Premessa: Venom è un
personaggio dei fumetti creato da Todd McFarlane e David Micheline, apparso per
la prima volta come “costume alieno nero” di Spider-Man in Amazing Spider-Man
numero 252 del 1984. Da Amazing Spider-Man 300 del 1988, quando come
“simbionte” si impossessa del corpo del lunare giornalista Eddie Brock, Venom
inizia una evoluzione autonoma dall’arrampicamuri, dai toni sempre più
esagerati, sarcastici e dark. Dal 1993, con la serie Venom: Lethal Protector,
il nostro simbionte alieno, sempre più anti-eroe, diventa titolare di una
testata tutta sua e continua ancora oggi a essere uno dei personaggi Marvel
più amati dal pubblico più giovane, al punto da arrivare anche al cinema.
Venom: The last dance è
il terzo film di una saga iniziata nel 2018 con il film diretto da Ruben
Fleischer. La storia riparte esattamente da dove finiva la precedente
pellicola, Venom: Let there be Carnage del 2021, per la regia di Andy Serkis, ma
il film risulta godibile e comprensibile anche senza particolari “ripassi”.
Sinossi: ci eravamo
lasciati in un bar nel Messico di un’altra dimensione. Il nostro Eddie (Tom
Hardy) era ubriaco, mentre ascoltava assurde storie di alieni viola che
schioccando le dita erano in grado di far sparire metà della popolazione
mondiale.
Poi si apre un varco
dorato e il nostro eroe è di nuovo a casa, in un bar del Messico del suo mondo,
con il suo simbionte alieno Venom che è così contento da volersi ubriacare. Basta con le menate
dei multiversi!
Venom si fa un cocktail stile Tom Cruise
muovendo come una bambola il corpo di Eddie che è ancora ubriaco, rivelando
qualcuno dei suoi tentacoli neri al terrorizzato barista locale. La tv richiama i due
alla realtà: sono accusati di aver ucciso un poliziotto a seguito della
storiaccia con Carnage e ora pure i telespettatori messicani conoscono i suoi
casini. Non si può tornare a Los Angeles.
Fuggire da un’altra
parte, magari a New York dove forse Eddie può sfoggiare la sua abilità di
giornalista e forse incastrare un politico corrotto. Si può anche prendere
l’aereo dall’esterno, appiccicandosi alla carlinga con il corpo tentacoloso e
appiccicoso di Venom, senza pagare il biglietto. Certo fa un po’ freddo e si
può morire malissimo, ma i due sono abbastanza disperati da provarci.
Il viaggio è orribile
e Eddie è ancora sbronzo, quando sull’ala dell’aereo diretto verso la Statua
della Libertà compare una creatura aliena insettoide, piena di denti, enorme e
minacciosa. Riescono a frullarla
tra i motori dell’ala prima che lei se li divori con i suoi denti a motosega,
ma quel mostro è del tipo che si riforma come il T1000 di Terminator. È stato creato da chi
ha creato anche i simbionti ed è in cerca proprio di loro due, Eddie e Venom,
per una strana storia che frulla sfiga, prigioni interdimensionali, chiavi
cosmiche ancestrali e il futuro di tutto l’universo.
È un casino, anche
perché per il simbionte il mostro tornerà sulle loro tracce appena Eddie e
Venom cercheranno di fondersi per le loro classiche “attività da Supereoi”.
Bisogna fare qualcosa, prendere tempo, nascondersi.
Scendere dall’aereo
con un Venom-paracadute.
Trovare un cavallo per
“venomizzarlo” e usarlo come mezzo di trasporto superveloce. Prima o poi si
arriverà a New York, non fosse per una nuova grana che incombe presto su di
loro. La grana viene dall’area 55, la parte più nascosta dell’area 51 del
Nevada: i militari cercano Venom con le telecamere e lo hanno trovato proprio
in quel bar in Messico, poi sull’ala di un aereo. Non è che si mimetizzi
benissimo e Eddie è sempre sbronzo per aiutare nelle questioni logistiche.
Per fortuna, tra mille
inseguimenti e qualche senso di colpa, la coppia incontra una famiglia di
hippie stralunati in fissa con gli alieni, capitanati dal visionario Martin
(Rhys Ifans) e in gita proprio nell’area 51. La celebre base sta per chiudere
per un provvedimento di Washington e loro sono in cerca di souvenir a tema
omini verdi. Forse gli hippie, amorevoli, gentilissimi e bravissimi a cantare a
cappella Space Oddity di David Bowie, potrebbero dare a Eddie e al suo “socio” (il
riferimento al personaggio del “socio” dei libri di Sandrone Dazieri è voluto)
un passaggio almeno per Las Vegas.
