Malia, circondate da decine di altre ragazze e ragazzi a terra, sballati e vomitati ancora con la birra in una mano, magari alla quale attingere di nuovo nel post-vomito. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Poi tutto ricomincia il giorno dopo, nella gioia di un post-sbornia da giorno della marmotta. Si provano o scambiano nuovi vestitini aderenti, ci si prepara al nuovo giro di birre e calcetto e ci si ri-lancia, più convinzione, nella loro personale grande sfida al mondo”: affrontare la prova massima verso l’età adulta. Fare davvero sesso. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ma come sarà, per la troppo fragile Tara, la prima esperienza con un ragazzo? </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Nella sera che seguirà, Tara scoprirà che il romanticismo forse non esiste. Poi la sua mente, quasi pietosamente, cercherà di dimenticare i fatti relativi al suo primo rapporto: come se quello che avrà appena vissuto non fosse amore, ma qualcosa di più vicino a uno stress post traumatico.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHfku1KdoCi_NSFyqvwuhg60qhwubW6AMaqRpvuPg08nGMraDLgextcmwXlUBGS_iE3EgksnVIVYNEK13UwHFYYa7WKQ_nG6H57PnQdpLj3K3yqN0AkelGJYTSiSal4ZCoqicLUsACDeWFFArVvHGz1P-qdzyZQNy2G8HnxhK1eipH8SKqUwCYhDTXOts/s1200/_methode_times_prod_web_bin_b4ed9088-fb79-4991-b596-a31c729e16b7.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHfku1KdoCi_NSFyqvwuhg60qhwubW6AMaqRpvuPg08nGMraDLgextcmwXlUBGS_iE3EgksnVIVYNEK13UwHFYYa7WKQ_nG6H57PnQdpLj3K3yqN0AkelGJYTSiSal4ZCoqicLUsACDeWFFArVvHGz1P-qdzyZQNy2G8HnxhK1eipH8SKqUwCYhDTXOts/w400-h225/_methode_times_prod_web_bin_b4ed9088-fb79-4991-b596-a31c729e16b7.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Psichedelico, pruriginoso, molto disincantato e simile a mille situazioni da “festa devastata del liceo” che sono patrimonio genetico, spesso purtroppo indelebile, quasi per l’intera umanità, </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Il film di esordio scritto e diretto della brava e forse un po’ “cinica” Molly Manning Walker guarda, quasi fisso negli occhi, spesso con il trasporto di un entomologo, il piccolo mondo di caos e sballo facile che coglie alla sorpresa i giovani. Lo guarda come chi come tutti ci è già passata, ma anche con quell’ironia per l’eccesso di un Todd Philipps (<i>Project X - una festa esagerata</i> più che <i>The Hangover</i>), con quel senso di noia forzata di Sofia Coppola (più <i>Spring Breakers</i> che <i>Il giardino delle vergini Suicide</i>), quei colori “sparati e blastati” da vita spericolata un po’ retrò, che amano ripercorrere visivamente Joe Begos (l’horror <i>Bliss</i>) e il “nostro” Giacomo Abruzzese (<i>Disco Boy</i>). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ogni tanto <i>How to have sex</i> strizza pure l’occhio ai sarcastici reality trash, quelli pieni di vitelloni nudi alla continua cerca di dove infilare il loro arnese nei modi più o meno arditi e scomodi, da <i>Jersey Shore</i> a <i>Ex on the Beach</i>. L’ironia è tragicamente qui più negli occhi dello spettatore che in protagonisti che sembrano agire come marionette pilotate dai propri ormoni.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ma Molly Manning Walker non si perde mai in tutto questo disagio sociale, colori sparati, ostentazioni muscolari e creme solari, momenti vomitarelli e fiumi di birra correlata o meshata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Dietro tutto, all’ombra di questo sabbatico rito di passaggio all’età adulta ripreso nella sua essenza pneumatica, c’è qualcosa di più grande. Qualcosa che si annida dietro agli sguardi tristi delle protagoniste, quasi costrette a un gioco che più che voler fare “devono fare”. Anche a testa bassa, anche con la sabbia che prude e va ovunque dopo un abbraccio forzato sulla spiaggia, anche con un vomito più spesso del necessario condiviso con chi sta intorno. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjuJUMqj7UXT5_hna-hnmLUAyY3RkE1x517hQk42QU4Xi_aFGG4KbpmRQVSgWYs-HMlISAB2b0VpYCxPUKgV-PLkUiGnh_CxfNqp7vySwhlxELPV0Jta0CfLSdL0YAwlnuSD82-ZfFOjF1-wbEsnsp6bir9X82189Ybtt6Ca1aCck2op7ZlHYhFClA0Zw/s275/download.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjuJUMqj7UXT5_hna-hnmLUAyY3RkE1x517hQk42QU4Xi_aFGG4KbpmRQVSgWYs-HMlISAB2b0VpYCxPUKgV-PLkUiGnh_CxfNqp7vySwhlxELPV0Jta0CfLSdL0YAwlnuSD82-ZfFOjF1-wbEsnsp6bir9X82189Ybtt6Ca1aCck2op7ZlHYhFClA0Zw/w400-h266/download.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">È come accettare di introiettarsi a forza, in endovena, la natura animale dell’uomo in tutta la sua spietata logica biochimica, dopo una fanciullezza piena di angeli, sogni di grandi amori e carte Pokémon che sembrano ormai sogni impossibili da bambini. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">È come ritenere possibile diventare grandi in tre giorni bevendo l’equivalente di tre anni di un avventore del bar medio, con tutti gli scompensi cerebrali che a questo consegue, ritenendo che sia quello il “modo giusto” per accorciare i tempi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">È come voler scoprire la parte più basica e triste del sesso, quella in cui una persona diventa il “buco di piacere” di uno sconosciuto, saltando l’affetto, le carezze e un “amore da cioccolatini” che nel mondo adulto, in questo mondo adulto di oggi, è evidente che non possa esistere.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Nell’antichità il passaggio dall’essere bambino ad adulto avveniva con una prova di forza e di coraggio nella foresta, per diventare cacciatori e difendere il villaggio. Oggi diventare adulti sembra accompagnarsi alla voglia di detonare quelle due o tre certezze sul futuro, preparandosi a un mondo da “futuri falliti”, senza amore ma solo sesso occasionale e magari attaccandosi quanto prima a una bottiglia.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Questa è la visione che sembra proporre la regista Molly Manning Walker, che guarda questa innocenza infranta e ce la trasmette in tutta la sua asprezza e brutalità. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Svela il grande inganno sulle “feste pazzesche” facendoci camminare a fianco delle protagoniste nelle mattine che seguono alle “feste dei giovani”, dove la città è vuota come in uno zombie movie, ma dove ovunque ci sono cumuli di lattine e pozze di vomito. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ci mostra, quasi come un esperimento sociologico, i più assidui “piccoli arrapatelli” che una volta “spento” il momento di sperimentazione del loro nuovo muscolo, gestito in modi mai troppo eleganti o gentili, si rannicchiano a letto in posizione fetale come i bambini piccoli. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Ci mostra il rimpianto di qualcuno di essersi “buttati via”, unito alla umana solidarietà di chi c’è già passato e che quindi può tendere una mano di conforto a chi piange: forse l’unica vera manifestazione di affetto reale di tutta una “vacanza” che pare un gioioso incidente stradale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Molly Manning Walker dimostra di avere talento e tatto. Un occhio quasi da documentarista distaccato viene smorzato da tanti piccoli dettagli sui volti e sulle mani, alla ricerca di un linguaggio non-verbale ricco più di mille parole. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Molto brave tutte le giovani attrici e gli attori nell’interpretare al meglio i confusi adulti-bambini della storia.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Interessante il lavoro sulla fotografia e la colonna sonora, finalizzato a offrire un senso di ciclicità e continua ripetizione di atti e liturgie, pur dilatata di tempi e ritmi emotivi: non sarà certo Ozu ma funziona nella descrizione nitida di quello che la regista intende come “banalità del </span><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">divertimento”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">La scenografia passa da locali rosa confetto e piscine da cartolina a scenari post-festa quasi da <i>28 giorni dopo</i> di Danny Boyle, in un contrasto che riesce comunque a essere credibile.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: medium;">Un film divertente per i colori e gli eccessi ma anche amaro, cinico nel descrivere il “viaggio all’età adulta”, ma anche romantico nel raccontare l’amicizia tra donne, gentile quanto crudele nel rappresentare l’adolescenza nel suo quasi autodistruttivo atto finale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-79209960307978731532024-02-20T10:00:00.000+01:002024-02-20T10:00:00.133+01:00 Finalmente l’alba: la nostra recensione del film di Saverio Costanzo sui “sogni e bisogni” di una Cinecittà del passato tra mito e realtà, tra Babylon e Eyes wide Shut <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3sUYCV_J79eB2iL4poaQDBBCoLbHCLGJ9ithFyBG2vYbH__9GcZhE9DnIrFDX9PW82fogK70jeK5FtsThjONSkT-gdkECPix74DmqP8I66Ozg_tiKybwkHLu1d_SBzzuwo61OgrgaIGzdQd-vgYfpYS53J156Xn7tOdXrca8oVzulyLLEMVB8bUNwX08/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3sUYCV_J79eB2iL4poaQDBBCoLbHCLGJ9ithFyBG2vYbH__9GcZhE9DnIrFDX9PW82fogK70jeK5FtsThjONSkT-gdkECPix74DmqP8I66Ozg_tiKybwkHLu1d_SBzzuwo61OgrgaIGzdQd-vgYfpYS53J156Xn7tOdXrca8oVzulyLLEMVB8bUNwX08/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Roma, più o meno ai tempi gloriosi della “dolcevita”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">La signora Elvira (Carmen Pommella) porta le figlie Mimosa (Rebecca Antonacci) e Iris (Sofia Panizzi) a vedere al cinema “Sacrifcio”, un film sul secondo conflitto mondiale ambientato nella capitale. Un soldato americano, interpretato dall’attore inglese Sean (Joe Keery), salva la vita a una ragazzina mentre la città viene liberata dal nazi-fascismo e gli ultimi atti di violenza e sopruso sono ancora in corso. La madre della piccola, interpretata dalla diva Alida Valli (Alba Rohrwacher) non è riuscita a fuggire alla mattanza, ma la paura è finta. Sullo schermo, nella scena finale, piazza di Spagna è quasi “magica”, del tutto diversa da quella reale, che si trova non molto distante dal cinema dove si tiene la proiezione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">È sospesa nel bianco e nero, deserta “nell’alba” alle prime luci del giorno, quasi intima nell’incorniciare l’incontro di due sguardi, la ragazzina e il soldato, riuniti in una unica carezza. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Il soldato si dilegua, titoli di coda. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">In platea sono tutti a piangere ma anche a ricordare che “una volta i film erano più belli”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Iris è ancora incantata e sogna di avvicinarsi a questo mondo fatato, quando quasi per caso è invitata da un ragazzo molto convincente ed “esperto” a partecipare a un casting, che si tiene il giorno dopo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Cercano comparse per un film americano di stampo epico, quei “peplum” che a Roma chiamavano anche “sandaloni”, con protagonista una grande diva come Josephine Esperanto (Lily James) nel ruolo di uno spietato quanto storicamente oscuro faraone donna. E poi nel cast c’è alche Sean, il bellissimo Sean di Sacrificio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Iris sogna in grande e prepara il vestito più bello e il trucco: anche se mamma e papà non sono decisamene d’accordo sui primi momenti, infine cedono a tanta passione. </span><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: large;">Mimosa neanche ci pensa, è ancora più difficile per lei sognare Cinecittà perché già fidanzata in casa, con un buon partito, magari un po’ impacciato e bruttino ma che di sicuro la porterà all’altare senza problemi, per poi farne un'ottima donna di casa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Arriva il giorno delle audizioni e per circostanze particolari partecipano al casting sia Iris che Mimosa, mentre la madre aspetta fuori dalle porte. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Le ragazze sono in coda, hanno un numero, poi arriva il loro turno. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Davanti a una specie di piccolo plotone di esecuzione, distaccato quando intento a scrutare corpi e volti al microscopio con dei fari, le due ragazze sono chiamate, in momenti diversi, a spogliarsi dei loro vestiti. In pubblico, per la prima volta nella loro vita. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Gli egiziani erano nudi, non lo sapevate? Le ragazze non sapevano di questa richiesta, anche perché chi le ha portate lì è in fondo un tipo “improvvisato”, un amico di un amico che non aveva idea dei dettagli del provino. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Iris si spoglia e va avanti nel casting, al trucco e verso una scena di massa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Mimosa non ci riesce, viene chiamata ad allontanarsi ma incrocia nei corridoi Josephine, la grande diva di Hollywood, la “faraona”. Il loro sguardo si incontra per un istante, come quello di Sean e della piccola protagonista di Sacrificio. Josephine ha indosso un elmo dorato e un trucco pesante che ne copre ogni espressione, Mimosa brilla nella sua timidezza e spontanea tristezza per il brutto momento di umiliazione appena patito. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">La diva è colpita. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Mentre Mimosa vaga ancora verso la porta di uscita, cercando di capire che fine abbia fatto sua sorella o dove le aspetti sua madre, qualcuno richiama la ragazza appena scartata ma ora improvvisamente ripescata per volere di Hollywood. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Subito in sala trucco, perché la star la vuole al suo fianco nel ruolo di ancella, in primo piano e ben lontana dalla folla oceanica delle comparse mezze nude tra cui c’è Iris. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYFpV3y_CW2mdcrqT5qr-8yYzCT3FvfJ3FtqEVzleowG0iSI3Tb8_HvT60VYNYPTPQ5ATz8plPFTysSbZreWsvP_-c8ElxGMM_zKe72nPKlldxyH6KvpqnQijaebAc_XAGvvJ03k48i4hhktgP1eKShEapRNcyQ60Z1XVGWowx5i2PjEujViWTxGi5Zg4/s1280/finalmente-lalba-2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1280" height="250" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYFpV3y_CW2mdcrqT5qr-8yYzCT3FvfJ3FtqEVzleowG0iSI3Tb8_HvT60VYNYPTPQ5ATz8plPFTysSbZreWsvP_-c8ElxGMM_zKe72nPKlldxyH6KvpqnQijaebAc_XAGvvJ03k48i4hhktgP1eKShEapRNcyQ60Z1XVGWowx5i2PjEujViWTxGi5Zg4/w400-h250/finalmente-lalba-2.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Siamo ancora a Roma ma di nuovo non è più Roma.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Cinecittà tra scenografie sontuose, abiti e trucco, centinaia di comparse, luci e sabbia si trasforma in un istante nell’antico Egitto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Sean è un principe di un paese straniero che sceglie alla adulazione della sovrana l’amore della giovane principessa, interpretata dalla stella nascente di Hollywood Nan Roth (Rachel Sennott), ponendola al di sopra del suo esercito e dei suoi uomini. La regina egizia, tradita e abbandonata, interpretata da Josephine, lo annichilisce uccidendo gli uomini del principe davanti ai suoi occhi, con un ordine che ha il sapore della vendetta. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">La sua ancella, Mimosa, assiste alla scena e piange. Il trucco del suo viso incipriato di bianco si scioglie lasciando il posto alle lacrime. Josephine la guarda e al contempo si commuove lei stessa. La scena è perfetta. Il momento è perfetto e unico.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Le riprese finiscono ma Josephine non vuole in alcun modo abbandonare Mimosa: vuole che sia ospite sua e di Sean per la sera, tra ristoranti e una festa molto esclusiva che si tiene in una villa in riva al mare. Una festa sontuosa è immensa, piena di ospiti come Alida Valli e cantanti di grido (Michele Bravi quasi in versione David Bowie). Per Mimosa è un'occasione imperdibile, ma quel luogo è stato di recente anche tristemente noto per misteriosi fatti di cronaca. In tutto quel caos Mimosa troverà però un amico, il galante e sensibile albergatore Rufo Priori (Willem Dafoe).</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUOEGNi20aTjyulpqLFZa0N2qX0AkETIgx21EUQNkd_G-TF4HM8CrzrwnfvxRLGsN62cUfMoazQNdsRtizS8dG-s4mDp0zvR9IhsOrD6bsFhkhP8DH_sE79hSHhp6iJ-wJqn7H52tIFhkRkeHUoayGnSdcrjOhd6uIWZsrZQO1t5OEgBaH4N-ir50xk84/s970/finalmente-l-alba.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="647" data-original-width="970" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUOEGNi20aTjyulpqLFZa0N2qX0AkETIgx21EUQNkd_G-TF4HM8CrzrwnfvxRLGsN62cUfMoazQNdsRtizS8dG-s4mDp0zvR9IhsOrD6bsFhkhP8DH_sE79hSHhp6iJ-wJqn7H52tIFhkRkeHUoayGnSdcrjOhd6uIWZsrZQO1t5OEgBaH4N-ir50xk84/w400-h266/finalmente-l-alba.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Saverio Costanzo scrive e dirige un film frenetico e drammatico, sfarzoso quanto inquietante, che ci pone all’interno di una “dolcevita felliniana” gargantuesca e luccicante ma piena di pericoli e insidie, dove la natura umana dei personaggi è più volte svilita e schiacciata, dalle passioni e dalle pulsioni che si rincorrono lungo una notte infinita di eccessi e traumi, dove le logiche di potere e sopraffazione valgono più dei sentimenti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Quasi un film horror, dove la fragilità del personaggio meraviglioso interpretato dalla brava Rebecca Antonacci viene costantemente posto a contatto e in sfida ad autentiche “tigri di celluloide”, donne aride e crudeli (quanto intimamente parimenti fragili) disposte a tutto pur di entrare o emergere come figure dominanti, di un piccolo dorato mondo dello spettacolo che invece Mimosa attraversa con una classe e naturalezza quasi aliene, incantando pubblico e critici con la sua espressività. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Un po’ come il neo realismo che gli americani ci hanno sempre invidiato. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjKw4BwYHCbZgjXvrOVOtHUZxVl5cR3uo7RIQBbn3KvzKIvI2V168U0DCbdFaUA2GmHbBRvShDYuOfgFO7u9rBqJQOUp6NAtRh_ZeMjGPIZd0shHuyE3DsLzmV_FxXvCkFI2bck8GWnEstTt0UDmWGWoPe4PxrXZAtOKTFAMlSx6Uy2bXgP_azqHxU6wM/s275/download%20(1).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjKw4BwYHCbZgjXvrOVOtHUZxVl5cR3uo7RIQBbn3KvzKIvI2V168U0DCbdFaUA2GmHbBRvShDYuOfgFO7u9rBqJQOUp6NAtRh_ZeMjGPIZd0shHuyE3DsLzmV_FxXvCkFI2bck8GWnEstTt0UDmWGWoPe4PxrXZAtOKTFAMlSx6Uy2bXgP_azqHxU6wM/w400-h266/download%20(1).jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Mimosa come Cappuccetto Rosso finisce presto vittima di un ambiente sadico quanto pregno di rituali relazionali quasi “pagani”, da setta elegante alla <i>Eyes wide shut</i>, immergendosi in un labirinto emotivo carico e caotico in egual misura di lusinghe e trappole mortali dal quale non potrà salvarsi, se non perdendo un po’ della sua ingenuità, tirando fuori anche lei gli artigli. Molto brava Lily James nel vestire i panni di una diva complessa quanto crudele nella costante paura che i riflettori su di lei possano spegnersi da un momento all’altro, perennemente in cerca di vittime sacrificali per allentare la sensazione di essere lei stessa vittima del sistema in cui abita. Molto bravo Joe Keery nel rivestire i panni di un uomo che malinconicamente ha scelto di abbandonare i suoi sogni e i suoi freni inibitori non riuscendo a essere l’uomo perfetto che avrebbe voluto essere, abituandosi a rivestire il ruolo di estetico ma un po’ vuoto “figurante” anche fuori dalla scena. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Straordinario Willem Dafoe e il suo amico-tuttofare-altolocato, che riesce a guardare la bellezza del mondo del cinema perdonando gli eccessi e drammi interiori al suo interno, guardando paternamente bonario e misericordioso i piccoli attori disperati che lo abitano, ricordando loro che nonostante tutto, per moltissime persone, loro “sono stelle”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Cinecittà e il “mondo che la contiene” è maestosa nelle ricche scenografie di Laura Pozzaglio, nei centinaia di costumi di Antonella Cannarozzi. Il piccolo mondo riverbera dei colori brillanti della fotografia di Sayombhu Mukdeeprom (apprezzato anche per <i>Suspiria </i>di Guadagnino), che più volte reinventa Roma tra la finzione del cinema e il “reale“, facendo dialogare le due grandi facce della stessa capitale in scenari iconici come piazza di Spagna. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Le musiche di Massimo Martellotta giocano tra la modernità e il classico, conferendo un senso avvolgente di glorioso disincantato che cita e reinterpreta un passato glam anche grazie alla sfiziosa voce di Michele Bravi .</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Il film corre veloce, il montaggio di Francesca Calvelli prima ci inebria in modo estatico del grande pathos febbricitante del set intorno al film peplum, poi ci trascina in un labirintico mondo notturno noir, poi sa tornare alla lentezza e alla contemplazione degli “attori senza le maschere” nell’ultima parte, malinconica quanto “liberatoria”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Grande cinema, da apprezzare al meglio in una grande sala. Un cinema non conciliante ma concitato, gustosamente sarcastico ma che non perde occasione per trasportarci con le sue inquadrature ricche e avvolgenti dentro Il romano sogno di celluloide che da sempre affascina la nostra settima arte. Per chi ama il cinema, ma anche per chi non lo ama troppo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-19351405874125375672024-02-19T17:12:00.006+01:002024-02-19T17:12:39.162+01:00Smoke sauna (Sisterhood): la nostra recensione del documentario estone, scritto e diretto da Anna Hints, che ci mette a contatto e “a nudo” con le emozioni, la spiritualità e i sogni, di un gruppo di giovani donne, avvolte nel buio e nel calore di un luogo “segreto” quanto intimo<p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihaijvjLFQE9-vU91gRO7dprr-3riz6pM0I_H3UqG7g5jkN-Uw7X0XXmfXTRxdlMll9ySIMnJqVZB3w10RnY2QguQu91OAOkEgkB1SsUWMy9Ls7Z2oqrxqCTsHLRhXFYivtJF1_SQ7SeCe90DtBIbBjGtDTMHzfC2tuoTRdGgVQ6wB8Ks3q_dxDFnv4wY/s1304/IMG_0055.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="869" data-original-width="1304" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihaijvjLFQE9-vU91gRO7dprr-3riz6pM0I_H3UqG7g5jkN-Uw7X0XXmfXTRxdlMll9ySIMnJqVZB3w10RnY2QguQu91OAOkEgkB1SsUWMy9Ls7Z2oqrxqCTsHLRhXFYivtJF1_SQ7SeCe90DtBIbBjGtDTMHzfC2tuoTRdGgVQ6wB8Ks3q_dxDFnv4wY/w400-h266/IMG_0055.jpeg" width="400" /></a></span></div><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Estonia dei giorni nostri. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Isolata tra boschi innevata pieni di erbe balsamiche, a pochi passi da un laghetto incontaminato e circondata da un freddo invernale che trapassa le ossa, si trova in una casetta isolata una piccola sauna. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Ad alimentarla con legna, occuparsi della giusta temperatura alambiccandosi con secchi d’acqua e pietre, nonché provvedere in un locale attiguo apposito alla affumicatura di alcuni prosciutti, ci sono alcune delle donne che lì si sentono “più a casa”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">A nudo e in equilibrio con il mondo, senza peli sulla lingua e filtri per il rispettivo status sociale, questo piccolo gruppetto tutto al femminile si racconta a una particolare intervistatrice, l’attrice Kadi Kivilo, di fatto l’unica figura femminile il cui volto vedremo “per intero” in questo viaggio. Coperte dal buio e dai fumi, le donne a bassa voce si confessano e confrontano, ridono e piangono. Lasciano che il vapore e il sudore le purifichino, permettendo loro di essere più leggere per tuffarsi poi nell’acqua fredda, percorrendo nude con i calzini il piccolo campo che le separa dal laghetto dove torneranno a contatto con una natura-madre. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Come rinascere.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Ma prima di rinascere c’è la penombra, dalla fotografia quasi “caravaggesca” offerta dalla fioca fiamma che illumina l’interno della sauna. Una piccola luce attraverso la quale ognuna di loro può raccontare la propria storia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Storie di corpi considerati brutti fin da bambine. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Corpi deflorati da uomini crudeli per passatempo spezzando sogni d’amore.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Corpi che hanno conosciuto più volte la gravidanza e come veloce conseguenza “accettabile” l’aborto.