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domenica 1 settembre 2024

Dario Voltolini - Invernale: la nostra recensione del romanzo edito da La nave di Teseo

Fine anni ‘70. 

Il “padre” lavora come macellaio in un banco specializzato in conigli, pollame e agnelli, presso il mercato di Torino. Il suo “ceppo” è sempre pulito, le vasche con le frattaglie ordinate. I clienti accalcati lo osservano, ipnotizzati, mentre disossa le bestie con la maestria e l’eleganza di un chirurgo o un prestigiatore. 

Con toni musicali concitati simili a tamburi, un’armonia unica di gesti e coltelli, il padre apre un animale spellato dal suo interno, come un sipario. Lo fissa ai ganci, lo divarica. Lo divide in parti geometriche, lo frammenta per lungo come un tappezziere curerebbe la sera. Scompone,  fino a che si trasforma il tutto in gemme compatte rubino o bistecche con l’osso: da animale a pietanza, riposta in pacchetti di carta candida, che si può già figurare a casa, in padella. Il sangue, le poltiglie delle lame e le parti rimaste fuori dal processo scompaiono all’occhio, nessuno le vede, tutto il bancone riflette una luce pulita come il cristallo. 

Il padre, per molte ore di lavoro infaticabile, vive al di là del vetro del suo banco da lavoro, insieme alle bestie. Quasi sul limbo tra la vita e la morte, anche se lui è solo un passaggio intermedio, tra il boia/cacciatore e l’acquirente. Alle spalle, grossi ganci a trenta centimetri dalla testa, più in basso coltelli enormi e pesanti in grado di spaccare per lungo con un solo colpo teste e colonne vertebrali. Davanti, la fretta dei clienti, la necessità di compiere un continuo “balletto” insieme ai suoi assistenti per non ostacolarsi al ceppo, alle vasche, alla cassa per prendere i soldi e dare il resto. 

Tutto deve svolgersi e si svolge in modo preciso, geometricamente previsto al millimetro, dall’esperienza meccanica del braccio e da un “occhio” in grado di soppesare ormai ogni pezzo, ancor prima della conferma di una bilancia elettronica.

Poi qualcosa si inceppa.

La danza di corpi vivi e sezionati si deforma per un istante dietro il bancone.

Arriva il taglio, l’urlo, l’inizio di un cambiamento.

Sotto la pelle vive qualcosa di nuovo, che prima cerca di fuoriuscire tra rigonfiamenti e striature lucide e poi sembra gradualmente scomparire.  

Sangue di agnello mischiato in sangue d’uomo, per gioco del destino, si sono fusi nel padre, attuando una metamorfosi lenta quanto profonda, che tocca il suo piano fisico ma anche psicologico.  

L’uomo si fa sempre più “misterioso”. 

Nel lavoro è ancora puntuale e infaticabile, ma inizia a vedere il suo mestiere in un modo diverso, quasi “sacrale”. Viaggia la sera con la mente e le sigarette in territori lontani e inesplorati, che crede di aver visto in altre vite. Vede la realtà stessa in modo diverso, con tempistiche diverse: anticipa le traiettorie degli eventi quasi acquisendo una specie di “preveggenza”, che si tratti di un cross in una partita di calcio o la struttura esterna di un palazzo mai visitato. 

Si rifugia, di giorno, nelle pause dal bancone, in luoghi della città che non ha mai battuto. Il corpo del padre nel tempo viene esaminato da più esperti, quasi mai sicuri del cambiamento che di sicuro è (forse) in atto, fino a che la sua cartella clinica si fa un libro, un “libro del mistero”. 

Cosa è cambiato o sta ancora cambiando, nella vita di quest’uomo?  


Qualche volta torniamo felicemente a parlare di libri. Lo facciamo oggi con questo libricino di 140 pagine, edito da La nave di Teseo, arrivato secondo al prestigioso premio Strega. 

Una copertina semplice ma impattante, un titolo ricercatamente “criptico”, un ritmo narrativo concitato unito a una flagranza delle parole che ci prendono al bavero dalle prime righe, non ci mollano almeno per una cinquantina di pagine. Capitoli brevi e intensi. 

Una rigogliosa terminologia tecnica, ricercata quanto affascinante, vivida quanto “cruda”, “elegantemente splatter” quanto un’opera di Cronenberg. 

In poche pagine si corre visceralmente, kafkianamente, dall’anatomia di un agnello a quella di un uomo, tra viscere e inconscio, brandelli e scampoli di memoria. 

Violtolini ci apre a tratti anche alla “mistica dell’anima”, raccontandoci di legami ancestrali tra uomo e terra, lo spazio e il tempo. Poi senza pietà ci scaglia nel più crudo e disperato “nichilismo dei lumi”, nel “meccanicismo medico” più spietato, legato a ferree dinamiche di causa/effetto. 

A tratti, da fan del cinema, ci pare di percorrere i territori horror del Black Sheep di Jonathan King o del Lamb di Valdimar Johannsson. Nell’infinito e elegante balletto di macellazione dei primi capitoli sembra di stare a guardare Il gusto delle cose di Tran Anh Hung. 

Più passiamo il tempo su queste pagine, più acquisiamo una visione diversa del testo. Qualcosa che lo avvicina al pirandelliano L’uomo dal fiore in bocca

Il “padre” è quasi sempre un personaggio silenzioso, a tratti indecifrabile. Un uomo osservato e raccontato, con molto affetto ma anche quasi con timore, da un figlio che lo vede perennemente “grande”, “forte e invincibile”, “eroico anche nel dolore”. Quasi  fosse per il nostro narratore un modello tristemente irraggiungibile. 

Il padre forse potrebbe “salvarsi da solo”, e forse questa sua metamorfosi lo ha già reso qualcosa di ancora più grande e affascinante. Ma il figlio in caso contrario non sarebbe certo in grado di salvarlo, sembra dirci con dolore fra le righe. 

Allora, dopo un incipit fatto di sangue, interiora, fuoco e carne pulsante, in cui è il padre è solo lui il protagonista epico sulla scena, iniziamo a sentire tra le pagine il freddo, l’inadeguatezza del figlio. Il nuovo protagonista, anti-eroe controvoglia, della vicenda. Una piccola vicenda banale rispetto alla lotta/fusione del padre con l’agnello. Un eroe inadeguato davanti alla magia di un Minotauro. Un “narratore in disparte” che quasi non sa raccontarsi, dopo aver dimostrato benissimo di saper raccontare con gioia e tantissima attenzione suo padre . Sentiamo davvero nel figlio “l’inverno che avanza”. Lo svanire del mito dell’invincibilità paterna pesa più a lui che al genitore, che ormai viaggia in un altro livello di conoscenza del senso della vita. 

Il figlio si aggrappa alla debolissima speranza di sbagliarsi, non cadere nella depressione, provando a essere simile al padre. Ma non è facile. Nella disperata ricerca di un senso più profondo delle cose, solo immagini sfuggenti. 

Invernale si legge veloce. Le pagine sono scritte anche in grande, basta un pomeriggio. Poche pagine e che sanno però scavare dentro il lettore, anche a tratti facendolo incazzare, costringendolo a maneggiare uno dei sentimenti più difficili da apprezzare nella immedesimazione in un racconto: il senso di impotenza. 

