Sinossi: in un mondo parallelo al nostro
dove la violenza è accettata e istituzionalizzata esistono assassini che vivono
come star della TV, famosi e stimati come gladiatori moderni. John Wick, il
"Baba Yaga", "l'uomo nero", il più terribile dei killer (Keanu
Reeves) aveva deposto le armi e la sua brama di sangue per ritrarsi a vita
privata. Ma quella forza quasi mistica non poteva certo placarsi facilmente ed
è bastata una goccia per risvegliare il demone che si riteneva ormai sepolto
dentro un uomo dallo sguardo triste. Il ciclo di morte frutto delle elaborate
danze di sangue di Baba Yaga era ripreso, in un turbinio di lame e pistole,
anche se il lato umano nell'ultimo periodo emerso da quella strana creatura lo
aveva fatto percepire agli altri come debole, manipolabile, pronto da
sottomettere e ricattare. Un grave errore di valutazione di pochi uomini
ambiziosi in grado di sgretolare e distruggere tutto il piccolo mondo parallelo
in cui vivono. La precedente pellicola si chiudeva con tutto il mondo in caccia,
per soldi, della testa dell'uomo nero. Il killer aveva violato le sacre regole
dell'albergo/rifugio Continental, il direttore Winston (Ian McShane) aveva
concesso un'ora di tempo a John per scappare prima di mettere sopra di lui la
più grossa taglia di sempre. Sembrava questione di minuti, il fatto di
abbattere un piccolo uomo che in virtù delle regole violata non poteva più
disporre dei privilegi dei vip-killer: cure, armi e rifugi. Ma tutti si erano
dimenticati del fatto che quel piccolo uomo un tempo era soprannominato Baba
Yaga.
Cardio-action-comics-movie: si fa sempre
più astratto e supereroistico il piccolo e sgargiante mondo action-criminale
nato quasi per caso dalla pellicola low- budget realizzata dalla coppia di
registi stunt-man Chad Stahelski e David Leitch, nuovi re Mida dell'action
moderno (insieme al sodale Tim Miller) con ora a curriculum oltre ai
John Wick, robetta come Atomica Bionda, Deadpool, il nuovo spin-off
di Fast'n'furious e presto, forse, il rilancio di Highlander. In queste teste
matte rivive tutta la follia della anarchica coppia Neveldine/Taylor negli anni
2006/2012, ma forse con meno atteggiamenti interpersonali stile Oasis e una
progettualità più solida e "solidale". Una follia nobilitata anche da
interpreti, ricordiamo Rainolds, la Theron e Reeves (ma anche The rock e
Statham non sono da meno) che si sono buttati nei loro action con tutto il
corpo e la testa, scommettendo sugli stunt in prima persona e sulla
preparazione fisica. In un mondo dove Daniel Craig si rompe una gamba facendo
una corsetta leggera nella produzione del prossimo Bond, attori anche premi
Oscar che si riempiono di lividi buttandosi dai palazzi per un action
commuovono e fanno lacrimare i bulbi dello scrivente. E Keanu Reeves commuove
per quanto "ci crede", per quanto si impegna fisicamente nelle arti
marziali e scommette sul carisma di un personaggio che ormai, sveliamolo, punta
senza troppa vergogna a essere un'immagine alternativa del Neo di Matrix,
quanto lo è Violence Jack per Devilman (mi scuso con tutti quelli che non sono
fan delle opere di Go Nagai e che quindi non hanno davvero capito questa
metafora). Perché ormai siamo "a quel punto" con questa pellicola
numero 3 di "n" pellicole future già programmate (non si parla quindi
di trilogia in questo caso), al punto in cui per sopravvivere la trama si deve
evolvere ancora su qualcosa di scala più vasta. Dopo che John Wick ci ha
presentato un mondo con proprie regole, propri luoghi di potere, propria
moneta, proprie classi sociali, arriviamo anche alla conferma di una peculiare
"religione" e "fisica dei corpi". Tipo che assume un senso
il fatto che Wick dopo aver steso un avversario si premuri di "sparargli
alla testa", come se fosse quello l'unico modo di "uccidere davvero
qualcuno" senza che possa essere curato, "sconnettendolo
neuralmente" dal mondo di John Wick. Siamo davvero "a tanto
così" da Matrix, e non solo per un paio di citazioni gustose e la presenza
nel cast anche di Lawrence Fishburne. Il personaggio di Asia Kate Dillon
