venerdì 28 luglio 2017

USS Indianapolis - la nostra recensione




C'è una vicenda poco raccontata sui libri di Storia sulla seconda guerra mondiale, anche se sono fatti legati ad uno dei più spaventosi eccidi che l'umanità abbia mai messo in atto, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Tutti sanno, anche per pura curiosità e per il Focus Channel del "Progetto Manhattan", del " Little boy" e del B-29 Enola Gay, in meno parlano (anche in virtù di una solo recente riabilitazione della vicenda) della USS Indianapolis, la nave che portò la bomba in gran segreto dagli Stati Uniti fino al bombardiere. Una missione delicata, senza scorta e senza pubblicità, senza armi e senza contatto radio, in pieno territorio nemico. Correre con più leghe possibili grazie alla migliore tecnologia navale della flotta verso il mare delle Filippine, consegnare " il pacco", per lo più ignoto all'equipaggio, e tornare a casa, sempre nell'ombra, sempre da soli, pregando di non incontrare i mini-sommergibili kamikaze chiamati "kaizen". Il viaggio d'andata va in porto, come la Storia insegna, nonostante i mille presagi di sfortuna. Il viaggio di ritorno le avrebbe fatto incontrare i siluri incazzati di un sottomarino giapponese, l'affondamento e la quasi totalità dell'equipaggio alla deriva a farsi divorare pezzo dopo pezzo dagli squali. Ed era solo l'inizio del calvario per l'equipaggio superstite. 



Una pagina della storia tremenda all'ombra di una pagina di storia indicibile. Il regista Mario Van Peebes, lontanissimo dai tempi del western all-black Posse racconta l'epopea degli uomini della Indianapolis scegliendo il registro più intimo e sofferto. Non c'è eroismo, non c'è un senso superiore di giustizia a stelle e strisce da preservare. Solo storie di piccole soldatini che dopo una malinconica notte in città pensano di imbarcarsi in una missione di routine per poi ritrovarsi, poche ore dopo, sul mare delle Filippine, silurati, a galleggiare sui relitti e sperare in un soccorso che tarda ad arrivare. Il tutto tenendo a bada le lacrime, la pazzia che sale e, soprattutto, gli squali. Squali che erano a migliaia e anche se non erano i mostri assetati di sangue che gli horror acquatici oggi propongono erano sempre lì, sempre affamati, con i marinai presi dalla disperazione che li prendevano a bastonate o gli cavavano gli occhi pur di non farsi tirare giù in mezzo al mare. La guerra c'è, ma è altrove. Il film parla di sopravvivenza e in qualche modo di "punizione divina". Il piccolo popolo della Indianapolis è come se pagasse simbolicamente per tutti quelli che hanno deciso di chiudere il conflitto mondiale in quel modo. Facile che ai giapponesi la pellicola possa fare l'effetto di un horror torture-porn, per la precisione ed efferatezza delle scene più macabre, quelle in cui denti di ossa e lamiere d'acciaio si riversano sui marinai americani. Molto bravo e molto umano Nicholas Cage nelle vesti del capitano  McVay. McVay è come un padre per il suo gruppo ma è anche il depositario di un segreto indicibile che potrebbe portare la guerra alla fine, con tutta la gloria (che nessuno gli attribuirà in vita) e tutti gli oneri di dolore e sofferenza che questo comporterà. Un ruolo non facile, gigantesco ma dolente, iconico e tragico. L'attore italo-americano in questa assolata estate sta vivendo una vera e propria rinascita artistica (anche se questa pellicola è del 2016 e da noi arriva un po' in ritardo). Tom Sizemore, che dai tempi di Salvate il soldato Ryan incarna ormai alla perfezione il soldato americano generoso ma letale, dà ugualmente qui ottima prova. Molto interessante, profondo e tragico il ruolo del comandante Mochitsura Hashimoto, l'ufficiale del sottomarino che silurò l'Indianapolis, interpretato da Yutaka Takeuchi. Un uomo che si sente il peso di non aver intercettato prima quella nave, ma anche un uomo con una altissima considerazione della sofferenza umana, riluttante sull'uso dei kamikaze. Il film giocoforza trasuda di patriottismo e rivalsa come è classico nelle produzioni di questo tipo ma Van Peebles riesce a infilare dentro (come solo sanno fare gli autori migliori) degli accenni di reale critica politica. Sembra dirci che sono i "poveri" ad andare in guerra e morire, ma comunque sono gli unici ad avere un'anima, a provare compassione e onore. Giocoforza il mondo non sarà mai nelle mani di onorevoli soldatini e anche le più alte dimostrazioni di onore e rispetto (come quella del capitano Hashimoto nel finale) sono atti che non comportano alcuna attenzione e stima per l'opinione pubblica. È una strana produzione quella di USS Indianapolis. I fondi sembrano provenire da un'associazione reduci e gli effetti speciali hanno più l'aria di una ricostruzione low-cost per l'History Channel. Gli attori però sono bravi e in parte e la storia ha forza e drammaticità tali che deve essere conosciuta. Per i più cinici e più disinteressati ai fatti del 1945 rimane un film di squali di portata così gigantesca come non ne hanno mai visti. Anche se forse meno sadico di quanto vorrebbero. 
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mercoledì 26 luglio 2017

The war - il pianeta delle scimmie - La nostra recensione

Scimmie più evolute, spettacolari, tragiche, intriganti ma saltuariamente un po' noiosette


- breve sinossi: Sono passati alcuni anni dalla fine del secondo capitolo di questa saga reboot del classico con Charlton Heston. La miracolosa "cura per l'Altzheimer" che ha reso le scimmie intelligenti e decimato gli esseri umani ha ulteriormente instupidito quelli rimasti ancora in vita, convincendoli che siano state le scimmie a distruggere il mondo. Una convinzione che diventa ancora più forte quando alcuni uomini iniziamo a regredire evolutivamente e perdere la parola. Da qui inizia la guerra personale di un malatissimo generale umano, stile Kurtzman di Brando, interpretato da Woody Harrelson, che un giorno induce la sua personale Ape-Apocalypse: si appropria con il suo esercito "alpha-omega" di una montagna, tortura e uccide tutti e aspetta che il resto del mondo venga a combatterlo nella sua personale visione dell'Armageddon. Il generale ha fatto un salto pure nei domini della scimmia evoluta Cesare (sempre il grande Andy Serkis) facendo un paio di cose che lo hanno fatto così incazzare da spingere pure lui ad andare alla montagna. Lungo la strada Cesare però farà una scoperta: il suo no è l'ultimo gruppo di scimmie superstite in tutto il mondo. 


-dai a Cesare: la saga reboot del Pianeta delle Scimmie è una delle più belle sorprese dell'ultimo decennio. La tecnologia del motion - capture si è ormai evoluta a livelli indicibili e ogni nuovo capitolo della saga le "scimmie senzienti" sono sempre più reali e credibili. La sceneggiatura, se possibile, ha fatto pure meglio, creando un mondo articolato, un linguaggio, una sotto-cultura e un canovaccio moderno quanto epico, quasi shakespeariano. Le scimmie usano il linguaggio dei gesti, vivono nella natura adattandola ai loro bisogni, riconoscono e fanno uso della tecnologia, seguono regole e riti di una società organizzata. Gli uomini sono sempre più larve e sempre più pazzi, autentici "zombie". Delle creature "sfuocate" senza scopo che cercano di allontanare i pochi metri che li separano dall'estinzione costruendo muri di bossoli di pallottole. E Harrelson è il loro "big Daddy", il capo-zombie, l'ultimo imperatore del mondo (a cui piacciono pure le usanze romane viste in Spartacus), la guida verso la fine del mondo più rapida ed eroica. Ed è così titanico, spietato e magnifico che riesce pure a convincere alcune scimmie a schierarsi dalla sua parte. Idee. Questa pellicola, come le precedenti, trasuda di idee forti, profonde, che spianano senza problemi la strada a future storie e non rinunciano al gusto di un allestimento spettacolare, a un'azione concitata e a una drammaturgia chiara, limpida e intellegibile. 
Però cheppalle.