La forma è colorata di epica, a tratti persino di horror, ma l’intreccio rimane fortemente innaffiato dalla tragica e brutale realtà. Una realtà, titanica quanto avvilente, che viene condivisa ogni giorno dalle persone e i parenti che sono costrette dalla sorte a entrare e uscire da un ospedale, sentire medici, sperando come respirando. Ogni tanto “l’inverno” arriva prima per qualche persone e anche solo la possibilità di avvicinarsi a questa umana tragedia può a molti risultare insopportabile. 

Anche per questo il libro di Voltolini è duro, qualcuno di abbastanza superficiale direbbe “banalmente duro”. Se non fosse per la straordinaria forma con cui il nostro autore sa avvolgere ogni parola, donandole la possibilità di volare in aria, leggera come i sogni e l’epica. Un’illusione di forma, come un ricchissimo affresco gotico nascosto in un monolocale in periferia. Un’illusione  amara, qualche volte dolce, ma che per me è comunque interessante leggere. 

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giovedì 11 novembre 2021

Un anno con Salinger (My Salinger year): la nostra recensione del nuovo film di Philippe Farardeau


Siamo a New York nella seconda metà degli anni novanta, prima che i social invadessero il mondo. La nostra protagonista ha gli occhi azzurrissimi e sognanti e il sorriso enorme, ingenuo e con i dentoni, dell’attrice Margaret Qualley, figlia di Andie McDowell. la chiamano tutti “Jo”, come la protagonista di Piccole Donne che da grande vuole fare la scrittrice. È giovane, intelligente, laureata in lettere a Londra e già autrice di poesie, pubblicate su una piccola rivista di settore. Jo ha così deciso di “essere straordinaria”, diventare poetessa a tempo pieno. Primi obiettivi: affittare un appartamentino a New York in un quartiere tranquillo e vivere lì, come quegli scrittori bohémien che stanno tutto il giorno a comporre seduti in un bar. Arrivata nel quartiere “giusto”, Jo inizia a bazzicare il Panama Cafè, dove la sera si esibiscono i “poeti off“ e alla fine trova casa insieme a uno scrittore giovane, proletario e maledetto di nome  Don (Douglas Booth). Ora basta solo mandare curriculum e aspettare che bussi alla sua porta la “grande occasione”. La sua grande occasione non tarda ad arrivare, si chiama Margaret e ha il volto da “tipa tosta” di Sigurney Weaver. Margaret è un'importate agente letteraria a cui serve un’assistente e questa sembra subito per Jo l’occasione per entrare nel mondo dell’editoria newyorkese, ma ciò che la aspetterà è un incarico un po' speciale. Tra i clienti di Margaret c’è anche lo scrittore J.D.Salinger (Tim Post) e Jo dovrà occuparsi principalmente della sua corrispondenza. La procedura è in tre fasi: leggere una lettera, rispondere selezionando una delle “risposte-standard-preconfezionata” adattandola un minimo, imbustare, inviare al fan, distruggere la missiva in un trita documenti. Spesso per tutto il giorno, perché Salinger, soprattutto  da quando ha scritto Il giovane Holden, riceve da anni centinaia e centinaia di lettere di ammiratori, ai quali non risponde mai direttamente un po’ per timidezza, un po’ per paura, un po’ perché non può uscire tutti i giorni a pranzo con loro. Un po’ perché una volta gli si stava bruciando la casa e non sapendo cosa fare aveva chiamato prima dei pompieri la redazione ed essendo le tre di notte la casa è finita in cenere. Insomma, il grande autore è un po’ eccentrico, motivo per cui Margaret si occupa di lui con particolare cura e apprensione e vuole che tutto “fili liscio” e senza intoppi. L’incarico di Jo prevede che si occupi della corrispondenza ma subito si allarga a anche al “rispondere al telefono ”a Salinger”, in linea diretta dedicata. Sono mansioni delicate, ma se verranno eseguite alla perfezione consentiranno alla ragazza di accedere allo step successivo: la fantomatica “pila per il macero”. In questo luogo mistico si raccolgono le opere prime dei nuovi scrittori mai pubblicati e “scegliere quello giusto” dal mucchio può essere un trampolino per diventare a tutti gli effetti una editor della casa. Certo il lavoro per Margaret sembra allontanare Jo un bel po’ dal suo sogno originale di fare full-time la poetessa, anche perché nella casa editrice vive lo strano dictat che “gli impiegati non sono scrittori”, ma il ruolo le risulta da subito stimolante e presto si lascia davvero travolgere dalle mille lettere dei fan di Salinger. Ogni lettera racconta una storia personale, condivide passioni e dolori, invoca e prega per un incontro con il grande artista. Un incontro con il proprio “scrittore preferito che potrebbe anche essere il tuo migliore amico” che in qualche misura era evocato dallo stesso giovane Holden nei primi capitoli del libro (nello specifico “per noi Italiani” a pagina 23 in alto della edizione Super ET del 2014, tradotta da Matteo Colombo), ma che di fatto non avverrà mai. Così un giorno Jo sente che le risposte standard, al netto dei “grazie, ma l’autore è impegnato” conditi in varie salse, le stanno strette. Cosi Jo si mette a rispondere direttamente alle lettere degli ammiratori, iniziando a escogitate modi per cui alcune missive, le più “sentite”, potessero per davvero arrivare nelle mani di Salinger. Questa condotta della ragazza potrebbe forse essere un problema per l’editore e per la privacy del suo primo scrittore, ma potrebbe anche aiutare Jo a capire davvero cosa vuole fare realmente lei, “da grande”. 

Il primo vero passo di questa “scoperta di se stessa” sarà proprio leggere Il giovane Holden, libro che paradossalmente non aveva mai letto pur rispondendo già da mesi alle lettere dei fan. 


Il regista Philippe Farardeau ci raccontava in The bleeder, la sua precedente pellicola uscita nel 2016, la storia vera e poco favolistica di Chuck Wepner, interpretato su schermo dal bravo Liev Schreiber. Conosciuto come il “pugile sanguinante per la sua attitudine a incassare e non mollare, di estrazione popolare e poca fortuna negli incontri, il buon Wepner si distinse in un incontro incrociando i guantoni con Mohamed Ali in un match storico da “occasione della vita” nato per intuizione del super impresario Don King. Questa storia avrebbe ispirato Sylvester Stallone nella creazione del personaggio di Rocky Balboa e Wepner da allora viene chiamato “il vero Rocky”; spesso attribuendogli il modo bislacco e buffo di esprimersi proprio di quel personaggio. Oggi Farardeau ci parla di nuovo del confine tra mito e realtà usando la leggendaria figura di Salinger, padre della letteratura americana moderna, per lo più nascondendocela sullo sfondo, facendone quasi un deus ex machina ultraterreno. Una specie di Papà Gambalunga che risponde al telefono della nostra protagonista mentre da dietro una finestra osserva nel suo giardino un pavone dalle piume calate. Salinger “esiste”, ma per una intuizione registica non ne vediamo mai il volto. Per  i suoi fan lui è spesso “Holden” o almeno c’è la convinzione che moltissimo dell’autore sia “dentro Holden”. Holden è divertente, sfortunato, “autentico” e se leggete il libro nell’adattamento italiano, magari immaginandolo con la voce di Ferruccio Amendola, ha lo stesso modo, un po’ bislacco e buffo, del Rocky di Stallone. Holden-Salinger diventa per molti lettori un amico immaginario che li ha accompagnati, divertiti, commossi e ispirati parlandogli senza fronzoli, magari scorbutico, di vita reale. Questi fan scrivono nelle lettere: “Penso a Holden quando mi sento sopraffatto dalle mie emozioni” perché si riconoscono in lui. È qualcosa di decisamente “potente” questo amore enorme e incondizionato, al punto che nel film i fan vengono evocati, nella loro “urgenza di una risposta”, come dei fantasmi che letteralmente si impossessano della scena della piccola redazione dove lavora Jo, quasi perseguitandola. Redazione dove in sottofondo si sente il rumore delle lettere frullate in pezzi nel trita rifiuti, mentre quasi assaporiamo l’odore della carta ingiallita della stanza dove si trova la terribile pila del macero. Solo che il personaggio di Salinger, in questa strana epoca pre-social-digitale fatta di carta tritata e ingiallita in cui è ambientato il film, non è e non può essere Holden. È una persona riservata, schiva, un po’ con il momentaneo blocco dello scrittore, un po’ fissata sul passato più che sul futuro e non parla come Rocky. È un uomo anziano e forse anche un mentore per il personaggio di Jo, ma non può che apparire per i suoi fan sideralmente lontano. È una persona “molto umana”, che non può rispondere a tutti i fans h24 o non farebbe altro nella vita. 