È un viaggio quasi
rilassante, nel quale Eddie e Venom trovano dopo tanto tempo un po’di quiete,
aria di famiglia, cioccolata. Ma l’area 51 incombe sul loro destino, insieme
ai molti simbionti come Venom che nasconde al suo interno. Presto la Terra si
riempirà di insetti giganti immortali a caccia di simbionti e forse di oscure
divinità ultra-dimensionali.
Ma forse quando ciò
accadrà Eddie sarà ancora così sbronzo da non accorgersene.
Affilando i denti: Tom
Hardy ce lo aveva “minacciato” già nell’agosto del 2018, quando era ancora
fresco dell’uscita del primo, sgangherato ma molto divertente film della saga.
Ai botteghini era piaciuto e quindi “facciamo almeno tre!!”.
È nel dicembre del
2021 che Sony, come “regalo di Natale”, inizia effettivamente la produzione del
terzo film dedicato a Venom, dopo che il divertente ma forse più sconclusionato
capitolo 2 aveva comunque, tra cinema e home video, fatto breccia nel
pubblico.
Era ormai chiaro che
il simbionte dentato di casa Marvel al cinema non poteva fallire. Del resto,
aveva dimostrato quel “super potere ai botteghini” già con la sua primissima
partecipazione in un live action, nel terzo Spider-Man di Raimi del 2007, pur
risultando anche lì, per colpa di una sceneggiatura ipertrofica, un personaggio
assolutamente, amabilmente “del cavolo”. Venom rubava la scena, anche
elargendoci a piene mani alcuni dei momenti più cringe e divertenti della
carriera di Tobey Maguire.
E quindi vai con il
numero tre.
A debuttare nella
regia, ma ancora responsabile dello script e della produzione, questa volta è
nientemeno che la co-sceneggiatrice dell’intera trilogia di Venom: Kelly
Marcel.
Una Kelly Marcel che
tra un Saving mr Banks, l’adattamento di Cinquanta sfumature di grigio,
Crudelia e la serie fantasy Tera Nova, aveva anche trovato il tempo di
collaborare molto bene con Tom Hardy: nel suo film forse più importante per la
carriera, il dramma carcerario Bronson, ma anche in un trattamento di Mad Max:
Fury Road.
Hardy, che co-produce
e co-scrive la saga fin dall’inizio, l’aveva voluta fortemente a bordo anche
per una forma di riconoscenza nei confronti del “vero committente occulto” di
Venom: il piccolo figlio di Tom, Louis Thomas Hardy, classe 2008, all’epoca del
primo Venom di anni 10.
Papà Hardy voleva
realizzare un film tutto per lui, che, come tutti i bambini di dieci anni,
amava i fumetti di Venom, al punto che il primo film sul simbionte alieno ha
preso vita probabilmente da intensi brain-storming tra Kelly e Louis, con Tom
che partecipava facendo facce strane. Ce li immaginiamo insieme, lanciare per
una stanza del set uno di quei pupazzetti allungabili che si appicciano ai
muri, insieme a moto giocattolo, uno shuttle e tante macchinine, per spiegare i
momenti drammaturgicamente più intensi di quella pellicola anche ai dirigenti
Sony.
Immaginiamo (è sempre
una nostra supposizione non avvalorata da fonti) un coinvolgimento attivo di
Louis anche nella lavorazione delle successive pellicole: perché c’è una
surreale “continuità” tra le scene in cui Eddie ha caldo e per rinfrescarsi
entra nell’acquario di un ristorante e la passione di Venom per l’allevamento dei
polli che si sviluppa nel secondo capitolo. Un gioioso non-sense.