Apprezzo tutto e sono fan accanito di questo ottimo modo di fare cinema, ma mi sono addormentato in sala quattro volte. Non mi era capitato con il primo capitolo, non mi era capitato con il secondo, mi capita qui. E per lo più la sonnolenza riguarda la prima parte della pellicola, fatta da stupendi paesaggi post-apocalittici in cui tutti parlano con il linguaggio dei segni ed esprimono concetti profondissimi sulla società e cosa definisce al meglio l'essere uomo o scimmia al suo interno. Cheppalle. Per un attimo il mio sonno è contrastato dall'irruzione del generale nel territorio di Cesare, ma poi placidamente le palpebre ricadono fino a che avviene l'incontro con Scimmia Cattiva. Qui mi tocca destarmi un po' dalla nanna perché Scimmia Cattiva è un personaggio irritante che parla all'infinito, rumoroso e fastidioso come una zanzara (non è vero, è un personaggio sfaccettato e ben caratterizzato, solo che al momento ero in "rage mode"). Poi il viaggio riparte, tra fantastici scenari innevati, bambine mute e scimmie eroiche e io continuo ad appisolarmi. Non sto dicendo che fino qui il film è stato brutto, perché sarebbe ingeneroso. Ma il ritmo, tra questi spazi sconfinati e stupefacenti silenzi, mi si perde, non si esprime, "è morto". E questo nonostante la materia sia esaltante, colta, epica, lo ripeto. Poi arriviamo al maniero del generale e tutto diventa ultra-ritmato ed esaltante. Non dormo più e mi calo anima e corpo in questa ape-Apocalypse ultra-violenta, tragica e catastrofica. L'ultimo atto è davvero esaltante, denso e il finale è poetico, chiude bene il cerchio iniziato con la prima pellicola. Di sicuro voglio rivedere la pellicola già da ora, magari carico di caffeina per superare la silenziosissima e lisergica prima parte. Complessivamente, mettendo la parte le ironie, è davvero un bel pezzo di Cinema, l'ultimo capitolo di una saga socio-fantascientifica da consigliare caldamente a tutti. Strepitosi gli effetti speciali, la colonna sonora, le scenografie, lo script e le interpretazioni. Tra Harrelson e Serkis è una gara tra giganti di bravura e non c'è un solo aspetto della pellicola che sia banale o scontato. Matt Reeves ha fatto un lavoro encomiabile e ora vola a dirigere The Batman, cercando il confronto diretto con Burton e Nolan. Gli auguriamo ogni bene e prenotiamo già i pop - corn. Come saranno le scimmie del domani? Arriverà un capitolo reboot del classico con Heston o si seguirà la storia dove finisce questo capitolo tre? Di sicuro chi verrà dopo dovrà per forza avere a che fare con il confronto con questa strepitosa trilogia degli anni 2010. 
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lunedì 24 luglio 2017

Black Butterfly - il nuovo thriller crepuscolare con Antonio Banderas, tra Misery non deve morire e Brokeback Mountain... forse.



Antonio Banderas è uno scrittore arrivato al fatidico momento della "pagina bianca", il crack mentale in virtù del quale le idee sono finite, i creditori sono alla porta e l'editore incomincia a dimenticarsi il suo indirizzo mail. È nel mezzo del nulla della sterminata campagna americana per concentrarsi, ogni tanto va al baretto / tavola calda per rifocillarsi e provarci non Piper Perabo (che da Le ragazze del Coyote Ugly ha sempre il suo perché), la disperata agente immobiliare, con lo scopo impossibile di vendergli casa (che Banderas tiene così disordinata che pare sempre abbia appena combattuto con un Grizzly). L'agente letterario  lo chiama riferendosi a mail, contratti e cambiamenti ai capitoli richiesti dall'editore che però non arrivano mai: sai l'ultimo temporale, sai l'adsl che non prende, sai il computer con i virus. Banderas combatte, come Jack Torrence, usa pure una macchina da scrivere vintage, ma non ce la fa proprio: il mattino non ha l'oro in bocca. Ma ecco arrivare la svolta, e meno male, perché sono dieci minuti che vediamo Banderas di profilo mentre immobile guida un'auto, mangia o cerca di scrivere... pare di trovarsi in Somewhere di Sofia Coppola e io sto già prenotando un volo per l'America per andare a uccidere Sofia Coppola. Ma ecco, appunto, il cambiamento. Mentre sta per andare al baretto, Banderas incontra per la strada il classico bifolco con furgoncino e voglia di farti incazzate come in Duel di Spielberg. Dopo aver rischiato la vita più volte Banderas arriva al baretto e poco dopo il bifolco parcheggia nella sua stessa piazzola, entra, lo insulta e gli mette quasi alle mani addosso non fosse per un ragazzetto (Jonathan Rhys- Meyers, autentico attoraccio di razza canina) interviene, seda il bullo e esce dal baretto con sacco sulla spalla verso i boschi in stile telefilm di Hulk. Banderas lo segue, Banderas vuole ringraziarlo. Lo carica in macchina pochi metri dopo, vede che è un senza casa come Hulk e gli propone una doccia a casa sua, poi un pasto, poi una birra, poi un letto che fuori sta piovendo, poi la possibilità di fare il bagno nudo nella sua piscina all'aperto... sapete come finiscono queste cose, no? Mezza giornata e il ragazzetto gli ha già riassettato casa, gli ha dato speranze per il futuro, un po' di psicoanalisi e pacche sulle spalle ed ecco che Banderas gli dà in mano il suo ultimo manoscritto, gli dice che è lammerda ma in fondo alla sua opinione ci tiene, arriva a raccontargli di lui, ex moglie, sogno americano finito ecc. ecc. Il giorno dopo il ragazzetto si convince che effettivamente il manoscritto è lammerda. Ed ecco la grande idea inquietante: "Banderas, scrivi di noi! Scrivi di quando stavi per andare al baretto e incontravi per la strada il classico bifolco con furgoncino e voglia di farti incazzare come in Duel di Spielberg. Dopo aver rischiato la vita più volte arrivavi al baretto e poco dopo il bifolco parcheggiava nella tua stessa piazzola, entrava, ti insulta e ti metteva quasi alle mani addosso non fosse per me (Jonathan Rhys- Meyers, autentico attoraccio di razza canina) che intervenivo, sedavo il bullo e uscivo dal baretto con sacco sulla spalla verso i boschi in stile telefilm di Hulk. Mi seguivi, mi volevi ringraziare. Mi caricavi in macchina pochi metri dopo, vedevi che ero un senza casa come Hulk e mi  proponevi una doccia a casa sua, poi un pasto, poi una birra, poi un letto che fuori stava piovendo, poi la possibilità di fare il bagno nudo nella tua piscina all'aperto... sai come finiscono queste cose, no? Mezza giornata e ti avevo già riassettato casa, ti avevo dato speranze per il futuro, un po' di psicoanalisi e pacche sulle spalle ed ecco che ti mi davi in mano il suo ultimo manoscritto, mi dicevi che era lammerda ma in fondo alla mia opinione ci tenevi, arrivavi a raccontarmi  di te, ex moglie, sogno americano finito ecc. ecc. Non è un cavolo di incipit sconvolgente?". E Banderas: "No, è una palla scontata che mi pare di aver già letto due volte negli ultimi dieci minuti!!! A chi può fregare questa roba?? Ci si aspetterebbe al massimo che nasca una relazione gay tra noi due e non è una cosa che attualmente voglio scrivere, visto che i tempi di Ferrara e Bigas Luna sono finiti e da vent'anni campo come testimonial del Mulino Bianco!!". Ma il ragazzetto incalza: "Ma no! Esci dalla tua visione egomaniacale!!! Racconta di me!!! Tipo quel film con Tom Selleck e Pavlina Porizkova!!!". "Eeh??". "Ma sì, quello che lui fa lo scrittore, c'ha la crisi creativa e si ritrova in casa una gnocca, un po' come me, per la quale non sa se essere attratto o spaventato. Chissà chi è, chissà da dove viene, chissà in che pericoli lo condurrà, non è una figata??". "No, non lo è per niente!!! È roba già vista in tutte le salse, da Misery non deve Morire a The Guest di Adam Wingard... e tu non sei né Katie Bates né Dan Stevens. Ma ci sarà un cavolo di motivo per chi uno fa lo scrittore per lavoro e un altro no? Ma idee originali ne hai?" . "E se invento cose assurde su omicidi mai sviluppati né intuiti prima, un'indagine, botte, legal thriller e finisce poi che era tutto un..." . "Non dirlo!! Non dirlo assolutamente o la sala si svuota già da adesso!! Non dirlo o ci vengono a linciare!!!! E poi è un'idea del cavolo!!!" . Il simposio continua un po' per tutto il film... fino a che, non sapendo che canovaccio copiare, si arriva a copiarli un po' tutti.