Il film di Falardeau potrebbe prendere in ogni momento la strada de Il diavolo veste Prada o meglio di Una Donna in carriera, replicando così per Sigurney Weaver un ruolo che l’ha già resa celebre. L’ambiente letterario si presenta subito affascinate, ricco di glamour e strane regole di interazione, di artisti eccentrici e del feticcio della scelta delle copertine e rilegature, lo scenario ideale per un confronto tra due donne che rappresentano idealmente un “prima” e “dopo”.  Ma non lo fa. La pellicola ci tiene ad immergerci invece quanto più possibile proprio nella “strana magia” che scaturisce dall’atto creativo di “scrivere”. Perché la magia risiede “in quanto è scritto”, non necessariamente nella vita quotidiana degli artisti. Scrivere è “un dono”, un’ispirazione. Chi è in grado di scrivere (ci racconta Salinger) deve onorare e difendere questa attività “come un santuario interiore”, almeno dedicandole 15 minuti al giorno. Quando un testo ultimato arriva al lettore, l’opera diventa di quest’ultimo a pieno titolo, con la piena autorizzazione a ritrovare se stesso dentro quel romanzo o quella poesia, anche nell’interpretarlo in un modo del tutto diverso da quanto pensato dall’autore. Nel mezzo, tra pubblico e autore, ci sono gli editor, ossia quelli che stanno nella posizione più scomoda di tutte. Devono tutelare l’autore e la sua privacy, devono valutare la vendibilità di un’opera, devono dire tanti “no”, saper ascoltare i lettori e sobbarcarsi il peso di mille giudizi errati su tutto il processo. È un ruolo ingrato quando complesso, che il personaggio della Weaver riesce a esprimere al meglio, dando corpo a una donna molto complessa quanto affascinante, quasi tragica, che svela la sua intimità solo a frammenti. Il personaggio della Qualley, con tutta la sua energia giovanile, sta invece in bilico tra il sentirsi autrice ed editor. Si rimprovera alla sua Jo, in una scena-chiave, che come autrice deve saper amare di più  gli “autori in vita”, più che ricordarci il suo eterno amore per Gustave Flaubert. In un’altra scena, la ragazza si scopre poi spronata a vivere la propria vita in modo nuovo, proprio dalla lettura di Franny e Zooey di Salinger. È un film che parla dell’amore per i libri, della reale possibilità di “dialogare” con loro, dell’istinto innato di voler diventare scrittori e di quanto serba invece per noi la “realtà”. Oggi nel 2020 la comunicazione editoriale e il rapporto tra autori, case editrici e fan sono diversi, forse più immediati quanto “ruvidi”. Per raccontare con ironia questo passaggio epocale, già nel 1997 fittizio del film appare sinistro, nella redazione della tecnofobica Margaret, un primo personal computer collegato alla rete. Nero e oscuro come un monolite, pronto sicuramene a fare danni “con tutte le diavolerie che contiene”. Un nemico da affrontare analogicamente, trascrivendo rigorosamente, a macchina da scrivere, ogni suo contenuto riguardante gli autori patrocinati. In questa ossessione per la carta battuta a macchina, tritata o ingiallita, il film apre a una sorta di ideale grande battaglia finale tra il mondo della carta e il digitale, tra il mondo di lettere scritte e spedite a mano e le email superveloci, tra i libri e futuri ebook. 



Molto interessante, ben recitato, con la capacità di mettere in corpo una voglia irrefrenabile di leggere e ri-leggere Salinger (e non solo). Il film tra le sue qualità è anche un’autentica lettera d’amore a chi vive dietro le quinte di una redazione, in questo molto vicino al bellissimo I sogni segreti di Walther Mitty di Ben Stiller. Davvero brave e molto affiatate le due attrici principali. 

