C'è una
vicenda poco raccontata sui libri di Storia sulla seconda guerra mondiale,
anche se sono fatti legati ad uno dei più spaventosi eccidi che l'umanità abbia
mai messo in atto, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Tutti sanno,
anche per pura curiosità e per il Focus Channel del "Progetto
Manhattan", del " Little boy" e del B-29 Enola Gay,
in meno parlano (anche in virtù di una solo recente riabilitazione della
vicenda) della USS Indianapolis, la nave che portò la bomba in gran segreto
dagli Stati Uniti fino al bombardiere. Una missione delicata, senza scorta e
senza pubblicità, senza armi e senza contatto radio, in pieno territorio
nemico. Correre con più leghe possibili grazie alla migliore tecnologia navale
della flotta verso il mare delle Filippine, consegnare " il pacco",
per lo più ignoto all'equipaggio, e tornare a casa, sempre nell'ombra, sempre
da soli, pregando di non incontrare i mini-sommergibili kamikaze chiamati
"kaizen". Il viaggio d'andata va in porto, come la Storia insegna,
nonostante i mille presagi di sfortuna. Il viaggio di ritorno le avrebbe fatto
incontrare i siluri incazzati di un sottomarino giapponese, l'affondamento e la
quasi totalità dell'equipaggio alla deriva a farsi divorare pezzo dopo pezzo
dagli squali. Ed era solo l'inizio del calvario per l'equipaggio
superstite.
Una
pagina della storia tremenda all'ombra di una pagina di storia indicibile. Il
regista Mario Van Peebes, lontanissimo dai tempi del western all-black Posse racconta l'epopea degli uomini della Indianapolis scegliendo
il registro più intimo e sofferto. Non c'è eroismo, non c'è un senso superiore
di giustizia a stelle e strisce da preservare. Solo storie di piccole soldatini
che dopo una malinconica notte in città pensano di imbarcarsi in una missione di
routine per poi ritrovarsi, poche ore dopo, sul mare delle Filippine, silurati,
a galleggiare sui relitti e sperare in un soccorso che tarda ad arrivare. Il
tutto tenendo a bada le lacrime, la pazzia che sale e, soprattutto, gli squali.
Squali che erano a migliaia e anche se non erano i mostri assetati di sangue
che gli horror acquatici oggi propongono erano sempre lì, sempre affamati, con
i marinai presi dalla disperazione che li prendevano a bastonate o gli cavavano
gli occhi pur di non farsi tirare giù in mezzo al mare. La guerra c'è, ma è
altrove. Il film parla di sopravvivenza e in qualche modo di "punizione
divina". Il piccolo popolo della Indianapolis è come se pagasse
simbolicamente per tutti quelli che hanno deciso di chiudere il conflitto
mondiale in quel modo. Facile che ai giapponesi la pellicola possa fare
l'effetto di un horror torture-porn, per la precisione ed efferatezza delle
scene più macabre, quelle in cui denti di ossa e lamiere d'acciaio si riversano
sui marinai americani. Molto bravo e molto umano Nicholas Cage nelle vesti del
capitano McVay. McVay è come un padre per il suo gruppo ma è anche il
depositario di un segreto indicibile che potrebbe portare la guerra alla fine,
con tutta la gloria (che nessuno gli attribuirà in vita) e tutti gli oneri di
dolore e sofferenza che questo comporterà. Un ruolo non facile, gigantesco ma
dolente, iconico e tragico. L'attore italo-americano in questa assolata estate
sta vivendo una vera e propria rinascita artistica (anche se questa pellicola è del
2016 e da noi arriva un po' in ritardo). Tom Sizemore, che dai tempi di Salvate
il soldato Ryan incarna ormai alla perfezione il soldato americano generoso ma
letale, dà ugualmente qui ottima prova. Molto interessante, profondo e tragico
il ruolo del comandante Mochitsura Hashimoto, l'ufficiale del sottomarino che
silurò l'Indianapolis, interpretato da Yutaka Takeuchi. Un uomo che si sente
il peso di non aver intercettato prima quella nave, ma anche un uomo con una
altissima considerazione della sofferenza umana, riluttante sull'uso dei
kamikaze. Il film giocoforza trasuda di patriottismo e rivalsa come è classico
nelle produzioni di questo tipo ma Van Peebles riesce a infilare dentro (come
solo sanno fare gli autori migliori) degli accenni di reale critica politica.
Sembra dirci che sono i "poveri" ad andare in guerra e morire, ma comunque sono gli unici ad avere un'anima, a provare compassione e
onore. Giocoforza il mondo non sarà mai nelle mani di onorevoli soldatini e
anche le più alte dimostrazioni di onore e rispetto (come quella del capitano
Hashimoto nel finale) sono atti che non comportano alcuna attenzione e stima
per l'opinione pubblica. È una strana produzione quella di USS Indianapolis. I
fondi sembrano provenire da un'associazione reduci e gli effetti speciali
hanno più l'aria di una ricostruzione low-cost per l'History Channel. Gli
attori però sono bravi e in parte e la storia ha forza e drammaticità tali che
deve essere conosciuta. Per i più cinici e più disinteressati ai fatti del 1945
rimane un film di squali di portata così gigantesca come non ne hanno mai
visti. Anche se forse meno sadico di quanto vorrebbero.
Talk0
Nessun commento:
Posta un commento