- E dire che non sarebbe stato nemmeno così male... avevamo le foreste americane da western crepuscolare, avevano un attore a cui si chiedeva di raccontare in scena (in fondo) la parabola discendente della sua stessa vita, avevamo una traccia sulla quale si poteva scrivere davvero di tutto, dai rapimenti alieni alla commedia scurreggiona passando dal drammatico al romantico al thriller, si poteva toccare pure l'horror. E si butta via più o meno tutto. Rhys- Meyers, e non mi importa se è stato Enrico VIII nei Tudors, è un cagnaccio. Dai a Cesare: "Un belloccio cagnaccio". E questo è un film a due, un film che Banderas non può sostenere da solo, nonostante ci provi e riesca ad essere a tratti convincente. Peccato, perché bastava un attore più performante per dare sapore alla pietanza, così invero piuttosto deludente. La storia parte bruttarella, statica, affaticata ma il secondo tempo è davvero imbarazzante, roba da film TV del pomeriggio di rete 4. Si prendono idee a caso e non le si sviluppa a dovere lasciando nello spettatore un senso di incompleto e farraginoso. Anche l'inclinazione sentimentale che poteva nascere tra i due co-protagonisti è solo accennata e subito cassata ed è un peccato, sarebbe stata una nota originale. Tuttavia Banderas è da salvare assolutamente. Il suo scrittore in crisi è dolente, appesantito, perennemente sbronzo e malinconico. Sembra una persona vera con un interessantissimo lato oscuro (alla fine del film una certa domanda non può che balenarvi e sarà inquietante). I paesaggi sono mozzafiato e le scenografie sono perfette, funzionali. Si direbbe un compito fatto bene, non fosse appunto per una sceneggiatura deludente e un Rhys Mayers da dimenticare, che per tutta la pellicola recita nel mood del bulletto odioso. Un'occasione mancata. 
Talk0

domenica 23 luglio 2017

Transformers - L'ultimo Cavaliere: la nostra recensione



Premessa: Ma come, non bastava quello che ho scritto nell'anteprima? Vi serve una doppia portata di questa roba sul serio? 
Sinossi: Oddio... la storia devo proprio scriverla?? A metterla insieme quasi occorre tornare in sala a prendere appunti. Credo che sia stata scritta a casaccio e di impulso su dei post-it, appesi poi al frigorifero di Bay. A seconda del giorno di ripresa, in base al cast tecnico, luce e attori disponibile, un post-it sempre tutto autonomo. Il girato tutto poi, immaginiamo di 97 ore visti i mezzi impiegati, è stato montato pescando a caso le scene completate... in base a una certa attinenza delle sfumature cromatiche. Molto avanguardista. Forse andando per nuclei narrativi la storia risulta più comprensibile; forse ho appena usato una espressione troppo forte; diciamo, forse attraverso una serie di "pensierini" si possono individuare delle storielle, che poi si incastrano o forse no. Magari... proviamo: 
1) Cade Yeager e i cuccioli Dino robot cerca famiglia: dalla fine di Transformers 4, lasciata la figlia all'università, Mark Wahlberg scopre che i Dinobots fanno ovetti metallici da cui nascono piccoli dinosaurini robotici (i Transformers sono ermafroditi come in Jurassic Park? Non chiedere, non chiedere... i Pokémon sono ermafroditi come in Jurassic Park?) e allora crea, insieme ad una spalla comica poco divertente, un'area cuccioli/bambini con gonfiabili, palline colorate, scivolo e zona disegno presso una discarica in un territorio gestito dagli indiani d'America (...). Il "grande capo", l'autorità locale,  si lamenta che Grimlock mangia volanti della polizia, che poi sputa smocciolando roba verde, ed è tutta roba da grasse risate in sala. Nella riserva di Yeager ci sono anche altri autobot che cazzeggiano o vengono accolti e riparati, perché essere transformers è più discriminatorio che in passato, a quanto pare. Riuscirà il nostro eroe a salvare tutti i 101 cuccioli? Ah, dimenticavo, un Transformers caduto a caso dallo spazio gli dice che è discendente di re Artù e gli dona una specie di sex-toy Transformers stile terminator 1000 che subito si sposta sui testicoli del nostro eroe. Giuro, è nella trama...


2) La suicide Squad di Megatron/ Galvatron: Dal cielo cadono in continuazione Transformers, questi non pagano l'affitto, mangiano pasta col tonno e Yeager li ripara pure. Non va bene! Per fermare il nostro eroe l'esercito assolda Megatron e una squadra di decepticon tamarri, ricoperti di oro come papponi e graffitati sulla carrozzeria come Fedez, per scovare e cercare di fermare il nostro eroe (la riserva sembra invisibile dai satelliti e l'esercito, con droni e simil metal Gear non è mai riuscito a inseguire Yeager fino al rifugio). L'auto della polizia decepticon, Barricade, non è mai caduta così in basso... pare un cattivo delle tartarughe ninja appena uscito da un memorial a 2pac. Megatron  è sempre più rincoglionito duro (ricordo che nel terzo film faceva un monologo sulla conquista del mondo a uno stormo di gru nel deserto dei Gobi... non è migliorato) e quando si arrabbia, per una nuova strana forma di demenza senile Transformers, scoreggia fuoco dal lanciafiamme impiantato sul suo braccio. Caduto in bassissimo, in una scena si mette pure a parlare con degli avvocati umani per decidere il rilascio di alcuni membri della sua nuova sgangherata truppa. Gli avvocati sono seduti a dei tavolini, lui è in piedi con una spada gigante a urlargli contro come un monarca medievale e alla fine viene pure gabbato con il rilascio dei decepticon più pippe. Riusciranno i decepticons pippe a far piangere i cuccioli dinorobots? 


