lunedì 8 marzo 2021

Robot Jox di Stuart Gordon : la nostra retro-recensione



(Premessa) In tempi di cinema chiusi ci viene incontro il Catalogo spesso sterminato dei canali streaming, ottime occasioni per recuperare perle del passato. Con le retro-recensioni possiamo quindi accedere ad un gran numero di tesori nascosti, come questo Robot Jox, disponibile su Amazon Prime. 

(Micro sinossi essenziale) Un vecchio gladiatore (Gary Graham) giunto alla fine del contratto viene obbligato a un ultimo incontro con il suo acerrimo nemico (Paul Kosio), per salvare la vita a chi dovrà prendere il suo posto (Anne-Marie Johnson). Una storia di pugni e mazzate in pratica senza tempo, ambientata in un presente distopico prospero e salubre più o meno come il nostro, in cui tutta la popolazione è poverissima e indossa la mascherina chirurgica per qualche imprecisato motivo. Le dispute tra gli Stati, per evitare altri danni a una popolazione in ginocchio, vengono risolte democraticamente “a cazzotti” in una specie di sport gladiatorio dove chi è il più forte, nonché il più vivo alla fine dell’incontro, vince. 



(Di sport del futuro e robottoni) Ma quale “blood sport“, per dirla alla Van Damme, viene usato? Più sullo stile di Speedball su Amiga o Blood Bowl con le miniature? Niente “corse della morte” alla maniera di Death Race. Niente  inseguimenti a squadre a caccia di una palla metallica alla maniera di Rollerball, niente giochi di morte e mazzate alla maniera di... Giochi di Morte. Niente varianti mortali del nascondino alla maniera di Running Man ed epigoni moderni, dagli scontri tra killer di Tournament agli Hunger Games passando per Verve.. Qui si fanno scontri con robottoni giganti che si guidano dall’interno tramite piloti che “gesticolano” come in Pacific Rim, non con robottini che si guidano dall’esterno con piloti che “gesticolano” come in Real Steel. I. Robottoni sono colorati, plasticosi e pupazzosi come “grossi model-kit in stop-motion“, ma con quel fascino di fumi e lucette e “moduli trasformabili” che per i nostalgici portano alla memoria X-bomber. In più sono trasformabili come il Trider G-7, in configurazione mech, cingolato e aereo, moddabili parte per parte e con un sacco di armi intercambiabili dai pugni a razzo, motoseghe, missili e “raggi della morte”, come in Battletech, Front Mission, Armored Core, con tanto di gestione strategica delle componenti  per la gioia di ogni mech-fan che si rispetti. I piloti? Super-uomini con nomi di battaglia epici come Alessandro, Achille, Atena, che vivono in un mondo plasticoso di culto del corpo e dello sport alla Starship Troopers, pronti a essere sostituiti da umani eugeneticamente ingegnerizzati alla Gattaca. Gli scontri? I giganti escono da enormi box sotterranei, staccandosi dall’argano di supporto alla maniera di Evangelion, portandosi su una Arena. Seguono scontri uno contro uno, prima usando le armi dalla distanza e poi corpo a corpo, fino a che un arbitro decreta la vittoria di una fazione sulla base dei danni inflitti. Le arene sono grandi e in genere gremite di povera gente esultante e sacrificabile in caso di incidente, alla maniera di Mad Max oltre la sfera del tuono. È tutto un maxi show televisivo, in cui si stimola tutto un circuito legale di scommesse. 