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martedì 11 settembre 2018

Origin di Dan Brown - la nostra recensione



Il professor Robert Langdon (che nella mia testa non assomiglia per niente a Tom Hanks con un brutto parrucchino in testa, ma piuttosto a un Lima Neeson cazzuto primi anni 2000) è di nuovo in circolazione, insieme al suo inseparabile orologio da polso di Topolino, in giro per il mondo a fare turismo action, a metà strada tra 007 e Piero Angela (che è molto più action del figlio Alberto, raccomandato e antipatico). La meta della nuova avventura è il museo di arte moderna Guggenheim di Bilbao, dove un suo ex studente, un genio dell'informatica più figo, ricco e famoso di Steve Jobs, lo ha invitato per un evento esclusivo in cui riferirà al mondo di una sua epocale, straordinaria rivelazione scientifica, qualcosa in grado di cambiare per sempre la percezione della storia passata, presente e moderna,  rispondendo a domande secolari che attanagliano l'uomo, nelle millenarie notti più insonni, come "da dove veniamo?" e "dove andiamo?". Il genietto è uno che non scherza, uno che fa i soldi, capisce di spread ed economia, conosce la Tailandia e legge probabilmente Martin Mystere. È uno che conosce tutto ed è esperto di tutto, uno le cui previsioni sul futuro dell'umanità si sono sempre rivelate vere (anche se Dan Brown non ci spiega cosa abbia mai rivelato di particolarmente eclatante per l'umanità). Uno insomma che, per tutto quanto sopra esposto, risulta da subito al lettore medio così antipatico e spocchioso che quando muore malissimo, dopo le prime pagine del romanzo, a causa di un misterioso attentato, provvidenzialmente orchestrato prima della fantomatica rivelazione al mondo, alla fine non ci frega nulla. Ma a Robert Langdon, il nostro amato turista/action che nell'ultimo libro ci ha convinto che è tipico nella mattina del 2015 a Firenze intrattenersi con lampredotto e caffè, frega. Certo come sempre "frega quanto basta", perché nella sua caccia alla verità nascosta dell'amico sulle strade di mezza Spagna si perderà come suo solito a contemplare la bellezza di ogni chiesa/quadro/scultura/piastrella che incontrerà lungo il suo cammino, soffermandosi soprattutto su roba che non serve a una minchia per la storia. Storia di stampo prettamente internettiano/gossipparo/social/proto-fantascientifico che alla fine dei conti Dan Brown affronta con la verve e agilità di un ottantenne che scopre nel 2018 l'esistenza di internet. Non mancano comunque spunti interessanti e ribaltamenti di trama che alla fine, bisogna dargli merito, rendono la storiella nemmeno così banale. Ci si diverte nella lettura? Un po', ma per lo più ci si rompe le palle. Tutto l'intreccio si focalizza sul recuperare e divulgare il fantomatico "annuncio rivoluzionario per la storia dell'umanità", con continue situazioni create ad hoc per ritardarne lo svelamento che nella maggior parte dei casi paiono artificiali e forzate fino al ridicolo. E mentre il lettore si irrita sempre di più davanti alla pochezza con cui la matassa è gestita, Brown senza pietà infarcisce di descrizioni pittoriche, citazioni letterarie, aneddoti divertenti sul simbolismo e sulla vita dei professori di Harvard. Inutile anticipare, pur non rivelando alcunché, che infine saremo anche noi a conoscenza della "straordinaria scoperta scientifica definitiva sulla storia dell'umanità", ricavata dallo scrittore sulla scorta di autorevoli studi scientifici reali e bla bla bla, che arriverà al lettore tra le ultime pagine di un tomo infinito. Pur non aspettandoci chissà cosa, il libro su questo ruota, un po' di curiosità sale e l'astio per Dan Brown si paleserà inevitabile quando la rivelazione si mostrerà come la più strabiliante e banale cagatina immaginabile. Ed è qui che Dan Brown ha un colpo da maestro e sposta in Focus narrativo su un nuovo punto di vista che riesce incredibilmente a salvare il salvabile e chiudere dignitosamente il volume.
Dan Brown è lettura da ombrellone e riesce in pieno anche in questo volume, forse non il suo più riuscito, a intrattenere tra inseguimenti e chicche sul mondo dell'arte. Come per altri sui libri, fa venir voglia di andare a vedere di persona le opere d'arte che Langdon incontra durante le sue avventure, assaporare i profumi dei luoghi e immergersi tra il brusio della folla. Anche per chi non può permettersi di viaggiare e di è fatto l'estate a casa, i libri di Dan Brown sono un interessante palliativo e riescono in qualche modo a trasmettere la sensazione di trovarsi in gita per il mondo, seguendo insieme al solito gruppo di immancabili giapponesi una guida simpatica e affascinante, in grado di tenerci svegli con qualche fuoco d'artificio. Oltre non si va, ma se vi siete divertiti con gli altri libri di Dan Brown questo sarà sicuramente capace di intrattenervi.
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sabato 24 marzo 2018

Consigli per una gita se siete nella zona di Milano: il Book Pride 2018!



Si tiene a Base Milano in questo fine settimana un interessante appuntamento con l'editoria indipendente. L'ingresso è gratuito, il più è trovare un modo agevole per arrivare a Milano in Via Bergognone 36. Io sono arrivato con la metro verde fermata Sant'Agostino e poi ho scarpinato un po'. Ma si arriva con mille mezzi diversi. Per ogni informazione vi invio al sito ufficiale:


Il posto è carino (vi ho già detto che l'ingresso è gratuito?), c'è un bel ristorantino, aree internet, bar e in genere vi riempiono di gadget colorati e interessanti. Ci sono un sacco di stand dedicati a tutti i generi di libri e fumetti, si può parlare a volte direttamente con distributori e autori, chiunque sarà contento di spiegarvi e illustravi i suoi libri (o almeno io sono stato molto fortunato). Se siete in cerca di cose classiche, cose nuove o cose strane (c'è pure un libro che compara Pinocchio ai miti nordici tipo Loki e Thor), qui siete nel posto giusto. Da blogghino sfigato che parla anche di fumetti e Graphic Novel ci sono un paio di posti che vi consigliamo di assediare...


Il primo è lo stand di Eris Edizioni (www.erisedizioni.org). Questa etichetta, se siete fan di Adventure Time, ospita le opere di ben due artisti canadesi legati a questo autentico fenomeno di culto: Jesse Jacobs e Michael DeForge.




Jacobs crea universi grafici favolosi fatti di mille geometrie ardite e complicate e popolati da omini apparentemente pucciosi e innocui. Tenete a mente però quell'"apparentemente", perché oltre che un illustratore semplicemente straordinario è anche un caustico umorista e un inaspettatamente complesso costruttori di drammi esistenziali e metafisici. Le sue opere parlano con leggerezza e freschezza di creazioni bibliche, dimensioni parallele escapistiche, generazioni e degenerazioni evoluzionistiche. Un trip visivo e contenutistico che non vi dico, ma che sa sorprendere, commuovere e divertire un casino. Il fumetto più recente è Crawl Space, in cui una ragazzina che vive in una città in bianco e nero scopre un mondo parallelo ultra psichedelico dentro la lavatrice della sua nuova casa. Forse troppo psichedelico e pericoloso pure per le nostre retine. Un fumetto ironico-psicotropo. Allo stand trovate anche altre opere di Jacobs, la follia biblico-cosmogonia (e dal profondo humor nero)  E così conoscerai l'universo e gli dei e il romanticamente crudele e predatorio Safari Honeymoon



Le opere di Jesse Jacobs sono difficili da descrivere, sono un media a se stante da affrontare più che raccontare. Prendetele come caramelle per gli occhi e per il cervello, sfogliatele e cadeteci dentro. Io me ne sono innamorato e voglio riempirmi la casa di poster che riproducono le sue tavole geometriche, ultra-dettagliate, tenere e simpaticamente cattive, strane di brutto, anticonvenzionali e originali. Guardatele, sfogliatele, soppesatele per quanto possano essere anche parecchio distanti dai fumetti convenzionali e se vi troverete in sintonia con loro ve ne innamorerete .Se vi piacciono, fatecelo poi sapere.


Dressing di DeForge è, se vogliamo, psichedelico e umoristicamente cattivo quanto Jacobs. Forse più cattivo. Dressing è una raccolta di storie in cui l'autore cambia stile a ogni racconto descrivendo forme fisiche e relazioni in-umane di pregnante natura aliena e alienata. Il disegno carino e puccioso è "diabolicamente nei dettagli" e snellisce la carica drammatica in una onirica assurdità dell'insieme. 



Anche qui vale la nota per Jacobs, è un fumetto molto particolare, da sfogliare ed esplorare in tranquillità apprezzandone la diversità "da tutto il resto del mondo". A voi sapervi far catturare.


Nel listino Eris potete trovare anche la versione italiana di Prosopopus di De Crecy, oltre che molte altre sue opere che la casa editrice ci ha portato, tra cui Diario di un fantasma. Prosopopus è un viaggio grafico completamente "baloons-free" in una città che si compone di geometrie decadenti, calde e ardite. 


Una città abitata da persone inquiete e da un assurdo, e a tratti pure lui inquietante, "mago pancione rosa". Visivamente sontuoso e poetico, non voglio rovinarvi nessuna sorpresa. Magari ne parleremo più diffusamente in un post a parte. Qui al Book Pride lo trovate in anteprima.




Passiamo a Oblomov (www.oblomovedizioni.com), la nuova etichetta di Igort. Visto che ho provato a comprare e leggere in ogni dove, senza riuscirci, il pluri-osannato e già pluri-esaurito  Il soffio del vento tra i pini di Zao Mao, è con gioia che vi dico che "qui c'è", ed è favoloso.