3) Le spassose avventure nel mondo dell'Altzheimer di Sir Anthony Hopkins e maggiordomo: se c'è una costante in tutti i film dei Transformers, questa è di sicuro lo stato drammatico della memoria dei robottoni alieni. La saga dei Transformers è per questo tenuta sotto osservazione da un team internazionale di neurologi. Ogni giorno i Transformers si svegliano e iniziano a parlare di cose mai sentite né accennate poche ore prima, se non mai sentite proprio. Nel primo film cercavano un cubo, nel secondo una roba chiamata la matrice del comando, nel terzo un capo autobot che si erano dimenticati sulla Luna negli anni '60, nel quarto le cellule di transformium. La memoria non ce l'hanno mai tutta insieme, questi poveretti. Non sorprende molto che Megatron oggi si svegli, scoreggi fiamme e urli chiedendosi: "Ma dove cazzo è finito il mio bastone di Merlino??". Certo non si può pretendere piena sanità mentale dai nostri eroi se uno di loro, quello più carismatico, per affrontare il suo più acerrimo nemico, una fottuta astronave spaziale da guerra, sceglie di trasformarsi in camion. Ma in questo film sono pure peggiorati. Si scopre che più diventano anziani prima sopraggiunge  la schizofrenia. Qui abbiamo un anziano robot maggiordomo stile C3PO con scatti di ira psicotica e chiari segni di personalità schizoide. Ed è fantastico il modo in cui si relaziona con il suo amabile "padrone" umano, Sir Anthony Hopkins, che qui è per esigenze di trama rincoglionito duro pure lui. Sono una coppia di amabili pazzerelli. Per motivi ancestrali sono anche gli unici custodi della storia nascosta del mondo, quella che coinvolge i Transformers con gli umani pure nel ciclo bretone, ai tempi di Re Artù, tra catapulte e draghi. Forse loro, che sono amabilmente british e che fanno parte del fantomatico ordine dei Witwiccans (vi ricorda qualcosa il nome?), qualcosa sul bastone di Merlino la sanno... se la ricordassero però, ed è qui che interviene ...


4) Bridget Jones alla conquista di Cybertron: Laura Haddock interpreta, con il corpo di una modella di intimo, una inglesissima studiosa di lettere antiche, frustrata nel non trovare l'uomo giusto al punto da non credere più alle favole come la tavola rotonda e roba varia. Le sue ziette inglesi nel loro salotto con the e biscotti sono rattristate per lei, che sfoga la sua frustrazione giocando a polo a livello professionistico. Riuscirà a trovare l'uomo della sua vita, magari guardando al di là della piovosa Londra? Ora mi chiederete, ma che cosa c'entra tutto questo con un film sui Transformers? La Haddock è in possesso di un'auto che a sua insaputa diventa un robot. E parla con accento francese.
5) Minorenni con tette pazzesche, alla scoperta del girl Power barely legal secondo Michael Bay: ok, dopo la sedicenne Nicole Peltz del 4, scendiamo di nuovo di età, a quattordici, per la nuova "ragazza co- protagonista", Izabella, interpretata da  Isabela Moner. Ed è pure una scelta niente male. La ragazza è davvero, oltre che molto carina, molto determinata, credibile  e potrebbe essere una perfetta giovane Lara Croft. Ha dei grandi occhioni e tutta la cazzimma di una micro Michelle Rodriguez. Speso divide teneramente la scena con una specie di R2D2 (che mi ricorda tanto il robottino del figlio del capo nella serie TV animata anni ottanta Mask).  È anche lei una "inventrice", come Yeager, e si specializza subito come medico degli slumdog-Transformers (in pratica Transformers depressi e arrivati sulla terra senza un perché che si trasformano per lo più in cumuli di spazzatura... più ne parlo più mi deprimo). Il robottino suo amico viene da lei smontato e rimodellato più volte, rimanendo però sempre amabilmente orribile e pure lui con gli occhioni. Incredibilmente la ragazza non rompe narrativamente le scatole, non è molesta, è molto utile e riesca pure a instaurare una bella relazione con Yeager, a cui manca un po' la figlia lontana. A un certo punto della trama la perdiamo di vista, ma l'inizio della sua storia è folgorante: in una zona semidistrutta della città lei vive in simbiosi con gli slumdog-Transformers, cercando di curarli e nasconderli da un esercito sempre più fuso di testa che ormai spara a vista e pure "accazzo" su qualsiasi cosa si muova in quel territorio, anche sui civili. Izabella riesce a salvare un gruppo di bambini troppo curiosi e incoscienti e diventa subito nostro personaggio preferito. Ricorda in qualcosa pure la protagonista della nuova saga di Star Wars; finalmente un personaggio femminile nella saga dei Transformers privo di forti connotazioni sessuali? Quasi. Izabella fa tutto con impegno e passione. Ma perennemente con una camicetta aperta che sfoggia un super  bikini push-up. Anche nelle scene in cui per una tempesta di sabbia si copre il volto pesantemente. Girlpower...


6) il colonnello Lennox in: "l'esercito fa cose": accennavamo prima all'idea dell'esercito di creare una Suicide Squad con Megatron e pezzenti colorati vari per catturare Yeager. È solo una delle loro tante idee, come quella di sparare a vista su qualsiasi cosa si muova che potrebbe sembrare un Transformers, civili compresi. Poi Lennox, che con sguardo pallato e capelli ingialliti male pare uno scappato dal TSO raggiunge il culmine di incoerenza quando ordina cose tipo: "No lui no, è un amico mio!!". Il problema strutturale serio di avere un cattivo che può apparire solo dopo due ore di film, in quanto sta su un altro pianeta, è che devi trovare qualcuno che sia un cattivo comunque convincente per le prime due ore. Del resto piovono Transformers dal cielo, fai che uno è caduto sulla casa di un militare, rendendolo molto incazzato, e hai già una motivazione plausibile per un conflitto robot/militari. Lennox però, lo ripeto, si mette subito a capo di una unità che potremmo definire in codice "lemmerde", votata a contrastare gli stessi autobot che conosce da almeno tre film per motivi vaghi e contraddittori... "C'è scritto nella sceneggiatura". A un certo punto Lennox si chiede pure lui che cazzo stia facendo di preciso e parte nell'unita la rivoluzione più buffona che si sia vai vista. Come in ogni film dei Transformers, anche in questo i militati devono dimostrare di saper fare cose sempre nuove e a livello di robot/alieni/evoluti. La storia degli scoiattoli volanti e del "chiama la pioggia" è ormai vecchia... In questo film i militari pilotano dei mini - sommergibili corazzati e usano dei Metal Gear tattici. Ah, e hanno sempre la solita atomica fallico/tattica da voler lanciare a tutti i costi. Invidia del pene alieno-robotico, probabilmente. Poi, ripeto, per via del loro ruolo di "tappabuchi" fanno tutto a caso e senza un senso e quindi mi calano un po' di significato. In Transformers 6 vedo già Lennox armato di Fidget Spinner nunchaku a una festa del KKK a torturare Transformers di colore. Poi però si pentirà, ovviamente. Povero Lennox. 


7) Optimus Prime in "Sono Optimus Prime e ho un nuovo messaggio per tutta l'umanità: Suka!!". Optimus partiva, a fine 4 ", per lo spazio per rompere il culo ai suoi creatori malvagi, i quintessenziali. Ora arriva su Cybertron e dopo tre minuti, appena uscito dal casello, si fa incatenare e plagiare dal primo cattivo che si vede e di cui non si è fatta mai menzione in quattro film precedenti (un po' un classico della saga). Più ridicolo di quando nel terzo film è rimasto per 45 minuti legato come un salame a dei cavi della luce. Più ridicolo di quando, sempre nel tre, è rimasto bloccato in autostrada. Tornerà sulla terra in versione malvagia e rinsavirà in un modo decisamente equivoco (SPOILER se i Transformers sono ermafroditi che legame può avere Optimus con Bumblebee? FINE SPOILER) . Anche se quanto entra in scena è devastante e roba la scena a chiunque, è sempre più evidente che vogliono farne un personaggio in pre-pensionamento... lo dimostra a questo giro l'assenza di qualsiasi oggetto Power - up o arma extra da allegare al "giocattolo", come il suo minutaggio su schermo sempre più risicato. 