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Corpi che hanno scelto una sessualità diversa e per questa temendo ripercussioni, sperando che qualcuno le ritenesse “importanti” anche solo per la prima volta, di sicuro più che per la rispettiva madre. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Il calore sale, arrivano i lamenti, la rabbia, le risate e poi tutto si uniforma e disperde, in canti che partono dal cuore e arrivano alla bocca in modo sciamanico, mentre tutte loro iniziano a usare il proprio ventre come un tamburo, mentre i piedi tengono il tempo, ritmando l’aria sul pavimento in legno, in una jam session dell’anima.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Ci sono tra loro, ancora nella pancia o appoggiare placidamente ai semi, delle piccole vite. Creature che da poco hanno aperto i loro occhi azzurri al mondo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Un futuro che sperano tutte “più felice”, da festeggiare e celebrare in armonia con la natura, l’acqua e il fuoco.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB58nfXgoln7FmeLtcchjsCmXazbiGsT3ynV5AOrGhETeFYtVUeSyGXiJWr5glglqbffqnM-_kDDpo37ZM6d8zCev4_iyCIyHo5jKFZhReltFBV6wPbrt4SIB5izNfDvAuczNSXSQwTW5Mw3s4wfZ_Xum8W-4ScR_w9t4iWlPb15CEng81SvoeCf4Pqc0/s774/a7a0527715523846c2dc596db5ceed5f.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="516" data-original-width="774" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB58nfXgoln7FmeLtcchjsCmXazbiGsT3ynV5AOrGhETeFYtVUeSyGXiJWr5glglqbffqnM-_kDDpo37ZM6d8zCev4_iyCIyHo5jKFZhReltFBV6wPbrt4SIB5izNfDvAuczNSXSQwTW5Mw3s4wfZ_Xum8W-4ScR_w9t4iWlPb15CEng81SvoeCf4Pqc0/w400-h266/a7a0527715523846c2dc596db5ceed5f.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Smoke Sauna</i> è stato il documentario Estonia rimasto fuori dai giochi degli Academy Awards per poco, ed è un peccato, perché da molto è definito il miglior film estone 2023. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">La pellicola di Anna Hints ci porta in un viaggio unico, quasi straniante ma anche universale. Un viaggio ovattato e fumoso, caldo e in penombra, che somiglia a un sogno ultraterreno del limbo, quasi il ritorno nell’utero materno, un ritorno alla natura e all’origine. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Un viaggio che è grande cinema, potremmo dire quasi “verista”, ma che al contempo non assomiglia quasi a nessuna esperienza cinematografica che si può “esplorare”, trasportandoci di continuo dalla fredda cronaca del documentario ai canti e cori del teatro greco, fino a momenti quasi psichedelici, magici come sciamanici, </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Solo una donna si vede in volto, la brava Kadi Kivilo che fa da transfert emotivo a tutti i corpi in penombra, dispensando sorrisi e comprensione in modo quasi materno. Unica nostra guida in un mondo caldo e buio, simile a un enorme ventre materno, ma nel quale è possibile perdersi tra le mille storie, senza provare mai la sensazione che serva “qualcosa di più” alla perfetta sintesi visiva e sonora qui rappresentata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Erbe balsamiche per purificare da “tintinnare sui corpi” che raccontano nel buio le loro vite. Immersione a zero gradi in una meravigliosa realtà incontaminata ai confini del mondo, per “morire e poi subito rinascere” avendo dimenticato e messo da parte ogni sofferenza. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Sporadici momenti in cui una fisarmonica si alterna ai canti sciamanici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">E questo basta. Zero uomini, esclusi dalla “sorellanza” che domina la scena senza rancore. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: medium;">Un film spirituale e unico, che Wanted porta in Italia con la consueta attenzione nei riguardi di un “cinema di confine” che può allargare sempre più gli orizzonti di chi vuole immergersi nella sala buia di un cinema. Per scoprire qualcosa di intimamente antico, quanto nella forma ancora nuovo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-56866163767085382312024-02-13T20:01:00.003+01:002024-02-13T20:01:16.178+01:00La zona di interesse: la nostra recensione del glaciale ma straordinario film drammatico diretto da Jonathan Glazer<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhydBwrWuLpQI9Xn_Wpan26_50W0UnsvX_rzxSoQ1wm5y5dV07dDxVYe8yz1XTknftVva9kmW-J1NpkNIY_aAO70t_36adwZd0c-edOOwHg_LXHBKrHtOrfUA80J4XLrkAQyLz1h3eft29-rO2nu3f-DRSk-jrKb7fdxuye2fk09JtIwz71PYx1u3Yw0xo/s1600/TZOI_HEDWIG.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1101" data-original-width="1600" height="275" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhydBwrWuLpQI9Xn_Wpan26_50W0UnsvX_rzxSoQ1wm5y5dV07dDxVYe8yz1XTknftVva9kmW-J1NpkNIY_aAO70t_36adwZd0c-edOOwHg_LXHBKrHtOrfUA80J4XLrkAQyLz1h3eft29-rO2nu3f-DRSk-jrKb7fdxuye2fk09JtIwz71PYx1u3Yw0xo/w400-h275/TZOI_HEDWIG.webp" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Vivere a pochi passi dal campo di concentramento di Auschwitz, come se oltre quel muro non ci fosse davvero nulla se non un impianto industriale: un luogo di ciminiere cupe e rumori invadenti di cui qualcuno deve occuparsi, pur lautamente pagato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il “dirigente dell’impianto” è Rudolf Hoss (Christian Friedel), padre e marito esemplare, amante degli animali e delle gite in barca con tutta la famiglia. Un uomo affidabile e intelligente, stimato anche ai piani più alti, integerrimo e fedele alla causa.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La mattina esce per andare al lavoro in alta uniforme e a cavallo, come i principi delle favole, salutato dai suoi soldati festanti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La moglie, Hedwig Hoss (Sandra Huller), la autoproclamata “regina di Auschwitz”, è una sovrana impeccabile nel trucco e nei modi, esigente ma gentile con tutti i suoi servitori. Ama far rivestire ai sudditi/soldati il prato del loro “castello” con tutti i fiori più rari e profumati, seguiti e accuditi con il rigore e trasporto di una nuova Eden. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Hedwig non può girare per il mondo dato il lavoro di grande responsabilità di Rudolf, i fiori e i figli, ma grazie ai molti beni che vengono incamerati nei suoi forzieri, dopo essere stati prelevati direttamente dalle case e valigie dei residenti del campo attiguo (che lei si immagina simili a maialini), Hedwig si sente coccolata e realizzata, pronta a dimostrare a sua madre che ha fatto molta più strada di lei nella vita. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La residenza Hoss è un piccolo paradiso in Terra, tra prati rigogliosi fioriti, una piscina, un bosco attiguo con tanti animali, frutta e un corso d’acqua che pare uscito dalle favole. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Certo ogni tanto qualcosa di “strano” emerge dallo sfondo, ma basta non badarci.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">In fondo basta dimenticarsi delle urla angosciose che ogni giorno e a ogni ora salgono a un passo dal loro uscio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">In fondo se il corso d’acqua si riempie ogni tanto di polveri bianche simili a ossa, per qualche sporadico e accidentale rilascio industriale, basta lavarsi bene. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ma l’idillio forse è destinato a finire: nuovi incarichi impellenti porterebbero a breve il sovrano altrove. La regina non è disposta a lasciare il castello ed è pronta a chiedere conto dello sgarbo al Furer. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Rudolf un po’ cincischia nel farsi valere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Sarà la fine anche della coppia felice? </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7HS3WeXglxk-ebYypnMGnGkju44d4LXNGgziatcF34etflQC1bs442qAmQXkrPDcmsFCRRvVQCMZa3WR2Wqk4tg8xTI5oU-LHZghIKAHFH__Z1clQSXTtZ7fIkWejWoXh4oMhjgKWQO_jo5VE9wD7avfbg30DeRR7mo_mmyXRhIYg6G8DOjZuYS-ghPM/s800/download.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7HS3WeXglxk-ebYypnMGnGkju44d4LXNGgziatcF34etflQC1bs442qAmQXkrPDcmsFCRRvVQCMZa3WR2Wqk4tg8xTI5oU-LHZghIKAHFH__Z1clQSXTtZ7fIkWejWoXh4oMhjgKWQO_jo5VE9wD7avfbg30DeRR7mo_mmyXRhIYg6G8DOjZuYS-ghPM/w400-h225/download.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><i>La zona di interesse</i> è un film tremendo, nel senso “bellissimo ma tremendo”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Va in scena la rappresentazione più diretta della “banalità del male” descritta dalla Arendt, una banalità che diventa “normalità” crudele anche per i famigliari del direttore SS di Auschwitz Hoss: bambini che collezionano denti d’oro estratti dai deportati come biglie, suocere che di notte al posto della luna osservano ammirate la luce rossa degli alti forni, mogli devote che non vogliono che il marito comandante, ottima “ape operaia”, venga trasferito e rinunci alla loro Villa con piscina, orto botanico e servitù; un benefit da lui “costruito” con il sudore e l’impegno da buon “dirigente aziendale”, dello stesso distretto industriale dove ancora oggi si trova la Siemmens, nonché le principali fabbriche di prestigio della “locomotiva economica” tedesca. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">In questa piccola villa si susseguono storie di quotidiana anormalità, di precisione meccanica, perfettamente ingegnerizzate nei ritmi e passioni dei piccoli e fintamente inconsapevole personaggio che le abitano. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un mondo perfetto pieno di cavalli, corsi d’acqua purissima nei quali fare gite in barca e feste assolate per tanti ospiti, all’ombra di un campo di sterminio che appare a questi “privilegiati” del tutto invisibile, omesso dallo scenario, benché allo spettatore visibilissimo ai margini della scena, come le quinte dietro al palcoscenico di un teatro. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Una perfetta casetta americana prefabbricata e contornata da nuvolette finte disegnate stile <i>Edward Mani di forbice</i>, che nasconde male ben altro.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">In sottofondo ci sono degli spari, urla. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Di notte la scena cambia, siamo calati in uno scenario che ci viene presentato in bianco e nero, come ripreso da un visore ottico. La peculiare sfocatura di calore di questo filtro polarizzato ci fa immaginare di vedere non corpi, ma delle “animazioni” da libro illustrato: ci immergiamo di una favola diversa, dentro cui si muove tra piccoli cinghiali e scoiattoli, una ragazzina che ruba mele dal bosco, per nasconderle sotto terra e darle ai faticanti dei campi. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikzpP4mixHU5ZwIXdLqA4b_1y3HYmjEj5YTnBIVdY5nhQKfXCVpqu_WgnfG0OrS4RnlccWdGJWrdN_SevaKmOsQFCfT2s3NPUFKWr72sdHSYwHduKcN8-bCToFoK9AK9aUqfRatax0paMNSd-jbVquHUVnrQHuOKFaOYTfx64hDpNar_rhPKN1uq4kci8/s2070/ZonaInteresse.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1150" data-original-width="2070" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikzpP4mixHU5ZwIXdLqA4b_1y3HYmjEj5YTnBIVdY5nhQKfXCVpqu_WgnfG0OrS4RnlccWdGJWrdN_SevaKmOsQFCfT2s3NPUFKWr72sdHSYwHduKcN8-bCToFoK9AK9aUqfRatax0paMNSd-jbVquHUVnrQHuOKFaOYTfx64hDpNar_rhPKN1uq4kci8/w400-h223/ZonaInteresse.png" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Poesia nel buio di una favola gotica autentica, all’ombra del finto “mondo da favola” in cui credono per auto-induzione solo i carnefici, che scena dopo scena si disumanizzano sempre di più in un autistico e meccanico “coprire gli spazi”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Una musica angosciosa ci accompagna un po’ straniti in questo viaggio visivo ed emotivo bipolare, che si spinge più volte (cercando una via di fuga morale?) dentro i neri assoluti di una scena che si spegne di ogni colore e passione, catatonica, mantenendo per qualche secondo in sottofondo solo cori sinistri, rumori di docce e gas che vengono irrorati. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Molto bravi tutti gli attori nel loro nascondere emozioni umane anche basilari, muovendosi come piccoli orchi biondi vestiti a festa a pochi passi dalla morte altrui. Anche ridendo di se stessi e della loro cattiveria. A volte chiudendo le tende per non affrontare direttamente la realtà, come istruiti rigorosamente e “regalmente” a farlo: dimenticare e andare avanti per continuare a baloccarsi nel loro mondo di cavalli, principi e ricchezze.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La fotografia è molto geometrica, gioca con spazi netti e fabbricati ad arte per rendere la scena simile a una scacchiera dove tutto è predeterminato in ogni mossa e reazione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Molto belle le scenografie che richiamano anch’esse le forme rigide e quasi neo/gotiche care all’espressionismo tedesco ma anche al cinema di Dario Argento.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Le vittime di Auschwitz, gli ebrei, sono sulla scena quasi invisibili, se non agli infrarossi o per le urla. O come “memoria” di oggetti depredati e riutilizzati senza rimpianti e troppi piagnistei, perché pur sempre “alta moda per ricchi”. Sono fantasmi in quanto neutralizzati per una sorta di sfocatura o “miopia” sviluppata a livello emotivo dall’animo dei loro carcerieri: un (non)uso simbolico “dell’altro”, del “diverso”, che richiama il lavoro di Nolan sul “nemico” di <i>Dunkirk</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Jonathan Glazer crea l’horror perfetto, che amaramente è anche un fatto reale della nostra Storia passata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-6022414056741424602024-02-12T19:32:00.005+01:002024-02-12T19:32:42.997+01:00 Il mondo dietro di te: la nostra recensione del film “paranoico” scritto e diretto da Sam Esmail per Netflix, con protagonisti Ethan Hawke, Julia Roberts e Mahershala Ali<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIFBN9CfL82mRHhvfRDyKsZGkeXFooGxumEsxKvNRkdWHk7n_6sTS4P6lq0rQKaJiOPqbImd0OrK_itjScERp7QnFuTx7zLJmNdVdjMgLEGvIfJsBOsndeOBvfm76iuWxRJDkRUgYexm6-Yms8_NJn7K6pZ7YB4DCAXYPQhugCZoKLisBzcw7W4a90kN8/s1200/Il-mondo-dietro-di-te-di-Sam-Esmail-film-Netflix-5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="799" data-original-width="1200" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIFBN9CfL82mRHhvfRDyKsZGkeXFooGxumEsxKvNRkdWHk7n_6sTS4P6lq0rQKaJiOPqbImd0OrK_itjScERp7QnFuTx7zLJmNdVdjMgLEGvIfJsBOsndeOBvfm76iuWxRJDkRUgYexm6-Yms8_NJn7K6pZ7YB4DCAXYPQhugCZoKLisBzcw7W4a90kN8/w400-h266/Il-mondo-dietro-di-te-di-Sam-Esmail-film-Netflix-5.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Un week end da sogno in una villa da sogno. Niente più e niente di meno, tutto pre-pagato e chiavi in mano, a nemmeno un’ora dalla città, avvolti dalla natura e abbracciati dal sole e dal mare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Tutto fila liscio per la famiglia che ha sottoscritto il pacchetto completo (Ethan Hawke e Julia Roberts, i genitori di un adolescente in crisi ormonale e di una bimba super appassionata della serie tv Friends), ma da subito accadono cose strane. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Internet non prende più, un'enorme petroliera si arena quasi in faccia a loro mentre sono sulla spiaggia causando il panico generale. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">C’è gente che fa incetta di beni di prima necessità svuotando gli scaffali del supermercato (Kevin Bacon). L’aria è pesante. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">La sera, con una scusa strana, il proprietario della casa dei sogni (Mahershala Ali) bussa alla porta con la figlia adolescente e chiede asilo alla famiglia ospite. Nel lussuoso attico del centro di New York dove vive non funziona più l’ascensore, lui non riesce a fare le scale per via di una storta e tutti gli alberghi sono senza camere libere. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Inizia una convivenza strana di alcune ore, tra legittimi dubbi e paranoie, fino a che tutti i vicini spariscono lasciando vuote le loro abitazioni, dei cervi iniziano in branco ad assieparsi nei pressi della villa, dal cielo cadono aerei dritti sulla spiaggia privata, misteriosi droni lanciano volantini rossi con scritte in cinese, automobili Tesla con il pilota automatico impazziscono e rendono impossibile la fuga in autostrada con incidenti a catena. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Forse c’entrano gli hacker e dei raffinati virus che nel tempo sono evoluti al punto da infettare anche i satelliti e le comunicazioni. C’è uno strano rumore periodico che fa pensare all’utilizzo di raggi termici sperimentali russi. Forse è un gioco di potere i cui frutti arriveranno a quegli squali dell’alta finanza che il padrone della villa frequenta come consulente. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Forse al di là dei boschi e del relativamente piccolo mondo felice dove i nostri eroi convivono è già in atto la terza guerra mondiale. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Fortuna che tutte le ville di lusso sono dotate di bunker, telefoni satellitari, piscine idromassaggio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Non resta che aspettare o provare ad “agire” in qualche modo. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyiX9gm7i3fPQzMClONpjkYrzvNOU1ffhECKl2EOUOQWuJjPgMz5wYJVsh99xOB-qSH-cXH8wvz5_AN0CxbeuyCzDKVyrETn01c5SyES1d9zMuMKsqHhyphenhyphenWY_N_DQIgpZ8A7AS8P3g3bXzLg5NGCyYTfQ53N5ZpfSjTvIxMQnDCayyRwR_RQYIfBIOkM2w/s2000/leave-the-world-behind.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1125" data-original-width="2000" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyiX9gm7i3fPQzMClONpjkYrzvNOU1ffhECKl2EOUOQWuJjPgMz5wYJVsh99xOB-qSH-cXH8wvz5_AN0CxbeuyCzDKVyrETn01c5SyES1d9zMuMKsqHhyphenhyphenWY_N_DQIgpZ8A7AS8P3g3bXzLg5NGCyYTfQ53N5ZpfSjTvIxMQnDCayyRwR_RQYIfBIOkM2w/w400-h225/leave-the-world-behind.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">E così un giorno Sam Esmail, lo show-runner della premiata serie tv <i>Mr.Robot</i> e cantore di storie intrecciate tra paranoia, complotti informatici e Corporations diaboliche, venne ingaggiato da Netfix per un lungometraggio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Una pellicola attraverso la quale rileggere l’atomizzazione regressiva della collettività umana, conseguenza diretta del periodo Covid. Un rinnovato timore quasi medioevale per gli “altri”. Una bassissima fiducia nel futuro “pur radioso” delle intelligenze artificiali, più natura e auto elettriche. La consapevolezza di essere soli e nudi nel mondo, esposti a dolori e malattia, come dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, ma senza sapere chi è il “dio che muove le carte”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">“Io sono Borg, la resistenza è inutile”. È così che una delle specie aliene più temibili della serie tv <i>Star Trek</i>, gli zombie-cyborg Borg, si presentava, con fare indifferente, davanti a una razza umanoide da reprimere, inglobare e uniformare nella loro mente-alveare, per infine “assimilarla”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">La logica del “grande complotto” raccontata da <i>lI mondo dietro di te</i> è la stessa: generalizza e confonde tutte le minacce e le paure fino a suggerire che non esiste per i nostri piccoli protagonisti una soluzione finale differente dalla resa incondizionata, a cui seguirà inevitabilmente, per ricompensa, un piccolo placebo per tirare avanti: una “gioia preconfezionata e grammata”. Una piccola (e senza fare spoiler pure geniale, riconosciamolo!) iniezione di felicità periodica con il sapore emotivo della favola rassicurante, a cui con nostalgia aggrapparsi per tirare avanti . </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">“La resistenza è inutile" fa così più paura anche del perentorio grido di battaglia Dalek “sterminare!!”, con il quale i più classici nemici del <i>Doctor Who</i>, nella serie tv omonima, in fondo si “limitano a ridurre in cenere” qualunque cosa o persona gli si presti davanti. Ma senza schiavizzarla e renderla parte di una specie di Matrix che si autoalimenta tra isolamento e paure, racchiudendo ogni essere umano in piccole bolle felici. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAQOKMsXJNuzBtISlXjGhZovZuEuha8trSGZdH2fePpAAYEgacNv9hkg9tBh69gNpegGEjVVmWEq9grCjcArrYGXeJmoZ0W5B0ULJRmrv2IrowMXhgwSj0Q7lc6RfL4nNhYgoTfUosbFkrfTLXMha7KJPQKP8E9RztqKH-cDBiXmlvspQPKRMDlM4wPzU/s1024/Il-mondo-dietro-di-te-film-2023.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="624" data-original-width="1024" height="244" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAQOKMsXJNuzBtISlXjGhZovZuEuha8trSGZdH2fePpAAYEgacNv9hkg9tBh69gNpegGEjVVmWEq9grCjcArrYGXeJmoZ0W5B0ULJRmrv2IrowMXhgwSj0Q7lc6RfL4nNhYgoTfUosbFkrfTLXMha7KJPQKP8E9RztqKH-cDBiXmlvspQPKRMDlM4wPzU/w400-h244/Il-mondo-dietro-di-te-film-2023.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Nel film di Esmail ritornano così tutti i tempi complottistico-psicanalitici cari all’autore, inseriti in un mondo strano quanto abbagliante, per spettacolarità e follia, che sembra trovarsi in un universo non distante dal <i>Lost </i>di J.J.Abrams. Ogni suggestione visiva e sonora arricchisce di informazioni e suggestioni lo spettatore, trascinandolo in un rebus complesso. C’è molta azione e mistero nella piccola zona vacanze al centro del mondo “che esplode” e in parte da questo “protetta”, come avviene anche nel magnifico film <i>Il cielo brucia</i> di Petzold, ancora nel circuito delle sale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">È un mondo che però si vive spesso dentro la testa ed esasperazione dei personaggi, specie tra le strette pareti di una casa, tra due famiglie. Come in una pellicola home invasion a “ruoli incrociati”, dove vittime e invasori si confondono, dove tutti gli attori coinvolti dimostrano di saper giocare bene tra i registri della confidenza e della diffidenza, costruendo balletti emotivi anche molto forti e vividi, frutto anche di una buona dose di improvvisazione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">La pellicola coinvolge e trascina dentro al suo microcosmo elaborato chirurgicamente per spiazzare e confondere, eradicando ogni speranza e giungendo a un epilogo dove forse qualcuno riderà e qualcuno coglierà l’amarezza. Dove tutto si svela e semplifica, con gioiosa autorassegnazione. Come accadeva in <i>Funny Games</i> di Michael Haneke. Sta a noi decidere di ridere insieme o meno ai carnefici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Sam Esmail sembra si sia nuovamente divertito con molto gusto a scherzare con intelligenza e cinismo con il potere e la tecnologia. Si conferma un ottimo costruttore di mondi e uno straordinario direttore di attori: in grado di esplorare nel dettaglio l’’interiorità umana quanto le più folli teorie complottistiche. Abbiamo molto bisogno in questo momento storico di registi intelligenti e “cattivi” come lui. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-74216417741566446462024-02-04T09:00:00.073+01:002024-02-04T09:00:00.298+01:00Silent Night - il silenzio della vendetta: la nostra recensione del nuovo “silenzioso” action movie di John Woo, un revenge movie natalizio con protagonista Joel Kinnaman<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqbAeX_NelAxmwQMQx5hlcvIIDyfMD_xRzql-GuvfF9RUFtnvAmyweHaBSCMLJWnw0XqOZCJjrFEauDrzTyXWEL9pNTzL3PhaEVVpcZpIrgO2iY9ro3KM3S3whe-4mIZ9vsjrRzqnlf4J3-hHMAtASIcGcBaDMuZcxGRin99glpcJPekW5FzdkCgkqv7Q/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqbAeX_NelAxmwQMQx5hlcvIIDyfMD_xRzql-GuvfF9RUFtnvAmyweHaBSCMLJWnw0XqOZCJjrFEauDrzTyXWEL9pNTzL3PhaEVVpcZpIrgO2iY9ro3KM3S3whe-4mIZ9vsjrRzqnlf4J3-hHMAtASIcGcBaDMuZcxGRin99glpcJPekW5FzdkCgkqv7Q/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Colpi di pistola e le risate, insieme a tutti i suoni di una vita felice, si spengono. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un palloncino rosso prende il volo, una piccola vita viene spezzata. Succede proprio a Natale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il padre (Joel Kinnaman) lascia la piccola creatura nel parco dove stavano facendo un pic-nic e corre all’inseguimento di chi ha esploso gli spari: due auto sportive dai colori sgargianti guidate da uomini coinvolti a suon di mitraglia in una guerra tra bande. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Corre disperato e furioso, con indosso un buffo maglione natalizio con al centro una buffa renna dal naso rosso. Ha al collo un campanello natalizio che tintinna gioiosamente, con un suono che sembra l’unico rumore distinto nell’aria, beffardo quanto amaro. