lunedì 27 giugno 2022

2030 fuga dal futuro - scappa dalla Nuova America (The Humanity Bureau): la nostra recensione di una “roba”…davvero bruttina…con protagonista Nicolas Cage

 


Nel 2030 immaginato nel 2017 da dei tizi canadesi sedicenti “autori di cinema”, l’America e il mondo intero non se la passano benissimo. Tra inquinamento, scarsità di cibo, crisi economica, guerre e malattie sono rimaste poche persone, per lo più divise tra ricchissime, poverissime e fesse. Per salvare la baracca si è costituito e ha preso un sacco di potere l’Humanity Bureau, un ente ””assistenziale”” il cui scopo è far girare per l’America i suoi agenti su auto nere, armati pesantemente, in cerca di chi è meno abbiente. Lo scopo è quello di deport… cioè: “invitare” questa gente che non fattura abbastanza in un fantastico posto pieno di speranze e possibilità chiamato “nuovo paradiso”. Nessuno poi sembra più voler tornare indietro da nuovo paradiso, nessuno che da lì mandi una cartolina o un selfie, nessuno che telefoni: deve essere quel tipo di posto bellissimo tipo Gardaland in cui ti diverti così tanto h24 che non hai più un minuto libero per pensare al resto del mondo, per anni e anni. Noah Kross (Nicolas Cage), che evidentemente fa parte della popolazione dei fessi, lavora per il Bureau da anni e davvero non capisce perché i poveri preferiscano vivere di stenti nelle baraccopoli bevendo urina piuttosto che andare gioiosamente in questo nuovo paradiso “fatto apposta per loro”, più o meno dal nulla e non si sa con che soldi, che manco lui non ha mai visto. Giorno dopo giorno Noah si sente però sempre più fuori posto nel suo ruolo da “”“assistente sociale”””, anche se dovrebbe essere tutto ok: in fondo abita come gli atri agenti in un attico a Las Vegas ripieno di quadri milionari e sostanzialmente tutto il giorno va in giro su una corvette nera a sparare alla gente povera che non vuole andare a nuovo paradiso. Brutta bestia la depressione. Mentre arpiona con un amo da pesca un Monet che tiene in salotto, Noah pensa: “Ma quanto era bello quando qui era tutta campagna e si potevano pescare i lavarin sul molo? Forse il mondo non è finito e tutti sono felici in Canada. Bisogna andare in Canada e da lì ragionare lucidamente sul fatto che un nuovo paradiso per i poveri potrebbe pure essere una bufala a fini politici”. Il Canada salverà tutti, ma non paiono della stessa idea gli amici di Noah, che vogliono continuare a vivere a Las Vegas facendo il bagno vestiti nelle piscine degli alberghi per ricconi e continuare a sparare ai poveri.

Ma cosa diavolo ho visto? 


2030 ecc. ecc. è un film di fantascienza realizzato con tre auto, due magazzini, una casetta di legno di periferia, effetti speciali del discount e dieci attori. Più tre cappotti in pelle alla Matrix a nolo. Una roba post-apocalittica soft, che più che Mad Max pare un film vagamente western del pomeriggio di rete 4 ambientato nella campagna del Nevada. La storia fa un po’ il verso a Seven Sisters di Wirkola con Noomi Rapace, ma ne è la versione da super - hard a- discount senza nemmeno una Noomi Rapace a offrirci le sue grazie. E in Seven Sisters, in piena opulenza, oltre a infinite scene d’azione e ottimi effetti speciali anche 7 Noomi Rapace a offrirci le loro grazie, e che cavolo!!