È un manhua? Sì, rientra nella categoria unicamente per il fatto che è un fumetto scritto da una autrice coreana. Però è a tutti gli effetti una serie di consequenziali dipinti visivamente sbalorditivi usciti dalla mano di un'autrice - genio di poco più di vent'anni. È un'opera avvolgente offerta in un formato gigantesco e panoramico che ne fa risaltare ogni pennellata e artificio grafico. È una vera e propria raccolta di quadri.


 Anche Lucenera di Barbara Baldi, alla sua prima graphic novel alla francese, è a tutti gli effetti una straordinaria serie di quadri sequenziali.

L'autrice costruisce un racconto intimo quanto ricco, pregno di una atmosfera fiabesca dai contorni vittoriani, algido, ricolmo di nevi alla Dott. Zivago. Il disfacimento di una famiglia sembra trasformare il mondo in un luogo monocromatico tenuto in vita solo da pochi colori caldi. Da leggere con il cappotto. La dimostrazione tangibile di un talento enorme e in continua crescita. Dopo Monster Allergy e Skydoll, la Baldi esordisce come autrice completa nel modo più promettente possibile.
Questi sono solo un paio di consigli per la gita del fine settimana. Godetevi il tour e siate aperti a ogni tipo di proposta editoriale. Gli autori indipendenti hanno una vitalità che va sempre esplorata, preservata e supportata. Ci sono grandi sorprese dietro l'angolo e forse tra i mille libri e le decine di fumetti che accolgono questa manifestazione potreste trovare qualcosa di unico e bello. Buona caccia. Talk0

domenica 7 settembre 2014

Una casa perfetta - Ben.H. Winters


Sinossi: Una casa più grande, magari con giardino e in un posto dove non si spari per strada. Susan e il marito non chiedono altro dalla vita e così adocchiano un annuncio riguardante una bifamiliare nella lussuosa Brooklyn Heights a un prezzo spaventosamente ridicolo. Poteva essere un campanello di allarme? Il villino si trova nella assolata Cranberry Street e quello che viene affittato è il secondo piano, trasformato in abitazione autonoma dalla proprietaria Andrea, che ora che è rimasta vedova abita il piano inferiore. Andrea è affettuosa e subito colpisce la piccola figlia di Susan, Emma. Il marito Alex, preso da una carriera al tracollo di fotografo per gioielli, vuole solo che la moglie non rompa troppo, dandogli un posto più grande dove dedicarsi alla pittura e fare sostanzialmente un cazzo  così può scegliere di ignorarla come ha sempre fatto. Ma c'è una cosa che più di tutte fa preferire la casetta a Susan rispetto a tutta la lista di abitazioni visitate in quel periodo. Una misteriosa e inquietante stanzetta segreta dove potrebbe riprendere a dipingere dopo banali anni in cui faceva la segretaria presso uno studio legale. Certo che appena si apre la stanzetta segreta partono ventate di marcio da far pensare a qualcosa di oscuro e terrificante e la luce viene filtrata da un inquietante buco nel muro. Poteva essere un campanello di allarme? Ma non c'è problema, Andrea provvede subito a chiamare un vecchietto tutto fare  a sistemare le cose, un vecchietto che il giorno dopo blocca la piccola Emma, facendola schizzare in lacrime, mentre la piccola cerca di varcare l'inquietante  portone cui si acceda alla oscura cantina, il cui ingresso è assolutamente vietato per motivi assolutamente inquietanti. Poteva essere un altro cavolo di campanello di allarme??? Seguono rumori inquietanti a non finire, al punto che per tranquillizzarsi Susan decide di autosuggestionarsi con roba inquietante trovata in rete. 
Vedo la gente scema: contributo video (inquietante)


Primo romanzo pubblicato in Italia da Tea, nella collana tre60, per l'autore americano di bestseller Ben H. Winters, definito dal Los Angeles Times "un maestro della suspance" e accolto da flani tipo " vorrei che fosse mio figlio" da parte di Stephen King (non è vero, ma il tono generale è esagerato ugualmente). Winters gioca con il tema della casa inquietante. Argomento sul quale è stato già detto tutto milioni e milioni di volte e al quale aggiuge un'originale intuizione presa in prestito dalle urban legend internettiane. Il problema è che sembra di leggere una sceneggiatura cui mancano le note sulla interpretazione dei personaggi. Tutti agiscono in modo meccanico, innaturale e spesso sconsiderato in funzione di una direzione narrativa abbastanza incoerente. Su tutti in negativo troneggia la protagonista Susan. Un personaggio con cui dovremmo empatizzare, o per lo meno provarci, ma che finiamo per avere in odio dopo solo un paio di pagine. Susan è dispotica, intollerante e schizzinosa, ma al contempo anche tremendamente idiota. Ed è davvero difficile tifare per gli idioti. Certo un idiota fa scelte irrazionali che possono sorprendere sulle prime il lettore, ma sulla brevissima distanza il lettore non ne può più, inizia a tifare per il "cattivo" di turno e a saltare le pagine due a due. Peraltro delle quasi 300 pagine del tomo, almeno tre quarti sono dedicate a battibecchi di Susan, madre nullafacente che sbraita contro la tata o l'uomo tuttofare o la vicina o marito inadempiente a obblighi coniugali e in genere a chiunque entri in casa. Ci sono un paio di intuizioni carine, aspetti della trama che in qualche modo riabilitano il suo personaggio, ma sono tardive e, di nuovo, messi in modo illogico. Non vi faccio spoiler perché accadono 3 dico 3 cose in croce in tutto il romanzo, ma il modo in cui accadono è del tutto implausibile con le reazioni causa-effetto successive dei personaggi. Con spunti simili era logico auspicare soluzioni narrative magari più coerenti, pure facilmente immaginabili, invece ci troviamo in balia di una fessa che, persino davanti alla urlata evidenza della gravità della situazione, cincischia fino quasi all'autolesionismo. Molto più interessante il personaggio della padrona di casa Andrea. Noticina di stima per il vecchietto tuttofare. Gli altri personaggi sono così incolore che non esistono in pratica. Se mai faranno un film (già minacciato) e riuscissero a scritturare una che possa infondere in questi personaggi atoni un po' di vita, magari una come Jessica Lange nel ruolo di Andrea, questa potrebbe salvare da sola la baracca. Ma sulla carta nulla colpisce più di tanto e l'evoluzione della trama, visto l'inifluenza delle azioni esercitate dalla fessa, risulta pure piuttosto telefonata. E ci sono dei drogati in rete che lo paragonano a Rosmary's baby!!!
C'è da dire che a livello di scrittura scorre veloce e nonostate lo schematismo spinto e idiozia e lungaggini, difetti sopra esposti, un paio di piccoli brividi arrivano, anche se sono per lo più copiati da modelli peraltro narrativamente e cinematograficamente notissimi, così conosciuti che chiunque può intuirli.
Scarsino. 
Talk0

sabato 30 agosto 2014

Inferno - il film

Premessa: odio Dan Brown, trovo i suoi romanzi insulsi e indigeribili, per cui se siete fan mi scuso in anticipo. Da questo momento il nome Dan Brown sarà sostituito con Pippone.