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Per un attimo, avvantaggiandosi di traffico e scorciatoie pedonali, l’uomo appare davvero vicino agli inseguitori. Gli è addosso. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Poi tutto si fa buio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Poi tutto si fa ovattato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">L’uomo ha avuto un grave trauma, ha un buco alla gola, è in ospedale e ora non riesce e non riuscirà più a parlare. Il suo mondo gli appare e ci appare, grazie alla particolare composizione sonora, in una perenne e strana bolla “emotivo/sensoriale”: è un luogo dove tutte le voci sono silenziate anche perché “non più importanti”. Un luogo dove solo i suoni e rumori sono per il padre “utili”, in quanto ancillari alle immagini, per accumulare dettagli che gli permettano di consumare la sua vendetta. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La moglie presto “cede al silenzio” e lo abbandona alla sua solitudine. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La casa, raschiata di ogni sentimento umano, diventa per lui una specie di palestra, tana e quartier generale dove lavorare meglio di come hanno fatto per lui, svogliatamente o troppo lentamente, le forze di polizia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nel silenzio passano i mesi e ci accorgiamo del tempo da tanti piccoli dettagli: il colore delle foglie che cambia, i calendari appesi al muro che si aggiornano scena dopo scena. I muscoli del padre si definiscono sotto lo sforzo di pesi sempre più grandi. La sua esperienza ginnica nel corpo a corpo rende il sacco d’allenamento sempre più fiacco. Un bersaglio con reticolo millesimale con fori sempre più vicini al centro, certifica la progressiva precisione nel tiro con la pistola. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Si avvicina l’anniversario della morte del bambino. Si avvicina il Natale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">L’uomo ha indagato bene e ha trovato, da solo, il covo di chi ha iniziato la guerra tra bande. Ha pedinato di nascosto per mesi tutto il piccolo esercito locale del crimine, raccogliendo ogni genere di prove, abitudini ed itinerari. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Ha blindato la sua auto come un carro armato, ha nascosto strategicamente per il quartiere ogni genere di armi ed esplosivi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Indisturbato, da “uomo invisibile”, da padre distrutto con lo sguardo sempre in basso di cui al mondo non frega nulla. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Un singolo nel mucchio delle tante vittime accidentali della guerra tra bande. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Non è stato mai considerato lontanamente un problema da nessuno ed ora è pronto per far saltare per aria tutta una città. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un altro palloncino rosso vola in cielo, la preda naturale è diventata cacciatore di grossi e arroganti signori del crimine. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Sta per iniziare una notte molto silenziosa e priva di ogni canzoncina natalizia.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgojzYLDeNb327RMRgFVMulY3e0AxNymh4daJKCR2f9Ujonq02xkw2s2aBxcQHALCMvBF_wYquUomexWgq-KLoWGIUQW2-ga1DK9M91ncb1wlZboE0P3Mjs0TaBj4w6T3ZTqQwMSu9-dgEfkKMYSIr0VSzr5lF6TeaFWjR6Yqwn_dgbNInEMPm2o0LPZyQ/s840/silent-night-il-silenzio-della-vendetta_6_jpg_960x0_crop_q85.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="417" data-original-width="840" height="199" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgojzYLDeNb327RMRgFVMulY3e0AxNymh4daJKCR2f9Ujonq02xkw2s2aBxcQHALCMvBF_wYquUomexWgq-KLoWGIUQW2-ga1DK9M91ncb1wlZboE0P3Mjs0TaBj4w6T3ZTqQwMSu9-dgEfkKMYSIr0VSzr5lF6TeaFWjR6Yqwn_dgbNInEMPm2o0LPZyQ/w400-h199/silent-night-il-silenzio-della-vendetta_6_jpg_960x0_crop_q85.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;"><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p>John Woo dirige un film dritto, cinico e disperato, carico di azione a rotta di collo e tutto guidato da un’unica idea estetica strana quando innovativa: il silenzio e i rumori di fondo come unici “marker” a definire sullo stesso piano i sentimenti quanto i momenti d’azione. </span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un filtro scomodissimo, difficile da ammaestrare, ma che dopo poche battute ci fa sentire da spettatori immersi nella scena: come se il cinema si trovasse sul fondo di una piscina, e noi in apnea con i pop corn.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">L’idea è interessante e ha molto a che fare con la possibile evoluzione della “grammatica dell’action”: una materia che Woo negli anni ha contribuito più spesso a scrivere, ridefinire, rivoluzionare e rendere “umoralmente” tanto pop quanto melò. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">È un film tutto sullo stile, un ginnico e tecnico esercizio di sintesi da presentare ai posteri come esempio di poesia all’interno di un prodotto per molti considerato “di genere”. Poesia come la sequenza di Woo della bambina che sente Over the Rainbow durante una sparatoria (<i>Face/Off</i>). Come il momento in cui un uomo in cerca di vendetta indossa il cappotto crivellato di colpi del suo fratello gemello, come fosse il mantello di Superman (<i>A better tomorrow 2</i>), rinascendo e sovrapponendosi a lui. Come la torta di compleanno, sarcasticamente chiusa nella scrivania con tanto di candeline accese, di una donna poliziotto che fa tardi in ufficio senza cavare un ragno dal buco (<i>Senza Tregua</i>). Come le tante sequenze, di tantissimi film di Woo, questo incluso, che disegnano lotte a suon di pistola rallentate e quasi congelate, per tenere il ritmo e il loro incedere vicino al battito d’ali di colombe bianche e piccioni, alla ricerca di un impossibile equilibrio zen tra uomo e natura, caos contro la normalità. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">È il mood, la “splash page” che si tatua nella testa dello spettatore oltre la cornice. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La storia stessa è una cornice e deve restare classica, debitamente “escapista e sovversiva”. Può ricalcare nelle prime battute, anche felici, la genesi fumettistica caustica del <i>Punisher </i>di Garth Ennis, ma alla fine il succo è seguire le coreografie di combattimento nella loro evoluzione sincopata, fino a trovarci in un epilogo dove il volume dei proiettili e il cuore del protagonista battono veloci al ritmo della musica della discoteca del duello finale. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDZIqd3NYBgeTFM8QOKoW-PHe5jbD0cQFHVbRQVh5R0KpEyaieaYTtHUZbq6HnuSpux7x6iHdXzJfUpKc1gR4O6WLuj8vU68d-fucvx0KrNY6S2T4dlWMl17Y3EeyadDksp1UTlFDtsS_enfx6MS3rOzcAhxIXPL_58_4QFcrKF5f_-ngCDFTxms-3XZM/s1680/Silent%20Night%20-%20Il%20silenzio%20della%20vendetta%208.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="945" data-original-width="1680" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDZIqd3NYBgeTFM8QOKoW-PHe5jbD0cQFHVbRQVh5R0KpEyaieaYTtHUZbq6HnuSpux7x6iHdXzJfUpKc1gR4O6WLuj8vU68d-fucvx0KrNY6S2T4dlWMl17Y3EeyadDksp1UTlFDtsS_enfx6MS3rOzcAhxIXPL_58_4QFcrKF5f_-ngCDFTxms-3XZM/w400-h225/Silent%20Night%20-%20Il%20silenzio%20della%20vendetta%208.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Kinnaman è un attore grosso, simpatico anche se non particolarmente versatile, in possesso di quella certa atleticità che si richiede dagli action hero, ed in specie a chi viene diretto da John Woo, per essere un ottimo “ballerino tra i proiettili”. È bravo soprattutto nelle lunghe e complesse coreografie di quel “gun-fu” qui presenti nonché immaginate e codificate da Woo stesso anni fa: come “nuova arte di combattimento filmica”, incontro impossibile tra le sparatorie dei western americani e i duelli con la spada dei wuxia movie cinesi. Kinnaman è atletico ma anche in grado di rappresentare, con il volto più che il corpo, il lato più vulnerabile, a volte anche esasperatamente melodrammatico, degli eroi under-dog dell’action asiatico: quasi caricandosi, sui suoi denti stretti e su occhi così grandi e scavati che “quasi esplodono”, tutti i mali e dispersione del mondo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ci sono le premesse per giocare con i temi natalizi e la “felicità estetica/plastica” in contrapposizione al dolore interiore. In modo amaro, alternando infelicità a preparazione al combattimento, fino a trasformare il nostro eroe in quello che Tsukamoto definirebbe un “Bullet-Man”, pronto a scontri forsennati a base di proiettili, pugni e sportellate, che lo vedono solo contro un esercito.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">All’inizio l’ingranaggio gira, incanta, mostra tutti i suoi denti e pirotecnica: perché siamo nel mood giusto, sentiamo il “flow” che guida Woo nel suo surfare sicuro su registri e suggestioni, idee e mestiere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Poi arriva in secondo palloncino e nel disastro e sconforto generale ci rendiamo conto che sarebbe bastato quello: un corto cinematografico di lusso di una ventina di minuti, immagini ben ritmate e una colonna sonora/sensoriale così unica da poter fare scuola quanto essere il tech-demo definitivo per le casse di un nuovo impianto stereo, un interprete in parte, un montaggio a prova di bomba. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Perché purtroppo dopo quel palloncino tutte le idee finiscono e pure il film, pur esteticamente superbo, finisce. Il flow di Woo finisce. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Non ci sono giochi di maschere e ruoli come in <i>Face Off</i> a ravvivare quanto di già visto. Mancano sagaci invettive al patriottismo come in <i>Project Broken Arrow</i> o l’esasperazione estetico/feticista dei sentimenti (che vengono costruiti quasi come beffardi momenti da “spot pubblicitario di un dopobarba”) di <i>Mission Impossible 2</i> alla ricerca di un qualche sapore da aggiungere alla ricetta. Mancano per scelta, perché tutto deve filare dritto, l’ironia, lo sberleffo o anche solo il “cameratismo da action anni '80” di <i>Windtalkers</i>, mancano i giochi di prestigio di montaggio a scatole cinesi di <i>Paycheck</i>. Tutto quanto girato dal grande regista ad Hong Kong in termini di uso innovativo della macchina da presa, bromance, è tutto messo da parte didatticamente nell’esplorazione ed esposizione di questo nuovo esercizio di stile sul suono e le immagini. Che è bellissimo, unico, ma che non regge oltre i venti / trenta minuti di un mediometraggio. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgUIMcl9dRP7ZIsO5Ia4hvGK8JkDeT1SGRiVGp_rYNJmQXKnNIs_uz3WY5Uc578CUeoMoHE72cZry3QChLr320QWAPeMG-P1EzwBk0tJy96Rqf-3jusJsZ2pi7Jh0qtqHoguABplkI8hNB-LCscBNafOc6IcnYfM6xexf-7RE-RyCbbzRAfx81mhWOVrI/s512/unnamed.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="341" data-original-width="512" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgUIMcl9dRP7ZIsO5Ia4hvGK8JkDeT1SGRiVGp_rYNJmQXKnNIs_uz3WY5Uc578CUeoMoHE72cZry3QChLr320QWAPeMG-P1EzwBk0tJy96Rqf-3jusJsZ2pi7Jh0qtqHoguABplkI8hNB-LCscBNafOc6IcnYfM6xexf-7RE-RyCbbzRAfx81mhWOVrI/w400-h266/unnamed.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">John Woo cocciutamente si spoglia di se stesso, dai suoi eccessi ai suoi marchi di fabbrica, confezionando un film che dopo mezz’ora si autocondanna a una pneumatica ripetizione/esecuzione di luoghi comuni, tutti a “sostegno della tesi” della duttilità (dubbia) dell’idea filmica, fino a un finale che purtroppo non lascia il segno. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Anche perché oltre al protagonista i personaggi non esistono, e non possono esistere, proprio per la mancanza ricercata di qualsiasi dialogo. Anche perché, per l’ossessione di stare solo sul protagonista, dentro il suo unico mondo sensoriale/emotivo, non veniamo forniti di ulteriori punti di vista, che avrebbero trasformato la pellicola magari in qualcosa di più felicemente strutturato. Gli spunti c’erano e uno poteva essere la “ragazza del boss”: un personaggio che vive in equilibrio tra lo sballo degli stupefacenti, le armi da taglio e la musica disco. Un personaggio che avrebbe potuto, e magari dovuto, vivere parallelamente nella trama, in modo speculare al padre vendicatore, creando con lui un doppio balletto sensoriale/emotivo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">John Woo è come rimasto ingabbiato nella affascinante trappola estetica alla base di questo progetto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Gli stunt fisici e con i mezzi funzionano, ma sono già stati visti e digeriti più volte, non ci appaiono “nuovi”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">L’incedere del giustiziere verso lo scontro finale non possiede particolari guizzi, ripetendosi stranamente da topos a topos, fino a un cliffhanger che sul piano emotivo e visivo è troppo depotenziato: anche perché, come già sopra esposto, noi questi personaggi non li conosciamo e non siamo mai stati messi nella condizione di conoscerli. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il silenzio in sala diventa minuto dopo minuto sempre più soffocante, fino a voler urlare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Fa male dirlo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Fa male vederlo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Forse a qualcuno però questa dimensione può piacere, ma si poteva davvero fare tanto di più ed era alla portata di mano farlo. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">L’uomo che ha riscritto il genere action si è perso in se stesso fino a essersi reso quasi irriconoscibile, inseguendo un unico grande esercizio di stile, dimenticandosi quasi tutto quanto rendeva i suoi film freschi, divertenti ed adrenalinici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un film di una mezz’ora racchiuso tra due palloncini rossi che volano in cielo e nulla più, avvolto in un vuoto statico-emotivo ridondante simile a un incubo di altri 80 minuti: che può piacere a livello di idea ma anche stancare presto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">A meno che non ci si innamori pazzamente dell’idea di fondo, decidendo che tutto il resto può anche non esistere. È una scelta che qualche fan legittimamente può fare, ma da questa prospettiva <i>Silent Night</i> si guarda come una lectio magistralis universitaria e non come un action movie. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Forse anche chi è in cerca di un dolby digital applaudirà il tech demo sonoro offerto dal film, magari sfoggiandolo con gli amici per una serata. Per gli altri c’è molto di meglio in giro, e il meglio viene in gran parte dallo stesso regista di questa pellicola. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">È bello che John Woo, in qualsiasi forma, continui ancora a scrivere la storia degli action movie.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">È sempre bello trovarlo anche lontano da <i>The killer</i>, <i>Red Cliff </i>e gli altri blockbuster, magari pure in progetti piccoli o un po’ maldestri come <i>La congiura della pietra nera</i>, <i>Paycheck </i>o questo <i>Silent Night</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Silent Night</i> “è bello, ma non balla”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-7601710272159945662024-02-03T20:14:00.006+01:002024-02-03T20:14:31.959+01:00 The holdovers (lezioni di vita): la nostra recensione della divertente commedia scolastica di Alexander Payne con Paul Giamatti e Dominic Sessa<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidYo6T7QK0Rk71e_07Z07C3JWUfiNymZIKEsQtEfhAIi1qLWW7j4ZjIqbEyTt_DT1HayWufN-ATc3aUc6BdplYvHSesqOqBtDx2-2izHyHqG3PQwwYmc-zdiPlDIx_nyBYMrfztgHiTrrr1vpFLwV6FUJwv1uqXyyQchLEFwTXaNEjOyExCj08QHepnvE/s1280/original.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidYo6T7QK0Rk71e_07Z07C3JWUfiNymZIKEsQtEfhAIi1qLWW7j4ZjIqbEyTt_DT1HayWufN-ATc3aUc6BdplYvHSesqOqBtDx2-2izHyHqG3PQwwYmc-zdiPlDIx_nyBYMrfztgHiTrrr1vpFLwV6FUJwv1uqXyyQchLEFwTXaNEjOyExCj08QHepnvE/w400-h225/original.png" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ci troviamo negli anni '70 nel New England, nella prestigiosa Barton Academy. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È un posto che sembra ideale per “plasmare giovani menti” ansiose di “”vivere con saggezza e in profondità, succhiando tutto il midollo della vita; sbaragliare tutto ciò che non è vita ecc.“ (citazione da <i>L’attimo fuggente</i>). Ma siamo sotto le vacanze di Natale, il posto è pressoché deserto, i pochi che ci sono costretti a restare vorrebbero essere tutti altrove. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Tutti ma non il professor Hunham (Paul Giamatti). Tarchiato, dallo sguardo strano, che emana uno strano odore anche se non si capisce di cosa. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">È trasandato e accartocciato nel modo di vestirsi, ha la voce irritante e una “risata” sinistra, ama parlare in latino senza un perché ed è in genere caloroso quanto un cubetto di ghiaccio. </span><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Regala i voti più bassi, ama i compiti a sorpresa e vedere il panico negli occhi dei suoi alunni, quasi si diverte a comunicare tutti i singoli errori in cui incorrono. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Non è un tipo socievole ma al contempo è “equo”: non ama coccolare i pargoli viziati dei principali finanziatori dell’ateneo e anche se c’è chi si è già lamentato lui non ha mai arretrato regalando indulgenze.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Non ha una famiglia e conduce una vita quasi di clausura dedicata al solo insegnamento; si dice non sia mai uscito dall’ edificio scolastico. Sta fuori dal tempo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Tutti lo odiano, anche il preside che teoricamente è un suo amico lo odia e probabilmente per questo non farà mai carriera. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Purtroppo, per i pochi sfortunati ragazzini che sono costretti a soggiornare alla Barton a Natale, mentre tutti gli altri sono in vacanze sugli sci o al mare, Hunham è anche l’unico docente che rimarrà in istituto, insieme alla cuoca Miss Mary Lamb (la cantante e attrice Da’Vine Joy Randolph) e al bidello Danny (Naheem Garcia). Hunham ha in mente grandi progetti per questi sfortunati figli “dimenticati” (holdovers significa “residuati”) di genitori anaffettivi o troppo distratti o troppo impegnati o residenti in un qualche paese dell’Asia. Un ricco programma per persone sbalzate fuori dal tempo e dallo spazio come lui. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il programma prevede preziosi esercizi ginnici all’alba, per riscaldare i corpi senza sprecare energia a gas per il riscaldamento generalizzato.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Segue un indispensabile piano di ripassi forzati da svolgersi nell’arco di tutte le feste per non perdere il ritmo, o per lo meno per acquisire un ritmo di studio mai manifestato da anni al suo corso di letteratura. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Seguono indimenticabili pranzi e cene in sua compagnia nel locale cucina, frugali momenti davanti alla tv nella saletta piccola attigua, tutti a dormire mai oltre le nove di sera in un paio di locali con letto a castello allestiti ad hoc in infermeria. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Lo sconforto è già grande quando i ragazzini “detenuti” sono in quattro o cinque. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Diventa autolesionismo allo stato puro quando rimane con il prof, il custode la la cuoca un solo, unico ragazzino. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Nello specifico parliamo del ribelle scapestrato Angus Tully (Dominic Sessa): ragazzo intelligente ma che non si impegna, rompiscatole di professione, casinista e tendente al maleducato, nonché figlio di una madre separata esasperata, che ha preferito passare le vacanze con il nuovo compagno in crociera e rivedere Angus direttamente la prossima Pasqua, sempre che nel mentre non ci ripensi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Dopo un paio di giorni tutto precipita. I piani del professore saltano, la malinconia inizia a colpire la cuoca e il custode. Angus riesce a farsi malissimo in modo inconsulto nella palestra, minacciando di denunciare tutti per mancata supervisione dei locali e guadagnando di riflesso una piccola capacità contrattuale sulla gestione delle feste rimanenti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Qualcosa cambia. Forse è la magia del Natale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Studente e professore iniziano uno strano viaggio nella vicina Boston. Nasce una strana alleanza che forse diventa quasi complicità e qualcuno inizia a pensare di dare una bella sterzata alla propria esistenza. Cambiare tutto e sentirsi, fieramente, un holdover. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSJlc4C1SXBtMNaVGuFzVNVn6HLzmjSXE1OoBafOaIycyh0wwGWDXQOe-W3FjgxZoPzUVAKyxeMNYqomY4FyoGeFgiCturKm0O18oma0cTKvxCM5M5G_cH6VKMPpyStDiGQyVWb9ictQkwJzyWS_4L_WuXTydXO9rpDdyOtJuWZJ11Ekc3TpF5fH3OQUg/s2560/MCDHOLD_UC013.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="2560" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSJlc4C1SXBtMNaVGuFzVNVn6HLzmjSXE1OoBafOaIycyh0wwGWDXQOe-W3FjgxZoPzUVAKyxeMNYqomY4FyoGeFgiCturKm0O18oma0cTKvxCM5M5G_cH6VKMPpyStDiGQyVWb9ictQkwJzyWS_4L_WuXTydXO9rpDdyOtJuWZJ11Ekc3TpF5fH3OQUg/w400-h225/MCDHOLD_UC013.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><i>The holdovers</i> ha tutto il fascino “cinematografico” del romanzo di formazione: profuma del Giovane Holden di Salinger quanto dell’Attimo Fuggente con Robin Williams, ha tutto l’anticonformismo e la spigliata satira dei romanzi grafici di Daniel Clowes. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Respiriamo la sinistra e assoluta solitudine di strutture enormi quando deserte e isolate tra la neve di <i>Shining</i>, mentre i nostri piccoli anti/eroi cercano di sopravvivere a un “nulla” più cosmico di quello di Michael Ende.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Ci commuoviamo per la forza e risolutezza di un personaggio “non protagonista” ma straordinario come la signora Lamb, reso reale, vulnerabile ma titanico da una straordinaria Da’Vine Joy Randolph.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Forse perché travolti da una folle convivenza forzata, forse perché pervicacemente arroccati ai rispettivi punti di vista fino quasi alla autodistruzione, minuto dopo minuto ci affezioniamo progressivamente sempre di più al destino di due assoluti looser, antipatici e narcisisti, come Angus e Hunham. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Giamatti e Sessa sembrano impossessarsi al 100% dei rispettivi personaggi. Amano punzecchiarsi e odiarsi carichi di profonda autoironia. Si rincorrono e irritano di continuo. Si giudicano e si condannano a vicenda. Perdono la calma passando da rispettive vittime o carnefice in pochi secondi. Sovente si ubriacano di birra e parole fino a scoprirsi vittime di una complicità genuina che contro ogni previsione li vede amici, al punto che gli scambi di battute si fanno caustici quanti fulminei e le intese arrivano con un solo sguardo. Più che alunno e insegnante, più che genitore e figlio, Giamatti e Sessa sembrano fratelli diversi di una stessa società matrigna: un posto ricco di opportunità di cui loro non potranno forse mai fare davvero parte, ma potranno sempre affrontare, da qualche angolo sfigato, con l’arma dell’anticonformismo, pervicacemente aggrappati a dei valori nobili quanto fuori moda, molto più preziosi di una preziosa bottiglia di alcol insapore. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVUnidiylhQNm6gX1nH3-ON4ueGKhyphenhyphenzrNAoUIhwI0ZSHr-HuHxlnpyTz3VUMK747VWn2xzJnRApTbFBQ6iYSmNSDkpY0e6IQNN8q69WFxGqc7XNUWfA2KVo6xUB8p0AnvPPXOd_q4mJm9MszS8-GwqscAaccrIx0osp6NvtHvZ2nTu1F9EXPFB4houpDo/s1200/TheHoldovers.