Come spesso accade, non è chiarissimo il modo in cui Nicolas Cage sia entrato nel progetto di questo strampalato film canadese. Sappiamo che il nostro eroe ha un bulimico bisogno di recitare e devono averlo adescato in un autogrill, agitandogli davanti agli oggi il copione di questa roba mentre stava mordendo un Camogli. Lui non ha resistito e tre giorni dopo il film era già stato fatto, probabilmente utilizzando parenti e amici del regista come cast e fornitori di location, due auto a nolo e tre pistolette liquidator, un paio di stanze di motel. Cage prova a “cagizzare tutto”, si sbraccia in over-acting e cerca di portare a casa il risultato comunque, ma il contesto di lavoro è modestissimo e privo di guizzi, salvo sporadici squarci di “assurdo” come “la pesca in soggiorno” e salvo una scena che sì, è da incorniciare. In questa scena un ragazzino ruba dalla tasca del “cattivo” il suo occhio di vetro, che inizia a saltellare fino a cadere sotto una grata. Il cattivo vorrebbe sparargli, perché è lì per quello e ci sono già cadaveri di altri cattivi ovunque, ma prima aspetta che il ragazzino, che si dimostra di colpo servizievole, gli riporti l’occhio, scendendo sotto la grata e di fatto dileguandosi. Da lì, mentre il cattivo aspetta, il bimbo segue le gallerie e sbuca da un tombino vicino alla macchina di Cage, con cui fugge prima di rischiare di essere investito. Puro non - sense. Peccato che non ce ne sia abbastanza e la storiella sia davvero atroce (con un colpo di scena che fa davvero piangere per la tristezza della scrittura). Fossi stato in Cage avrei denunciato tutta la produzione di 2030 per rapimento, ma il nostro è un uomo di gran cuore e questa pellicola la potete ora trovare in streaming. Da maneggiare solo se vi trovate in gravissima crisi di astinenza da Nicolas Cage e non avete in casa nient’altro che questo film con lui. Se capitate in questo scenario vi consiglio comunque di giocare il giorno dopo al lotto, perché l’universo è in debito con voi di qualcosa. 

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mercoledì 15 giugno 2022

Occhiali neri: la nostra recensione del nuovo film di Dario Argento con protagonista Ilenia Pastorelli

 


Diana (Ilenia Pastorelli) è una ragazza romana bella tosta, di borgata, con un fisico da urlo e nessuna remora ad esibirlo con generosità. Vive “tra la luce e il buio”, esercitando la non facile professione della escort in un appartamentino, aiutata da una colf che un po’ la odia e un po’ la sopporta. Se qualche cliente esagera Diana è sempre pronta a mollare calci nelle palle,  rimettendolo al suo posto e ridefinendo le regole “contrattuali”. Nel suo luogo di lavoro c’è sempre una luce soffusa e forse la sua vita non cambia poi molto da quando un giorno Diana viene coinvolta in un incidente, terribile e “tarantiniano” (la citazione è al guilty pleasure A prova di morte) a seguito del quale perde l’uso della vista. Diana in pochissimo tempo esce dall’ospedale, metabolizza, si rialza con l’aiuto di una volontaria (Asia Argento) e di un cane e in seguito si accolla pure l’educazione e il destino di un ragazzino cinese rimasto orfano nello stesso scontro. Ma nonostante tutta questa grinta, sul futuro di Diana incombe un misterioso e spietato assassino di prostitute, con tutta l’intenzione di saldare un conto in sospeso con lei. Saprà questa ragazza tosta avere la meglio su uno spietato assassino?