8) Quella volta che Bumblebee c'aveva un fratello con accento francese e insieme a lui e ad un orologio Transformers psicopatico ha sconfitto Hitler:.. devo davvero aggiungere qualcosa? Inglorious Transformers!!! La variant di Bumblebee in versione mezzo anni '40 con colore mimetico penso che stia già arrivando sui pre-order. Diciamo che tutto il film è costellato di oggetti e flashback volti a testimoniare che i Transformers ci sono da sempre sulla Terra, l'idea è carina in effetti, come il fatto che i Transformers nel passato abbiamo rivestito i panni di creature mitologiche. Ha senso? Non credo, ma nella mia mente Gods of Egypt di Proyas è già diventato in continuity con questo film. E visto che i Transformers nel secondo film hanno dimostrato pure di potersi trasformare in esseri umani, "ha senso". Oddio, non è che imparentate la saga a un altro film tamarrissimo giovi davvero a qualcosa, a pensarci bene.


9) la triste vita dello scienziato serio in un film stupido: c'è un tizio che viene chiamato per "calcolare cose" e "fare grafici" come se ci trovassimo in un disaster movie, anche perché a un certo punto il film diventa a tutti gli effetti un disaster movie. E ovviamente il tizio non se lo caga nessuno. ...zzz... zzz... scusate, mi sono appisolato per la "palla di noia" di introdurre l'ennesima catastrofe gigantesca". Ogni tanto il tizio dice qualcosa e fanno finta di ascoltarlo per poi pensare ad altro. Fa un po' tristezza, come quei marinai in Independence Day 2 chiamati unicamente per riferire quello che vedono dalla loro barchetta per tutto il film... 
10)  la nuova vita cubana di John Turturro: a Cuba, in braghette corte a giocare in spiaggia a pallone con i Transformers più zarri, quelli con le treccine, gli occhiali da sole, bandane e addominali scolpiti color oro fast'n'furious... forse gli fanno fare il portiere... no, non sto scherzando ...ogni tanto parla al telefono con qualcuno e l'effetto è tipo il video-citofono in trasmissioni storiche tipo Mai dire Gol. Per lo meno in questo film non vediamo Turturro in mutandoni. 
11)  Quella volta che il mago Merlino ubriaco entrò in una astronave aliena ruttando: ok, Stanley Tucci dopo essere apparso nel quarto film decide di tornare, perché lo coprono di soldi. Chiede però un ruolo più piccolo e di non essere riconoscibile, perché dal quarto Transformers i figli si vergognano di lui. Come risposta Michael Bay gli fa mettere un naso posticcio che assomiglia a un pene e lo veste da Merlino per fargli guidare la carica di un drago Transformers a tre teste. Spero per lui che non l'abbiano notato in molti, perché ci teneva.
12) e non vi ho neanche'parlato del Transformers combinabile a forma di Satana!!!! Già immagino le mamme al supermercato che danno ceffoni ai figli che vogliono il robo-satana per Natale!!!


- Bay si sente come Pollock, solo che usa esplosioni, smitragliate, fregna, pugni alieno- robotici, inseguimenti e pianeti che fanno a picco per esprimere la sua arte visiva, il suo "Bayhem". Credo che arriverà a mettere il tritolo nelle sale per aumentare l'impatto del suo ego sui poveri sensi degli spettatori. Ma quando ho letto la notizia che un team di una dozzina di sceneggiatori stava mettendo mano a tutto il casino di pseudo-trama della saga Transformers  "per darle un senso" (e sottoporrei alla vostra attenzione, sottolineandolo, questo aspetto, il "dare un senso") non mi aspettavo in nessun caso questo delirio. È come se quelli avessero partorito idee per trenta sequel e Bay fosse entrato nella stanza con la pistola chiedendo di fondere insieme almeno le prime dieci future pellicole "perché si'". Quindi alla fine non è cambiato niente. Il film è come solito così compresso che dovrebbe essere visionato solo in una stanza di depressurizzazione per sommergibili per essere metabolizzato. Dovrebbe durare quindici ore per essere assimilato meglio, contenendo lo stesso esatto numeri di scene e inquadrature. Succede, come sempre in questi film di Bay, "tutto", in formato gigante, sparato nelle casse come un "boom sonico", ma il caos in questo caso, se possibile, è decuplicato. Bay stata forse passando una crisi di mezza età. Qualcuno dopo 127 Hours deve avergli dato del "regista impegnato" e per lo schifo Bay ha risposto con questo nuovo film sparato tutto a trecento all'ora, scureggione e inutilmente epico. Tremila trame, tremila personaggi, tremila scene d'azione diverse ambientate in aria, terra, acqua, spazio e pure ai tempi di Hitler e re Artù. È troppo, umanamente, e chi si ferma per andare in bagno o per un attimo va soprappensiero  ricordarsi della spesa che deve fare al supermercato è perduto. Tre secondi e non si capisce perché un personaggio fa la tal cosa, perché le fazioni sono cambiate, perché si trovano tutti nell'antartico mentre prima stavano in una biblioteca. Bay gira tutto con il tasto veloce del dvd pigiato. 
Umanamente non ce la faccio a intraprendere una seconda visione, sono ancora stremato. Ma di sicuro (e chi ha questa sicurezza poi? Ma non ho scritto il contrario qua sopra? Ma sto impazzendo?) il tutto sarà più godibile a distanza di tempo, magari in home video. Tuttavia Bay non dorme qui sugli allori. Bay per la prima volta gira scene di combattimento di assedio a cavallo con catapulte e castelli medioevali e sono scene vorticose, patinate, cariche, appaganti. Bay per la prima volta gira scene sottomarine e sono scene vorticose, patinate, cariche, appaganti (lo stile di Bay quello è...). Le scene d'azione sono ormai immense quanto quasi il suo ego: la media è di almeno 60 personaggi reali e digitali a schermo a gravità zero che combattono all'arma bianca e sparandosi missili mentre precipitano all'interno di un'astronave verso la Terra schivando detriti, raggi e spadate (una scena tipo, manco la più movimentata). E si prevedono per l'immediato futuro scene d'azione di proporzione "planetaria" perché, e non è un grande spoiler, arriverà Unicron e dobbiamo prepararci a combattimenti tra palazzi che diventano arti di un robot gigante stile Macross o Gurren Lagann; ok sappiamo che è pazzo, sappiamo che è esagerato, ma chi è il regista che oggi può proporci scene così apocalittiche con il beneplacito dei produttori? Ovviamente non stiamo parlando qui di Del Toro, purtroppo. Certo, come fa Optimus Prime a sopravvivere dopo una caduta di un centinaio di chilometri all'interno di un'astronave in collisione con la Terra a miliardi di chilometri di velocità?  Si trasforma in camion. Ed è alla fine questo il punto. Riusciamo a fare davvero la media tra la voglia di vedere scene action così assurde e la consapevolezza di doverci subire il solito camion di deliri della sceneggiatura? Quanto siamo succubi degli effetti speciali? Davvero vogliono poi vendere il Transformers a forma di Satana? Io non lo so, da amante della follia, del non sense e dei robottoni so solo che andrò a vedere ogni suo film nuovo in uscita. Soprattutto lo spinoff su Bumblebee ambientato negli anni ottanta e diretto dal regista di Kubo, che deve essere ganzo. Anche perché Bay dice sempre che è l'ultimo film sui Transformers che fa e poi ne fa un altro. Forse sarebbe ora di vedere questo brand attraverso gli occhi di registi diversi, ma volete davvero negare a Bay un sequel incentrato su Unicron? Vorreste darlo in mano al pur bravissimo regista di Godzilla, che vi fa vedere il mostro per manco otto minuti in due ore, a fronte di un matto come Bay, che vi farebbe provare le montagne russe in uno scivolo che va dai capezzoli del Transformers / pianeta Unicron fino al suo ombelico? A questa domanda non do risposta, lascio a voi. 