Correva l'anno 2003 e Pippone si accingeva a pubblicare il romanzo che l'avrebbe consacrato permettendogli di vendere milioni di copie: Il Codice Da Vinci, sostanzialmente il saggio  Il Santo Gral di Baigent/Licoln/Leight con l'aggiunta di dialoghi come riempitivo e di personaggi al limite dell'idiozia. Successo clamoroso che gli permette pure di vincere la causa contro i tre storici perché il giudice è un suo fan, tanto da scrivere la sentenza in suo favore inserendovi degli indovinelli (!!!). Passano pochi anni e per un motivo ignoto Ron Howard (cioè mica Daniel Baldwin...) decide di farne un film. Protagonista Tom Hanks con parrucchino che scorrazza per Parigi, scelta che rende il Langdon cinematografico un pelo più simpatico di quello cartaceo per il semplice motivo che non ci assomiglia minimamente. Langdon è uno spocchioso professore onnisciente fisicato di brutto, che in ogni romanzo si fa la gnocca di turno in quanto quest'ultima inevitabilmente rimane attratta dalla sua incredibile bellezza e dalla sua ineguagliabile intelligenza. Il film in ogni caso fa successo, tanto che Bald... emh Howard decide di girare il primo romanzo di Pippone, ovvero "Angeli e demoni". Chiama sempre Tom Hanks e la solita vagonata di star a contorno. Decide di fare qualche minima variazione al romanzo, troppo stupido per poter convincere Hanks a girare certe scene: ecco quindi che il paracadute sostituisce un tendone nella scena dell'elicottero. Immaginare Tom Hanks e la sua panza gettarsi da un elicottero attaccato a un tendone come un Navy Seal era effettivamente troppo. Il film incassa bene, quindi tutti aspettano la trasposizione de Il Simbolo Perduto, inno alla Massoneria di cui Pippone è un adepto. Forse in questo caso Howard ha pensato che fosse troppo anche per lui e ha deciso di attendere il quarto capitolo, Inferno per l'appunto. Non avendolo letto, posso solo immaginare che Langdon debba risolvere qualche mistero relativo a Dante e all'arte fiorentina in genere... wow non vedo l'ora! Per chi fosse interessato, nei prossimi mesi dovrebbe partire la produzione e nel capoluogo toscano potreste imbattervi in Hanks o Howard e magari porgere loro la domanda che  mi frulla in testa da qualche anno... "Ma perché?"
Gianluca

lunedì 19 maggio 2014

I libri del mese

Eccomi tornato a qualche mese di distanza dall'ultimo appuntamento. Vi sono mancato? Non credo. A ogni modo sono stato molto occupato, oltre che a leggere per voi, anche per ritirare in tutto il mondo numerosi premi dedicati alle migliori rubriche letterarie della storia. Questo per far capire che tengo ai miei lettori, ma anche ai premi. Detto questo, ho molta carne al fuoco...


"Le ceneri di Angela", classico moderno dello scrittore di origini irlandesi Frank McCourt, primo libro, vincitore del Pulitzer e capolavoro assoluto; romanzo autobiografico sul ritorno dell'autore in Irlanda dopo l'infanzia trascorsa in America, tra povertà, primi lavoretti, scuola e amicizie. Da leggere assolutamente se cercate un libro facile, ma ricco e che al contempo possa rendervi fighi agli occhi dei vicini di casa... "Sai, ho letto le ceneri di Angela..." "Ma dai? Quanto sei intelligente! Io un libro con un titolo così non riuscirei neanche ad aprirlo!"




"Il superstite" di Wulf Dorn, scrittore tedesco conosciuto in Italia dopo il successo del suo primo romanzo "La psichiatra", L'autore ritorna a occuparsi dell'ambito che meglio conosce, ovvero quello della psichiatria, ambientando il suo romanzo in una clinica in cui è chiamato a lavorare Jan Forstner, unico sopravvissuto a una tragedia familiare avvenuta molti anni prima. 
Come molti romanzi del nord Europa, mantiene una scansione con capitoli molto brevi, adatto a una lettura con poco tempo a disposizione. Non sto pensando solo al bagno!. Il romanzo scorre via, ma lascia poco e credo sia destinato a essere dimenticato in breve tempo. Il precedente era sicuramente più riuscito.

"Staship troopers" di Robert A. Heinlein. Andrebbe letto anche solo per il fatto di aver ispirato il lungometraggio di Verhoeven. Dico ispirato, perché chiunque lo acquisti con l'idea di trovarsi tra le mani praticamente la sceneggiatura del film potrebbe rimanere deluso. Il libro è datato 1959 (!!!) e segue la carriera di Johnnie all'interno della fanteria spaziale, unità militare nata con l'intento di difendersi e/o muovere guerra a creature aliene (aracnidi ma non solo). 
Johnnie inizierà come semplice fante, ma mostrerà presto di avere la stoffa per diventare un ufficiale e poter quindi comandare un numero via via sempre maggiore di unità sul campo. Capolavoro della fantascienza, che presenta innovazioni tecnologiche come esoscheletri potenziati, navi da guerra e armi atomiche portatili. Heinlein è un genio e credo che leggerò la sua opera omnia in breve tempo!

"Ronnie - giorni e notti dei Rolling Stones", autobiografia del chitarrista degli Stones Ron Wood, dalla nascita agli esordi fino all'ingresso di quella che è tuttora una delle band più importanti della storia della musica. Libro entusiasmante, che ripercorre una carriera pazzesca, dai tour con Jeff Beck e Rod Stewart, alle serate passate a suonare in cantina con Clapton, Mayall, Bob Dylan e tutti i più grandi musicisti della scena internazionale. 
Si scoprono altarini come scambi di fidanzate tra chitarristi o litigi a bordo di un pulmino troppo stretto per contenere l'ego spropositato di tante rock star. E mentre si scopre che le controvoci di "It's only rock and roll" sono di Bowie, si viaggia tra droga e alcol sul palco degli Stones e di tutti i loro memorabili concerti. Da consigliare per chi ama la buona musica.

mercoledì 22 gennaio 2014

L'impeccabile di Keigo Higashino

L'anno scorso mi sono imbattuto in Sospettato X, giallo nipponico proposto da Giunti nella collana Mystery. Un thriller serrato, sorprendente, carico di personaggi profondi e contorti. Un'ottima lettura alla cui nostra recensione vi rimando. Quest'anno Giunti propone una nuova opera dello stesso autore e io ovviamente mi ci butto con salto carpiato.
Un imprenditore e un'autrice di coperte fashion (!) sono in rotta. La coppia, benchè formata da un paio d'anni, è in crisi e decide di farla finita con il matrimonio. I figli non arrivano. Lui li vuole, lei non può dargliene. Lui decide di cornificarla con la prima vagina che ha a portata, l'assistente della moglie, e glielo dice praticamente in faccia. Una sera ci sono a cena degli amici e la sua assistente, guarda caso si parla delle gioie di avere figli e la nostra mogliettina va fuori di testa, progettando un piano omicida. Con la scusa di andare a trovare la madre malata, la sarta parte per una misconosciuta località termale lasciando marito e assistente soli nel week end. Lui ovviamente chiama l'assistente per copulare, ma il giorno dopo del nostro si perdono le tracce. Non risponde al telefono, non va sul luogo di lavoro. L'assistente ha le chiavi di casa della coppia, furbescamente affibiatele dalla sarta prima di patire, apre la porta e trova l'uomo riverso al suolo con ancora in mano una brocca di caffè. Avvelenamento. Panico, chiama la polizia, riordina i pensieri. Un atroce dubbio. Come è possibile che lei sia sfuggita all'avvelenamento, avendo lei stessa preparato e bevuto dalla brocca di caffè che il cadavere ha ancora in mano?
Il libro è di 330 pagine e parla quasi integralmente di questo cavolo di avvelenamento col caffè. Che tipo di caffè' ? Ma macinato o tostato? Da supermercato o su ordinazione? Infuso come the (roba che apprendo amino i giapponesi... drogati!) o preparato con la moka (come Dio comanderebbe)? Ma che acqua è stata usata, quella del rubinetto, di quale rubinetto o quella minerale nel frigo? Ma prima di essere consumato è stato messo dentro del miele o un cucchiaio di Nutella? Ma se il marito non sa fare il caffè (!!!!!!) come ha fatto a prepararselo da solo e auto-avvelenarsi?
I detective indagano, partono per noiosissime e inutili spedizioni per scoprire, come già a pagina 2, che la coppia non può avere figli e si sta cornificando. Torna in scena seppur sfuggevolmente il Detective Galileo (mattatore di Sospettato x), ma la coppia di detective che si divide le indagini sono il solito detective bolso-distratto-idiota e una nuova spocchiosissima e saputella recluta alla detective Conan. La sospettata è collaborativa, tranquilla e serena, perfino accondiscendente nei confronti dell'amante, ma è evidente che sia lei l'artefice del tutto, da pagina 3.