Forse Louis non era
abbastanza in vena di motorette ed esplosioni per Venom 2: del resto i 12 anni
e le scuole medie sono un periodo di grandi cambiamenti, goniometri, test
invalsi, i brufoli, le prime cotte… Se vogliamo l’aspetto delle “cotte”, che in
modo differente affrontano Venom e Carnage, diventa a tutti gli effeti la parte
più stuzzicante della seconda portata della saga. Venom 2 è quasi un film di
amori adolescenziali alla Makoto Shinkai (stiamo usando una iperbole in modo
molto ironico qui, non prendeteci sul serio), scombinati quanto “sentiti”. Del
resto alle medie si scoprono spesso gli abitanti “dell’altra parte del mondo”:
che più che “gli alieni” sono le donne…
Ma ora Louis,
che supponiamo ironicamente ancora dietro alle storie cinematografiche di
Venom, è un sedicenne americano medio e pensa anche ad altro. Lo immaginiamo
diventato un grande appassionato di biologia e scienze naturali, assiduo
consumare di Tolkien, magari frugale appassionato delle storie on-the road di
Jack Kerouac. Forse anche Michael Crichton o Christopher Paolini hanno iniziato
così. Probabilmente non ha usato più dei pupazzi allungabili per spiegare
junghianamente la dualità dell’animo umano in “salsa McFarlane”. Ma la voglia
di divertirsi insieme a papà e alla Kelly nell’immaginare nuovi simbionti
ibridati con animali o nel portare su schermo creature alla Starship Troopers
non deve essere finita. Me li vedo tutti e tre a lanciarsi addosso
“cavalli-Venom” o “aquile-Venom”, rane ed elefanti Venom, debitamente
cospargendoli prima di slime color nero notte e poi di slime di tutti i colori,
con Hardy che continua a fare voci buffe, simula sbronze e prova a parlare con
un Venom immaginario come un ventriloquo, usando un calzino per fingere il suo
volto dentuto. Perché anche se hai sedici anni, se trovi un barattolino di
slime e non hai ancora “ucciso” quel “fanciullino interiore” che secondo
Pascoli dimora in ognuno di noi, con lo slime ci giochi. Ci giochi e torni di
colpo a quando avevi 10 anni.
Tutta l’operazione
Marvel/Disney/Sony/Columbia legata a Venom, ridotta all’osso, è in sostanza da
sempre basata sull’idea di farci “giocare al cinema” con un simpatico
barattolino di slime con i denti. Certo non è l’unico
Venom possibile, non è per nulla il migliore immaginabile: ma è comunque
un Venom con cui hanno “giocato” un padre e un figlio, divertendosi un mondo.
Chine e pennelli: Il
direttore della fotografia è uno che ci piace: Fabian Wagner. Ha fatto un buon
lavoro sui “due” Justice League di Snyder, sul Frankenstein con Daniel
Redcliffe, ma anche nell’originale Overlord di Avery. Ha una predilezione
per le tinte scure e i forti contrasti cromatici, riuscendo a trasmettere bene
l’atmosfera tipica dei fumetti che su Venom calza ovviamente a pennello.
Il montaggio è invece
affidato a Mark Sanger: una carriera negli effetti visivi e poi il debutto
all’editing con Gravity di Cuaron, seguito a breve da un film molto “fumettoso”
(direi quasi un manga shakespaeriano) come Last Knights di Kazuki Kiriya e poi
da un altro mega-fumettone come Transformers: the Last Knight. Più di recente
ha lavorato a Jurassic World Dominion e di fatto continua a interessarsi a film
con al centro tantissime creature animate, gestendo spesso scene quasi da
cartone animato digitale.
La colonna sonora
curata da Dan Deacon si accompagna con una track list di lusso da classico film
“on the road”, tra Cat Stevens e David Bowie (il “momento Space Oddity” è forse
la parte più bella di tutto il film), passando per gli Abba e con intrusioni gustosissime
dei Linkin Park.
Naturalmente torna in
scena nel ruolo da protagonista e mattatore assoluto Tom Hardy, ormai
indistinguibile tra versione umana e “aliena”, ma il cast annovera anche il
bravo Chiwetel Ejiofor, già “personaggio a fumetti” come Karl Mordo in Doctor
Strange, ma pure premio Oscar per 12 anni schiavo. C’è la bravissima Juno
Temple, che abbiamo apprezzato nella serie Ted Lasso di Apple+ ma è stata anche
lei in passato un “personaggio a fumetti”: nel secondo (un po’ sfortunato) film
di Sin City del 2014. Alla voce “ritorni
attesi”, c’è Rhys Ifans, che per i fan di spider-Man dovrebbe ricordare già per
qualcosa, come ritorna Stephen Graham in un ruolo che è qui destinato a
diventare molto importante. Non poteva mancare l’amarissima Peggy Lu e la sua
già iconica Mrs Chen: che abbiamo potuto ammirare in una scena di ballo già
molto reclamizzata nei trailer. La presenza di Kelly
Marcel e Tom Hardy alla sceneggiatura, con la Marcel che esordisce alla regia,
garantiscono una forte continuità con le pellicole precedenti.
In sala: Il primo
Venom sembrava a tutti gli effetti una elaborazione più ironica di Life di
Daniel Espinosa: tanta “voglia di Alien”, quanto voglia di un umorismo sopra le
righe ma sotto controllo, quasi “Troma per famiglie”.