- Tirando le somme, il pacchetto è standard. La musica tamarra è sempre quella, gli effetti visivi sono la diretta evoluzione di quanto video nel quarto film, (anche se lì in genere tutto filava meglio), ci sono le belle donne, le auto di lusso, la fotografia patinata; ci si diverte, ma per la maggior parte del tempo si avverte un po' di mal di mare e il finale "aperto" non soddisfa troppo. Wahlberg simpatico come sempre, Hopkins molto divertito e divertente, Turturro così sopra le righe da giocare tutto in un suo campionato, Tucci come Merlino ubriaco è buffissimo, molto brava la ragazzina, sempre più sopra le righe e assurdi i Transformers, al punto che ormai sembrano i puffi.

-  Ok chiudiamola qui: pur nella sua spropositata mole, questo T5 è in fondo un film di passaggio, di transizione, che sa intrattenete ma non convince un granché. Anche un tizio che a capodanno per tre ore lancia razzi sul tuo terrazzo di fatto sa intrattenere, ma non diverte troppo. Forse la formula va rinnovata, forse a questo giro gli sceneggiatori non hanno azzeccato il tiro, ma di tutti i Transformers questo è il più brutto dopo l'irraggiungibile, delirante, capitolo due. Gli  attori si divertono, gli effetti sono sempre belli ma manca qualcosa, manca il sorbetto a fine pasto si potrebbe dire. I cattivi non rendono, non "graffiano", i personaggi sono tutti coinvolti in sottotrame che non non vanno da nessuna parte e al contempo non riescono mai a interagire bene gli uni con gli altri. Il coinvolgimento latita. Le esplosioni sono sempre più grandi del film precedente, ma rimangono sempre esplosioni già viste. All'ultimo atto si arriva così debilitati che si perdono passaggi di trama per appisolamento nonostante sia forse il Transformers più rumoroso e breve di minutaggio. Non c'è ritmo o ce ne è troppo, di sicuro il numero di personaggi e situazioni è improponibile da condensare tutto insieme, non si capisce il senso di inserire a forza la trama alla Bridget Jones, o la trama sulla seconda guerra mondiale, o la trama dei baby Transformers. Non si capisce il motivo per cui vediamo finalmente i quintessenziali e vengono buttati via in due righe di descrizione, non si capisce il Transformers liquido sulle palle di Yeager e Lennox pazzo e brizzolato. Certo se avete visto gli altri quattro film, questo non ve lo farete mancare in qualche forma. Pure Spectre, che è un film orribile salvo che siate dei fan "omega", alla fine i fan -base-delusi di Bond lo pigliano per mero collezionismo. Certo chi va a vedere Transformers 5 senza essere fan o senza essere pagato per farlo, lamentandosi poi di Bay per i soliti motivi noti e condivisibilissimi,  rimane comunque il più pazzo di tutti. Questo è un film per collezionisti che magari rivisto con più calma convincerà di più. Ma si poteva fare qualcosa di più, davvero. E adesso prepariamoci per spinoff e numero sei: con più di tutto, ma soprattutto (speriamo) con più convinzione e meno sottotrame. 
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venerdì 21 luglio 2017

Pacific Rim: Uprising il primo teaser





Ok, si sta concretizzando, inizio a pensare che sia vero... c'è all'orizzonte roba gigante che si mena ed è cosa giusta. Non ho capito ancora il ruolo di Del Toro, non ho capito la linea temporale del film, non ho capito la trama possibile ma rimane il fatto, ineluttabile, dei robottoni giganti che menano mostri spaziali. Mi avrebbe dato l'orgasmo vedere in questo capitolo robottoni evoluti componibili trasformabili in piccole astronavi stile Getta Robot, ma questa è una menata mia... speriamo bene! Anche perché c'è protagonista Scott Eastwood che come attore è un carismatico come cactus, lo sceneggiatore Derek Connolly che ha in passato ha tirato fuori quel capolavoro  di non-sense che è Jurassic World, Del Toro non dirige, i dubbi grossi ci sono! Ma ci saranno anche spade diaboliche, pugni a razzo e attacchi solari e il bambinone che è in me mi ha già portato davanti al multisala a fare la coda per febbraio 2018.
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Addio Chester


Ieri Chris Cornell avrebbe compiuto 53 anni. Che Chester abbia scelto non a caso data e modalità per continuare a cantare insieme a lui potrebbe non essere una semplice casualità. A noi rimarranno le sue incredibili performance vocali e la consapevolezza che qualcosa nel mondo della musica è cambiato quando fu pubblicato Hybrid Theory. In meglio.


martedì 18 luglio 2017

Cane mangia cane - la nostra recensione dell'ultimo film dell'autore di Taxi Diver, Paul Schrader



Troy (Nicholas Cage), Mad Dog (Willem Dafoe) e Diesel (Christopher Matthew Cook). Tre volti di tre piccoli criminali scontenti e sfigati, incapaci di gioire delle poche vittorie della vita, destinati a servire il volto più grottesco della commedia nera. Il loro rapporto si basa sulla fiducia, sul cameratismo alimentato nel carcere di San Quintino. C'è la volontà di fare girare bene le cose, coprirsi a vicenda, essere più professionali possibili, ma la testa è in pappa. Troppo sballo da stupefacenti e poche coccole per Mad Dog, troppa pignoleria e paura di sbagliare e essere inadeguato per Diesel, per Troy troppo sentimentalismo e pessimismo cosmico che si traduce in un deleterio "contratto con Dio", come direbbe Will Eisner. Che tutto finirà a scatafascio si capisce già dopo i primi esaltanti minuti, in cui un Dafoe mai così sballato e mai così patetico cerca di sopravvivere, completamente fatto, a un pomeriggio nella casetta tutta rosa della sua cicciona e petulante ragazzotta con figlia e fervente cattolica. Le cose non migliorano dopo che un piccolo colpo potrebbe cambiare la vita dei tre, perché loro non sanno gioire, stanno sempre a combattere contro i loro demoni interiori. Poi tutto si fa confusissimo, lisergico, quasi mistico. I freni saltano e il viaggio cinematografico diventa viaggio interiore e al contempo psichedelico. La narrazione, già episodica, si fa criptica e ci sembra di stare guardando un episodio di Breaking Bad parecchio sotto acido. 


- ok, cosa ho visto? È dai tempi di Paura e Delirio a Las Vegas o di Trainspotting che non assisto a uno spettacolo così psichedelico su dei totali "losers", divertenti quanto patetici ma in fondo titanici, eroici nell'affrontare una vita che va tutta storta, forse per "punizione divina" ai loro peccati. Gli attori si divertono e ci divertono nel descriverci un'America mai così piatta e priva di prospettive, mai così ipocrita. Ed è un film cattivo, sinceramente cattivo nell'animo, che non risparmia e non fa sconti alle povere vittime del passaggio dei tre, vittime ree di essere degli "inquadrati", di credere in qualcosa, di stare "a posto". La satira che ne esce fuori è feroce e gustosa, ma il meccanismo pecca un po' di limature. 

