lunedì 27 maggio 2013

Dark Shadows



Con l'uscita in blu ray di Frankenweenie alle porte, “dovevo” moralmente recuperare la precedente pellicola burtoniana, all'epoca rimandata a tempi migliori causa una pioggia di commenti non proprio lusinghieri da parte della critica e alcuni dubbi su Alice, non solo inerenti al tremendo balletto del cappellaio matto, che comunque mi ha perseguitato per mesi fino alle luci dell'alba in cerca di un significato recondito. “Bollito” è forse l'aggettivo più tenero che i recensori di Dark Shadow hanno utilizzato nelle inquisizioni blogghesche, seguito da “film che non è né comico né drammatico, insipido”. Siccome l'aggettivo più utilizzato dai medesimi per Frankenweenie è “rinato, con qualche riserva”, ho deciso, complice un'offerta al megastore, di dare una possibilità a Dark Shadows (che pallone gonfiato magnanimo che sono...).
Ma io poi, sono un Burtoniano? Vediamo... L'ultima pellicola che davvero mi ha convinto al 100% del talento del grande Tim, il sense of wonder maximo è stata la sublimemente retrò Mars Attacks! Alieni bellissimi e spisciosi, colonna sonora evocativa (che abbiamo usato in radio per almeno 11 anni), pletora di attori sterminati anche in pochi secondi (tra cui Fox e Black), la testa di Brosnan che recita meglio del corpo intero, Nicholson presidente, tutto colorato, tutto evocativo. In misura di poco inferiore Il mistero di Sleepy Hollow, unico “western” di Burton: teste che rotolano, Casper Van Dien squartato (è la seconda volta in breve tempo che lo cito... potrebbe essere l'avvisaglia della fine del mondo post-maya), una stupenda Miranda Richardson, un silente ma implacabile Christopher Walken, un Johnny Depp bravissimo (assolutamente da guardare in inglese). Sempre con affetto invece ripenso al sanguigno Sweeny Todd, con l'improbabile coppia Depp-Bonham Carter, con un grande Baron Cohen. Le altre recenti pellicole, lungi dall'essere brutte, sono film o troppo poco burtoniani o dal tocco burtoniano minimale, nel senso che potrebbero essere scambiate per opere di un altro regista (Pianeta delle Scimmie, Big fish con riserva, Alice in wonderland) e burtoniani di secondo pelo, alla “Ligabue”, derivativi da altre opere burtoniane, cose belle ma di cui bene o male ha “già parlato” e dove il modello-base mi aveva convinto di più (La sposa cadavere deriva di Nightmare before xmas, La fabbrica di cioccolato deriva di Edward mani di forbice). Al di là di tutto la “cifra” di Burton, il suo “livello medio” è qualcosa di inarrivabile per molti registi e se non sono capolavori, perché Mars Attacks! Batman returns, Beetlejuice, Edward mani di forbice, Nightmare before xmas sono dei capolavori, le altre pellicole sono sempre ottimi film.
Di sicuro uno dei registi più stralunati di Hollywood, un tempo “genio”, sta vivendo un periodo di ripensamento, alla ricerca di una vena perduta o in qualche modo “inibita” dai produttori delle mayor. Burton allora “torna a casa”, in greatest hits di ricordi, fa un film come Dark Shadows che si ispira a una serie televisiva che guardava da piccolo, di pomeriggio, alla televisione, fa un film come Frankenweenie che è di fatto la extended edition di uno dei suoi primi corti cinematografici con la tecnica del passo uno che lo ha reso grande in Nightmare before xmas, il suo film per l'infanzia più amato (no, non la sposa cadavere...).
Dark Shadows è un manifesto dell'amore di Burton per la serie che guardava da piccolo sul divano mangiando le girelle con la copertina di ordinanza per non prendere freddo. Era una serie colossale di mille e passa puntate, un polpettone infinito che mischiava atmosfera da soap con tematiche horror classiche, quelle da sempre amate da Burton. In più è una rilettura della stessa serie, arricchita dalla passione Burtoniana per l'horror classico.


Un casato in declino, anni '70 appena iniziati, giochi di potere, tradimenti, rivalse, ma con un po' di soprannaturale extra, mostri, pazzi, psicopatici. Ecco sì, tipo Melrose Place. La serie decolla e diventa leggenda quando al cast si aggiunge Barnabas Collins, un patriarca venuto da molto lontano, da un paio di secoli prima, un vampiro.
Burton sintetizza, mette il vampiro al centro della storia, taglia, cuce, reinventa e crea il suo personalissimo Nosferatu delle quattro del pomeriggio.