Il secondo film
facendo leva su Woody Harrelson puntava altissimo cercando di rielaborare
Natural Born Killers di Stone: si perdeva un po’, trovava momenti interessanti
proprio sul lato “sentimentale” della vicenda, riproponeva ancora tantissimi
effetti speciali “mostruosamente innocui” per la felicità di grandi e piccini.
Venom The Last Dance
ha la struttura del classico film on the road ambientato ai margini del deserto
americano, con la “variabile alieni” che a tratti lo avvicina al divertente Paul
della coppia Simon Pegg e Nick Frost. Ma nella seconda parte
la pellicola subisce una trasformazione/evoluzione esaltante, quasi da incubo
lovecraftiano alla Southbound.
Il “cacciatore di
simbionti” diventa qui mattatore quasi assoluto, dimostrandosi una creatura
davvero spaventosa con cui la lotta si fa sempre più estrema e disperata, frenetica
come a gravità zero, nonché sempre condita da momenti splatter di forte
impatto. Il “rumore” con cui la creatura “trita” i nemici che ingoia è un
effetto sonoro che rimane impresso nella memoria e dimostra l’incredibile
bravura del comparto effetti sonori.
Permane il
divertimento, le trasformazioni buffe e l’umorismo adolescenziale, ma la
tragedia piano piano si fa largo, quasi riuscendo a trasformare Venom in un
personaggio davvero epico. Nell’ombra intanto si fa largo con convinzione un
villain, animato da Andy “Gollum” Serkis, che non avrebbe nulla da invidiare al Thanos gioiosamente “preso in
giro” in un paio di battute a inizio film. Tutta l’iconografia di Knull, il
mondo-prigione in cui vive e lo sterminato potere di cui può disporre,
profumano molto di Signore degli Anelli.
Alla fine, anche il
dissacrante Venom si è fatto epico, ma nell’evoluzione generale del personaggio
è una tappa che grazie al buon equilibrio della sceneggiatura non stona.
Tom Hardy indossa
ormai alla perfezione i panni tanto del simbionte che del giornalista
“bollito” Brook: la “follia a due” che lega Eddie a Venom, trasformandoli a
volte in amici fraterni, a volte quasi in una coppia di fatto, a volte “uno
burattino dell’altro”, è sempre divertente, carica di momenti surreali quanto
di “divertite” interazioni nelle scene action.
Ma è tutto il cast a
funzionare.
Rhyan Ifans nei panni
dello spirituale quanto stralunato Martin è davvero irresistibile, ma
colpiscono in positivo anche il granitico e serissimo militare di Chiwetel
Ejofor, il misteriosissimo personaggio interpretato da Juno Temple e la curiosa
scienziata dall’animo empatico con il volto di Clark Backo.
Buoni gli effetti
speciali, molto riuscite tutte le creature digitali multiforma e multicolore,
tra cui si segnala un “tritone” che sembra uscito direttamente da un film di
Guillermo Del Toro.
Conclusione: Fin dalle
note di produzione, questo Venom si è dimostrato un film in forte continuità
con i capitoli precedenti, ma anche in grado di portare il personaggio a una
interessane maturità. Permangono l’ironia, una
messa in scena fracassona quanto ricca di esagerazioni, i momenti carichi di
non sense, i combattimenti super colorati in cui il simbionte si fonde e
trasforma con l’ambiente.
La sceneggiatura non è
priva di sbavature quanto ricca delle “semplificazioni” tipiche dei fumettoni
cinematografici del passato: specie di quelli degli “anni 80/90”, alla Spawn
(non a caso come Venom un altro personaggio di McFarlane), che sono stati il
brodo di cultura del personaggio di Venom.
Se non vi scoraggia la
profonda quanto “liberatoria” ingenuità di fondo del soggetto, se siete “vittime” dell’indubbio carisma di
un anti-eroe esagerato quanto esagitato come il simbionte alieno di Marvel,
rimarrete incantati per un paio d’ore nell’osservare questo alieno
gommoso/allungabile, pieno di denti e muscoli, che urla e fa cose assurde su
schermo. Un po’ goffo e un po’ minaccioso: come il Taz dei Looney Tunes,
come gli assurdi Street Sharks. I personaggi anni '80
pieni di denti e con il caratteraccio piacciono sempre a grandi e piccini.
Ovviamente “vade
retro” se cercate qualcosa di più profondo di un personaggio pensato “ab
origine”, qui effettivamente, da un bambino di dieci anni.
Ma se volete tornare
bambini, tra amanti dello
slime di più generazioni, siete nella sala cinematografica giusta.
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