Sarà la produzione low-cost, sarà la natura episodica frammentata al punto da sembrare una raccolta di barzellette nere, sarà l'empatia difficile da instaurare verso personaggi che sono veramente border-line, ma la costruzione scricchiola. Si avverte davvero, soprattutto nel finale, l'assenza di scene di raccordo, ci si sente persi in un mondo che è la riduzione eccessiva del romanzo da cui è tratto, sempre dello stesso autore (autore che ama pure Tarantino), in quanto non avendo già in testa la pagina stampata si perdono molte sfumature. Cane mangia Cane è uno strano meteorite che cade in questa oltre-soleggiata estate nelle nostre sale. Potente come una peperonata, ma al contempo straniante per i 40 gradi percepiti a cui dobbiamo trangugiarla. Se vi piace però il piccante, in un panorama di titoli per il cinema fin troppi educati e laccati, avete forse trovato il ruvido, sconclusionato è un po' troppo cattivo spettacolo di cui avete bisogno. 
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lunedì 17 luglio 2017

Ci ha lasciato George Romero


Ma sono sicuro che uno dei più grandi registi, poeti e filosofi del '900 se ne starà per poco sottoterra. I suoi zombie ormai stanno dominando il mondo e non vedono l'ora di riportare alla non-vita l'uomo che gli ha dato un cuore e soprattutto tanti, tanti cervelli. Ciao George, grazie per averci divertito, spaventato e fatto pensare. 
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giovedì 13 luglio 2017

Spiderman Homecoming - la nostra recensione del nuovo cinecomics Sony / Marvel




- Due parole di inquadramento: all'origine c'era un ragazzo orfano allevato dagli zii del Queens, un ragno radioattivo, i grandi poteri e le grandi responsabilità. Poi è arrivato un costume improvvisato in cantina, incrocio tra una tuta, un pigiama e occhialini da saldatore ad accompagnare il tocco da vero genio, un lancia ragnatele costruito tutto da lui. Stark lo ha scovato, in rete, nelle sue prime imprese da vigilante, si è un po' intenerito e un po' appassionato, da allora tutto è cambiato. Un costume nuovo hi-tech (che ricorda  il "giubbotto del futuro" di Ritorno al Futuro 2 ed è a tutti gli effetti una versione light della tuta di Ironman), un numero di cellulare che mette in contatto diretto con Ironman, la voglia di fare tantissimo dopo essere stati lì, in prima linea, in quell'aeroporto a Berlino in cui si è combattuto il più duro scontro della Civil War supereroistica. Peter Parker è pronto, già due ore dopo lo scontro in cui ne ha date (poche) e prese (molte) da Captain America. Peter Parker è carico a pallettoni, gasato all'inverosimile alla sola idea di entrare nella serie A dei supereroi, magari con una stanzetta nella Avengers Tower. La scuola, dove è più che bravino, viene dopo. Gli amichetti e la bella Liz vengono dopo. Lui c'ha da fare le cose importanti, il cosiddetto "stage alla Stark", che gli occupa ogni goccia del tempo libero, in realtà è un autentico trainer da supereroe... o per lo meno questo è quello che pensa lui, perché nessuno di fatto gli ha detto di "allenarsi a fare il supereroe". Almeno non "troppo". Perché purtroppo è ancora un "minchietta".  Non ha ancora capito che non può lanciare la ragnatela dove non ci sono i palazzi, non si è mai scontrato con gente che vuole davvero cercare di ucciderlo con armi serie, non ha ancora fatto i conti con la forza di gravità. Non basta aver ricavato una bat-caverna grande come un armadietto segreto a scuola. Tony Stark, Ironman, suo "mentore", sente che il bimbo pur molto promettente deve passare ancora un po' di tempo a giocare nella primavera. Deve capire cosa fare da adulto, deve conoscere il territorio dove vive, deve diventare prima grande e responsabile e poi, a tappe, un amichevole Spiderman di quartiere per solo poi volare nei team-up ad affrontare le minacce cosmiche. Stark sente il peso di essere diventato un pessimo adulto, come lo era stato suo padre, sente e di aver deluso tutti con la storia di Ultron, non vuole fare errori con il suo "bimboragno". Un gps attaccato alla ragno-tuta, un "baby monitor" per registrare dai suoi occhi quello che fa, il suo uomo di fiducia Happy impiegato a tempo pieno a leggere i whatsapp di Peter, controllo di scuola, amicizie, territorio. Iron Man ci tiene, ma è come un papà iper-protettivo alle prime armi, un po' goffo e un po' troppo sensibile magari. Non gli permette di fare niente di veramente supereroico e il ragazzo freme, freme per entrare in azione. Pure la bella zia May, la milf più venerata del Queens, si preoccupa perché Peter, da sempre un ragazzo intelligente e posato, ora salta le lezioni a scuola e non parla più con lei. Questo caos lo avvertono anche i suoi amici di scuola, gli insegnanti, i conoscenti di quartiere: il piccolo Parker ha la testa tra le nuvole. Il costume rosso e blu è troppo importante però, il babyragno deve usarlo per combattere il crimine con le sue ronde, la posta in gioco è alta, è bello aiutare il prossimo e c'è anche un mostro meccanico volante da combattere nei cieli di New York. Una nemesi seria e competente, forse troppo: l'avvoltoio. Adrian Toomes prima di diventare l'avvoltoio era un costruttore edile serio e responsabile. Il perfetto vicino di casa che ama la sua famiglia e da una mano con il giardino. Quando i chitauri caddero dal cielo e si scontrarono con gli Avengers l'intera New York era di colpo piena di resti di alieni e astronavi da raccogliere e Adrian aveva un grosso contratto per lo smaltimento. Fino a che arrivò Damage Control, di proprietà di Tony Stark, uomo più ricco della terra. Damage Control aveva l'esclusiva su roba che evidentemente non era sua, ma burocraticamente sollevò l'impresa di Adrian dall'incarico e lui finì sul lastrico. Ma Adrian non si arrese e anche lui, nella sua cantina, insieme al suo piccolo gruppo, costruì un bel costume. Da allora decise di intascarsi quanti più possibile dei ghiotti cimeli spaziali, magari sottraendoli a chi li aveva "legalmente". Decise di studiarli, elaborarli, adattarli, diventando il più Figo inventore/ricettatore/ladro di oggetti hi-tech alieni del creato. Una giusta vendetta sociale che però sta sbracando nel crimine, in quanto nuovi e strabilianti giocattoli sono ora a disposizione di una nuova classe di delinquenti, i super-criminali. Solo Spiderman si è accolto dell'avvoltoio, ma gli adulti non vogliono dargli retta o, per lo meno, non vogliono che si faccia male. Riuscirà Peter a fermare l'avvoltoio e, soprattutto. a vivere una regolare vita di adolescente del Queens? Perché oltre ai super criminali c'è la scuola, una Morte Nera di Lego da assemblare con il suo migliore amico, il concorso dei cervelloni, il bulletto da sopportare, una splendida ragazza da conquistare e la dolce Zia May da non deludere. Ma tutto questo è ordinaria amministrazione, se sei Spiderman.