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="614" data-original-width="1200" height="205" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVUnidiylhQNm6gX1nH3-ON4ueGKhyphenhyphenzrNAoUIhwI0ZSHr-HuHxlnpyTz3VUMK747VWn2xzJnRApTbFBQ6iYSmNSDkpY0e6IQNN8q69WFxGqc7XNUWfA2KVo6xUB8p0AnvPPXOd_q4mJm9MszS8-GwqscAaccrIx0osp6NvtHvZ2nTu1F9EXPFB4houpDo/w400-h205/TheHoldovers.png" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Se sono bravissimi gli interpreti è merito anche della sceneggiatura e del soggetto firmati da David Hemingson: un autore al suo esordio nel lungometraggio ma attivo da anni in serie tv brillanti come <i>American Dad</i> e <i>How I met your Mother</i>. Un autore qui particolarmente incendiario, forse “troppo brillante”, al punto che <i>The Holdovers</i> si è beccato un +17 proprio per il suo linguaggio esilarante e anticonformista. Al fascino di <i>The Holdovers </i>ha contribuito per forza anche la straordinaria location nel Massachusetts, che durante quasi tutte le riprese è apparsa funestata da gelo e neve come l’Overlock Hotel. Un luogo che per gli attori è stato da vivere a strettissimo contatto anche sul lato più strettamente termico, avendo da parte una bella scorza di tempra quanto di ironia delle cose che ha permesso al gruppo di insaldarsi, anche sono per non congelate. Il freddo dei luoghi si sente quindi perché è incredibilmente autentico e la cattedrale nel ghiaccio dell’istruzione americana, così vuota e ciclopica, sembra ammantarsi di tutta la malinconia di una aliena “fortezza della solitudine”: eterea quanto scollegata dal mondo, dalla classe dirigente come dalla meritocrazia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><i>The Holdovers</i> tra tragedia, ironia e autoironia si dipana armoniosamente lungo tutta la sua durata: senza momenti di stanchezza e spostando sempre l’attenzione narrativa più in alto, dai problemi dello studio a quelli della famiglia, della scuola, del lavoro e della società tutta. Suggestioni sempre più articolate che arrivano a parlarci, anche grazie al personaggio della cuoca, di argomenti ancora attuali come la guerra in Vietnam, che ancora aleggia come un fantasma nella coscienza collettiva. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Vengono sollevati temi come la salute mentale, si parla di fallimento, si parla di futuro negato. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Si parla e si affronta tutto con la giusta ironia e la giusta analisi, senza dare facili soluzioni ai problemi e anzi immergendo sempre più i nostri eroi in piccoli grandi casini che forse li faranno “crescere” o forse li convinceranno a mollare la presa e immaginarsi vite diverse. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È un film che diverte e fa riflettere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È un film che fa stare bene. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È un film che è un peccato lasciarsi sfuggire e che magari potrebbe presto aggiungersi a quei fil stagionali “da vedere a Natale”, nei prossimi anni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Tra <i>Una poltrona per due</i> e <i>La vita è meravigliosa</i>, alla ricerca del vero significato di “fratellanza”, pur a volte impossibile, che dovrebbe rappresentare il Natale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-size: large;"><span style="font-family: arial;">T</span><span style="font-family: arial;">alk0</span></span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-84560866046468878652024-01-29T20:13:00.001+01:002024-01-29T20:13:33.052+01:00One Life: la nostra recensione del film di James Hawes con protagonista Anthony Hopkins<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh22Z4nPLkUNvpenku-ZpRWGUYbCt_veHDvsp22dIxYdFxXR52Z1vbD6YwEixp99ZG_8gbCQZlIF-dJcr1xJllx2u-iN72iagrCCcuRJuICKAhhjhXrJy_nvm-EVkSXkWIJdHlTv8oj-tAwDfGRsTgsSlvkvgoRmwR3jgn3zTsyUbe5AbCld2k1GI6GvNA/s1280/coverlg.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh22Z4nPLkUNvpenku-ZpRWGUYbCt_veHDvsp22dIxYdFxXR52Z1vbD6YwEixp99ZG_8gbCQZlIF-dJcr1xJllx2u-iN72iagrCCcuRJuICKAhhjhXrJy_nvm-EVkSXkWIJdHlTv8oj-tAwDfGRsTgsSlvkvgoRmwR3jgn3zTsyUbe5AbCld2k1GI6GvNA/w400-h225/coverlg.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Nel 1988 un lord inglese settantenne che per tutta la sua vita si è dedicato alla beneficenza, Sir Nicholas Winton (Anthony Hopkins), si trova a dover sgomberare il suo vecchio ufficio per un trasloco, quando gli capita tra le mani un suo vecchio quaderno pieno di foto, documenti e ritagli di giornale, relativo al periodo in cui aveva lavorato per la BCRC (British Committee for Refugees from Czechoslovakia). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">L’uomo, conscio dell’importante valore storico del plico, cerca di portarlo all’attenzione della stampa e delle associazioni, ma trova solo porte chiuse e indifferenza: è roba di oltre un secolo che non importa più a nessuno. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Fino a che, molto titubante, decide di rivolgersi a uno show tv della BBC dal titolo That's life!: un People show condotto dall'annunciatrice Esther Rantzen. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Mentre si avvicina sempre di più la data dell’incontro con la produzione, iniziano a riaffiorare ricordi di molti anni prima. Quando Winton era solito aspettare alla stazione di Londra dei convogli carichi di bambini, con il timore mal celato che potessero infine non arrivare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Siamo nel 1938. Siamo alla vigilia invasione dell’Austria e dello scoppio della seconda guerra mondiale. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Winton ha 29 anni (interpretato da Johnny Flynn) ed è un agente di cambio di Londra finito un giorno per lavoro in Cecoslovacchia, dove viene presto a contatto con la dura realtà degli esuli da Praga: un piccolo popolo in fuga, spaventato e denutrito, che cerca riparo come può tra fienili e sottoscala di fortuna, nella speranza di potersi spingere un giorno sempre più lontani e presto fuggire dall’arrivo dei nazisti. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Ma come possono i bambini, specie se denutriti o rimasti soli, continuare quella fuga infinita? </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">La famiglia di Winton è di origine erbaica e dalla Germania è fuggita anni prima in direzione dell’Inghilterra, dove la madre Babette si è convertita alla chiesa inglese. Sono più che benestanti, hanno risorse e molti agganci politici: Winton decide di provare a salvare almeno i bambini di Praga. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Tutti quelli che può. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Inizia con la BCRC un lavoro infinito di documentazioni, richieste di asilo per profughi, proposte di affidamento dei bambini a famiglie inglesi a mezzo stampa, mediazioni tra rabbini ed ecclesiastici. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">È tutta burocrazia e spesso per ungerla serve tempo, dissuasione e compensi extra, ma è così efficace da lanciare dei ponti insperati. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Mentre Winton lavora con la diplomazia, gli altri della BCRC in Cecoslovacchia allestiscono rifugi provvisori, spediscono foto, preparano convogli ferroviari con i bambini cercando di non dividere i fratelli dalle sorelle: con la promessa e la speranza che un giorno genitori e figli possano incontrarsi di nuovo, a fine conflitto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">I treni partono e arrivano, i bambini cambiano nome per sicurezza e trovano nuove case. Ma è una corsa contro il tempo. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">I controlli alla frontiera si fanno sempre più difficili. I volontari vengono in parte fermati o dispersi. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">Il sogno di Winton di rivedere al Londra una ragazzina che aveva incontrato per strada nel suo primo viaggio, di cui conserva solo una foto, inizia a sembrare impossibile. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Gli anni passano e la BBC inizia una serie di puntante con protagonista proprio la storia di Winton. L’uomo si sente un po’ fuori luogo, è molto giù di morale, ma accade qualcosa. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">A un certo punto tra il pubblico iniziano a farsi largo verso il settantenne alcuni dei bambini a cui l’uomo è riuscito a salvare la vita. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnlz1H76KvTuFuv-b_J75CZ17qZ-URwl5nWVK56Bna90owZ1QDVBa80PrDPzbawPCd61yQtT_iXr49yCy178TTn9eFWicVD3dzBkR1TmHIw5dBTbhA-osF3kVN7utCi9Rp0CQPIvzfPzZz9NPVl0QZ2H__6SSogP8ExJpvPUXmVmIBEbIyYqPuGkTP5b8/s1200/1703337046-one-life-1.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="1200" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnlz1H76KvTuFuv-b_J75CZ17qZ-URwl5nWVK56Bna90owZ1QDVBa80PrDPzbawPCd61yQtT_iXr49yCy178TTn9eFWicVD3dzBkR1TmHIw5dBTbhA-osF3kVN7utCi9Rp0CQPIvzfPzZz9NPVl0QZ2H__6SSogP8ExJpvPUXmVmIBEbIyYqPuGkTP5b8/w400-h300/1703337046-one-life-1.jpeg" width="400" /></a></div><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Il britannico James Hawes, regista televisivo di show come <i>Doctor Who</i>, <i>Penny Dreadful,</i> <i>Black Mirror</i> e <i>Snowpiecer</i>, debutta al lungometraggio con questo docu-film basato su <i>If it’s not impossible…the live of Sir Nicholas Winton</i>, libro scritto da Barbara Winton, sceneggiato dalla Lucinda Coxon di <i>The danish girl </i>e da Nick Drake. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">È una storia di coraggio e di amore che punta dritto a smuovere la commozione del pubblico, piena di bambini e treni da attendere con apprensione a fianco del nostro protagonista “da giovane”, oppure con il cuore costantemente in gola per non essere riuscito a fare mai abbastanza del nostro protagonista in versione più anziana. </span><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: large;">La verità, tra passato e presente, piano piano collima e va a ricostruisti fino a un parte finale davvero commovente quanto garbata, quasi sussurrata nella sua sua forza dirompente. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Virtualmente e brevemente si susseguono scene che il cinema ha più volte raccontato con pellicole come <i>Schindler’s List</i>,<i> Il pianista</i>, <i>Il bambino con il pigiama a righe</i>, ma il punto di vista di Hawes rimane sempre sul “peso della distanza”, sul senso dell’impotenza e dell’ineluttabilità che ha afflitto gran parte del mondo in quell’epoca, proprio a partire da quei “patti impossibili” che hanno visto tutte le grandi potenze piegarsi davanti a Hitler, cercando un segno se non di clemenza “di buon senso”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">In <i>One Life</i> il conflitto armato è solo un “dopo”, la storia parla piuttosto degli ultimi fili possibili della diplomazia prima che tutto si spezzasse ricacciando il mondo nella seconda grande guerra. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Un filo di speranza che ha portato i suoi frutti e che è forse in certe parti del mondo oggi debolmente ancora attuabile. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK8JOo7KqvEnX179FbVm9rERolz6Pr6ojU_X-NJcJ8WU4YB6HrECmaxDHa6YT-C-hKYaieIxLuDTeSwFTRaDWeoBQCkUquWuIpod8HQOEhAr-JU6lXZyjybo-Wvi-hLl-KnrGtvsMJ4qfH_8nUjjshW2kfyj_8Ex3nND9PPllPvAiAihtEWI75-c3pZnk/s1000/one-life-7.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="666" data-original-width="1000" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK8JOo7KqvEnX179FbVm9rERolz6Pr6ojU_X-NJcJ8WU4YB6HrECmaxDHa6YT-C-hKYaieIxLuDTeSwFTRaDWeoBQCkUquWuIpod8HQOEhAr-JU6lXZyjybo-Wvi-hLl-KnrGtvsMJ4qfH_8nUjjshW2kfyj_8Ex3nND9PPllPvAiAihtEWI75-c3pZnk/w400-h266/one-life-7.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Hawes racconta l’eroismo civile e un po’ schivo di Sir Winton grazie alla gamba costantemente agitante e lo sguardo preoccupato di Flynn che aspetta il treno dei bambini guardando l’orologio.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Grazie allo spaesamento e al fare sconfitto di Hopkins che va in cerca di qualcuno per cui la sua storia è stata importante, quando nel 1988 era ancora inconsueto parlare di quel periodo della Storia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Il ritmo narrativo è lento ma mai immobile. La messa in scena ordinata e molto attenta alla ricostruzione di ogni passaggio tecnico che ha permesso certosinamente il salvataggio dei bambini. Le interpretazioni di tutto il cast sono sempre convincenti, le scenografie e la fotografia riescono bene a trasmettere il clima di angoscia e “claustrofobia” dei piccoli rifugi dei bambini. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Pur nella sua costruzioni semplice tra passato e presente e nel suo taglio quasi minimale, <i>One Life</i> è una pellicola molto potente a livello simbolico, ancora fortemente necessaria per raccontare le storie di persone che hanno saputo creare con l’altruismo dei ponti con il futuro. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #134f5c; font-family: arial; font-size: medium;">Un film che può essere di ispirazione. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-36167286138904610612024-01-25T19:36:00.002+01:002024-01-25T19:36:19.948+01:00 Wonder: White Bird - la nostra recensione del nuovo film di Marc Forster tratto dall’universo letterario di R.J.Palacio<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWd4jw_uks5loF4m57jpQBdgD8MiHEEeJ9IHr-p1NjuqQ_xEAY3N-K09F886S4Gwqi-6jugGPwdYRW2KJh6tyzcDRkRgmE4PqY-9ngDSR7qVA_3cGEdQtS6-j7MYnbMOAyfn8YEF-OiTXRDNtqL4ckzJtch6PscLAjR4YSVhc_1UW87UZrNPFCwBVeCEo/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWd4jw_uks5loF4m57jpQBdgD8MiHEEeJ9IHr-p1NjuqQ_xEAY3N-K09F886S4Gwqi-6jugGPwdYRW2KJh6tyzcDRkRgmE4PqY-9ngDSR7qVA_3cGEdQtS6-j7MYnbMOAyfn8YEF-OiTXRDNtqL4ckzJtch6PscLAjR4YSVhc_1UW87UZrNPFCwBVeCEo/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">America dei giorni nostri. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Il giovane e affascinante Julian (Bryce Gheisar) è irrimediabilmente un bullo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Non contento di come sono andate male le cose nella vecchia scuola cittadina (eventi raccontati in Wonder nel 2017), il ragazzino sembra essere tornato a perseguitare gli studenti più deboli anche nel nuovo istituto, debitamente supportato da un nuovo piccolo branco. Anche se ora si trova in un collegio blasonato di New York in cui tutti indossano una uniforme, la musica non è cambiata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Sembra essere più forte di lui il desiderio di schiacciare chi è diverso e in genere più debole: quasi una missione volta a costruire un mondo unicamente pieno di persone belle e felici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Con i genitori che non riescono in nessun modo a intervenire efficacemente per modificare il carattere di Julian, una sera decide di occuparsene personalmente la nonna francese (Helen Mirren), la sua “grandmere” Sara, una famosa artista in visita in America per partecipare a un importante evento pubblico come ospite d’onore. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">La nonna racconta a Julian di quando era piccola (l’attrice che la interpreta è Ariella Glaser) e viveva in Francia, dove frequentava anche lei, in una città meravigliosa circondata da un bosco come nelle favole, una scuola blasonata piena di studenti bellissimi in uniforme. Una scuola perfetta in un posto perfetto, rovinata solo dalla presenza di un ragazzino brutto e zoppo, figlio e saltuario aiutante del responsabile del locale sistema fognario. Per il suo modo di camminare claudicante e a scatti, per l’aria dimessa, la schiena sempre abbassata e per il fatto di essere il più povero e insignificante della scuola, il ragazzo veniva chiamato da tutti in un modo disumanizzante: “il granchio” (Orlando Schwerdt). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Il granchio non piaceva a nessuno e nessuno si fermava anche solo a guardarlo, come comportasse una sorta di maledizione. Gli unici che erano attivi nel tenerlo in considerazione, almeno per deriderlo e pestarlo, erano i bulletti locali, capitanati dal biondo e affascinante Vincent (Jem Matthews). </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">Sara aveva una vera passione per Vincent, i cui lineamenti era quasi principeschi. Spesso amava ritrarlo a matita nel suo quaderno da disegno, insieme a mille schizzi sulla natura e gli animali che destavano sempre molta ammirazione tra studenti e professori. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Vincent amava vedere se stesso ritratto su quel quaderno e di conseguenza offriva svogliatamente qualche scampolo del suo tempo a Sara, che letteralmente pendeva da ogni suo cenno. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Le cose però cambiarono in fretta: quando in città arrivarono i nazisti e molti studenti, Vincent compreso, iniziarono a guardare Sara, i cui genitori erano ebrei, come se fosse una creatura non dissimile dal “granchio”. </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">I ragazzini più bravi nel collaborare al “nuovi corso”, come Vincent, ebbero dai nazisti divise nuove e armi per aiutarli attivamente nella caccia agli ebrei, stanandoli casa per casa grazie alla conoscenza diretta di ogni casa e granaio. </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">I ragazzini ebrei vennero per un po’ nascosti con i loro genitori dalla scuola e poi dai preti sulla torre, ma presto fu impossibile aiutarli senza subire conseguenze terribili. </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">Le razzie non tardarono e le famiglie furono disperse. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitPjedboQGX91-Jekz9p_TT5xECYqKuPQj_SZc7quTT47TVO6Vm0smOgI4-f1i7x9ByzzMKYZI3puXwDicQFzpVKh0yNF3oz6rCS1XIr9r9OWrgMPbPYIL1_6m84fzK-zpue_CwfCCCLnj5F_ym4KoZDqbMCPB90tWO2XeLb1AO_2IHuRGVTUWKQSzmV4/s900/169.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="430" data-original-width="900" height="191" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitPjedboQGX91-Jekz9p_TT5xECYqKuPQj_SZc7quTT47TVO6Vm0smOgI4-f1i7x9ByzzMKYZI3puXwDicQFzpVKh0yNF3oz6rCS1XIr9r9OWrgMPbPYIL1_6m84fzK-zpue_CwfCCCLnj5F_ym4KoZDqbMCPB90tWO2XeLb1AO_2IHuRGVTUWKQSzmV4/w400-h191/169.png" width="400" /></a></div><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Un giorno Sara si trovò del tutto sola. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">I nazisti la avrebbero presto uccisa o portata su un camion in un luogo sconosciuto. </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">Fu allora che il granchio portò Sara con sé tra i labirinti del sistema fognario e poi nel sottotetto riparato in un fienile isolato. </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">Sara si nascondeva di giorno e la sera il granchio le portava cibo e i compiti della scuola, che comunque aveva continuato la sua attività didattica nonostante i banchi vuoti e i professori ebrei ora sostituiti da nuovi professori. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Passarono giorni e giorni. Mesi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Sara diventava sempre più brava a disegnare, rispettava le regole di prudenza e aiutava il suo nuovo amico con i compiti.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Insieme la sera passavano molto tempo a giocare fantasticare sul futuro: sedendosi fianco a fianco su di un’auto mezza rotta e mezza coperta dal fieno, accendendo i fari e immaginando di essere al cinema. Un giorno il ragazzo portò nel granaio anche una pellicola comica e un piccolo proiettore. </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">Ma le cose erano destinate a cambiare di nuovo: Vincent e i suoi amici, come i lupi famelici che si diceva da secoli abitassero tra i boschi intorno alla città, stavano per scoprire il granaio. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTzlFYerZEgqPFUayWWdBLNyxwXrNEsiiWEZ94zZR3YZNsur28My9ybgkJwpQ2DNp8VABT9fQZKElKOsJvU5f6eKn6WeL3ONFU-XNIdFaEAQSFp_0mPWtWl0q7UlqRbeh9ealcgGryGt8mxTjKlt5xJptgpo_us96itOTyszCwddJz_EHq0aaqM92VFGU/s768/coverig.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="435" data-original-width="768" height="226" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTzlFYerZEgqPFUayWWdBLNyxwXrNEsiiWEZ94zZR3YZNsur28My9ybgkJwpQ2DNp8VABT9fQZKElKOsJvU5f6eKn6WeL3ONFU-XNIdFaEAQSFp_0mPWtWl0q7UlqRbeh9ealcgGryGt8mxTjKlt5xJptgpo_us96itOTyszCwddJz_EHq0aaqM92VFGU/w400-h226/coverig.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Marc Forster, regista di film drammatici come <i>Monster’s Ball</i>, film “biografici su autori di favole” come <i>Finding Neverland</i> e <i>Christopher Robin</i>, ma anche action come <i>007 Quantum of Solace</i> e <i>World War Z</i>, incontra i racconti della scrittrice R. J.Palacio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">La Palacio scrive per un pubblico molto giovane, ama giocare con i meccanismi della favola per raccontare storie anche piuttosto drammatiche e attuali, riserva una particolarmente cura nella costruzione di personaggi che pagina dopo pagina si fanno sempre più sfaccettat e “umanamente imperfetti”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Nella saga di <i>Wonder </i>più volte la Palacio con molto garbo cambia il punto di vista nella descrizione di una situazione specifica, facendoci percepire il racconto della prospettiva di un personaggio diverso e spesso in antitesi con l’iniziale protagonista. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Comprendiamo così come ognuno è in qualche misura “figlio” dei propri genitori quanto dell’ambiente in cui è vissuto, figlio delle sue frequentazioni e piccole ambizioni, figlio delle paure legate al suo inconscio: c’è sempre un piccolo mondo emotivo da decifrare con i pochi strumenti offerti dalla giovane età, dietro i piccoli eroi di Palacio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Il tema della “diversità” è spesso al centro di tutte le opere legate a <i>Wonder</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Palacio racconta che l’idea del primo libro le è venuta osservando la reazione di suo figlio al passaggio di una ragazzina con una deformità facciale: il bambino si è messo a piangere all’improvviso, senza nemmeno capire perché lo stesse facendo e forse ferendo involontariamente la persona che aveva davanti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Wonder </i>è diventata così un’opera che invitava ad andare oltre le apparenze, un’opera che potesse sollecitare tra i più piccoli il “muscolo” dell’empatia verso un personaggio esteticamente sfortunato come Auggie, ma che aiutasse al contempo a guardare in modo non banale le reazioni di chi lo circonda: il pubblico poteva riflettersi nel dolore ma anche nella cattiveria, nella superficialità come nella voglia sincera di conoscere chi ci è diverso. Questo invito a “mettersi nei panni” di persone diverse colpì molto i piccoli lettori della Palacio. Colpì al punto da chiedere loro stessi, tramite lettere e messaggi, che l’autrice scrivesse delle appendici di tutto il racconto con la prospettiva degli altri personaggi della storia: Julian, Charlotte e </span><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: large;">Christopher. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Non è un caso che dopo un libro dedicato a un bambino coma Auggie, con deformità facciali ma con una vita e un mondo interiore particolarmente ricchi e generosi, Palacio decise proprio di raccontare il punto di vista del suo “bullo personale”, Julian, andando a esplorare le aridità e contraddizioni, il “vuoto interiore” che possono nascondersi dietro il volto di un ragazzo esteriormente percepito come carino e a modo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Non abbiamo avuto una trasposizione cinematografica di <i>A Wonder Story: il libro di Julian</i>, anche se nella pellicola di Stephen Chbosky ci sono dei passaggi che in qualche modo riportano a quel testo, ma arriva a noi oggi questo <i>White Bird,</i> che costituisce un tassello essenziale del “diventare adulto” e forse meno bullo di Julian. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOPmCHpY6o59NMzc6mRsWZ9MSsck11moieD9Wt4GvE980z4av3M7MwqtHwEeFv6HRp5Qxaf2VkWmuKdGPLC0TQF3ApQAdGJqWRKmINtG-5dujCUshuHq-_TqZ787j4TVAza3YI3B69Q53MWucHTyu6Btg-d9EyW6-JAl6QCzZNC9ZDeHlHIOC_0kAkhY4/s1200/wonder-white-bird-1-1024x682-3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOPmCHpY6o59NMzc6mRsWZ9MSsck11moieD9Wt4GvE980z4av3M7MwqtHwEeFv6HRp5Qxaf2VkWmuKdGPLC0TQF3ApQAdGJqWRKmINtG-5dujCUshuHq-_TqZ787j4TVAza3YI3B69Q53MWucHTyu6Btg-d9EyW6-JAl6QCzZNC9ZDeHlHIOC_0kAkhY4/w400-h225/wonder-white-bird-1-1024x682-3.