ricopre un ruolo che se sarà sviluppato in un certo senso non sarà troppo
dissimile da quello dell'agente Smith di Hugo Weaving. Tra le dune del
deserto, potrebbe nascondersi anche una specie di "architetto". È un
gioco infinito di rimandi, che bene si appoggia per la profondità di analisi e
suggestioni filosofiche annesse alla nostra memoria storica legata alle opere
delle sorelle Wachowski, ma è un gioco che funziona. Una trama che come sempre
pare uscita da un lavoro a fumetti di Brian Azzarello, la scenografia sontuosa,
gli abiti firmati e le macchine veloci, permettono alla nuova pellicola di
Stahelski di essere quello che ha sempre voluto rappresentare al meglio: uno
showcase esaltante di arti e artisti marziali intenti a fare al meglio il loro
lavoro, forniti di tutto l'arsenale che potrebbe sognare un feticista di lame e
pistole. Tra il kung-fu della Hong Kong classica degli Shao Brothers alle sue
"evoluzioni moderne, il "gun-fu"e "car-fu" della Hong
Kong di John Woo. Con un occhio alle arti indonesiane del "vate"
Gareth Evans e senza dimenticare la esecuzione fulminea di lame e le lacrime
dei Twilight Samurai di Yamada (c'è pure un piccolo ruolo per Hiroyuki Sanada)
e del Freeman di Koike/Ikegami portato su schermo da Gans. Forme marziali che
da sole rappresentano universi interiori, come le spade che forgiano l'essenza
del samurai. Non è un caso che nel "pacchetto John Wick 3" ci siano
persone legate alle loro armi quanto ai loro ruoli. Come il grande Yayan
"Mad Dog" Ruhian armato dei suoi cari Karambit a mezza luna, visti
tra gli altri in The Raid. Come Mark Decascos che si affida ad una katana da
samuari, che di recente ha impugnato anche per il videogame For Honor. Non è un
caso che alle arti marziali si alternino, con pari attenzione per
l'esecuzione quanto per le ecchimosi frutto della dura pratica, i balletti
classici della tradizione del Bolshoi. John Wick, ancora di più in questo terzo
film, è una sinfonia di corpi danzanti coperti di ferite e sudori mossi al
ritmo incalzante di un musical. Nessuno si risparmia, tutti si impegnano per
uno spettacolo che non lascia fiato e riempie di pugni e calci ogni minuto.
Reeves dal primo al terzo film è più veloce, più competente, più aggraziato
nell'uso anche delle armi più strane. Non è un caso che al posto di quadri e
scultore il mondo di Wick esponga alle pareti pistole, armature e coltelli e
qualsiasi cosa (anche gli animali!!) possa di fatto essere usata e venga usata
come arma. Le bocche di fuoco preferite dalla pellicola sono le armi a
ricarica, i nemici senza volto della parte finale hanno corpetti
anti-proiettile così pesanti da sembrare armature medioevali.
- Conclusione: John Wick 3 è l'apoteosi
feticistica del film di genere action. Che amiate i film di calci e pugni,
pistole, inseguimenti e spadate, qui trovate davvero di tutto e in proporzioni
generose. Uno spettacolo di acrobati eseguito con passione, tecnica e amore e
abbastanza stile nella confezione da sembrare raffinato come cinema mainstream.
Il composto Lance Reddick (lo vedrei bene in un film di James Ivory), il
sornione e luciferino Ian McShane, la divina Anjelica Huston (qui
davvero straordinaria), il sempre più matto e lunare Fishburne (quasi un umano
gatto di Cheshire), la sensuale Halle Berry e l'androgina, eterea Asia Kate
Dillon (brava, quasi una novella Tilda Swinton!!) donano, con la loro bravura,
ulteriore credibilità al contesto. Reeves alla fine di questa pellicola, con un
colpo di scena potente quanto surreale, spalanca le porte alle future
iterazioni di quello che ormai è un franchise di successo. Se siete spettatori
sensibili e non amate una rappresentazione, pur così
parodisticamente/innocuamente "esagerata" della violenza, è
decisamente un film da evitare. Così come è da evitare se cercate qualcosa che
per profondità vada oltre a un magnifico fumetto colorato di supereroi o
simili. Non si può pretendere Shakespeare da persone intente a danzare come
forsennati per due ore filate, godetevi il balletto e portate i popcorn.
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