(Stuart Gordon nerd come noi) Nel 1989 un regista dall’animo lovecraftiano come Stuart Gordon, con un budget abbastanza contenuto (6.5 milioni dell’89, con il Batman di Burton che costò 48 milioni, giusto per dare un’idea) e con tanta passione, se ne usciva con un film sui robottoni giganti come Robot Jox. Allo stesso modo il lovecraftiano Guillermo del Toro, nel 2013, usciva in sala con il più “ricco” (180 milioni del 2013) Pacific Rim, riprendendo la stessa formula. Stuart Gordon, purtroppo scomparso di recente, è giustamente un regista amatissimo, un artigiano sincero quanto travolgente, sarcastico, diretto e appassionato. Da Re-Animator passando per Castle Freak, From Beyond, Il pozzo e il pendolo, spesso accompagnato dal suo attore-feticcio Jeffrey Combs, Gordon lavora con effetti speciali meccanici, insegue l’estetica dei b-movie più genuini per atmosfere e direzione degli attori, sceglie colori pop, non lesina umorismo e gusto del grottesco, dimostra amore sconfinato per i mostri. Spesso scrive e dirige le sue opere, spesso non trova tutti i fondi che servirebbero, come per la sua riduzione di Dagon, ma ci prova, con stile, a confezionare al meglio il prodotto, in modo fieramente indipendente. C’era molto di From Beyond in Slither di James Gunn, Re-Animator ha ispirato moltissimi zombie-movie In chiave Black comedy, Dolls aveva molte idee che arrivano anche ai film sui pupazzi maledetti odierni, Robot Jox radicò un ponte estetico fatto di gesti, cabine di pilotaggio e ingranaggi che portò Del Toro a ripetere quelle formule, dai piloti/combattenti fin dal classico “saluto di attivazione”, in Pacific Rim. Sfortunato nella grande sala, il piccolo e artigianale Robot Jox ha vissuto grandi fortune e noleggi multipli nel circuito delle videoteche, suscitando l’avida curiosità di tutti coloro che da Goldrake in poi avevano messo un pezzo di cuore in Giappone, sognando prima Gundam e dopo Robotech (come chiamavamo allora il paciugo americano di Macross, Mospeada e Southen Cross, paciugo che venne traslato poi nell’universo ruolistico Battletech), fondendo poi i sogni bagnati  con la fantascienza a base di esoscheletri e robotttini vari di Cameron, tra Aliens (1986) e Abyss (1989). Mi piace immaginare Gordon intento a leggersi Lovecraft prima di dormire e con la stessa emozione intento a costruire il modellino di un Gundam o un’astronave di Spazio 1999, perché questo  amore traspare da ogni fotogramma dei suoi film.  



(Andare oltre la copertina) Certo la copertina “in technicolor” del VHS di Robot Jox prometteva un entusiasmo che girando il retro si smorzava già un po’. Due foto di scena riportavano un appeal ben lontano, anni ‘70, dalle parti del pur amatissimo Spazio 1999 più che alla science fiction ad alto budget intravista negli anni '80, ma che era all’epoca ancora eccezione e non regola. Occorreva, come occorre oggi di più, sulla base del trailer, un “atto di fede” da parte di chi guarda alla science fiction come genere “estetico per eccellenza”. Ma quando “succede“, quando si intraprende la visione senza pregiudizi, lo sforzo viene pienamente ripagato e “gli si vuole bene”, come (per me) si vuole bene a tutti i film di Gordon, anche se fa incazzare l’idea di “cosa poteva essere“ un Robot Jox  in mano a una produzione più ricca (anche perché la stessa idea ha preso forma eccellente in G Gundam per la regia di Yasuhiro “Giant Robot” Imagawa). Il film di Gordon è piccolo piccolo, dalla trama lineare, quasi in linea con un episodio dell’Uomo Tigre e forse diretta allo stesso target. Presenta tante ingenuità dovute al budget come alla messa in scena, non ci prova mai a convincerci di essere più complicato di quanto appare spendendo come Dead Race (l’originale di Paul Bartel prodotto da Corman con Corradine) o Rollerball (l’originale di Norman Jewison con James Caan) una chiave politica. Ma scorre dall’inizio alla fine, trasuda di artigianale passione, è divertente e carico di idee seminali che hanno stimolato generazioni di autori. Tra cui il buon Del Toro, che ce lo vediamo in piedi sul divano nella scena del modulo di volo o all’apparizione della motosega. Tra cui Verhoeven, che crea i suoi Starship Troopers sullo stampo dei combattenti-atleti-modelli di Robot Jox. I videogame di Battletech, basati sulla simulazione di combattimento con i mech, devono tantissimo per il cockpit e le dinamiche da gioco a Robot Jox, anche più dei cartoni animati giapponesi. È la visione di un gaijin di un Kaiju-movie sostanzialmente, un prodotto “occidentalizzato” e che per questo si può capire di più, può essere uno step per avvicinare i prodotti originali senza voglia di sostituirli ma con il sincero scopo di omaggiarli. 



(Sigla di coda) Per chi è sui quaranta, ama i robottoni giapponesi e non ha mai visto Robot Jox, il film di Stewart Gordon ha il sapore di una nostalgica carezza e troverà sorprendente scorgere quanto abbia influenzato prodotti usciti in seguito. Vi sfido a non sussultare nei momenti in cui il robottone si trasforma. Per chi è più giovane può essere effettivamente un prodotto stranissimo, forse “troppo artigianale” e datato, ma non per questo meno divertente. Fatemi sapere. 

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