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;"><i>White Bird</i> ci dice che l’essere bulli è “genetico”, una triste circostanza legata all’essere umano. Tragicamente viviamo con la mente a “risparmio energetico”: dividiamo il mondo tra chi è simile a noi e chi percepiamo come diverso per etnia, politica, religione o fede calcistica. Chi è diverso è una minaccia anche solo perché mette in dubbio quelle tre certezze sul mondo che possediamo. La Palacio ci mostra una “bulla” le cui tre certezze sul mondo cambiano di colpo con l’arrivo del nazismo, trasformando lei stessa in bullizzata dall’oggi al domani, facendole subire un etichettamento repentino quanto crudele. Certo a monte c’è l’ideologia, la propaganda. C’è l’atteggiamento psicologico quasi bipolare di personaggi manipolati come Vincent, interpretato dal bravo Jem Matthews, che impugnano il fucile con un sorriso maligno ma con gli occhi che lacrimano. Sara vive per la prima volta nei panni di una persona odiata, ma forse per questo, oltre alla disperazione, riesce anche a sperimentare la solidarietà e la vicinanza di chi da sempre è considerato diverso. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Anche lo spettatore e in specie gli spettatori più piccoli, a cui l’opera è principalmente rivolta, sperimentano attraverso gli occhi di Sara questo spaesamento. Sono portarti a ragionare sulle dinamiche di branco dei giovani “soldati” quanto sulle strategie di attacco dei lupi che circondano e “proteggono” il piccolo mondo di Sara. Sono spinti a guardare al “granchio” sempre più in ragione delle qualità interiori, rispetto ai limiti estetici che lo caratterizzano. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Wonder White Bird </i>è un film nella struttura semplice, forse anche un po’ zuccherino per un pubblico più smaliziato e che certo non ambisce a raccontare la complessità del secondo conflitto mondiale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Ma al contempo è un film che riesce ad arrivare dritto al cuore degli spettatori più piccoli, aiutandoli a riflettere sulla insidiosa natura del male e su quanto è facile e veloce trovarsi dal giorno alla notte sulla barricata sbagliata della storia.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">Marc Forster dirige un gruppo di attori molto bravi e affiatati, rispettando bene nei ritmi e gestione dell’azione la struttura e l’atmosfera quasi favolistica dei lavori della Palacio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;">La fotografia di Matthias Koenigswieser è molto calda e contribuisce insieme alle musiche di Thomas Newman alla sensazione di farci vivere in un mondo sospeso. La sceneggiatura è stata adattata da Mark Bombjack, autore di recente per Matt Reeves delle ultime pellicole sul Pianeta delle scimmie, che qui riesce a trovare una giusta sintesi rispetto al testo originale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #0b5394; font-family: arial; font-size: medium;"><i>White Bird</i> è un piccolo film destinato a un pubblico giovane, ma in grado di suggerire alcuni spunti di riflessione importanti sulla Storia, sulla natura dell’odio e sul bullismo. Un film ideale da presentare alle scuole specie in questa settimana della memoria. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-27854419249407345192024-01-24T19:46:00.004+01:002024-01-24T19:46:31.755+01:00The miracle club: la nostra recensione dell’ ironico e malinconico film di Thaddeus O’Sullivan, con Laura Linney, Kathy Bates, Maggie Smith e Stephen Rea<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFdlVntwfzaUDGQ92snQzw7y-jVWZWHX_MYn3ckMLMaHey-nxqxbO8_iLnhpicO1DTlwGJP6WQjcusMx51e6Iajedp_1XxGsQPIqmr5EYSYyOlJdcUfivQC2_jdEf6QlKgqA3AATxQSSAGRfG31Tyo-IipOrNXQ69n_B-fB71plICHcOjHREOaCRJ0uoM/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFdlVntwfzaUDGQ92snQzw7y-jVWZWHX_MYn3ckMLMaHey-nxqxbO8_iLnhpicO1DTlwGJP6WQjcusMx51e6Iajedp_1XxGsQPIqmr5EYSYyOlJdcUfivQC2_jdEf6QlKgqA3AATxQSSAGRfG31Tyo-IipOrNXQ69n_B-fB71plICHcOjHREOaCRJ0uoM/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">La cinquantenne Chrissie (Laura Linney) torna nel peasino costiero della provincia inglese in cui è nata per la commemorazione della madre Moureen, solo che il taxi arriva tardi e la chiesa allestita per la rituale veglia è deserta. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Padre Dermot (Mark O’Halloran) la informa che tutti i fedeli si trovano nella sala parrocchiale per un “contest” atto a raccogliere i fondi per un pellegrinaggio a Lourdes. I fiori ornamentali per la funzione di sua madre sono stati offerti da Lilly Fox (Maggie Smith) e il funerale è stato molto partecipato da tutta la comunità. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Lilly, insieme a Eileen (Kathy Bates) e alla loro vicina di casa più giovane Dolly (Agnes O’Casey), partecipano in quel momento al contest con il loro gruppo gospel, “The miracles”, formato con quel nome perché ognuna di loro ha le sue buone ragioni per ottenere un miracolo dalla Vergine. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Lilly si è già riservata un biglietto per sé ma concorre per aiutare le amiche: spera di avere una soluzione per la sua gamba più corta, che la fa zoppicare con dolori lancinanti ormai da troppo tempo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">L’impegno è tanto, la coreografia e i costumi perfetti, la musica più che orecchiabile, ma la passione non basta.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Dopo la gara le tre non riescono a vincere il primo premio, per via di un ragazzino che cantava Elvis, lui sì in modo straordinario, ma Dolly, che cerca il miracolo per il figlio, non riesce a dire una singola parola da anni, riesce a ottenere proprio dal piccolo vincitore un posto per il pellegrinaggio. L’ultima del trio, Eileen, che invece spera in un miracolo per un brutto male che ha scoperto da poco, non trova al momento un biglietto, ma riuscirà a partire grazie al biglietto che era stato di Moureen e che la figlia Chrissie, sollecitata sull’argomento dal curato, decide di non utilizzare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il giorno della partenza arriva puntuale come il pullman noleggiato dalla curia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Nel paesino le tre donne sono il motore trainante delle rispettive famiglie, in assenza delle quali tutto, dalla cucina alla gestione dei figli e burocrazia, si ferma. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">La circostanza della loro imminente assenza, anche solo per una manciata di giorni, manda nel caos più totale i rispettivi e tutti in genere coccolatissimi mariti.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il marito di Eileen, Frank (Stephen Rea) proverà con serafico terrore a cucinare per la prima volta “di istinto”, coadiuvato dalla saggia primogenita Ruth (Hazel Doupe). </span><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;">Il giovane e aitante marito di Dolly (Mark McKenna), ma comunque un imbranato, ha minacciato di non volerla più a casa se lo lascia solo con i ragazzini per una sola ora, ma proverà a cavarsela malissimo con i pannolini dei due figli più piccoli. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Tom (Niall Buggy), il marito di Lilly, è così agitato che per distrarlo la moglie inventa una sporadica crisi idraulica domestica, che lo terrà impegnato almeno un paio di giorni. L’autobus parte ma all’improvviso davanti al veicolo si piazza Chrissie, la ragazza che aveva lasciato la città e quelle amiche anni prima, che decide anche lei di partecipare. C’è molto malumore per l’ultima arrivata, perché nel passato è successo qualcosa di tragico legato a lei che qualcuno del gruppo non ha mai dimenticato. Particolarmente teso è il rapporto tra Chrissie e Lilly, ma anche Eileen sembra non tollerare molto la presenza di questa “estranea”, rispuntata in paese solo dopo quarant’anni e dopo la morte della madre. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Riusciranno le donne a trovare il loro miracolo? Sui primi momenti pare di sì; quando vengono accolte nell’ordinata cittadina piena di spiritualità quanto di negozietti con souvenir a ogni angolo, dove tutto pare tutto perfetto. Ma con il passare delle ore la frustrazione, le aspettative e i dubbi, le difficili dinamiche del gruppo e la distanza da casa inizieranno ad affiorare e crescere, almeno fino a che qualcuno non troverà il coraggio di ricucire i rapporti guardare oltre al miracolo.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrJFij_ZsyufNnRvNZbN6fU-qdH8xeIjSWCZ-uv1nYQevar7RaE1g9cukHofnHSFQnY9cjSCI7A-ttDOBG__CTxw_UioEnS0B7Vt6gmHQsaEvFwJ5jSdUiDD0yqdpjJOU4uE4sZlqJ8xb_TdB7-ug5Z8atoCZQU5SEdJLvI5ub3F44xZF6V1i3SiThxTk/s1152/the-miracle-club_2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="648" data-original-width="1152" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrJFij_ZsyufNnRvNZbN6fU-qdH8xeIjSWCZ-uv1nYQevar7RaE1g9cukHofnHSFQnY9cjSCI7A-ttDOBG__CTxw_UioEnS0B7Vt6gmHQsaEvFwJ5jSdUiDD0yqdpjJOU4uE4sZlqJ8xb_TdB7-ug5Z8atoCZQU5SEdJLvI5ub3F44xZF6V1i3SiThxTk/w400-h225/the-miracle-club_2.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il regista televisivo di lungo corso Thaddeus O’Sullivan, attivo anche nel recente adattamento delle storie del commissario Maigret, scrive e dirige la più classica delle commedie malinconiche sui classici piccoli borghi della provincia inglese: un’opera che parla di famiglia e legami difficili, in un contesto a volte burbero ma che spesso “sotto la scorza dura”, risulta accogliente e quasi gentile, genuino: il perfetto archetipo di un mondo moderno “interiore” quasi universale, dove tutti riusciamo a immedesimarci. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Al centro della scena ci sono le piccole storie di quattro piccole “rivoluzionarie nei confronti del destino”, interpretate da splendide attrici che riescono a infondere nei rispettivi personaggi una gamma infinita di sfumature, giocando con le loro fragilità emotive, ma anche con la loro passione e il loro ardore.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Personaggi con una voglia di rivalsa che prende a volte la strada, con tanta ironia, di “una piccola lotta di classe” tutta al femminile, nei confronti di un “ruolo di casalinghe” che oggi appare ancora troppo rigido. Ma soprattutto quattro donne in ricerca di una rivalsa nei confronti di un “mondo spirituale” da tempo percepito come assente ingiustificato, specie in momenti di grande crisi. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIag7DCfgHajv8ClWtx6a2auGKh8mzd677v45TxFmup0SOs_ZG6nh0qvK9sC2yJa-wCbMMHj4gFPzYouYMUuMfCNQuWwBKrDy1MFRLRrAvZkL2ZwnWmpWc7me3Yrlk5nFT68XOEmg1g6cDf2qWtBNEn4XoG1TBlUiLYugDhe7tsHyP0K62-prTPqEPW7k/s1280/The-Miracle-Club-Think-Movies.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIag7DCfgHajv8ClWtx6a2auGKh8mzd677v45TxFmup0SOs_ZG6nh0qvK9sC2yJa-wCbMMHj4gFPzYouYMUuMfCNQuWwBKrDy1MFRLRrAvZkL2ZwnWmpWc7me3Yrlk5nFT68XOEmg1g6cDf2qWtBNEn4XoG1TBlUiLYugDhe7tsHyP0K62-prTPqEPW7k/w400-h225/The-Miracle-Club-Think-Movies.webp" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Uno spirituale che di colpo si presenta a qualcuna di loro forse frainteso o percepito bonariamente in “cattiva fede”: assimilato a una specie di elegante piazzista di sogni impossibili a cui aggrapparsi come ultima spiaggia, in base a delle “statistiche della soddisfazione dei clienti/miracolati” a tinte fosche. Diviene in questo senso tragico il ruolo della giovane mamma impersonata da Agnes O’Casey, mentre assume contorni tragicomici il ruolo del divertente personaggio di Katie Bates, che ama giocare spesso con i “dati sui miracoli”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il vero miracolo sembra poi magari risiedere nella possibilità “reale” di ricostruire dei rapporti, specie a partire dai presupposti più tragici. Un miracolo che sembra sfiorare all’inizio con poca convinzione le storie intrecciate dei personaggi della Linney e di Maggie Smith .</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il viaggio “parrocchiale on the road” delle quattro protagoniste, tra dolci ingenuità e autentico trasporto per qualcosa di nuovo e inatteso, si muove in diretta risonanza con le buffe traversie dei rispettivi mariti nel conservare come possono il rispettivo status quo e armonia familiare, con esiti anche spericolati. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">La cittadina francese e il suo fascino misterioso, tra le ritualità e le preghiere, rivestono poi nell’economia del racconti un ruolo ulteriore. Avevano già ammirato il tormento e l’estasi del piccolo mondo spirituale in <i>Lourdes</i>, il film del 2009 di Jessica Hausner che in tono aspro e quasi sarcastico smontava ogni aspetto della percezione esteriore da “fabbrica dei miracoli” di questi luoghi, ma che allo stesso tempo raccontava quasi a livello documentaristico la ritualità, la fede e la fiducia incondizionata nei lavaggi con l’acqua santa.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;"><i>The Miracle Club</i> a tratti torna a metterci in contatto con quell’approccio pratico e disincantato, ma trova nel personaggio del curato di paese una figura di guida bonaria e schietta, in grado di risolvere con raffinatezza e leggerezza anche i momenti di maggiore sconforto spirituale, rilanciando la comunità come vero motore di ogni tipo si cambiamento spirituale.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;"><i>The miracle club</i> si presenta come una pellicola dall’intreccio semplice ma non scontato, dotata di grande ironia e sentimento e valorizzata dalla buona interpretazione di tutto il cast coinvolto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">È un film pensato espressamente per un pubblico maturo di ultra cinquantenni e cerca sempre con garbo di trattare tanto i temi della quotidianità che della spiritualità.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Un’ottima pellicola per una visione pomeridiana, accompagnata magari da the e biscotti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-16689196296073742902024-01-23T19:54:00.000+01:002024-01-23T19:54:00.101+01:00 Foglie al vento (Fallen leaves): la nostra recensione del nuovo piccolo capolavoro, romantico e ironico, del regista finlandese Aki Kauriamaki<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFiVYNjKiuzik5nGH-XuNnc-iWoPo3DCO8F0Ki4fVsaoJX31pLudwRocvrT0JwMhw0caThyB4yrrQHUdizpOGwhjsx8mEHiO3FSgwacylL1ihyphenhyphenESTTKXsgZyjL23lrKy6NZSuEErRKtiVDSSXIWD1QxF8DCAhyphenhyphenZd1UbF_L2Qa2WU4OljOjdPAbfZ2C7fg/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFiVYNjKiuzik5nGH-XuNnc-iWoPo3DCO8F0Ki4fVsaoJX31pLudwRocvrT0JwMhw0caThyB4yrrQHUdizpOGwhjsx8mEHiO3FSgwacylL1ihyphenhyphenESTTKXsgZyjL23lrKy6NZSuEErRKtiVDSSXIWD1QxF8DCAhyphenhyphenZd1UbF_L2Qa2WU4OljOjdPAbfZ2C7fg/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Finlandia dei giorni nostri, con alla radio le notizie sempre più drammatiche sulla evoluzione del conflitto russo ucraino.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nei supermercati le persone riempiono i carrelli di tutti i generi di prima necessità in attesa di tempi difficili, nei bar si fuma e si beve molto, ovunque si respira cinismo e nervosismo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">C’è ovviamente poca voglia di parlare a Helsinki e spesso, nel silenzio, la voce interiore che anima i sogni e le passioni di ognuno è demandata alle parole delle canzoni popolari trasmesse in filodiffusione nei locali, sulle onde della radio della sala da pranzo, tra i microfoni e gli accordi stonati degli avventori del karaoke. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il signor Holappa (Jussi Vatanen), con nome di battesimo a tutti ignoto, è un uomo sulla quarantina dai capelli biondi, la barba di un paio di giorni e l’aria stanca. Sotto una specie di scafandro ignifugo lavora come saldatore, tutto il giorno, per una misera paga in un piccolo distretto industriale. Beve molto perché è depresso ed è depresso perché beve molto. Poca voglia di parlare ovviamente, se non che l’amico di cantiere che meno disprezza lo invita il venerdì sera al Karaoke. È poca la voglia di abbandonare il suo fumetto di Superman e la sua branda nel vagone/albergo dove riposano di operai del cantiere, ma con un po’ di buona volontà Holappa arriva al locale e scopre che il posto è carino e l’amico ha pure una meravigliosa voce da soprano/tenore (o quelle cose tecniche lì…). Canta bene e in più l’amico fa colpo su un paio di bionde sedute in un tavolo vicino a loro, una delle quali è davvero molto carina quanto purtroppo tremendamente timida (Alma Poysti). </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Gli sguardi di Holappa e della ragazza si incrociano e forse nasce qualcosa, anche se ancora faticano a guardarsi a lungo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">A fine serata la ragazza ritrova Holappa addormentato ubriaco sulla panchina in attesa del tram e colta dalla sicurezza di vederlo in uno stato di semi incoscienza decide di sfiorarlo: un po’ per sincerarsi che non sia morto, un po’ per regalargli una carezza. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">L’uomo rimane privo di sensi in tutto e per tutto, ma quando il tram con la ragazza si allontana apre gli occhi, la cerca, scopre di essere stato travolto da qualcosa di bello. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il destino li fa incontrare di nuovo davanti a un bar, dopo che il padrone del locale in cui la ragazza lavorava da poco come cameriera è stato arrestato per traffici loschi. La ragazza è la seconda volta che perde il lavoro nel giro di pochi giorni e per cause assurde. La volta precedente ha dovuto abbandonare il lavoro di commessa di un supermarket perché è stata trovata con indosso un panino scaduto, da un zelante custode un po’ impiccione. Il panino era stato da lei intascato per mangialo, al posto di essere distrutto nella spazzatura a fine turno: un crimine sanitario ai danni di se stessa. Senza panini scaduti, senza un euro e senza niente da perdere da un datore di lavoro ormai agli arresti, la ragazza si trova così a passare un po’ di tempo con Holappa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Vanno prima in un bar e poi in un cinema dove danno un film sugli zombie di Jarmush con Adam Driver e Bill Murray. Si scopre che non c’è niente che leghi al mondo come un film sugli zombie e l’ex cameriera decide di dare il suo numero al saldatore per un prossimo incontro.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Lei va via e lui tutto felice lo mette in tasca. Due secondi dopo, mentre estrae il pacchetto di sigarette dalla stessa tasca, il biglietto vola via, perduto per sempre, mentre ancora il saldatore gioisce per aver incontrato la donna della sua vita. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il giorno dopo, malinconico per la perdita del numero, il saldatore si ferisce sul lavoro. Arriva il medico e trovandogli nel sangue un alto tasso alcolico, per via della sua “depressione etilica” di cui sopra, parte il licenziamento. Holappa deve affacciarsi di nuovo sul mercato del lavoro. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Anche l’ex commessa ed ex barista è in cerca di lavoro e lo trova proprio in una fonderia come quelle lasciata da poco da Holappa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nei tempi liberi dalle ricerche di lavoro e successivi licenziamenti, i due innamorati grazie al film degli zombie continuano a cercarsi e rincorrersi al bar, al cinema, per luoghi e persone che forse hanno in comune. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ma è come se sempre all’ultimo momento non riescano mai nel loro intento, mentre da qualche radio arrivano canzoni popolari classiche e moderne finlandesi che “li capiscono”, che parlano della difficoltà di amare, della difficoltà di amare se stessi e della difficoltà di vivere in un posto così oppressivo che anche una volta che sei morto sei circondato dalle sbarre, quelle del cimitero. Riusciranno a incontrarsi di nuovo, i nostri due piccioncini, in questi “tempi moderni” spietati e un po’ cinici in cui nessuno in tutta la Finlandia sembra essere davvero felice?</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9cLMXhCsmViLJOYewsjHo4OrCMb0XHEJszbLaB-5wNLRt8Ge2waFghg4Z9FgM24ME5KBQbSwLQEQxQXoVLRDkSbNt0CVvvI0OToLuInzktHg-RNPF69S7yo_SAsyD2WI0Q_cSI_m4nUBLZ3a3TpgEqpeiZ32TL9T1AbNa7t_f-9M9Mygax9w7aLlxO1k/s1847/foglie_morte_kaurismaki_loc2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1039" data-original-width="1847" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9cLMXhCsmViLJOYewsjHo4OrCMb0XHEJszbLaB-5wNLRt8Ge2waFghg4Z9FgM24ME5KBQbSwLQEQxQXoVLRDkSbNt0CVvvI0OToLuInzktHg-RNPF69S7yo_SAsyD2WI0Q_cSI_m4nUBLZ3a3TpgEqpeiZ32TL9T1AbNa7t_f-9M9Mygax9w7aLlxO1k/w400-h225/foglie_morte_kaurismaki_loc2.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Torna nelle sale l’ironico e romantico Aki Kauriamaki, con un film come da tradizione ironico e romantico, girato nel quartiere di Kallio a Helsinki. Presentato come una ideale continuazione della trilogia composta da <i>Le ombre del paradiso</i> (1986), <i>Ariel </i>(del 1988) e <i>La Fiammiferaia</i> (del 1990), <i>Foglie al vento</i> ci parla quasi in contro tendenza a <i>Un colpo di Fortuna</i>, l’ultimo film di Woody Allen, descrivendoci un’umanità quasi sadicamente perennemente trafitta dalla sfortuna, nella ricerca un po’ svogliata ma titanica di equilibri precarissimi, con cui dialogare senza scontrarsi male con il mondo che la circonda. Un'umanità così contratta su se stessa da demandare ogni emozione alla possibilità di intercettare, come “antenne viventi” delle colonne sonore che riescano ad esprimere preconfezionatamente i suoi sentimenti. Una umanità rappresentata da una coppia per caso, amabilissima quanto male assortita, che colleziona stoicamente avventure sempre più strampalate, nella complicata missione di incontrarsi, anche solo per un minuto. Ci riesce a tratti, anche con l’aiuto di un parimenti eroico cagnolino, facendo lo slalom tra incidenti, angherie, fraintendimenti e vicoli ciechi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La narrazione è fluida, i tempi comici e romantici tutti perfetti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La fotografia è calda e solare, le scenografie sono gustosamente retrò nella costruzione di spazi che richiamano un mondo dal passato grandioso quanto spoglio, quasi post-industriale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il film perfetto per chi sa di avere un animo romantico “nonostante tutto”, in cui Kaurismaki cita se stesso nella sua versione meno disincantata ma ancora sognante, al contempo ispirandosi direttamente anche all’ultimo Jarmush, quello “più escapista possibile” nei confronti di un mondo così incomprensibile trova come unica arma di autodifesa solo l’autoironia.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Poi all’improvviso tutto si eleva, arrivano anche le citazioni a Chaplin e ci accorgiamo di colpo che con <i>Foglie al Vento</i> siamo davanti a una nuova versione di <i>Tempi Moderni</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un <i>Tempi Moderni</i> debitamente 2.0, “attualmente paranoico”, dove una radio che esprime i sentimenti dei protagonisti più volte passa dalle canzoni al radiogiornale e ai suoi bollettini di guerra. Ma anche un <i>Tempi Moderni </i>dove l’essenza pura ed eroicamente ingenua dei personaggi appare immutata, “in tragedia e in povertà”, permettendogli di affrontare a testa alta ingranaggi lavorativi e umani sempre più ciclici e senza uscita. Armati della sola grazia e ironia con cui sanno “incassare” dal proprio destino riuscendo a rialzarsi, i piccoli eroi romantici di Kaurismaki avanzano inesorabili e pieni di lividi verso una felicità impossibile. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il destino arriverà sempre come una mannaia ma potranno sempre immaginare di “fregarlo”, sottraendosi all’assurdo delle cose e ponendosi anzi spavaldamente al di fuori di ogni tipo di negatività. Resilienti come una barra d’acciaio che non si spezza pur se molto battuta, secondo leggi della siderurgia che oggi abbracciano anche la descrizione della tenacia dell’uomo davanti al dolore. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">80 minuti che volano e confortano, divertono e abbracciano. Forse una delle migliori pellicole di Kaurismaki, dove non c’è un solo elemento messo a caso, dove gli interpreti sono sempre strepitosi e dove dispiace davvero abbandonare la sala a fine visione, sottraendosi così a quella che a tutti gli effetti è una piccola magia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Una favola moderna sul disincanto dalle favole, da tenersi stretta nei momenti di maggiore sconforto come “pellicola salvavita”. La dimostrazione che Kaurismaki, pur giocando con temi, personaggi e luoghi a lui cari, riesce ancora come una volta a essere un magnifico e caldo narratore per immagini. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-30184250595472872952024-01-22T19:40:00.004+01:002024-01-22T19:40:18.097+01:00Perfect Days: la nostra recensione del nuovo film di Win Wenders in cui il regista tedesco, splendido settantenne, ci fa “ascoltare Ozu” al ritmo di Lou Reed, di Patty Smith, dei The Animals e di Nina Simone<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7tu68lFmhvPWeE1kOGGuKUj6Sk4I80vaYAyIzdNdPOZiJPhFNWUexXisP4oIApnZ7aQQdZJL4EwYt7GYDcn55IwOTdlyIm65eXXbIwywrzKcNsVrHprJiZ5tuvhGGsUo2U5Taf99pH87PWyFMZ643HmH2RKVvLp2OHp1B6Av6vdtw60nyYo3zd7HUVOw/s980/1-684-2-1-684-2-659bc975ccacc.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="735" data-original-width="980" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7tu68lFmhvPWeE1kOGGuKUj6Sk4I80vaYAyIzdNdPOZiJPhFNWUexXisP4oIApnZ7aQQdZJL4EwYt7GYDcn55IwOTdlyIm65eXXbIwywrzKcNsVrHprJiZ5tuvhGGsUo2U5Taf99pH87PWyFMZ643HmH2RKVvLp2OHp1B6Av6vdtw60nyYo3zd7HUVOw/w400-h300/1-684-2-1-684-2-659bc975ccacc.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Siamo nel Giappone dei giorni nostri, nel “Kingdom of the rising sun” per citare un noto brano dei The Animals che già nelle prime scene potremo riascoltare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Ci troviamo sotto il sole fin, dalla mattina presto, nel quartiere di Shibuya. </span><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;">Siamo all’ombra del progetto “Tokyo Toilet” del 2020, che ha elevato ad arte urbanistica molti bagni pubblici della capitale giapponese. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Ci sono bagni pubblici circondati da austeri muri di cemento verticali a balze, ma in perfetta armonia con i parchi naturali che li racchiudono secondo il Feng Shui. Ci sono bagni completamente in vetro, all’esterno trasparenti ma che una volta occupati, per preservare la privacy con la tecnologia, si oscurano con dei giochi di luci colorate. Ci sono bagni ricoperti di specchi che si nascondono tra le pareti delle reception di lussuosi hotel, ci sono bagni piccolissimi alle fermate del treno, ma che utilizzano il celebre “spruzzino giapponese” e la tavoletta riscaldata per contenere gli spazi e preservarne la comodità nell’uso.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Noi in Italia le opere di Piero Manzoni le conserviamo inscatolate, ma qui a Shibuya l’edilizia artistica prevede che i servizi siano sempre attuali, non confezionati, lindi e funzionali e per questo alle dirette cure di esperti della pulizia. Uomini che in guanti bianchi e perfette divise blu, con scritta in bianco “Tokyo Toilet Shibuya”, preservano questa singolare galleria urbanistica diffusa, che per la cultura giapponese è soprattutto simbolo di accoglienza e gentilezza nei confronti dei cittadini come di ogni visitatore. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Uomini che ogni tanto riportano anche bambini smarriti alle madri distratte, aiutano stranieri gaijin a districarsi con i comandi sanitaro/tecnologici, sovrintendono ai movimenti più eccentrici degli homeless e sanno rendere un bagno operativo in pochi secondi in caso di emergenza. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Il sessantenne, saggio e taciturno Hirayama (l’affascinante ed enigmatico Koji Yakusho, visto nel magnifico <i>13 Assassins</i> di Miike, in <i>Memorie di una Geisha</i> di Rob Marshall e in <i>Babel </i>di Inarritu) e il ventenne scapestrato Takashi (il buffo Tokyo Emoto, visto in <i>Outrage </i>con Kitano e nel fantascientifico <i>Cube </i>giapponese) sono due di questi operatori addetti alla preservazione dei luoghi, e non si risparmiano tra una “esposizione e l’altra”, con disinfettanti e spugne, fin dall’alba. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Le loro vite sono spesso accompagnate da una colonna sonora offerta dalle audiocassette con i classici della musica americana, gelosamente custodite da Hirayama per la sta autoradio “vintage” personale, nel furgone blu di ordinanza della ditta. </span><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;">Ritmi di lavoro con movimenti precisi e cadenzati, rituali di svago e convivialità che coinvolgono con pari rigore anche il tempo libero.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Ogni tanto però i due la sera si concedono indispensabili “vie di fuga”, sognando magari l’amore, tra piccoli bar notturni gestiti da moderne geishe mature come Mama (la attrice e cantante Sayuri Ishikawa) e locali con giovani hostess dai capelli colorati come Aya (Aoe Yamada). </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Come nei migliori film di Ozu i nostri eroi, e in particolare Hirayama, vivono nella quotidianità, sopravvivendo agli schemi che sempre più stringentemente </span><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;">la consumano. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrgQAtzm5qmWY9MfNHXKy4XwryQjEHgf_S_Uu-OEqrVRCgI_zhtCaZgbxJJ57VvT-l2g9bx7Fctix4WLDwb-f4YS4YWUKLGzwL6WjpsQPEpxDn-afHZouaL00LM4SqIV-RVsDwDRbmkCni4LK9nwMDw8Bs0u6XRwF7oagg6UEOv8rCPkKDJDziYY-MDhs/s1280/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrgQAtzm5qmWY9MfNHXKy4XwryQjEHgf_S_Uu-OEqrVRCgI_zhtCaZgbxJJ57VvT-l2g9bx7Fctix4WLDwb-f4YS4YWUKLGzwL6WjpsQPEpxDn-afHZouaL00LM4SqIV-RVsDwDRbmkCni4LK9nwMDw8Bs0u6XRwF7oagg6UEOv8rCPkKDJDziYY-MDhs/w400-h225/coverlg_home.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Hirayama ogni giorno è svegliato dal dolce suono di una scopa di saggina che pulisce il vialetto sotto casa sua. Ogni giorno si alza, ripone il libro che ha letto la sera precedente, offre l’acqua alle sue piantine, si lava, si veste con la tuta blu, raccoglie le monete sulla mensola, usa le monete per prendere al distributore sotto casa il caffè istantaneo “Boss”, accende l’auto e fa partire la sua musica. Guida verso la torre e arriva nelle molte tappe del suo lavoro, fa pausa pranzo in un parco vicino a un tempio dove ama scattare foto agli alberi. Va nel primo pomeriggio, giusto all’apertura, ai bagni termali pubblici, dove si immerge fino alla testa e poi vede un po’ di sumo in tv. Esce e va in un localino vicino alla metro dove può bere birra e parlare di baseball con gli avventori, poi arriva la sera e forse si può incontrare Mama, che forse canterà per lui dopo avergli preparato una scodella di ramen, accompagnata da un bicchiere ghiacciato. Poi torna a casa, legge un po’ un libro e si addormenta. Nei giorni festivi la routine cambia, ma il ritmo si fa subito sempre familiare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">La notte è invece inquieta, piena di strani sogni in bianco e nero da decodificare come puzzle esistenziali. </span><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;">Poi si ricomincia, ogni giorno, come in un infinito giorno della marmotta. Alla ricerca, con curiosità e voglia di lasciarsi stupire dagli eventi, di nuovi dettagli che rendano la quotidianità qualcosa di comunque unico, qualcosa di comunque sempre diverso. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Fino a che alcuni equilibri si inclineranno, eventi e incontri si sovrapporranno e forse, dai dettagli, emergerà anche la vera storia, il passato e quello che riserverà il futuro a Hirayama e al suo piccolo mondo. </span><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: large;">Quest’uomo e il suo socio vorranno davvero per tutta la vita continuare a pulire i bagni?</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnQz83oBgRxe8gHBj58739nX3_hh5Wga-Hw6oYWSq32wLKhu8304C_ZFVdNBCJY9MD8jzOsXdcPMlHGPY-5sUAZ7yiIKxK2J4GSOjWN_Mj2_gq4B3CQjUJ02RJ7bUlJS85ZoBn20mQXiei_fA_KufeYY4vRFDBsAMye1KApoIhDo0zpySK-7fKGdlgM20/s1200/perfect-days.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1200" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnQz83oBgRxe8gHBj58739nX3_hh5Wga-Hw6oYWSq32wLKhu8304C_ZFVdNBCJY9MD8jzOsXdcPMlHGPY-5sUAZ7yiIKxK2J4GSOjWN_Mj2_gq4B3CQjUJ02RJ7bUlJS85ZoBn20mQXiei_fA_KufeYY4vRFDBsAMye1KApoIhDo0zpySK-7fKGdlgM20/w400-h266/perfect-days.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Guardare le cose nei dettagli, scoprire il “senso della vita” dalle minuzie. È una lezione che ci è cara da <i>L’uomo dal fiore in bocca</i> di Pirandello quanto è componente essenziale del cinema fatto di ritualità e piccoli gesti di Ozu. Un Ozu citato, amato e più volte rincorso nella vita da un Win Wenders, che qui, in un atto di massimo amore e devozione, cerca quasi di segnare una sua personale continuità con il grande maestro nipponico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Ambienta a Tokyo, descrivendo una parabola umana fatta di gesti più che parole, visiva più che narrativa, in perfetta armocromia con il passare del tempo e delle stagioni. Se i personaggi sono in armonia con la natura anche se la musica, una favolosa musica “rock vintage” in gran parte di matrice americana, diventa un interessante e ulteriore viatico emotivo, dando corpo quasi ai flussi di coscienza che nuotano dentro ai personaggi. Ogni brano come ogni piccolo dettaglio visivo sbloccano un nuovo frammento emotivo e la storia procede quasi come un affascinante gioco enigmistico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">La sceneggiatura, scritta insieme a Takuma Takasaki, vede Wenders scegliere come nome del personaggio interpretato da Yakusho “Hirayama”, come il protagonista dell’ultimo film di Ozu, del 1962, <i>Il gusto del sakè</i>. Come ne <i>Il gusto del sakè</i> al centro della vicenda c’è nuovamente un mondo diviso tra vita notturna e quotidianità giornaliera, che Wenders si premura in una nota di descriverci come attinente a uno specifico stato d’animo descritto dalla filosofia orientate: il “komorebi”, il saper “guardare tra la luce e l’ombra”, come alla ricerca di un equilibrio tra conscio e inconscio. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Una ricerca interiore che presuppone una emotività “trattenuta”, quasi zen, che bene riesce a padroneggiare l’attore Yakusho. Il suo lavoro di sottrazione e mimica lo avvicinano molto ai personaggi di Ozu ma presenta anche per fisicità e “spensieratezza” de tratti alla Buster Keaton, da sempre un punto di riferimento “trans-culturale” seguito anche da Takashi Kitano. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Emoto di contro è esagitato in gesti e movimenti scomposti quasi in modo molesto, ma veste al meglio la maschera buffa tradizionale di molte commedie orientali, che qualcuno potrebbe pure scambiare con la comicità fisica e caricaturalmente infantile di molti personaggi di Herbert Ballerina. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Ozu e la filosofia orientale, insieme a paesaggi e personaggi di accurata e ricercata matrice nipponica, rivivono con assoluta spontaneità e naturalezza in un Wenders che non sembra affatto subire l’effetto “Lost in translation”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Perfect Days </i>è una piccola elegia, una perla sul “senso della vita” da scoprire visione dopo visione, legando i mille dettagli nuovi che ogni volta riaffiorano alla visione, offrendo un quadro sempre più vasto e ricco a livello emotivo. Molto bravi tutti gli interpreti, straordinaria la fotografia curata da Franz Lustig e bellissimi i brani scelti da Milena Fessmann. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #741b47; font-family: arial; font-size: medium;">Non perdete l’occasione di vederlo in sala e farvi travolgere dalla magia di questa pellicola. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-51209032420064135182024-01-18T19:52:00.000+01:002024-01-18T19:52:12.030+01:00 The beekeeper: la nostra recensione del nuovo film action di David Ayer con protagonista un Jason Statham nell’insolito ruolo di apicoltore<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMckochPbAaWX1JchSai2_hzZRKYqx7ccV7MVM7p8aI06o8iZ38wpVhWsxOzaq68Muw1WuTcdvGa4qojOEYe7jPSqwq1JPjzu-YBqIFXKujgs831KDZqTvBdVeZ3z-o0ObA8LavQO7V1a76_s_3TXaZYq1wqK3B_vkaoaXT22Khy2tSIQZ4XB1GKuYNzQ/s1280/the-beekeeper-trailer-italiano-del-thriller-dazione-con-protagonista-jason-statham.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMckochPbAaWX1JchSai2_hzZRKYqx7ccV7MVM7p8aI06o8iZ38wpVhWsxOzaq68Muw1WuTcdvGa4qojOEYe7jPSqwq1JPjzu-YBqIFXKujgs831KDZqTvBdVeZ3z-o0ObA8LavQO7V1a76_s_3TXaZYq1wqK3B_vkaoaXT22Khy2tSIQZ4XB1GKuYNzQ/w400-h225/the-beekeeper-trailer-italiano-del-thriller-dazione-con-protagonista-jason-statham.webp" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Nella assolata periferia di una Springfield dei giorni nostri, delle cattivissime vespe vanno all’attacco di un granaio nei pressi di una piccola villetta, ma ancora non hanno fatto i conti con Clay (Jason Statham) l’apicultore, il “beekeeper”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Clay è un uomo atletico sui quaranta, serio e appassionato, amante della frutta e dei prodotti a chilometro zero, discreto e affidabile, silenzioso e letale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Prende il suo lavoro molto sul serio, come se non solo il granaio ma tutto il mondo fosse un gigantesco alveare, da preservare dalle vespe e dalle api combattenti ribelli. Tutto perché il miele fluisca geometrico e ordinato come nelle arnie, nella grande armonia universale delle operose piccole creature già venerate dal popolo dei Maya.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Clay ha appena finito di lavorare per Mrs. Parker (Phylicia Rashad, la signora Robinson della serie tv anni ‘80), una simpatica signora di mezza età che si occupa della gestione di un fondo per i bambini malati. Clay sta preparando per lei personalmente, per riconoscenza, un vasetto di miele dorato purissimo e succulento, estratto dalle sue api personali. Clay nella sua onesta e proletaria camicia a quadri da uomo della strada fa filtrare il prezioso nettare nel vetro di un onesto vasetto, ma allo stesso tempo qualcun altro, dei giovinastri che vestono camicie hawaiane psichedeliche e si riempiono di Red Bull, in un edificio pieno di luci fluo, musica disco e aria di depravazione, stanno filtrando il gustoso nettare del fondo per i bambini malati da due milioni di dollari di Mrs.Parker, dal suo conto in banca direttamente sui conti fantasma delle Isole Cayman. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">La brava donna è stata fregata con la classica truffa online. Ha avuto una telefonata strana con un sedicente tecnico informatico che diceva la avrebbe aiutata a risolvere il blocco del suo pc senza cancellare l’hard disk e perdere per sempre le foto dei nipotini. Lei gli ha offerto tutte le password e dati personali che aveva in buona fede e i giovinastri truffaldini pieni di Red Bull hanno esultato. Hanno sorridendo girato i conti, hanno fatto la danza della vittoria, l’hanno lasciata così disperata che Mrs Parker si è sparata un colpo in testa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">È sera, Clay ritorna nella villetta con il vasetto munto dalle arnie, apre la porta socchiusa e trova la donna senza vita sulla poltrona. In un attimo alla tempia ha la pistola di ordinanza dalla figlia di lei, Verona (Emmy Raver-Lampman), agente dell’FBI, che ancora in lacrime sta cercando di capire che cavolo sia successo e non sa chi sia questo apicultore. </span><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: large;">In breve si scoprono i fatti, l’FBI indaga ma anche Clay fa qualcosa. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Fa una telefonata, a un numero misterioso al quale risponde gente che ne sa di più di FBI, CIA e NSA. Clay riceve un indirizzo e va a trovare i truffatori nel palazzone da ricchi fighetti dove gestiscono il loro call center truffaldino. È armato di taniche di benzina, detonatori, mani esperte nel combattimento corpo a corpo e una luna decisamente storta. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Mette fuori combattimento in un secondo le guardie sottopagate all’ingresso ed è già nell’attico, nella brutta copia della sala dei broker di <i>Wolf of Wall Street</i>, a far giurare i ragazzacci “con le cattive”: che non provino mai più a truffare le povere signore anziane un po’ boomer, se vogliono che non li ammazzi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Poi Clay fa uscire tutti, riduce il palazzone da 30 milioni di dollari a un posacenere e non si ferma, segue i soldi, cerca le altre vespe a cui arriva il miele della povera gente delle truffe online per estirparle con il fuoco. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Verona e il suo collega dell’FBI Wiley (Bobby Naderi) provano a seguire le stesse piste di Clay, ma l’uomo come Godzilla in cerca di vespe sempre più grosse abbatte un palazzo-alveare via l’altro, inizia a confrontarsi con mercenari, poi con ex navy Seals, poi con governative eminenze grigie (tra cui un luciferino Jeremy Irons). I due poliziotti sono inevitabilmente più lenti del beekeeper e presto si scontrano e impantanano con i dipartimenti dei piani più alti dell'amministrazione governativa, che pare puntino più a fermare Clay che a far smettere le truffe . </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Riuscirà l’apicoltore a eradicare ogni minaccia e preservare il grande alveare delle api operai e oneste americane? E cosa succederebbe se altri apicoltori, ugualmente armati ed addestrati, iniziassero a distruggere tutte le arnie per contrastarlo? </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQIS6jNS2Nky2pZWjGqVKNiwsXkw4GWstpeWUitPo19OUC8_a6Fsj9eYhWfuyU3HAxKZYmhpTDPiBeL0jvJL9QMJ2WCq9pRHH7BUYoNyC4eZUOIlU0JKqqf2JyY9_atk_3zC_hJimK_kjROfDPryvvQYx66xkgpcCHHn_8jKZm3SbDy_pDe-M6e1UG_3k/s1000/beekeeper-e1704898935465.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="549" data-original-width="1000" height="220" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQIS6jNS2Nky2pZWjGqVKNiwsXkw4GWstpeWUitPo19OUC8_a6Fsj9eYhWfuyU3HAxKZYmhpTDPiBeL0jvJL9QMJ2WCq9pRHH7BUYoNyC4eZUOIlU0JKqqf2JyY9_atk_3zC_hJimK_kjROfDPryvvQYx66xkgpcCHHn_8jKZm3SbDy_pDe-M6e1UG_3k/w400-h220/beekeeper-e1704898935465.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Il futuro del mondo è appeso inesorabilmente alle api e per citare l’Amleto di Shakespeare: “bee, or not to bee”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">È sintomatico e felicemente inatteso che in questo febbricitante mondo moderno, quasi violentemente ultra-tecnologico e sempre più “impersonale” nelle relazioni, la settima arte inizi a dedicare maggiore spazio a storie e personaggi sulla carta quasi in controtendenza: concreti, vecchio stampo, “analogici”. Il lato umano delle piccole professioni di una volta, quelle più a contatto con l’uomo e la natura, dove anche i sentimenti smettono di essere frizionati dalla virtualità a distanza e tornano a chilometro zero. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Le intelligenze artificiali probabilmente presto domineranno il mondo e lo distruggeranno quasi come profetizzato in <i>Terminator </i>da James Cameron, ma i “vecchi cari valori di una volta” (almeno in prospettiva escapistica) ci salveranno. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: large;">Torniamo quindi gioiosamente a parlare di coltivatori diretti e della loro “eredità morale e sociale”, come nel bellissimo <i>L’ultima luna di settembre</i> di Amarsaihan. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Torniamo a posare i riflettori sulla routine e il ricco senso della vita, quasi zen, di uomini che si occupano delle pulizie, in Estremo Oriente, come nell’ugualmente bellissimo <i>Perfect Days</i> di Wenders. E infine, pur iperbolicamente, eccoci a parlare di apicoltori come in questa nuova pellicola di David Ayer, regista e autore sarcasticamente (ma pure in parte ingiustamente) mandato “ad arare i campi” dalla critica, dopo il suo terribile <i>Suicide Squad</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Il buon David, che prima del “crollo cinefumettistico” in curriculum aveva comunque anche scritto l’urbano <i>Training Day</i> di Fuqua e diretto il bellissimo film bellico sui carristi <i>Fury</i>, con Pitt, ha preso in parola l’invito di dedicarsi alla coltivazione diretta, ha ingaggiato un attore dai lineamenti fieri e solenni scolpiti nella working class inglese quasi “alla Ken Loach”, come Jason Statham, ha deciso di confezionare un film sugli apicoltori.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Certo “super apicoltori”, un po’ alla John Wick, ma comunque apicoltori sempre, produttori diretti attivi in una ideale proloco tra le valli, onesti, concreti e a contatto diretto e rispettoso della natura e dei suoi abitanti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Il contrario e in contrapposizione con i lavori “legati alla tecnologia”, di tizi truffaldini che non invitati ti chiamano a casa a ora di cena (da non confondersi con i tizi non truffaldini che ti chiamano a casa a ora di cena), propongono contratti che suonano come robe strane, chiedono dati sensibili anche se gli siamo sconosciuti e ci fanno sentire a ragione sempre sul punto di essere fregati. Insomma: grazie ad Ayer i boomer non sono più soli e anzi possono prendersi, con i risvolti di trama di questo <i>Beekeeper</i>, delle oneste ed escapiste “soddisfazioni distruttive”, quasi a livello del <i>Giorno di Ordinaria Follia</i> di Joel Schumacher. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqjECdRLSk9uMuQdPCEeXIJrjd27by_AVx5nEyIPB-NYmT8IkPvvxJjfDKrH862Xr93Vk9fgIPshn-yzd4IhlPeLxRsfRM2dZ_nj-HG6w6BlgNG74hQ_FLhH7SEB_KkaA2agzy83FGZLyXrsvzU_yI0cJaOZeFxp4NimPJMeJJPveuuWWID5qtoReRX4o/s1600/the-beekeeper-streaming.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="1600" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqjECdRLSk9uMuQdPCEeXIJrjd27by_AVx5nEyIPB-NYmT8IkPvvxJjfDKrH862Xr93Vk9fgIPshn-yzd4IhlPeLxRsfRM2dZ_nj-HG6w6BlgNG74hQ_FLhH7SEB_KkaA2agzy83FGZLyXrsvzU_yI0cJaOZeFxp4NimPJMeJJPveuuWWID5qtoReRX4o/w400-h225/the-beekeeper-streaming.webp" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">E siccome “qui una volta era tutta campagna” e “si stava meglio quando si stava peggio”, Ayer si lancia spericolato in una pellicola “liberatoria”, per i fan delle sparatorie e i botti quasi “orgiastica”, super ritmata, dissacrante, per un volta non troppo lunga (sui 95 minuti) e “goduriosa” dall’inizio alla fine. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">A patto che la visione venga affrontata con la necessaria leggerezza propria di un roboante mega-action un po’ retrò, senza pensare di essere capitati nella sala dove proiettano<i> Cento Domeniche</i> con Antonio Albanese. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Una elegia action/filosofica in salsa <i>Death Wish </i>(la saga da noi nota come <i>Il giustiziere della notte</i>” e relativi epigoni), in cui con genio ci viene spiegato che in fondo l’apicoltore, debitamente super addestrato e dotato di armi e rifugi segreti come Batman, “serio e onesto“, può capire, per sua esperienza lavorativa personale con i piccoli insetti industriosi, pure come funziona tutto un organigramma partorito per le truffe internazionali online. Può affrontarlo e smantellarlo con la stessa maestria con cui lavora con le arnie nel quotidiano, seguendo “strategie da alveare”, debitamente implementate da arti marziali, esplosivi, pallottole e un miele dorato dall’uso inedito, più infiammabile della benzina. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Un super vendicatore con l’appeal del vicino di casa e vicino parente del <i>Punisher </i>di Garth Ennis, “risolutivo una volta per tutte”, alla faccia della guardia di finanza, della cyber polizia e del giornalismo investigativo alla Report. Uno che va giù a muso duro, per il bene della povera ma dolcissima vecchietta vicina di casa truffata dai messaggini di internet, facendo saltare per aria tutti i cattivi riuniti nel loro classico palazzo dei cattivi, e poi nei palazzi dei cattivi “successivi” e sempre più altolocati. </span><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: large;">In una lunga, elaborata e infinita vendetta, coreografica quanto divertente. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Una vendetta che raddrizza tutti i torti e forse didatticamente, tra le righe, insegna a qualche interessato qualcosa di apicoltura, grazie a citazioni dirette del “manuale degli apicoltori”, che nelle sarcastiche mani del divertente personaggio di Verona da testo facoltativo della scuola di agraria assume quasi i connotati dei dieci comandamenti biblici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Il film di Ayer gestisce questo uso didattico collaterale con sublime puntualità è leggerezza, alla maniera in cui Predator <i>Prey</i> di Disney si preoccupava tra uno sbudellamento e l’altro di fornirci un saggio sulla lingua e sugli usi e costumi degli indiani d’America. Può sempre servire e se qualcuno in futuro lavorerà ad un’arnia potrà sempre dire che lo ha fatto su ispirazione di Jason Statham. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Un film bucolico ma belligerante come questo, contro il logorio dei tempi moderni in cui dei truffaldini call center, diviene il miglior inizio action possibile per il 2024, anche perché tra i suoi realizzatori ci sono persone che l’action lo sanno fare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Scivolone di <i>Suicide Squad</i> a parte, Ayer è esperto nel rappresentare con gusto ogni tipo di scena che presenti al suo interno sparatorie ed inseguimenti e qui gioca tantissimo con la leggerezza delle pellicole anni ‘80. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">La sceneggiatura è firmata da Kurt Wimmer, autore di <i>Equilibrium</i>, <i>Salt </i>e del recente <i>Mercenari 4</i> e applica su Statham una visione dell’eroe volutamente e ludicamente “esagerata oltre ogni limite”, andando oltre le assurdità di un <i>Commando</i> con Schwarzenegger dritto verso le super assurdità di un <i>Invasion USA</i> con Chuck Norris. Il <i>Beekeeper </i>è una creatura quasi onnipotente a cui tutto è permesso come una specie di deus ex machina. Ci sono a controbilanciare chili e chili di ironia in ogni frangente e dialogo, la “seriosità” delle situazioni e istituzioni rappresentate è perennemente messa alla berlina e l’intera macchina cinematografica di muove “a uso ridere” con una ingenuità quasi commovente. </span><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Anche </span><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: large;">Statham, ormai avvezzo ai ruoli da Chuck Norris, per i quali sfoggia il suo sempre più irresistibile sguardo bieco quasi annoiato, si diverte un mondo nel ruolo del suo ennesimo “vendicatore invincibile con attitudini da salvatore dell’universo” ed è nuovamente, grazie anche al suo rinomato fisico con massa grassa a zero, una garanzia di atleticità ed efficacia nelle tantissime e variegate scene di azione, supportate e valorizzate anche da un gruppo di atleti che come coordinatore degli stunt hanno una leggenda, con trent’anni di esperienza dell’action, come Eddie J.Fernandez. Un Fernandez, attivo anche in <i>Captain America Winter Soldier</i>, che qui gioca più volte a immergere Statham in coreografie movimentate dall’uso di mille armi, travestimenti e un uso creativo degli spazi, volte a ricreare atmosfere vicine al noto videogame <i>Hit-Man</i> di Eidos. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiui2Ogj5s9pdiLfWzMwDCMo5Pz45ZDGCLEQpggh-LhnzumOtTiEUKY7BGJshjPjETYL5fPbOZoUUNPXxY9TuBB-oMDX8Vq6_AW6PiFd2d4q-LZ2X0Jj45yNlU8IuqYFFXrbLImfBy7oiGNQfpI_rQOoLI4nlTG5c0A91Lvx6iH9UK-EVyb4CmrvIAbNjU/s780/imm4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="780" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiui2Ogj5s9pdiLfWzMwDCMo5Pz45ZDGCLEQpggh-LhnzumOtTiEUKY7BGJshjPjETYL5fPbOZoUUNPXxY9TuBB-oMDX8Vq6_AW6PiFd2d4q-LZ2X0Jj45yNlU8IuqYFFXrbLImfBy7oiGNQfpI_rQOoLI4nlTG5c0A91Lvx6iH9UK-EVyb4CmrvIAbNjU/w400-h225/imm4.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">La colonna sonora è curata da Jared Michael Fry sugli stessi toni marziali/militari del suo lavoro per <i>Wolf Warrior 2</i>. La fotografia è di Gabriel Beristain ed è vicina per colori accesi ed effetti particellari ai suoi lavori più “fumettistici” come <i>Black Widow</i> e <i>The Strain</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;"><i>The beekeeper</i> è intrattenimento escapista al 100%, condito con tanta ironia ed esageratissime scene d’azione, che tra inseguimenti e conflitti all’arma, più o meno bianca o più o meno “dolce” (il miele qui è letale anche se non siete intolleranti al glucosio), mettono in luce il rinomato e giustamente celebrato talento fisico di Statham quanto le attitudini ginniche di un piccolo esercito di stunt-men ben addestrati. Puro divertimento da gustare a cervello spento, sullo schermo più grande del multisala, carichi di popcorn, per una serata in cui non si vuole pensare a nulla di diverso dal vedere qualche mazzata più o meno esagerata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Una buona occasione per rilanciare il mestiere dell’ apicoltore come una delle cose più fighe sulla Terra.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Un’ottima occasione per “vendicarsi catarticamente” dei mille truffatori virtuali con cui ogni giorno siamo sempre più in contatto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: arial; font-size: medium;">Non si ruba il miele alle api operaie!!! “Bee or not to bee”…</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-81478250367576919962024-01-16T19:20:00.000+01:002024-01-16T19:20:00.235+01:00 Viaggio in Giappone (Sidonie au Japon): la nostra recensione del solare e malinconico road movie di Elisa Girard con protagonista Isabelle Huppert<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgS9aFu1XTLdLFVRsXM8IgnGaM31fKrHzpaoXEnXlOuf7FQvnVquoDFLTiAsx09kxcWL2CVtuPRzHWkHVElP7GMgSqibsIMF_0SaAuqFYGNq1-X_oEYYavsQbsDWmpkz5efK7aZztzjbDhS96gW9e5wqWjFIr5HgvH4GJgyKsuTF9JVHuaKoHqC636emks/s1920/Viaggio-in-Giappone-2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1166" data-original-width="1920" height="243" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgS9aFu1XTLdLFVRsXM8IgnGaM31fKrHzpaoXEnXlOuf7FQvnVquoDFLTiAsx09kxcWL2CVtuPRzHWkHVElP7GMgSqibsIMF_0SaAuqFYGNq1-X_oEYYavsQbsDWmpkz5efK7aZztzjbDhS96gW9e5wqWjFIr5HgvH4GJgyKsuTF9JVHuaKoHqC636emks/w400-h243/Viaggio-in-Giappone-2.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il Giappone può apparire come un luogo singolare e misterioso per moltissimi occidentali, pieno di usanze e scenari unici quanto incomprensibili, a volte inimmaginabili se non del tutto alieni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Una terra ultra moderna e rumorosa, ma che sa essere anche silenziosa e contemplativa, alla continua ricerca di un equilibrio con la natura e il trascendente, dove spesso i sentimenti in pubblico devono essere trattenuti per “troppo pudore”, ma dove al contempo non appare strana la sensazione di sentirsi circondato da spiriti che non scompaiono mai, stanno sempre “al fianco dei loro cari”, in comunicazione, quasi come ombre gentili. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><i>L’ombre portee</i>, L’ombra proiettata, è anche il titolo del romanzo d’esordio della scrittrice francese Sidonie Perceval (Isabelle Huppert) e sta per fare il suo esordio in Giappone, con annesso tour promozionale alla presenza dell'autrice, grazie al volere di un piccolo editore di nome Kenzo (Tsuyoshi Ihara), che proprio dietro le “ombre del libro” sente di ritrovare qualcosa di familiare, vicino anche a livello inconscio alla spiritualità orientale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Sidonie fin dall’arrivo all’aeroporto di Kyoto si sente invece spaesatissima e un po’ confusa. È felice ma un po’ titubante all’idea di trovarsi per quasi un mese in una terra affascinante ma che continuamente “le sfugge”, accompagnata personalmente, quasi passo dopo passo, da Kyoto a Tokyo, da un Kenzo che quasi da solo, un po’ bodyguard, un po’ facchino e un po’ confidente, un po’ come “la sua ombra”, sembra voler stare al suo fianco nelle librerie, agli incontri stampa, nei ristoranti, nei luoghi turistici e anche sul posto affianco durante i lunghi viaggi in taxi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">I pernottamenti avvengono invece in stanze rigorosamente separate, di piccoli hotel all’occidentale o di pittoreschi alberghetti a condizione familiare tutti in legno e pareti mobili, dove trovare qualcuno che parla inglese sarà comunque complicato. Ma è proprio in questi luoghi di riposo tra un firmacopie e un incontro con la stampa locale che, all’improvviso, inizia ad apparire a Sidonie una ulteriore ombra. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È suo marito Antoine (August Diehl) e appare ogni giorno sorridente, sereno e gentile in un elegante abito bianco. Sembra conoscere tutte le tappe dell’itinerario promozionale e automaticamente si fa trovare in stanza tutto per lei, che in genere reagisce chiedendo di cambiare stanza o albergo a inservienti che non la capiscono. Ogni tanto riesce a dribblarlo, ogni tanto decide di passare la serata con lui parlando del loro passato e scherzando un po’. Poi Antoine decide di sedersi pure in taxi, tra Sidonie e Kenzo, e giunge così il momento che la scrittrice parli al suo editore seriamente: del fatto che da quando si trova in Giappone è perseguitata dal fantasma del suo scomparso marito. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Kenzo le dice ovviamente che è tutto normale, è una cosa “tipicamente giapponese” di cui non bisogna spaventarsi. Così Sidonie accetta di vedere ancora intorno a sé Antonie, anche se in fondo è la sola a vederlo, mentre il marito sposta oggetti e muove porte del tutto invisibile agli altri, ma “come accettato” dagli altri. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Con il passare dei giorni Antonie diventa però sempre più trasparente, nella misura in cui l’amicizia e forse l’affetto di Kenzo nei suoi confronti stanno iniziando a crescere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Sidonie è in fondo una donna ancora molto piacente, spiritosa anche se un po’ spaesata, mentre Kenzo è un uomo taciturno ma sincero, affascinante e protettivo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Se la scrittrice Sidonie a ogni incontro con la stampa continua a ripetere che scrivere è il suo solo modo di sopravvivere, in un mondo di solitudine, piano piano la donna sta iniziando invece a esplorare sentimenti nuovi, accompagnata da ombre di cui ha sempre meno paura.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5BN7o6TUn8b9lrV5Sy74WLsr06Q51OjnN8OFvURJ-ZwoAfrRkTNZoyKuIG4riE7w8OkttqNhvb6QNCg3AwuQQzS_ccX75kt7aYViQKxmqn3AeSflEIK_p7TYmLXOP-2DJRVzT3wJ1XEsw_Dj5PlmjVPa_fgJ5h8G5TvENIw4BV376NFJ3axYfuE7hlSc/s1763/Sidonie-au-Japon-recensione.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1763" height="245" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5BN7o6TUn8b9lrV5Sy74WLsr06Q51OjnN8OFvURJ-ZwoAfrRkTNZoyKuIG4riE7w8OkttqNhvb6QNCg3AwuQQzS_ccX75kt7aYViQKxmqn3AeSflEIK_p7TYmLXOP-2DJRVzT3wJ1XEsw_Dj5PlmjVPa_fgJ5h8G5TvENIw4BV376NFJ3axYfuE7hlSc/w400-h245/Sidonie-au-Japon-recensione.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">L’autrice di quell’interessante e poetico <i>Belleville-Tokyo</i> del 2010, Elisa Girard, torna in terra d’Oriente e dirige e scrive, insieme a Maud Amelie, la sceneggiatrice di <i>Passeggeri della notte</i>, un film molto tenero, romantico e malinconico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È un film sulle seconde occasioni e sull'esplorazione del mondo come buon catalizzatore delle emozioni, che in parte funziona come <i>Mangia, Prega, Ama</i> di Ryan Murphy con Julia Roberts, mettendo al centro della scena una sperduta Huppert che non ha oggi ancora nulla da invidiare alla sua collega americana per charme, sensualità e personalità. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">È un film per chi ama o vorrebbe visitare il Giappone, che offre visivamente una cartolina bellissima e piena di tanti colori e suggestioni del paese del Sol Levante. Ci sono i palazzi antichi e i giardini di Kyoto, c’è il Mare Interno, le terme, i templi, lo Shinkansen, i ciliegi a Tokyo e gli “spettri” di Hiroshima. Ci sono le usanze “strane” come gli inchini continui e la cortesia quasi estrema (c’è una gag ricorrente con gli albergatori che cercano sempre di prendere alla protagonista la sua personale borsetta rossa, in mondo quasi equivoco), c’è l’amore per la spiritualità e il silenzio, la malinconia dei bar notturni, la complessità nell’instaurare una conversazione impersonale che trasforma ogni tentativo quasi in un lungo balletto di convenevoli e ritualità, che ci riporta anche al “neoplatonismo” di Wong Kar-wai. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Tutto da manuale, tutto da <i>Lost in translation</i>, per citare il celebre film di Sofia Coppola, ma tutto onestamente autentico, descritto da un'autrice attenta ed appassionata che già nel 2010 dimostrava tanto impegno e amore nel raccontare gli “incontri possibili” tra l’Occidente e questo strano quanto unico mondo asiatico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Viaggio in Giappone</i> offre poi un anche un viaggio interiore sull’elaborazione del lutto e si interroga sulle conseguenze della possibile ricostruzione di un amore in età avanzata. Questo avviene grazie anche all'indiscussa bravura dei due interpreti “comprimari”, il divertente Diehl e il riservato Ihara, sempre capaci di caricare ogni scena con la Huppert di momenti di dolcezza, ironia e complicità, ma anche grazie a una trama che, quasi riducendo all’essenziale i concetti, riesce a fare un uso non banale anche della spiritualità, (si rimanda ai manuali di filosofia orientale per chi è interessato, ma intanto si stimola qui la curiosità di farlo) sapendola astutamente alleggerire ogni tanto con qualche “battuta di spirito”. Più che il <i>Ghost </i>di Swayze, la Girard quando ha a che fare con il ‘mondo fantasmatico” sembra avvicinarsi di più alle atmosfere dell’<i>Asso</i> di Celentano diretto da Castellano e Pipolo e la soluzione convince, andando a raccontare lo stato di fragilità della protagonista con il giusto disincanto, ma anche con quell’ironia che è in grado di proteggerla dalle derive più malinconiche. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg19MvfRlRG5w5cYwt-sa6EHF0C75LnajkKB5EsDJnZ06dxqXfLPLtFKl_QzQ1k6yRoaNMA42iD8hMYfahi2OeDBs9AgHG7JXWlr1kZdDLWkzuYu-1N5OHNQthcgK6HGfl-uinYAtlZ_56G88WFv45k6kVerYo2BSdYeW-Pp-dpEhm8HnvAgpN2Jgjg7TQ/s1152/sidonie-au-japon_4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="648" data-original-width="1152" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg19MvfRlRG5w5cYwt-sa6EHF0C75LnajkKB5EsDJnZ06dxqXfLPLtFKl_QzQ1k6yRoaNMA42iD8hMYfahi2OeDBs9AgHG7JXWlr1kZdDLWkzuYu-1N5OHNQthcgK6HGfl-uinYAtlZ_56G88WFv45k6kVerYo2BSdYeW-Pp-dpEhm8HnvAgpN2Jgjg7TQ/w400-h225/sidonie-au-japon_4.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Il film di Elisa Girard è una pellicola solare, romantica e divertente, che sembra costruita per farci venire voglia di prendere oggi stesso un biglietto per il Sol Levante. Molto bravi gli interpreti, bellissimi i paesaggi, riuscita una trama che pur nella sua linearità e semplicità costruisce un racconto interessante che tra le righe ci parla anche di spiritualità e relazioni umane in modo non banale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Astenersi chi non in cerca di una storia romantica con al centro personaggi maturi e complessi, che nonostante l’ironia comunque mettono in gioco anche vissuti dolorosi.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Si astenga anche chi non sopporta il Giappone in genere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #990000; font-family: arial; font-size: medium;">Per tutti gli altri buona visione al cinema, nella sala più grande, portando inevitabilmente i fazzoletti.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-15121724117434910672024-01-12T19:38:00.004+01:002024-01-12T19:39:18.891+01:00 Il ragazzo e l’airone (“E voi come vivrete?”): la nostra recensione del nuovo film di Hayao Miyazaki <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQJWlHumqwgoWSIxIF821h1T6h4IJR5t_iFP3DSmQTE7Lch_SzPv5LeGae5SJvEJZGq_BRiXh-NnxgXe1IXiOGRSXnYTBS8Rg83bX05MgkZlUvq54r0AxSC_LiQHR_jtjNDIumbBKChSOJi0CPcgV15-OGh5ODnZLAPo6XS18nrzh9DvhZ4Fj2QQqqEJk/s2560/RagazzoAirone.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="2560" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQJWlHumqwgoWSIxIF821h1T6h4IJR5t_iFP3DSmQTE7Lch_SzPv5LeGae5SJvEJZGq_BRiXh-NnxgXe1IXiOGRSXnYTBS8Rg83bX05MgkZlUvq54r0AxSC_LiQHR_jtjNDIumbBKChSOJi0CPcgV15-OGh5ODnZLAPo6XS18nrzh9DvhZ4Fj2QQqqEJk/w400-h225/RagazzoAirone.webp" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ci troviamo in Giappone, mentre soffiano ancora i venti di guerra del secondo conflitto mondiale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La vita di un ragazzo magrolino e taciturno cambia di colpo quando brucia l’ospedale in cui lavorava la madre. Il fuoco lo scorge da casa, da lontano, di notte, dopo essere stato svegliato nel suo letto dalle grida. La corsa verso l’edificio ancora in pigiama, tra le strade della cittadina gremite di gente avvolta nel caos è vana. Tra il sogno e la realtà il ragazzo immagina la mamma disciogliersi nel fuoco e diventare una fenice. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La vita del ragazzo per volere del padre si sposta in un altro luogo e un’altra città, all’interno di una struttura enorme e piena di servitori, un autentico palazzo di un'epoca passata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Una nuova vita, una nuova donna che lui fatica a chiamare “madre”, una nuova piccola casetta su due piani tutta per lui in un'appendice del complesso, da poter vivere anche in solitudine, e un airone. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">L’airone è una creatura maestosa ma anche malefica che lo pedina, lo spaventa, appare all’improvviso in ogni frangente della sua giornata. Ha occhi cattivi e denti stranamente umani che costantemente esibisce mentre lo carica, spesso in picchiata, forse cercando di ucciderlo. Attacca quando il giovane si attarda nei pressi del laghetto della villa in cerca di pace. Si fa vivo nei momenti di maggiore tensione emotiva. Urla. Con le sue zampe lo sveglia in piena notte ticchettando sul tetto sopra il suo letto, rubandogli il sonno. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il ragazzo detesta la sua strana nuova vita, un padre sempre più assente che sembra occuparsi solo della produzione di aerei da guerra, non vuole arricchire la sua vita con nuovi amici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un giorno torna dalla nuova scuola e sembra a tutti che sia stato pestato alla testa dai suoi nuovi compagni di classe. Rimane a letto per giorni, anche accudito amorevolmente da quella donna che non riesce a chiamare “mamma”, fino a che la sua guerra personale contro l’airone arriva al culmine e focalizza tutte le sue pene. La creatura lo spinge a costruire arco e frecce per contrastarlo, lo trascina in una strana torre nascosta finora per lui coperta dalla vegetazione e da enormi alberi secolari. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtrg7y9mOfit-rt4VCkN8zZ1Zl_iL2dzGtihQ3bLwToJOkNYEXqE4HYVvp-OzHylP8U1qW_2zZhjuXhZpBxE_9HGbZ0yhA70K1RoLmA3xW_Sb5jn-dQmEvClQ_LXxnJFE9MnYLq6NrrcAQxfmzk9c1TULmlmZJp8Jn2cM6-hYEKWn6VghZz9pDlg0S78A/s1000/Il-Ragazzo-e-lairone.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="1000" height="215" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtrg7y9mOfit-rt4VCkN8zZ1Zl_iL2dzGtihQ3bLwToJOkNYEXqE4HYVvp-OzHylP8U1qW_2zZhjuXhZpBxE_9HGbZ0yhA70K1RoLmA3xW_Sb5jn-dQmEvClQ_LXxnJFE9MnYLq6NrrcAQxfmzk9c1TULmlmZJp8Jn2cM6-hYEKWn6VghZz9pDlg0S78A/w400-h215/Il-Ragazzo-e-lairone.webp" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La torre è quasi aliena, sembra essere caduta dal cielo ed edificata esternamente solo in seguito come quella di un castello. Tra infiniti corridoi e locali misteriosi, libri antichi, simboli runici e strani ammennicoli, il luogo all’interno nasconde l’immenso laboratorio di un alchimista, un avo della sua nuova “mamma”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="color: #38761d; font-family: arial;">L’airone ama entrare ed uscire dalle finestre della torre: forse l’unico modo per accedere alla struttura e forse il passaggio che tiene nascosto il segreto della natura ibrida, quasi umana se non demoniaca, dell’imponente uccello. </span><span style="color: #38761d; font-family: arial;">Ma c’è di più: dentro la torre potrebbe trovarsi l’accesso per un intero nuovo mondo. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un mondo diverso dal mondo reale che il ragazzo sempre più ripugna e non vuole più frequentare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un mondo che, rivela parlando la lingua umana l’airone, potrebbe permettergli di incontrare di nuovo la sua madre defunta. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un mondo dove creature leggendarie come le fenici possono forse volare ed essere immortali. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPpM959myJSGlT1ydzQetl3_YBDOoltipU-1uAwQY8jp7_EYJh8FB02d6UGJoM2y8gBhLfPtwQcIslwjd5LE9-mrKeqZuRIehsyscHycC_mYvJZ_yFwydJUhbybht9d_yKHmfEs5mis8SiH5XoRJVHtYCj0zsQnrzskA-uXp6L7HUSIxp62eJbLQTByfE/s1024/titolo-01_mm29.1024.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="576" data-original-width="1024" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPpM959myJSGlT1ydzQetl3_YBDOoltipU-1uAwQY8jp7_EYJh8FB02d6UGJoM2y8gBhLfPtwQcIslwjd5LE9-mrKeqZuRIehsyscHycC_mYvJZ_yFwydJUhbybht9d_yKHmfEs5mis8SiH5XoRJVHtYCj0zsQnrzskA-uXp6L7HUSIxp62eJbLQTByfE/w400-h225/titolo-01_mm29.1024.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Il ragazzo e l’airone</i> è il film con cui lo studio “Ghibli” rinasce e dimostra di poter rinascere ancora mille volte, come una fenice. Dopo la morte del co-fondatore Isao Takahata (che per qualcuno in certi tratti ricorda il personaggio dell’airone...), i fallimenti commerciali, i licenziamenti e le scissioni, i documentari celebrativi di “un passato che fu” e i tanti necrologi a quella che è stata la punta di diamante dell'animazione giapponese, molti dei principali artisti dello studio sono tornati, proprio per questa pellicola. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Alcuni erano andati a fondare Ponoc, alcuni erano finiti nella “nuova Gainax” alla corte di Anno, altri per un certo lasso di tempo hanno fatto altro o si sono dedicati al museo Ghibli, ma dal 2017 la magia è ripartita e ha permesso di arrivare a questo piccolo grande inaspettato miracolo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">In quasi tre ore di pellicola c’è tutto lo studio Ghibli, dalla guerra di <i>Una tomba per le lucciole</i> alla nostalgia di <i>Totoro</i>, dalle maledizioni fisiche di<i> Porco Rosso</i> alle carlinghe di <i>Si alza il vento</i>, da strutture antiche che sembrano uscire da <i>La città incantata</i> alle vecchiette di <i>Arietty</i>. C’è tutto e c’è molto di nuovo, un intero universo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Alla guida del “vento” c’è ancora Hayao Miyazaki, un vecchietto che nonostante lo ripeta dai tempi di <i>Princess Mononoke</i> è ancora combattivissimo e non è ancora intenzionato ad abbandonare i pennelli smettendo di regalarci sogni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Per un attimo, dopo quel <i>Si alza il vento</i> che non voleva fare e gli è stato commissionato a forza, pensavamo che l’abbandono fosse reale, ce lo aveva fatto credere per davvero. Ma poco dopo, a partire dal piccolo cortometraggio sul bruco destinato al museo Ghibli, l’artista si è sperimentato per la prima volta con la computer grafica scoprendo infiniti nuovi stimoli.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">La grande fiamma creativa del papà di <i>Totoro </i>e <i>Nausicaa </i>doveva tornare a bruciare e per affrontare questa nuova sfida Miyazaki ha voluto di nuovo intorno a sè i suoi compagni di viaggio, tanti animatori come anche lo storico musicista Joe Hisashi, senza dimenticarsi del figlio Goro, con il quale si è rappacificato dopo tanti anni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Questa volta ci troviamo davanti a uno dei più grossi, complessi e profondi lavori del Ghibli. Qualcosa di fortemente autobiografico e drammatico, che porta alla luce i grandi rimpianti e irrisolti della vita della vita di Miyazaki. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRPp4289C2Q-8Lb6XhJpCmQQEklv9kSDGCbKdLZq1zKnDE65LNQkxOAVhU9I6bqh0Vw-VS4uEGZ36tw5Rp9rF90fPl7XIJxki7xg2i_1RUN3uYXa3kYl8lOgAKBNzQgm0X5Qk4ZEZpnokXbFysoPmb0HKlLGLIhBrhh27vBujhjqVtpM0P2LSULuYcfi0/s1024/Il-ragazzo-e-lairone-trailer-scaled-1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="1024" height="188" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRPp4289C2Q-8Lb6XhJpCmQQEklv9kSDGCbKdLZq1zKnDE65LNQkxOAVhU9I6bqh0Vw-VS4uEGZ36tw5Rp9rF90fPl7XIJxki7xg2i_1RUN3uYXa3kYl8lOgAKBNzQgm0X5Qk4ZEZpnokXbFysoPmb0HKlLGLIhBrhh27vBujhjqVtpM0P2LSULuYcfi0/w400-h188/Il-ragazzo-e-lairone-trailer-scaled-1.