martedì 12 luglio 2022

Thor: love and Thunder: la nostra recensione del nuovo film sul supereroe Marvel del regista Taika Waititi

 


Il dio vichingo spaziale Thor (Chris Hemsworth), dopo un periodo di profonda depressione in cui ha coperto il suo cuore infranto sotto un morbido pancione di trippa, ha ripreso la via delle stelle insieme ad una nuova ciurma: i Guardiani della galassia. La panza morbidosa in poco tempo è scomparsa grazie al duro allenamento e al supporto psicologico essenziale di un insospettabilmente sensibile Star-Lord (Chris Pratt), la voglia di combattere e salvare mondi è tornata insieme all’ironia e alla “spacconaggine”, ma nella vita del Dio del tuono manca ancora qualcosa di importante. Manca quell’amore vero”, quello che “ti fa stare da schifo” ma che non puoi fare a meno di cercare e che finora lui ha provato solo per una persona: Jane Foster (Natalie Portman). I due si erano amati profondamente, fino ad arrivare a correre insieme sui rollerblades, ma si sono ormai lasciati da molto tempo, “fuori dalle scene”, allontanandosi piano piano. Thor la “tradiva per Nick Fury”, per cui aveva sempre da salvare il mondo o l’universo. Jane aveva da spiegare lo spazio e i buchi neri a qualche convention di scienziati, trovando magari l’occasione di citargli Punto di Non Ritorno di P.T. Anderson. Ora, mentre Thor è ancora nello spazio, Jane sta molto male. Ha una brutta malattia e spera in un miracolo grazie ai poteri di Mjolnir, il martello distrutto di Thor che ora è esposto in quella sede terrestre di “Nuova Asgard”, che sembra sempre più un parco divertimenti tematico, gestito dalla sempre più disincantata eroina Valchiria (Tessa Thompson). Ma nel breve futuro le strade del vichingo spaziale e della scienziata sono prossime a ricongiungersi, per solcare insieme i cieli sulla brutta copia di un drakkar trainato da capre spaziali urlanti. Galeotto sarà lo scontro contro il minaccioso Gorr il “macellatore di dei” (Christian Bale) e alcune quisquilie contro Zeus (Russell Crowe), signore del fulmine. Sarà di nuovo “amore e tuoni”? 


Il dissacrante e irresistibile attore, regista e sceneggiatore Taika Waititi, che ha già messo alla berlina i vampiri (Vita da Vampiro), prima ancora ha messo alla berlina i neozelandesi “di campagna e di città" (Eagle vs shark, Boy, Selvaggi in fuga) e di recente ha messo alla berlina i nazisti (Jojo Rabbit), torna dopo Thor Ragnarok a mettere alla berlina le divinità e il mondo degli “eroi”. Lo fa in nome dell’amore: quel sentimento che ti fa ballare insieme alla mamma (Jojo Rabbit), ti dà l’occasione di occuparti dei tuoi cari (Vita da vampiro), ti fa voler bene a chi ti è caro, scherzandoci insieme, anche se lui non ti vuole troppo bene (Thor: Ragnarok). È l’amore che al di là delle grandi illusioni di immortalità salva il mondo o “quello che resta del mondo”, nella poetica di Waititi. Un amore che non si può “regalare a tutti”, specie agli omini invisibili. Con la classe di chi “sa cosa sono gli dei” (come lo sa chi ha fatto il liceo classico e ricorda bene gli dei classici dell'antica Grecia, conosciuti attraverso le mitiche traduzioni di greco e latino), Waititi ce li descrive sarcasticamente come una masnada di guerrafondai, pomposi arroganti, viziosi, vanitosi, voltagabbana, erotomani. Umanissime creature “divine” definite più dai loro difetti che dai loro poteri. Non a caso gli dei greci diventano “archetipici” di “modelli caratteriali” per Carl Gustav Jung ne “gli archetipi dell’inconscio”: proprio perché ci sono stati raccontati dai poeti come specchio di vizi e virtù umane. Ma che siano greci, norreni o provenienti da un pianeta di uomini-sasso (c’è una scena di “pantheon” divertentissima, in cui ci sono anche gli dei-raviolo!!), questi dei rimangono, proprio in virtù dei loro vizi e virtù, figure non troppo lontanate da come ci sono stati presentati in passato dal cartone animato Pollon, dello scomparso e amatissimo, e altrettanto  “dissacrante” come Waititi, Hideo Azuma. Certo Waititi in questa lettura non inventa ma anzi “cita”, omaggia, rivelandosi anche fine conoscitore dei fumetti Marvel sul dio vichingo “d’annata”, ricordandoci il forte umorismo che permeava le pagine del Thor del passato più satirico e psichedelico, dove il nostro eroe poteva benissimo tramutarsi in rana, dire battutacce, fare giochi di parole e ubriacarsi. Pur mantenendo nei baloons delle tavole il suo particolare “font” ed eloquio in stile epico/medioevaleggiante. Un Thor ironico e vanitoso non meno che aitante e combattivo. Così anche quando il film ogni due per tre mostra i muscoli e decolla in iperboliche e visivamente pazzesche scazzottate interdimensionali, proprie delle infinite e spettacolari battaglie in cui gli dei sono protagonisti in tutte le mitologie, l’ironia non abbandona mai la formula. Si impastano battute ed effetti speciali in una sorta di giostra plurisensoriale che affascina o sterilmente/sarcasticamente stordisce (come nella scena della saetta di Zeus), ma infine ci si chiede sempre sinistramente se “valga la pena” di osannare questi dei, per quanto “mattacchioni”. Può essere “reciproco” l’amore per un dio? Possono le preghiere avere un senso quanto l’amore “autentico” per un’altra persona? Gli dei sono tutti “buoni”? La “botta di amarezza” Waititi ce la dà subito, nella straordinaria prima scena che passa in due minuti dai toni della commedia (quasi alla Monty Python) alla tragedia e subito definisce il tono del film.