Ho amati i dialoghi cerebrali e i colpi di scena di Sospettato X, l'intrigo era proprio figo, articolato e i pezzi del puzzle ben difficili da scorgere ma possibili, credibili. Un romanzo appagante, preciso, dotato perfino di punte drammatiche convincenti. L'impeccabile è monomaniacalmente legato all'indagine di un solo elemento. 330 pagine a parlare di caffè. Accattivante, originale magari, ma 330 pagine sono pure una mazzata. Il ritmo narrativo sarà pure buono, interessanti i personaggi, ma 330 pagine a parlare di caffè (frase ripetuta a sottolineare il concetto)... Non che il finale sia male, anzi. A molti in ogni caso il romanzo è piaciuto e pure parecchio ed è innegabile che l'autore cerchi in tutti i modi di rendere dinamico l'intreccio e desta l'attenzione del lettore con estro e trovate anche originali. Io in ogni caso ho visto mortificata sul nascere la vena thrilling-drammatica dell'opera, aspetto che in un giallo può anche essere non essenziale o non esserci del tutto, ma che per me è importante per empatizzare. Ma direi la stessa cosa per una puntata qualsiasi della Signora in Giallo o Detective in corsia, storie di pura componente enigmistica aggravate da personaggi cui ho augurato le morti più atroci per supponenza, anaffettività, superficialità e cagacazzaggine. E la detective Uzumi di questo libro è l'esatta stronza alla Signora in giallo, tanto “vincente” quanto caratterialmente orribile per monomaniacalità nell'analizzare tutto e tutti. Insomma il libro ha i suoi meriti e mi è piaciuto abbastanza. Ma mi ha anche un po' rotto le palle per i limiti sopra espressi. Se amate il caffè consigliato. 
Talk0

sabato 11 gennaio 2014

I libri del mese (novembre-dicembre)

Avete ragione, non posso di certo definirmi un buon rubrichis... rubrican...rubr... gestore di rubrica. Il mio buon proposito di portare avanti uno spazio ogni primo giorno del mese è andato a farsi benedire dopo 3 appuntamenti penso seguiti da una dozzina di persone in tutto il mondo. Ho deciso di rimediare, condensando le letture degli ultimi due mesi e fregandomene della data di pubblicazione, quindi chiunque sia interessato ai miei consigli letterari sarà costretto a passare di qui tutti i giorni.
Valerio Massimo Manfredi mi è sempre piaciuto, grande conoscitore di storia (a differenza dell'innominabile "Danilo Marrone") e fine tessitore di trame ambientate tra le strade di Roma o sulle montagne greche. Ho deciso di recuperare un suo vecchio romanzo che a suo tempo non acquistai, ovvero Chimaira. Carino, ma non eccezionale; preferisco le sue opere ambientate nell'antichità. Qui si parla di un giovane ricercatore che viene convinto a scavare una tomba etrusca da poco saccheggiata da un tombarolo poi finito dilaniato da un animale non meglio identificato. Non male l'intreccio, ma credo che Manfredi sguazzi meglio nei secoli passati.
Di Nicolai Lilin ho sentito parlare per la prima volta vedendo un suo programma su DMax e successivamente venendo a conoscenza di un film (che dovrò recuperare) tratto dal suo primo romanzo "Educazione siberiana". Tanto di cappello a Nicolai se l'ha scritto interamente da solo, perché sembra abitare in Italia da una vita e non da una manciata di anni. Conosco italiani che scrivono molto peggio di lui. Le storie... sì LE perché pur essendo un romanzo in realtà è una raccolta di esperienze che Lilin ha o avrebbe fatto in giovinezza quando abitava in Transnistria, una regione abitata praticamente solo da criminali. Dico avrebbe perché leggendo il libro si ha la sensazione che siano storie più ascoltate che vissute in prima persona; navigando sul web ho poi scoperto che non sono l'unico a pensarla così... in ogni caso il libro si legge d'un fiato ed è pure interessante. Usi e costumi dei siberiani non si leggono tutti i giorni e poi ha più ritmo dell'innominabile.
Ho iniziato il ciclo di Dune. Si prospetta molto lungo. Intervallo ogni libro con altre letture perché immergersi nell'universo fatto di droga e paroloni inventati da Herbert non è sempre facile. Questo mese è toccato al secondo volume: "Messia di Dune" a dire il vero piuttosto corto e abbastanza scorrevole. Si tratta pur sempre di un libro che ha più di quarant'anni. Il romanzo ci accompagna fino al termine del regno di Paul iniziato nel primo volume. Consigliato? Solo a chi ama la fantascienza... e non ci sono i vermoni. Sicuramente più realistico di un qualsiasi libro dell'innominabile.
Nick Hornby. In assoluto uno dei miei scrittori preferiti. Anche lui, copiandomi, tiene una rubrica di lettura su un giornale britannico. Forse più seguita della mia su questo blog. Forse scritta meglio. Ma lui è uno scrittore di successo, io non ancora, anche se insieme a Talk0 sto progettando un'esalogia fantasy-horror che scalerà le classifiche di tutto il mondo e da cui sarà tratta una serie di film con Jason Statham. Comunque... adoro Hornby e mi sono letto "Tutto per una ragazza", storia di uno skater che scopre il sesso da adolescente con un'adolescente e ovviamente la mette incinta. Che fare? Scappare? Stare vicino alla giovane mamma? E se poi tutto l'innamoramento delle prime settimane fosse svanito ancor prima del fatidico incidente? Romanzo superbo e come sempre ironico, consigliatissimo ai fan di Nick, agli amanti della letteratura inglese, a chi cerca un buon libro che faccia sorridere e pensare (cosa che peraltro non riesce all'innominabile).
"L'analfabeta che sapeva contare"; sembra un titolo stupido, anche se non come "Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve", prima opera di Jonas Jonasson, svedese come Larsson ma di tutt'altro genere. Jonasson nel suo secondo lavoro segue lo schema dell'opera precedente e riesce a cogliere ancora nel segno: personaggi strani e straordinari si incontrano, si incrociano in un turbinio di situazioni comiche, surreali e strampalate per poi giungere al finale che magari ti aspetti, ma che sembra impossibile fino a poche pagine prima. Il ritmo è veloce, incalzante, mai una pagina senza un senso o senza un avvenimento importante per la trama. I personaggi si amano, nonostante alcuni siano davvero volutamente stupidi. Consigliato, così come il suo primo romanzo, che a suo tempo vinse il premio letterario più ambito in Svezia prima di essere tradotto in tutte le lingue (premio, capito innominabile?).
Ho apprezzato Robert Harris (che tra l'altro è il cognato di Nick Hornby) ai tempi di Fatherland, opera ambientata in un futuro distopico in cui la Germania di Hitler ha vinto la guerra conquistando il mondo. L'ho apprezzato con "Enigma", spy-story ambientata durante la seconda guerra mondiale. E l'ho apprezzato anche alle prese con un'epoca ben più lontana, magari in cui Manfredi sarebbe stato a suo agio, ovvero il 79 d.C. "Pompei" narra appunto le ultime ore di vita nella città che sarebbe stata seppellita dall'eruzione del Vesuvio. Ci trasporta indietro nel tempo in un racconto ricco di curiosità storiche e di personaggi ben definiti. Attorno all'eruzione c'è anche una storia di corruzione e potere (un po' come ai giorni nostri), altrimenti chi mai vorrebbe leggere un libro in cui il finale è abbastanza chiaro fin da subito? Harris ha un ottimo stile narrativo ed è abile nella ricerca storica (dono non in possesso dell'innominabile). 
Alla prossima!
Gianluca