- Uno Spiderman a cui "puzzano i piedi": prendo in prestito questa espressione da Francesco Alò, uno dei critici cinematografici italiani che più ammiro. Quando arrivi a sentire il sudore di un personaggio cinematografico, quanto arrivi a sentirgli pure la puzza dei piedi, hai toccato un livello di realismo importante, anche se magari un po' sgradevole all'olfatto: hai un elemento di verità in più, tutto diventa tridimensionale. E questo Spiderman, ispirato alla versione su carta ringiovanita e "ultimizzata" di Bagey e Bandis (una delle run più longeve e amate dopo quella di Lee/Kirby sui Fantastici 4),  è così: tutto sudato e sporco come sanno sporcarsi solo gli adolescenti, tutto carico di febbrile mobilità ed entusiasmo, di endorfine. Tom Holland suda, salta come un grillo, sgrana gli occhioni per lo stupore, affronta stoicamente la sfiga di cui è permeato l'arrampicamuri ma soprattutto sa rialzarsi. Cede allo sconforto ma sa sempre rialzarsi, più forte, più eroico. E soprattutto è ironico e con i piedi per terra, a chilometri dallo sbagliatissimo, bidimensionale e bulletto Spiderman di Garfield. È vero come adolescente come è vero il Queens, lo scenario multi-etnico, colorato, formativo, povero ma non privo di entusiasmo in cui Peter Parker vive. Senti davvero che in quel negozietto all'angolo puoi trovarci i migliori panini di New York, avverti l'afa della sala di punizione della scuola, il profumo della compagna di classe carina, Liz, che in bikini ti si avvicina e ti invita a un bagno notturno, la puzza di pesce che ti si impregna se cadi in acqua dal traghetto locale. Spiderman Homecoming vive di un ambiente ricco, pulsante, abitato da personaggi simpatici quanto credibili, ragazzini veri. Ed è anche un mondo squisitamente "fringiano", in cui la tecnologia aliena, gli oggetti mistici e le armi in vibranio esistono, dove gli accordi di Sokovia sono studiati sui libri di scuola. L'universo Marvel "vive" e ha cambiato la società, la tecnologia non è più esclusiva di super scienziati come Hank Pym o Tony Stark, non è più rara e contesa tra società segrete come Hydra e Shield, ma è alla portata di tutti, del tuo vicino di casa. Uno che ieri smaltiva auto da rottamare, oggi giocherella con campi di forza che aprono pareti magiche, con braccia di Ultron-cloni usate come saldatrici, con alianti alieni da cui si possono ricavare ali come quelle di Falcon. E di colpo i super-criminali hanno davvero un senso, i vigilanti come Spiderman hanno davvero un senso. Unendo i puntini di tutti i film Marvel/Disney precedenti, spostando l'obiettivo dagli eroi alla gente comune, ci troviamo davvero qui, per la prima volta, nel mondo descritto da Marvels di Busiek e Ross. Ed è più che credibile e per nulla macchiettistico il villain portato in scena da Michael Keaton, è pieno di sfumature. È intelligente, curioso, veloce, ha un suo chiaro codice morale, cuore e senso dell'onore. Non è per nulla un cattivo usa e getta e ci si trova più volte a pensarla come lui, a giustificarlo e a tifare per lui. Il suo costume è più corazzato e ha più gadget di Batman, ma è tutto intriso di American Dream, personalizzato e pimpato, così come il magnifico giubbetto in pelle da aviatore che decide di usare nelle sue scorribande al posto di più seriose soluzioni hi-tech. Keaton, che ha in port-folio un arsenale di facce da matto, ha qui il suo ghigno più cattivo da Beatlejuice, ma non eccede in faccette, ti fulmina sollevando solo un sopracciglio ma ti convince ugualmente quando parla della sua famiglia e il volto subito si illumina. Un'ottima prova. Molto buona anche l'idea di usare Iron Man come mentore e Happy come cane da guardia severo ma non troppo, anche perché pesca a piene mani anche dalle storyline che il mensile Amazing Spiderman presentava nel pre, durante e post Civil War. Mi sarei aspettato ad un certo punto il costume del Ragno Rosso, ma forse non è ancora venuto il momento giusto. Nerdate a parte, Robert Dawney Jr, anche per merito di un'ottima sceneggiatura, riesce in questa pellicola a meglio ricucire e armonizzare il suo personaggio rispetto alle precedenti pellicole. Stark è gigione come sempre, ma ha anche sfumature molto umane, paterne. Il film funziona come perfetta parte 2 di Civil War dando una bella chiusa al suo personaggio. Non si sa ancora se dopo i due nuovi film degli Avengers l'attore confermerà il ruolo, ma questo è "per lui" decisamente un finale più appagante di Iron Man  3


Favreau , nel ruolo di Happy, gioca molto con Holland, hanno una buona intesa e tempi comici e sono molto divertenti le scene in cui battibeccano. Così come conquista il simpatico e cicciottello Jacob Batalon nel ruolo del migliore amico di Peter, Ned. Ned, che è un personaggio del tutto inedito, è davvero uno spasso. Logorroico, buffissimo, invadente quanto fidato, sveglio, indispensabile. È il grande cuore ciccione del film e non sbaglia una sola scena in cui è presente. Il fatto che lui sappia che Peter è Spiderman permette al nostro eroe di raccontarsi e smitizzarsi, ammorbidendo quell'aria malinconica propria dell'arrampicamuri classico che poco si sposerebbe con l'età anagrafica dell'attuale bimbo-ragno. Ned è il suo assistente, il "tizio alla scrivania" che spesso aiuta l'eroe con dati, mappe e hacking. Tutte attività che risultano maldestre e buffissime ma sopratutto originari e godibili da seguire. Non poteva mancare Flash Thompson, il bulletto cattivo degli incubi del nostro eroe, anche se Tony Revolori invece che la solita stupida montagna di muscoli lo presenta come un ragazzetto simpaticamente acido e sopra le righe, cattivello ma non crudele... una specie di Squiddy di Spongebob, in assenza di un paragone migliore che non mi viene. E dopo aver parlato di tutti questi maschietti, passiamo all'altra "metà del cielo". È magnifica e incantevole Marisa Tomei nel ruolo di zia May, una donnina minuta e solare che insegna a Peter a ballare prima del ballo di classe e che piange la notte se non ha notizie del nipote da troppe ore. È un mix di forza e fragilità che conquista. Assomiglia un po' a Scarlett Johannson in Her, Jennifer Connelly nel ruolo "vocale" (ovviamente nella versione americana) di Karen, detta anche "lady tuta", un po' l'equivalente di Jarvis per l'armatura di Iron Man. Più di  una semplice "Siri" spersonalizzata, una vera motivatrice / psicologa che riempie di complimenti e consigli sentimentali il nostro eroe e se vogliamo un altro centrato artificio narrativo per permettere a Spiderman di raccontarsi anche mentre si trova da solo a saltare di ragnatela in ragnatela. Funziona bene, come funzionano bene anche la dolce Liz interpretata da Laura Harrier e la strampalata ma intrigante Michelle, interpretata da Zendaya. A parlare di loro due rischio il linciaggio per spoiler, mi limito quindi a dire che sono dei bei personaggi che non rimarranno indifferenti per la vita futura del nostro eroe.



- per Millar il migliore film Marvel finora, ma per me? Per me uguale, ma con la consapevolezza che se non ci fossero stati i film precedenti non avremmo mai avuto un simile risultato. L'universo Marvel ritrova finalmente il suo centro di gravità mettendo al centro di uno dei suoi film migliori un ragazzino: un ragazzino inserito in una classe di ragazzini simpatici e credibili, autentici come i milioni di lettori a cui sono principalmente rivolte le storie a fumetti (che ci siano poi linee editoriali destinate agli adulti è cosa secondaria) dei supereroi Marvel. Ed è qui come se idealmente Ironman, il personaggio con cui tutto è cominciato, chiudesse il cerchio e cedesse un po' il testimone alle nuove generazioni, ritagliandosi un ruolo futuro più defilato, dopo aver costruito un presente che è ormai "altro", distopico rispetto al nostro. Jon Watts conferma, dopo gli ottimi The clown e Cop Car di essere un ottimo regista di storie per ragazzi, come lo era Donner ai tempi dei Goonies. Ieri come oggi in scena dei ragazzi veri, con il loro modo confuso di parlare, con la loro adrenalina, con l'entusiasmo e una voglia infinita di fare la loro parte in un mondo in parte reale e in parte fantastico. Ieri sotto ad un faro nei pressi di Astoria c'era un covo di pirati pieno di "tracobetti" e criminali, oggi tra i cieli del Queens puoi scorgere un uomo ragno piccolo piccolo appiccicato in modo sgangherato a un avvoltoio metallico. Questo è lo spirito giusto di fare cinema che piaccia tanto ai ragazzi quanto ai bambinoni troppo cresciuti che non vogliono dimenticare quanto era bello essere alle medie a sfogliare in un pomeriggio assolato i fumetti. Poi i cinefumetti, esattamente come i fumetti, possono essere anche "altre cose", possono parlare il linguaggio degli adulti, fare satira, fare vera fantascienza e critica sociale. Ma il fumetto di supereroi nella sua forma più semplice (ma mai banale) è questo e Spiderman Homecoming lo incarna al meglio. Il sequel, già schedulato, sarà il primo film Marvel post guerra spaziale contro Thanos. Chissà se ci troveremo di nuovo in un mondo diverso. Chissà se al nostro bimbo-ragno di quartiere saranno già comparsi i primi accenni di barba. 
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