Torna al cinema Dario Argento, a molti anni di distanza dal suo Dracula 3D, con tutta l’intenzione di riportarci alle atmosfere della sua cinematografia thriller più amata, nello spirito di opere immortali come Profondo Rosso e Il gatto a nove code. Ne esce un film crepuscolare sulla difficoltà di decifrare la realtà davanti ai nostri occhi, fin dalla “carpenteriana” locandina che cita Essi Vivono. Un giallo che parte come sempre nei territori della logica, per poi verso il secondo atto fuggire da ogni chiave realistica, all’inseguimento di ossessive atmosfere oniriche in cui la razionalità dello spettatore può perdersi e contorcersi come in un incubo. Una purissima liturgia argentiana di vecchio stampo fatta di personaggi che scompaiono da un momento all’altro, animali notturni che diventano tanto aggressivi da sembrare mostri, protagonisti che avanzano nel buio aggrappandosi con eroismo ai pochi spiragli di uscita che gli vengono concessi. Eroi controvoglia o anti-eroi che spesso oltre a un assassino misterioso devono fare i conti con uno “stigma”: come essere considerati “stranieri”, “emarginati”, “portatori di un handicap”. Ilenia Pastorelli, una delle attrici più interessanti degli ultimi anni specie per l’asfittico “cinema di genere” che ancora si prova a realizzare nel Belpaese (vedasi anche in progetti folli come il recente Io e Angela), riesce a incarnare al meglio la perfetta eroina argentiana adatta a questa storia. Diana è una credibilissima ragazza  che con ironia e grinta vive e sopravvive ai margini della periferia, non troppo distante dalla Alessia di Lo chiamavano Jeeg Robot, dalla Sabrina di Non ci resta che il crimine ma anche dalla Luna di Benedetta follia. È una donna che vive “sul confine”, tra chi è in vista e gli invisibili, destinata per il senso comune (che spesso prende le cantonate) a “finire male” per le sue scelte sbagliate di vita, magari proprio per via di qualche cliente particolarmente strano e pericoloso (come il “voncione” interpretato da Andrea Gherpelli, che dopo averlo visto nei panni del simpatico fattore nel reality show di Real Time Wild Boys fa davvero strano vederlo diretto da Argento. Un po’ come se Bruno Barbieri in 4Hotel impazzisse e diventasse il custode dell’Overlook Hotel..). Diana è una donna “potenzialmente” fragile e un po’ bambina, ma che al contempo non si arrende ed è anzi capace di una bella forza interiore che le permette di sopravvivere, riadattarsi, dimostrarsi generosa verso gli altri. Il film parte con la bellissima sequenza che descrive un’eclissi e progressivamente ci abitua a scendere nel “nuovo” buio in cui vive Diana. Sul finale possiamo quasi limitarci ad affrontare la pellicola con gli occhi chiusi, dopo aver appreso le “regole e le paranoie” con un la nostra protagonista può affrontare il mondo come non vedente. La narrazione relativa alla rieducazione della protagonista e al suo rapporto con il cane guida in questo aspetto risulta ben scritta, frutto di uno studio e di una sensibilità non banale nel descrivere la disabilità e le sue sfide. Quando entriamo davvero “nel buio più nero”, nell’ultima parte, in un paesaggio rurale e acquitrinoso, più da “immaginare” che da seguire razionalmente, Argento sa giocare con le sue armi più affilate, divertendosi tra splatter e momenti non sense a rimodellare il reale, calandosi quasi nella favola. 


Peccato che tutto l’affascinante potenziale di Occhiali Neri si perda un po’ troppo durante la messa in scena, specie se si decide di guardare il film “con gli occhi aperti”. L’atmosfera c’è, ma si perde presto dietro ad attori secondari non al meglio della loro forma, un villain non all’altezza del potenziale orrorifico richiesto, situazioni che nonostante la giusta spinta onirica risultano a tratti davvero davvero “troppo surreali” (spoiler come quella del bambino che correndo nel buio cade da qualche parte senza emettere nemmeno un gemito, per poi ricomparire come se niente fosse). Ogni tanto arrivano pure momenti super trash, peraltro figli della difficoltà di rendere credibili su schermo alcune paranoie dovute alla difficoltà di vedere. Situazioni che per assurdo non sarebbero trash, ma anzi formidabili, se con una punta di coraggio in più Argento avesse deciso di girarle completamente al buio, dalla prospettiva della protagonista. Così  le anguille di fiume del territorio laziale le vediamo in grado di saltare tre metri da terra per strangolare un essere umano. Così accade che dei poliziotti che si mettano a sparare nel pieno del traffico alla vista di un possibile indiziato. Così arriviamo ad una scena di “tiro al bersaglio” dai toni inspiegabilmente “calmi”. Pur accettando l’onirico come linguaggio di elezione per “supplire” alla cecità, spesso l’effetto finale è davvero troppo surreale e la platea affronta certe scene con più ironia che turbamento.