domenica 29 dicembre 2013

Dan Brown – Inferno

(zero spoiler)

Una grossa botta in testa. Sangue. Tutto confuso il mondo ruota tra le orbite di Robert Langdon. Il celebre professore di simbologia e iconografia religiosa di Harvard si risveglia così in un letto d'ospedale con la più agghiacciante e angosciosa delle scoperte. Il suo orologio di topolino. Rubato. Tutto crolla senza il suo confortevole monile massonico orecchiuto e per di più ci sono dei tizi strani che gli stanno parlando in camici bianchi. Pare parlino italiano, in quanto riportano sui loro vestiti gli inconfondibili aromi di tabacco e caffè espresso (!!!!), ma è ancora tutto annebbiato. Poi i sensi ritornano a funzionare a sprazzi e l'esimio professore scorgendo dalla finestra uno skyline inconfondibile si accorge di trovarsi a Firenze. Come ci è arrivato? Cosa è successo nelle ultime ore? Chi si è fottuto l'orologio di Topolino? A fornire le prime risposte è una donna in camice bianco, che come tutte le coprotgoniste dei romanzi di Langdon è una figa misteriosa con tratti da psicopatica. Langdon è lì perché ha perso la memoria. E sticazzi. Manco un minuto e irrompe dalla porta sforacchiando tutto e tutti una triste parodia di spia russa di nome Yelena. Fuga. Botti a ripetizione. Ma già importanti conferme. I profumi sono inconfondibili. Lampredotto e Chianti (!!!!). Langdon si trova veramente a Firenze. Il professore dovrà ricostruire gli eventi passati facendo uso dei pochi strumenti di cui dispone in tasca e di una memoria farraginosa, che non fa altro che trasmettergli in loop sogni sinistri riguardanti l'inferno dantesco. Come sempre non sarà facile sbrogliare la matassa, perchè potenti nemici si avvicendano sulla strada della verità e non manca il solito pazzoide d'ordinanza, pazzoide che ha preparato per il nostro enigmi riguardanti come sempre roba storica-iconografica, nello specifico riguardanti un pallino del pazzoide, Dante Alighieri. Autore sul quale Langdon sa proprio tutto di tutto (!!!!!!!!!!!!).

Il professor Langdon è tornato! Febbrili si susseguono pellegrinaggi presso librerie e supermercati per impossessarsi del “tomo misterioso”, l'oggetto ambito per le vacanze (finite da un pezzo) il Santo Graal dell'intrattenimento estivo o comunque un buon intrattenimento per i post-vacanzieri. Trama blindata, adattamento pare avvenuto in un bunker in quel di Milano 2 dove nottetempo sono stati segregati traduttori internazionali, pare a regime di pane e acqua, pare minacciati di morte da sedicenti contractor in caso di prematura divulgazione dell'artefatto (è per questo pare che non vedremo mai la versione in Giamaicano..). Sarà l'ennesimo miracolo commerciale?
È sempre affascinante leggere i testi di Dan Brown. Nonostante situazioni al limite dell'assurdo, nonostante tremende puttanate sugli usi e costumi dei villici in cui si svolgono i romanzi (il lampredotto?? Sigarette e caffè l'odore degli italiani???), la lettura scorre e scorre di brutto, famelica e instancabile fino all'ultima pagina. Una capacità narrativa non comune che si accompagna alla proposizione di mistery interessanti in cui pervade quella sana atmosfera da gita turistica colta. C'è gente che va nei musei con sottobraccio i libri di Dan Brown per riconoscerne dettagli narrativi e personalmente ritengo che qualsiasi cosa spinga qualcuno ad andare a vedere un museo sia buona e giusta. E poi è figo guardare la tal statuina o dipinto e ritenere di essere davanti a una scoperta degna di Indiana Jones. Per questo il personaggio funziona e diverte. Certo alcune riflessioni di Brown sono forti, l'autore ha una propria mentalità ed esprime attraverso i suoi personaggi pensieri piuttosto netti, anche antipatici e impopolari. Qualcuno potrà quindi trovare antipatie focose per tale volontà, ma personalmente apprezzo i personaggi scomodi, gli eroi che non restano bidimensionali. Langdon è spesso superficiale, stupido, pedante ma è molto più umano di un Dirk Pitt qualsiasi.
Il simbolo perduto, il romanzo precedente, devo ammettere di averlo digerito un po' a fatica. Suonava come un mega spottone pro-massoneria, ma il suo reale limite era di essere troppo lento. Questo libro affronta un problema sociale gravissimo e lo esplica nel modo e condizioni più stronze immaginabili, tuttavia il ritmo narrativo è più veloce, incalzante, le pagine volano. Rimane poi, come in Angeli e Demoni, questa curiosa visione dell'Italia attraverso l'occhio del turista in visita. Per lo meno Dan Brown ci dipinge meglio che Yoichi Takahashi in Holly e Benji, per il quale il nostro popolo vive in baraccopoli coperto di stracci. Come direbbe Paolo Villaggio nelle vesti della invaghita infermiera tedesca mentre visita l'immigrato italiano Lino Banfi (in “Pappa e ciccia”): “Tu, pagliaccen italiano, dofe tiene tuo mandolino? Fa me federe solo una folta tuo mandolino, pajaccio”.
Una lettura divertente quindi. Senza pretese. Leggete sereni. Avrei voluto da un libro che si chiama Inferno che si parlasse mooolto di più dell'inferno dantesco. Gli spunti sarebbero stati diecimila, ma pare che Brown abbia letto solo la riduzione dell'opera di Go Nagai.
Dan Brown sostiene di voler girare il film, di volerci dentro Benigni. Io vorrei che a interpretare Langdon non ci sia più Tom Hanks con quegli inquietanti untuosi finti capelli corvini. Chi legge i libri sa che l'unico attore che interpreterebbe al meglio il professore è Liam Neeson (oh, io la penso così per lo meno...). Con Liam Neeson sarebbe un film bello. 
Talk0