È una sferzata drammatica simile all’inizio del primo I Guardiani della galassia di James Gunn e questa non è la sola analogia che dissemina Waititi, oltre al fatto di aprire il film proprio con i guardiani della galassia al completo. Gunn e Waititi sono molto simili nel modo di miscelare con cura e parsimonia scene drammatiche nell’intreccio, nascondendocele con così tante risate da farcele sembrare all’inizio solo velate suggestioni, fino a farle poi deflagrare. Per riportarci con i piedi per terra dopo l’euforia, per abbassare l’endorfina e rendere il tutto più reale, dannatamente reale. Per dimostrarci che la tragedia è ancora più forte quando è preceduta e integrata dalla commedia. Waititi ci conferma qui, ancora con più forza che in Ragnarok, di come gli dei siano creature così indifferenti all’uomo che quasi non ha senso che esistano. Creature garrule che vogliono solo applausi, coloratissime e pacchiane. Creature che guardano per lo più ai loro devoti come a dei falliti da irridere e lasciare soli davanti al dolore. Esseri che si inventano riti e un sistema infinito di “peccati” per non far accedere i devoti a un “paradiso” che probabilmente non esiste per davvero. Le persone, che siano  terrestri o marziane, possono nascere, crescere e morire amando gli dei, senza alcuna ricompensa o gratificazione per il loro amore. È qui che diventa una figura tragica, potente quanto meno scontata del “villain del mese”, il personaggio interpretato da Christian Bale. Più un antieroe che un villain, il macellatore di dei sa subito fare breccia negli spettatori nonostante la sua cupezza e crudeltà, in ragione di una fortissima e genuina umanità che un Bale mai così simile al suo Uomo senza sonno sa irradiare. Bale recita con gli occhi e il sorriso triste dentro un corpo glabro e smunto, coperto da un lungo mantello. Un essere vuoto sospinto solo dal dolore, toccante quanto pieno di vendetta.  Una creatura umana ugualmente fragile è la Jane di Natalie Portman, scavata nelle orbite e dal corpo trasfigurato dalla malattia, a differenza di Gorr ha ancora con un ampio sorriso e gli occhi speranzosi. È in “attesa del miracolo”, come cantava in un celebre pezzo Leonard Cohen, ma non si arrende e anzi decide di dedicare il suo tempo a fare la supereroina, mettendosi al servizio degli altri come invece non sembrano avere intenzione di fare nel film molti altri dei. È qui che si coglie il lato meno sorridente dell’apparentemente cordiale e giulivo Zeus di Crowe e si empatizza davvero con un Thor sempre più spoglio di misticismo e sempre più uomo, che ha sofferto, si è fin quasi distrutto nel fisico, è emotivamente “cresciuto”. Un Thor che in qualche modo cerca di uscire dalla fase adolescenziale da eterno bambinone forzuto e si appresta a diventare adulto, proprio grazie a Jane, accogliendo il suo modo di vedere il mondo e il suo modo solare (molto bello il lavoro sul make-Up) di essere “una” Thor. 



Thor Love and Thunder come Ragnarok trasuda della poetica di Waititi, ci fa ridere e ci fa commuovere ed è visivamente il Thor più bello di tutti, con una colonna sonora hard rock piena di classici d’annata e scene d’azione gigantesche, che saltano da enormi battaglie su pianeti alieni con carri armati e astronavi agli abissi plumbei e contorti di una notte infinita piena di creature tentacolari che si nascondono tra le ombre come Freddy Krueger. 