Non mancando nella storia del cinema film thriller con protagonisti dei non vedenti, proprio a partire dal bellissimo Gatto a nove code di Argento. Film, pescando tra i più recenti, come Hush di Flanagan, Man in the dark di Alvarez, il coreano Blind di Ahn Sang-hoon. Occhiali neri cerca di dire qualcosa di originale sul tema con il volo di Icaro di anguille che fanno balzi di tre metri cercando di strozzarci. Quello che mi fa profondamente star male quando ritorno a questa immagine del film, è il fatto che sia una magnifica idea che poteva essere sviluppata meglio. Così com’è, pare un momento di Mai dire Banzai e il pubblico in sala ride o viene preso come me dallo sconforto. Quando invece il cane guida ringhia e lo vediamo quasi trascendere, con la stessa interpretazione “onirica” della non vedente, in una specie di cerbero assetato di sangue latore di momenti grandguignoleschi, il film vince, convince, ma lascia l’amaro in bocca per le scene sviluppate male di cui sopra. Un vero peccato. 

Occhiali neri si regge letteralmente tutto sulle spalle della Pastorelli, su alcune felici intuizioni di fotografia e su un paio di momenti splatter/onirici davvero gustosi. Un po’ poco, anche se personalmente ho gradito di più questo Dario Argento rispetto ai suoi ultimi lavori. Forse gli ho voluto bene vedendolo stilisticamente vicino al “buio perenne” della periferia romana più “onirica”, negli ultimi anni esplorata da Morituris di Picchio o di Tulpa di Zampaglione. I film sul “buio” e sui “confini”, trovo che offrano un territorio molto fertile alla nuova cinematografia italiana, dall’ottimo buio di Oltre il guado di Lorenzo Bianchini al meraviglioso Il nido di Roberto De Feo. Pupi Avati ha saputo rinnovare alcune suggestioni del suo cinema (da La casa dalle finestre che ridono al più recente Il nascondiglio) con Il signor diavolo, Dario Argento prova qualcosa di simile e a tratti ci fa ben sperare, ma purtroppo il gioco non funziona del tutto. Peccato. 

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giovedì 9 giugno 2022

Black Adam: il primo trailer in italiano

 

 

Dal regista dell’ottimo Jungle Cruise, dritto in uscita per ottobre, il nuovo film dei supereroi DC Comics appare fin dal primo trailer godurioso, con una buona effettistica, tanta ironia e un The Rock in pienissima forma. Piena forma e regalità che sembra riprendere dai suoi esordi cinematografico ne La Mummia 2, dritto dal minaccioso character del Re Scorpione che omaggiava Ray Harryhauser (chi dice che fosse brutta cg e non gloriosa stop motion futuristica è una brutta persona) dando corpo ad un antieroe muscolare quanto dark. Trama ancora blindata, ma che fin qui sembra coinvolgere nel modo più spettacolare possibile i supereroi della Justice Society, tra Hawkman e il Dottor Fate. Immaginiamo almeno un cameo di Shazam, visto che nei fumetti Black Adam è intriso della stessa “lore”. Non vediamo l’ora di saperne di più e ci godiamo l’attesa. 

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giovedì 2 giugno 2022

Nostalgia: la nostra recensione del nuovo film di Mario Martone con protagonista Pierfrancesco Favino, presentato in concorso a Cannes

 


Felice (Pierfrancesco Favino), dopo una vita passata quasi tutta al Cairo nel settore dell’edilizia, torna a Napoli. Nella vecchia casa presso il rione Sanità dove aveva vissuto fino a poco più che ragazzino, ora si trova al capezzale della anziana madre (Aurora Quattrocchi), in un luogo sospeso nel tempo che gli appare oggi distante, minaccioso quanto misteriosamente ancora accogliente. Felice, che ora fa molta fatica a parlare in italiano, proverà piano piano a riprendere contatto con il suo passato, riflettendo sulla possibile di ricominciare una nuova vita lì, grazie all’aiuto di un prete (Francesco Di Leva). Ma il principale scoglio a questo progetto sembra costituito dalla necessità e paura di rincontrare un vecchio amico di infanzia a cui era molto legato (Tommaso Ragno).