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">L’autore ha certo messo dentro spesso molto di se stesso, in tutte le sue opere. In <i>Totoro </i>ha raccontato attraverso la favola il terribile lutto dovuto alla scomparsa di sua madre mentre era ancora bambino, e qui ha voluto che la protagonista fosse una bambina per sentire non troppo forte il suo personale disagio emotivo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">In <i>Porco Rosso</i> ma anche in <i>Howl </i>ha raccontato i rimpianti di una vita dedicata troppo al lavoro e quasi zero alla sua intimità, immaginandosi come un “soldato maledetto”, che per poter “essere libero come l’aria” è stato costretto dalla guerra e dalla società anche a uccidere sotto bandiere che non condivideva. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ha spesso raccontato del suo amore per gli ingranaggi, la tecnologia e gli aerei, laddove i genitori di Miyazaki hanno costruito in parte gli Zero dei kamikaze con la loro piccola azienda familiare. Ha spesso messo questa tecnologia, specie quando unita alla smania di potere e distruzione di pochi tiranni, davanti alla sua intrinseca pericolosità e capacità di mettere in ginocchio l’equilibrio tra uomo e natura, in opere come <i>Nausicaa</i>, <i>Si alza il vento</i> e <i>Mononoke</i>. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ha spesso messo al centro dei suoi lavori dei bambini nel loro momento di passaggio più doloroso, dell’innocenza all’età adulta, più volte rivissuto in pellicole come <i>Kiki consegne a domicilio</i>, <i>Laputa</i>, <i>Ponyo</i> e <i>Conan il ragazzo del futuro</i>, cercando di guidare e ispirare con le gesta di questi piccoli eroi le generazioni future, anche perché lui ha sempre pensato di essere cresciuto troppo in fretta, bruciando troppe tappe. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Tuttavia salvo il caso di <i>Porco Rosso</i>, in cui lo stesso autore aveva dichiarato anche pubblicamente di essersi esposto troppo, essersi “messo troppo a nudo” nei suoi sentimenti all’interno di un racconto che forse era troppo personale per le masse, tradendo “nell’ottica giapponese” la “commerciabilità” dell’opera, le storie di Miyazaki hanno spesso cercato di racchiudere le emozioni dell’autore in modo trasversale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nascoste negli aspetti più intimi legati alla caratterizzazione dei singoli personaggi, tra la verticalità di ambientazioni costruzione quasi ossessiva nei mille dettagli simili a torri di Babele, in scenari e veicoli che dove non sfidano le leggi di gravità spingono la scena a prendere direttamente il volo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un immaginario visivo ed emotivo a servizio di trasposizioni più o meno libere di opere originali di ampio respiro, tenendosi sempre lontani, anche per un particolare senso della riservatezza giapponese, dall’ autobiografia più esposta. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un afflato autobiografico che invece ritorna fortissimo e quasi dirompente in questo suo ultimo lavoro, proprio andando a sfidare in modo progressivamente sempre più gargantuesco e bizantino, quasi dadaista, emozioni e scenari. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il vissuto del protagonista è enorme e ingestibile, quasi fino a spingerlo alla follia. Il mondo che gravità all’interno della villa è gigantesco e così dettagliato per personaggi, ruoli, spiritualità e contesti sociali quasi al punto da risultare indefinito. Il mondo nel mondo all’interno della torre e poi il mondo del “portale” sono ancora più ricchi di dettagli, tra il magico e il fantascientifico, disegnando ulteriori aspetti che vanno dal sociologico allo spirituale fino al culinario. Altri luoghi, personaggi, culture e colture, disposte in sterminate regioni dell’immaginario legate a mille suggestioni storiche e narrative reali o di natura psicanalitica. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il ragazzo protagonista della storia che non vuole più vedere il mondo reale, con la guerra e il lutto ancora pesanti nello stomaco, prende parte e in parte contribuisce a creare con le sue azioni questi mondi di confine tra reale e sogno, fino quasi a rimanervi invischiato e dimenticarsi di far parte del mondo reale. Questo idealmente avviene in parallelo con “il ragazzo Miyazaki” che in passato, per fuggire al lutto e al dolore della vita di tutti i giorni, si è rinchiuso sempre più nel mondo dell’animazione, dove è stato spesso paragonato dai collaboratori a un despota, edificando al suo interno tanti piccoli mondi dai contorti artistici quasi faraonici, intimi quanto sommersi da infiniti ingranaggi, labirinti, strutture e creature sulle quali vagare e planare a volo di uccello, magari sospinti da un aliante, da un caccia Zero o da un idrovolante. Percorsi visivi ma anche emotivi in cui la storia del protagonista in molti momenti appare davvero fortemente intrecciata nel profondo con la vita personale di Miyazaki, entrando in risonanza e dialogo. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9kwERW5vbqBB910ycGrqzZl8xE8Pm2EjYPHdkV1DqXisypFFUpQUZ4_h2Q64lQX024AUyPFY6gYDbfckb7Gtt9mb6WAQw074B0ROOnWfp1sn0_GgUOsDegtbVnoaxgYz5S5SkhkOPGqEx1gX8hkbSQ-LTPMr4FaznOmV1sG6e4f02vlag7L-24wetzSc/s1200/ragazzo-e-airone-trailer-ita.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1200" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9kwERW5vbqBB910ycGrqzZl8xE8Pm2EjYPHdkV1DqXisypFFUpQUZ4_h2Q64lQX024AUyPFY6gYDbfckb7Gtt9mb6WAQw074B0ROOnWfp1sn0_GgUOsDegtbVnoaxgYz5S5SkhkOPGqEx1gX8hkbSQ-LTPMr4FaznOmV1sG6e4f02vlag7L-24wetzSc/w400-h266/ragazzo-e-airone-trailer-ita.jpg" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il titolo originale dell’opera è <i>E voi come vivrete?</i> e all’interno di metafore solo apparentemente complesse svela, con disarmante onestà e autocritica, i mille congegni emotivi che negli anni hanno guidato e ossessionato la vita del grande autore. Congegni che ora Miyazaki guarda da uomo di 83 anni e in qualche modo cerca di far comprendere al Miyazaki bambino “psicanaliticamente sepolto” dentro di lui , il protagonista della storia. Un giovane protagonista a cui girare la domanda: “e tu come vivrai in futuro, rispetto a me?”. È qui, nel dialogo tra l’anziano costruttore di infiniti mondi di fantasia e il ragazzino che per evitare il lutto della madre si è rinchiuso nella fantasia, iniziano a percorrere le medesime strade escapiste, che <i>Il ragazzo e l’airone</i> si fa grande tragedia esistenziale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Perché non c’è ritorno oltre al rimpianto, se non una infinita fuga in mondi sempre più complessi quanto artificiali, inutilmente arzigogolati e presto in evitabile collisione con il piano del reale, se il tutto non viene supportato o tenuto insieme da complessissimi equilibrismi. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Però se per il “Miyazaki adulto” non è possibile tornare indietro, per un giovane che si trova ora nelle sue stesse condizioni emotive di quando era bambino, (magari idealmente anche un nuovo autore affermato di cartoni animati del futuro, ma non solo), è possibile prendere scelte diverse. Ma per guidarlo in questa direzione Miyazaki deve prima sbattergli in faccia tutta la complessità emotiva e visiva frutto del suo percorso artistico grandioso e del suo percorso personale, umanamente tra luci e ombre, anche nelle vesti più nefaste e distruttive.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Non c’è eroismo in questa strana narrativo/simbolica, piuttosto dolore e rimpianto, un incubo quasi “ dickensiano”. Anche la colonna sonora di Joe Hisashi è diversa, contratta, malinconica, più vicina ai lavori realizzati dal compositore per Takeshi Kitano che all’epica di <i>Mononoke </i>o <i>Laputa</i>.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><i>Il ragazzo e l’airone</i> forse può per il pubblico più giovane essere scambiato per un film come <i>Mononoke </i>o <i>Laputa</i>, pieno di inseguimenti, magia, strani personaggi e mondi paralleli distanti quanto intimamente “umani” e ricchi di quel calore inconfondibile di ogni opera dello studio Ghibli. Ci si può divertire, nonostante tutto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Tuttavia un adulto, che ha magari conosciuto tutto il percorso artistico e magari anche umano dell’autore giapponese, deve prepararsi a riempire di lacrime i fazzoletti. <i>Il ragazzo e l’airone </i>diventa piano piano un’opera con il sapore di un addio, un‘opera in cui il suo realizzatore ha condensato dentro in tre ore tanta di quella roba che non ci sarebbe stata neanche in 10 film, come se avesse l’urgenza di completare un quadro che domani potrebbe non avere più la forza di realizzare. Se nel film <i>La casa dei 1000 corpi</i> Rob Zombie ha voluto mettere dentro almeno 5 film insieme perché era la sua opera prima e aveva paura che nessuno gli avrebbe mai più dato i fondi per farne una seconda, qui ci troviamo nel caso inverso, appiccicati allo schermo, ad assistere all’ultima grande fiammata di una leggenda. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Una leggenda che tra le righe dice anche a noi fan della animazione (ma ci metterei pure i fan dei fumetti e storie fantasy), qualche volta urlandocelo, che il bello della vita non è solo racchiuso nei bellissimi mondi dell’animazione giapponese: il bello è soprattutto “là fuori”, tra gli aironi veri e non quelli antropomorfi, fuori dalla sala cinematografica o dalla propria casetta-rifugio. A patto che si abbia il coraggio di vivere la vita senza rinchiudersi, per troppo tempo, in accoglienti e colorate cattedrali del fantastico che non riusciranno mai a sostituire dei sentimenti reali che qualche volta ci neghiamo di esprimere nei confronti di persone reali. E ce lo dice un maestro ma anche un uomo che ora ha dei rimpianti, più di uno. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgL0R6BdespzhMT82yq9_Uwdoe0uYqopgM3whQtObvWD8CVw9nKrrV8PFPG6nXse_JTCHhKptp6drydV38HJGz0pen-HjCl3IydbFB6tUNAAuFrcugqEdjKMr1X2chGCCnNR45hyphenhyphen1GwMCWQ98hnGVoAEGXizWRs1zBF25E0Kngev7EekypBJ6p20X_aRj4/s881/heron-jpeg.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="546" data-original-width="881" height="248" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgL0R6BdespzhMT82yq9_Uwdoe0uYqopgM3whQtObvWD8CVw9nKrrV8PFPG6nXse_JTCHhKptp6drydV38HJGz0pen-HjCl3IydbFB6tUNAAuFrcugqEdjKMr1X2chGCCnNR45hyphenhyphen1GwMCWQ98hnGVoAEGXizWRs1zBF25E0Kngev7EekypBJ6p20X_aRj4/w400-h248/heron-jpeg.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nel suo ultimo film Hayao Miyazaki è nudo come non mai, malinconico quanto profondo, generoso nell’esternare i suoi sogni e ossessioni come se la pellicola fosse il suo ultimo lascito, un testamento artistico di rara onestà e raffinatezza.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un’opera monumentale, perfetta su ogni piano che è anche una specie di fil rouge che racchiude il meglio di tutto lo studio Ghibli dalla nascita a oggi. Un’opera eccezionale tanto sul lato recitativo che su quello visivo e sonoro, difficile e articolata, ma che, se si riesce ad apprezzare, può regalare tantissimo a ogni spettatore e in ogni caso si lascia ammirare a bocca aperta per il tanto amore e cura con cui è stata confezionata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Imperdibile e da riscoprire magari a più riprese, scovando a ogni visione i mille lati diversi di un dedalo a tratti angusto, ma sempre affascinante.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ogni volta, ormai da anni, Miyazaki dice che è il suo ultimo film e poi smette. Questa volta ha dichiarato invece che dopo<i> Il ragazzo e l’airone</i> sta già realizzando un nuovo film. Per la prima volta ho quindi paura che questa sia davvero l’ultima opera di uno dei più grandi maestri della animazione giapponese. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #b45f06; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2526526798324328830.post-69364143403122263812023-12-31T10:00:00.045+01:002023-12-31T10:00:00.138+01:00 The Old Oak: la nostra recensione del nuovo film del leggendario Ken Loach<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVDaCqtCkfpWJ8gBaaXDrBL4d0hrwEnu3xMGw2bWp_7u6yf8oAFDBrg1ceW3G2tusm_s1tRdRlGrLc4qY6zgIBKuBq66KTiuJg8qOy4mVEJSDaYdvhENWXFPU4n-qXPb9XP0hQ8X66lSOfqXBYEmeEMn1yzTR6UbQ5OX2Kmc3FS2EL1GOSFQbQ_JO3LyQ/s1280/coverlg%20(1).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVDaCqtCkfpWJ8gBaaXDrBL4d0hrwEnu3xMGw2bWp_7u6yf8oAFDBrg1ceW3G2tusm_s1tRdRlGrLc4qY6zgIBKuBq66KTiuJg8qOy4mVEJSDaYdvhENWXFPU4n-qXPb9XP0hQ8X66lSOfqXBYEmeEMn1yzTR6UbQ5OX2Kmc3FS2EL1GOSFQbQ_JO3LyQ/w400-h225/coverlg%20(1).jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Inghilterra di provincia dei giorni nostri. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ormai per qualcuno di quelle parti l’invasione dell’Inghilterra è in atto, nella totale indifferenza o in collusione con i potenti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nessuno può farci niente, nemmeno e soprattutto nella vecchia e dimenticata Durham, cittadina mineraria del nord est mineraria un tempo famosa e ora fallita insieme alla sua principale industria, nonostante le coraggiose e disperate lotte a suon di scioperi, durate tanti mesi e lacrime. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Tutti si sono dimenticati di loro fino ad ora, ma ecco che nella cittadina di colpo ci sono nuovi arrivati: una variegata compagine di vecchi e ragazzini giunti con un pullman e diretti a stipare ulteriormente case fatiscenti a basso costo. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Secondo voci discordanti i nuovi vengono dalla Siria o qualcosa del genere, per via di quelle assurde politiche di scambio culturale o di supporto ai paesi poveri o per la guerra o qualcosa di analogo. Ma la percezione generale è che questi tizi, che non spiccicano una parola di inglese, parlano e vestono con strani turbanti, sono “molto diversi” dalla fauna locale, al punto che e per qualcuno fin dal primo secondo non dovrebbero esserci per niente a Durham. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Non sono inglesi e vengono preferiti e coccolati dalla beneficienza come “poveri vip”, in un posto dove gli aiuti ai poveri comuni già mancano o arrivano con il contagocce e dove la gente è già al limite, già esasperata, senza lavoro e senza servizi pubblici e sociali che funzionano. Per più di una persona, i siriani ruberanno il poco lavoro che c’è o si dedicheranno h24 alla delinquenza, comportandosi presto a Durham come fossero a casa loro e anzi quasi offendendo, come quella ragazza (Ebla Mari, che interpreta Yara) che appena scesa dall’autobus si è messa a fotografare il quartiere e le persone come se pensasse di trovarsi allo zoo, fino a che un bravo cittadino le ha strappato la macchinetta di mano e gliela ha rotta. La ragazzina ha pianto e per tutti se lo è meritato, ma il proprietario del vecchio bar, TJ (Dave Turner) sembra essersela presa a cuore, sembra che abbia deciso di supportare nel suo Old Oak, l’unico locale pubblico davvero funzionante di tutta la città, tutta la compagine dei nuovi arrivi. Forse perché è un uomo strano e malinconico che vive da anni solo con il suo cane. Forse perché sta troppo dietro agli occhi di una ragazzina con la macchina fotografica e non capisce più “da che parte stare”. Per qualcuno degli avventori più solidi dell’Old Oak il locale di TJ bisognerebbe piuttosto occuparlo per farci una base, organizzare lì una protesta contro il governo, chiamare la stampa, farsi sentire.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ma il “rimbecillito” TJ vorrebbe solo spalancare le porte a tutti e anzi tornare ad aprire l’ampio locale adiacente al bar, chiuso da anni, per adibirlo di nuovo a mensa pubblica gratuita. Una mensa con cucina a tutti gli effetti che aveva permesso, grazie alla solidarietà di tutti, di sfamare le tante famiglie di minatori nel lungo e tragico periodo dello sciopero di tanti anni fa. Una mensa che aveva già rappresentato negli anni '70 per la piccola cittadina la speranza di un futuro migliore.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Per TJ la situazione presente non è diversa da quella di allora, in fondo. Così come le persone più povere e abbandonate non sono troppo diverse, anche se vissute in periodi storici e luoghi diversi da Durham. Dal niente ma con tanta fatica, con l’impegno di TJ, della piccola fotografa e di ampia parte della comunità straniera e locale che si mette a disposizione come supporter, elettricisti, idraulici, camerieri e fornitori, la mensa, con la stessa forza del passato, ricomincia a funzionare e ad accogliere i bisogni di tutti i cittadini indistintamente. Con l’aiuto anche della chiesa locale, delle anziane signore che cucinano i piatti, di chi si improvvisa camiciaia e di chi tiene tutto pulito e funzionale, il paese inizia a rinascere. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Tutti sono invitati in qualche modo a partecipare, ma i vecchi avventori “abbandonati” del bar, insieme alla parte più arrabbiata di Durham, non accettano questa “improvvisa preferenza altruistica” e iniziano a organizzarsi per far fallire il locale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Magari basterebbe davvero poco per far crollare la baracca e spezzare i sogni di vanagloria di TJ: quel tanto che basta da farlo tornare a testa bassa a servire il whisky senza troppi grilli in testa. </span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0LlMfj7HN_SsQDzq3WllD15HBVTkUH3-E051DTRiKcZmpMDtpv7YCoN15OvttXyBcgSwJs3Kwv7iBS2kCmS1wh3XJDK4jkm0DH1mAr5EFyy1B5JlatgqKwS9I63bC1AL7Uet6XiCWj6z5DIUXkzRlkN9HUy5f9skZJ_FQDJBTuVE0jb5ivyTrE7uPZLU/s1500/old-oak-ken-loach-cannes-2023-157011.jpg.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1500" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0LlMfj7HN_SsQDzq3WllD15HBVTkUH3-E051DTRiKcZmpMDtpv7YCoN15OvttXyBcgSwJs3Kwv7iBS2kCmS1wh3XJDK4jkm0DH1mAr5EFyy1B5JlatgqKwS9I63bC1AL7Uet6XiCWj6z5DIUXkzRlkN9HUy5f9skZJ_FQDJBTuVE0jb5ivyTrE7uPZLU/w400-h266/old-oak-ken-loach-cannes-2023-157011.jpg.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Nonostante gli anni siano 87, Ken Loach non si ferma di certo e anzi continua ad arricchire, con nuove pellicole, il suo cinema ironico, eroico, drammatico, civico, disincantato e profondamente, eticamente, “umano”. Un cinema che dal 1967 riesce ad essere sempre ancora attuale, qualcosa di cui abbiamo sempre profondamente bisogno. Un cinema “universale”, al punto che anche se forse non siamo vissuti o viviamo negli stessi, amati è un po’ odiati, sobborghi inglesi cantati da Loach, i temi, i personaggi e i luoghi raccontati dal regista nelle sue storie possono apparire anche al pubblico italiano famigliari, vicini, urgenti, qualche volta “profetici”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Prima della pandemia e prima dell’esplosione del “delivero”, nel 2019, Loach già ci parlava del futuro: il “nuovo Medioevo” in cui vivevano, quasi da gladiatori, i veri lavoratori 2.0 del nuovo millennio: gli addetti alla consegna rapida dei pacchi. Il mercato che cambia, le responsabilità che da sociali diventano dopo secoli di progresso di nuovo individuali, la vita che viene scandita da tempi stretti e paghe sempre più basse: tutto viene combattuto per tirare avanti come si può, con il sorriso e per il bene della famiglia, con una cinghia sempre più stretta. A testa bassa e con tanta voglia di lavorare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Oggi Loach con lo stesso disincantato e la stessa testa bassa, ma senza dimenticarsi di rappresentare ancora una volta la straordinaria forza emotiva dei suoi piccoli eroi di provincia, ci parla del presente e del futuro di un mondo e di un popolo umano che continuamente si mischiano e si spostano: per via delle miserie e della guerra, spesso andando a rendere le zone problematiche ancora più problematiche. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Il piccolo caleidoscopio umano di Durham a questo fenomeno reagisce gioiosamente scomposto. Si interroga al bar, sbraita, scoppia a ridere e poi ammutolisce. Prima incassa le disparità di trattamento e poi si incazza: tira fuori il libricino nero in cui tiene bene elencate tutte le promesse politiche mai adempiute ma poi decide chi deve essere il suo vero nemico: scegliendo alle grandi disillusioni la solita, facile ma comprensibile, guerra tra poveri. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Questo però non accade a tutte le persone di Durham. Al contempo, partendo però da un diverso punto di vista, non “dalla massa” ma “dal singolo”, scegliendo di conoscere le persone anche solo incontrandole con lo sguardo, accade qualcosa di diverso per parte della gente del paesino come per il burbero TJ interpretato dal bravo Dave Turner. Scatta qualcosa di arcaico ma anche “recente”, vicino ai tempi delle grandi lotte sindacali: uno spirito sopito di solidarietà e di fratellanza senza bandiere, genuino quanto “operativo”.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoD402HMqKCZ-6IIpJvSK29ZV8KUaEr6rKHA3GR1iDojtOF0qzbJRXCfxHOwvpS4WjDY1zwQrMQ6bS5dURzH1c4sQB01Zs0pm4Al8Ygw5WEze915Ur_pNLdiP84MYlfQcWbqX0l_HRFM-l8euO1fiRkCS_6kkgc2xAvyraHlwS-wH-Q3_RjTfpx0V-WSs/s640/IMG_9853.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="345" data-original-width="640" height="216" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoD402HMqKCZ-6IIpJvSK29ZV8KUaEr6rKHA3GR1iDojtOF0qzbJRXCfxHOwvpS4WjDY1zwQrMQ6bS5dURzH1c4sQB01Zs0pm4Al8Ygw5WEze915Ur_pNLdiP84MYlfQcWbqX0l_HRFM-l8euO1fiRkCS_6kkgc2xAvyraHlwS-wH-Q3_RjTfpx0V-WSs/w400-h216/IMG_9853.webp" width="400" /></a></div><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Un istinto di mutuo-aiuto spontaneo quanto contagioso, che in poco tempo supera differenze culturali e barriere linguistiche, che arriva a legare le persone più disparate e a rendere meno complessa la vita di tutti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Una “supplenza sociale” quasi “troppo funzionale” per piacere e farsi accettare soprattutto da chi è già stato troppo oppresso, troppo schiacciato e deluso dalle miserie quotidiane di un sociale istituzionalizzato vacante, in cui ha confidato e che non ha funzionato a nessun livello. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Loach gioca sul continuo cortocircuito politico/emotivo che travolge i personaggi, tra gli afflati di altruismo, la rabbia e il legittimo cinismo e autocommiserazione. Esplora il suo piccolo mondo sociale in ogni componente, lo viviseziona con tutta la leggerezza e maestria di cui è capace, infonde tragedia e romanticismo nella giusta misura nelle piccole storie di ogni personaggio, porta bene alla luce i sogni quanto le “barriere architettoniche” del l’ingranaggio sociale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Senza “fare lezioncine”, senza proclami e favole, ci fa accogliere la complessità e il dolore di ogni singolo personaggio: ce lo rende reale e credibile, ci fa mettere nei suoi panni soprattutto quando ci calzano più scomodi, ce lo fa comprendere anche nei suoi errori di comunicazione, nella sua spontanea antipatia. Tutti vivono e lottano all’interno di un quotidiano fatto di tante piccole azioni prima che di fiumi di parole, sempre a testa bassa, pratici, sanguigni e un po’ delusi, stipati in case popolari fatiscenti, spalla a spalla, nella periferia del mondo, tra mille difficoltà, sbagli e ripensamenti, dolore e poca fortuna. Tutti provano a trovare una direzione possibile o un “trucco momentaneo” per convivere, prima di tutto “con se stessi” e noi viviamo con loro questo viaggio, grazie all’occhio e alla sensibilità di uno dei più grandi maestri del cinema. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Ogni volta Loach, come Miyazaki, dice che l’ultimo girato è l’ultimo film, ma speriamo come sempre che si sbagli. <i>The Old Oak</i> dal punto di vista della direzione degli attori, della messa in scena visiva e sonora, del ritmo e dell’intreccio narrativo è l’ennesimo piccolo (ma grande) capolavoro dell’autore inglese. Un film che per qualcuno è manifesto politico ma è anche e soprattutto testamento spirituale, da amare e possibilmente da studiare, (magari nei corsi di politica e sociologia ma anche nei licei), soprattutto da non dimenticare.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #38761d; font-family: arial; font-size: medium;">Una pellicola imperdibile anche solo per aiutarci a riflettere su dove inevitabilmente “sta andando il mondo” e magari cercare un modo di “aggiustarlo”: dopo esserci messi, provvidenzialmente, ancora per una volta, nei panni dei piccoli, grandi eroi della working class di uno dei più grandi autori del cinema di sempre. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #351c75; font-family: arial; font-size: large;">Talk0</span></p>Gianlucahttp://www.blogger.com/profile/00602109087102085539noreply@blogger.com0