Due ore divertenti, scanzonate e commoventi, con al centro una bella storia d'amore e crescita. Forse non un capolavoro ma un film molto godibile, che si ha subito voglia di rivedere, con ottimi interpreti e una trama non banale. Passa in un lampo, con la platea che ride dall’inizio alla fine… a meno che non si prediliga fortemente una visione di Thor più vicina al secondo film, Thor: The dark world, diretto da quell’Alan Taylor, regista di molte puntate del Trono di Spade. Mi viene da fare un po’ lo stesso ragionamento della recensione di The Batman: non è che esiste una visione “giusta o sbagliata” di un personaggio a fumetti, perché questo vive e rivive delle scelte stilistiche che autori diversi possono imprimere nelle loro storie. Il “Thor dark fantasy”, che vive anche in alcuni cicli recenti del fumetto Marvel, è un po’ figlio delle parti più oscure di Mordor del Signore degli Anelli adattato da Peter Jackson, ha alcuni toni geopolitici del Trono di Spade (quelli almeno “permessi” da una produzione Marvel/Disney), condivide atmosfere notturne di alcuni videogame come Dark Souls, ma pure suggestioni di fotografia “dai toni forti” di opere cinematografiche epico/pessimiste di Eggers e Refn. Non è che Dark World fosse di fatto cupissimo, disperatissimo, seriosissimo come The Northman o Valhalla Rising (sempre per stare nel “dark norreno”). Aveva tanti momenti leggeri e Stellan Skarsgard in mutande, ma appena poteva andava da quelle parti dark, verso quei “colori spenti”, anche perché il primo film di Thor, quello di Kenneth Branagh, era stato tacciato di non essere “abbastanza dark” (pur adattando in gran parte una run di Straczynski disegnata da Coipel che i toni “dark” non li aveva proprio). Però è innegabile che oggi ci sia questa voglia di mondi cupi e crudeli, dove ogni ironia è bandita e dai quali probabilmente pure la Divina Commedia di Dante è bandita: perché questo “toscano” non dovrebbe permettersi di descrive persone che scoreggiano (incriminato quel fuori luogo “cul che fece trombetta”… roba da film di Bombolo!! Inaccettabile!!).


Fare i “darkettoni e musoni” è una scelta di stile che va da sempre di pari passo con “quel periodo dark dell’adolescenza” per cui nel mio caso si ascoltavano i Cure e si andava a vedere in sala Il Corvo o si leggeva Sandman e quindi delinea un preciso target di spettatori che “amano il dark”. 

Qualcuno che oggi ascolta l’equivalente dei Cure dei Millennials potrebbe ritenere (prendendo un discreto abbaglio) che nel seriosissimo dark fantasy si possa riscontrare la “vera” epica omerica (quando Omero amava l’ironia) o la grande tragedia, quella di Shakespeare (che pure lui amava l’ironia), di cui peraltro si burla Waititi già dai tempi di Ragnarok nelle buffissime, e quindi dai darkettoni “odiatissime”, scenette “teatrali” con protagonisti Luke Hemsworth, Matt Damon e Sam Neill. Ma ci sta, perché “sono solo gusti” e pure i darkettoni hanno diritto ad avere un prodotto cupo, epico e pessimista fatto tutto per loro. Possiamo quindi concordare sul fatto che alla fine oggi esistano sullo stesso pianeta tanto il Thor dei fumetti psichedelici del passato in Love and Thunder omaggiato da Waititi, quanto il Thor dark fantasy sognato da alcuni e protagonista di alcune produzioni tipo Loki di Casey e Dragotta o Fratelli di Sangue di Rodi e Ribec (considerando che peraltro pure nel recente si producono tantissime storie scanzonate o con forti dosi di umorismo come quelle di Peter Milligan… ma tant’è…). Quindi questa pellicola potrebbe non piacere a chi predilige un Thor dark fantasy o in generale non apprezza uno sviluppo del personaggio in un contesto carico di ironia e leggerezza. È un fatto incontrovertibile.

Thor Love and Thunder è un film divertente e che vola in un attimo, pieno di combattimenti, effetti speciali, bellissime musiche, tanta ironia. C’è la commedia, espressa al meglio dal solare e sempre irresistibile personaggio di Hemsworth ma anche da Tessa Thompson e Waititi stesso (che torna nei panni dell’Uomo-sasso), come c’è la tragedia, di cui si fanno carico Bale e la Portman con delle interpretazioni molto riuscite. Molto toccante e qui davvero, davvero “eroico”, il modo in cui il tema della malattia viene affrontato nella pellicola.

Se vi sono piaciuti i film di Waititi come Thor Ragnarok e Jojo Rabbit, correte a vedere Love and Thunder e non rimarrete delusi. Se amate l’hard rock, i combattimenti tra supereroi ed effetti speciali roboanti, qui c’è il meglio del meglio, siamo davvero al top di gamma, una vera giostra e goduria per gli occhi, da gustare su schermo panoramico.

Se volete divertirvi con un film disimpegnato pieno di azione, colori e ironia, ma che ogni tanto riesce ad essere anche profondo, Thor Love and Thunder è il film da vedere questa estate in sala.

Se non apprezzate troppo l’idea di un film di Thor pieno di umorismo e non volete rivedere i vostri gusti personali, magari scegliendo di andare a vedere “unicamente e a vita” film come The Batman o The Northman (…che il prendersi sul serio stia nel “The” iniziale?), questo film non è per voi.

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