“La conoscenza è nella nostalgia, chi non si è perso non ne possiede”. Questa è la frase di Pierpaolo Pasolini che apre l’ultima pellicola di un Mario Martone, autore sempre più innamorato di una città magica e difficile come Napoli. Una città che negli ultimi anni il regista ha percorso per mille strade narrative, non ultima attraverso la storia del suo teatro popolare. Martone nel recente Qui rido io con protagonista Servillo omaggiava la figura di Eduardo Scarpetta. Un paio di anni prima forniva un personale adattamento moderno di un testo teatrale di De Filippo, Il sindaco del rione Sanità, scegliendo allora come protagonista uno straordinario Francesco di Leva che proprio in Nostalgia torna, incarnando un personaggio finemente speculare al precedente quanto, “grazie alla magia dello spettacolo”, umanamente vicino. “Nostalgia” è una parola che deriva dal greco e significa “dolore del ritorno” e tale definizione, unita alla accezione pasoliniana sopra espressa, permea in toto il messaggio più profondo della pellicola. Quella di Martone è una Napoli di periferia asserragliata e in guerra, con sentinelle che scrutano le strade da ogni finestra, con i motorini delle cosche che si muovono sparando nel quartiere, con la polizia assente. Le case del quartiere sono arroccate una sull’altra come muraglie difensive, la popolazione si sovraccarica sempre di più di immigrati provenienti dai paesi più poveri, si respira un’aria di tensione costante e sembra a tutti gli effetti un luogo dal quale fuggire. Eppure c’è un vento caldo ed accogliente che si muove dalla cima dei palazzi. C’è molta brava gente che vive il quartiere e cerca di valorizzarlo, c’è una comunità parrocchiale viva e accogliente, c’è sotto l’apparenza freddezza un calore umano avvolgente. Il luogo da cui il protagonista è dovuto scappare dolorosamente mentre era ancora ragazzo, riesce così a tornargli presto vicino e amico. Con la sua gente, i colori e infine una lingua prima del tutto perduta e ora riscoperta. Questo processo avviene proprio grazie alla nostalgia con cui Felice, piano a piano, sovrappone le parti solari di questo presente alla sua Napoli del passato, immaginata da Martone per noi attraverso flash back realizzati con una fotografia anni ‘70. Un mosaico emozionale che però non può condividere il personaggio di Oreste, interpretato da Ragno. Un personaggio “privo della nostalgia” in quanto mai partito da quei luoghi e vittima di uno stato emotivo di eterno presente, in eterna guerra contro il mondo e se stesso. Un uomo vuoto che ha sacrificato tutto sull’altare di un potere quasi assoluto ma che non gli dà alcuna gioia oltre una virile ostentazione di giovinezza. La chimica impossibile tra i personaggi di Savino e Ragno diventa per questo presto il vero valore aggiunto della drammaturgia di Nostalgia. Il primo, straniero nella città dove è nato, di differente lingua e cultura dopo i molti anni vissuti in Egitto, è in cerca di connessioni e legami che prima impensabili infine possono apparire possibili. Il secondo, boss auto-recluso e temuto, frutto di un destino criminale dal quale non è mai riuscito a scappare, non può che diventare un fantasma autodistruttivo per tutti, in virtù di una fredda conservazione dello status quo. Al di là di questa coppia disfunzionale di amici, la pellicola si impregna della grande umanità e gentilezza del personaggio di Aurora Quattrocchi, della ruvida empatia del personaggio di un Francesco Di Leva sempre attento nella costruzione di ruoli molto sfaccettati . 

Nostalgia vive di una sceneggiatura moderna, amara quanto commovente. Ci schiaccia sotto il sole di strade che sembrano trincee ma sa ogni tanto concederci un po’ di fiato per assaporare un paesaggio del tutto diverso, pieno di luce e di aria. È un film che sa riflettere in modo non banale sulla situazione della periferia napoletana attraverso l’arte, colorando la storia dei toni della tragedia ma senza mai alzare troppo i toni, scegliendo un registro intimo, quasi sussurrato. Molto bella la fotografia calda rovente e piena di colori accesi. Interessanti  le scelte musicali a cavallo tra passato e presente. 

Nostalgia è una nuova perla nella filmografia di Martone. Un film d’amore più che un film politico e per questo un film più politicamente onesto e potente.

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