Barnabas Collins (Depp, molto ispirato) arriva in America con la sua famiglia per fare grandi cose, ben presto creano una flotta di pescherecci intorno alla quale si sviluppa un'intera città. Barnabas ama Josette (Bella Heatcote, classica madonnina infilzata burtoniana, parte che in genere va a Winona Raider), ma Angelique (una magnifica Eva Green, tragica e per la quale non è possibile provare troppa antipatia), una strega dai grandi poteri, lo vuole tutto per sé. Con i suoi sortilegi, Angelique spinge Josette e suicidarsi, gettandosi sulla scogliera. Barnabas, distrutto nel vedere l'amata cadere, la raggiunge nel vuoto e i due corpi su incontrano di nuovo, con un suono orribile, in mezzo all'acqua schiumante, sangue e rocce. Ma Barnabas non muore, Angelique ha una maledizione su misura pronta per lui, l'ha trasformato in vampiro con la convinzione che, persa Josette, Barnabas si dedicherà in eterno a lei. Barnabas ovviamente non accetta, sicché la strega decide di dargli un po' di tempo per “pensarci su”, seppellendolo non-morto in una bara fino a data da destinarsi. Tempi odierni, sono passati duecento anni, la famiglia Collins è in declino, l'azienda di famiglia ha una sfiga da primato attivamente alimentata da Angelique, che gestisce una flotta di pescherecci concorrenti. La magione Collins è solo un'ombra del passato, Elizabeth Collins (Michelle Pfeiffer, che sarebbe stato bene vedere di più sullo schermo) è allea ricerca di una tata per l'irrequieta Carolyn (una sempre più brava e sensuale Chloe Grace Moretz, di cui aspettiamo con interesse le prossime performance), adolescente in piena fase ribelle, e per il piccolo e strano David, che vede di continuo il fantasma della madre defunta, sorella di Elizabeth. La tata scelta è Victoria Winters (sempre Bella Heatcote), che sembra da subito avere grande familiarità con i ragazzini e la casa. Al contempo, spinta dalla fame di espansione del suo impero, Angelique autorizza gli scavi in una zona che forse si era dimenticata di controllare. Una pala meccanica arriva così a trovare la bara di Barnabas Collins. La famiglia ha di nuovo il suo patriarca, dracula ha di nuovo il suo amore, è tempo di rifondare l'azienda decaduta.
Burton confeziona una pellicola in cui si dichiara che il tesoro più prezioso è la famiglia. In senso lato burtoniano è il “sangue” l'elemento che lega e mai tale metafora è stata meglio ripresa in una pellicola.
Gli attori, e che attori, offrono una brillante performance, i personaggi sono tutti ammantati di una dualità che li rende complessi e autentici. Depp è mattatore, ma la Green riesce spesso a rubare la scena, la relazione-scontro tra i due, che costituisce le fondamenta stessa del film, è intrigante e non banale. Gli effetti speciali sono all'altezza della situazione, con una spruzzata di trucco ad “addolcire” o “burtonizzare”, se volete, i mostri classici. Le scenografie semplicemente da incanto. Lo spettacolo risulta scorrevole e convincente, accompagnato da una colonna sonora dai brani anni settanta davvero di classe. Il film scorre, decisamente gradevole, lascia una buona sensazione a fine visione. Del resto la famiglia, la ricerca del proprio posto nel mondo, della appartenenza ad un gruppo, è uno dei temi più cari a Burton, un suo cavallo di battaglia, anche se il regista deve pur fare i conti con un'opera non sua al 100% e che nel timing complessivo deve per forza rinunciare a qualcosa. Risulta evidente che i ruoli della Pfeiffer e della Bonham Carter, pur interessanti, siano stati compressi e tritati per esigenze logistiche. Ma il vampiro e la strega sono perfetti, così come Josette/Victoria è un personaggio tenerissimo e i due ragazzi “tormentati” perfettamente descritti.

Per i suoi piccoli difetti, credo che questo film, almeno dalle nostre parti, non sia stato apprezzato del tutto, tanto dai distributori che dal pubblico che dalla critica. Ci si aspettava il 100% da Burton, un prodotto più “suo” rispetto ad Alice, si dimenticava il fatto che anche “Dark Shadows” fosse un'opera derivativa. A conti fatti ho gradito e molto lo spettacolo. Non ne sono stato “travolto”, ma ho apprezzato l'impegno profuso. 
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