Una volta Otomo ha
descritto il deserto, come i panorami innevati, come lo spazio, i
luoghi migliori per la narrazione. Il disegnatore con pochi tratti
può costruire l'intero paesaggio per poi dedicare tutto il tempo che
vuole a esprimere con mille dettagli la figura umana. Questo concetto
si può estendere anche ai film che adottano tali scelte di ambienti
“totalizzanti”. Laddove tutto è bianco per la neve, o giallo nel
caso della sabbia, i riflettori sono tutti per i personaggi, per i
loro dettagli, per il loro carattere. In fondo a teatro spesso nei
monologhi l'ambiente è annullato, tutto si svolge sotto l'occhio di
bue che illumina l'attore e null'altro. Certo l'assenza di sfondo
proietta a nudo la figura, l'animo dei protagonisti di un racconto,
facendo cadere anche le certezze che quanto stia intorno davvero
esista, che sia tangibile. La paura si alimenta con l'assenza di
indicazioni visibili. Nello spazio nessuno può sentirvi urlare, si
diceva nella celebre pellicola di Ridley Scott. Tra i ghiacci l'uomo
è solo contro una natura ostile e le cose si complicano quando
l'uomo ha anche un avversario da affrontare. Così ne “La cosa” di
Carpenter. Così in “Shining” di Kubric. Così in “The grey” di
Joe Carnahan.
Liam Neeson
(sempre ottimo) lavora in un avamposto petrolifero in mezzo al
niente. Difende il territorio dai lupi, è un ottimo cacciatore e
cecchino. La sua vita è finita, arroccata su un passato doloroso, tra
la neve si è costruito il suo piccolo purgatorio personale. Ormai la
caccia è la sua unica funzione di vita, ciò che lo determina in
quanto debole ingranaggio di una società per la quale non trova
altro impulso di appartenenza. Poi l'aereo che dovrebbe portarlo a
casa cade e lui sopravvive all'impatto insieme a una manciata di
altre anime-perse come lui. Lo scenario-purgatorio non cambia, sono
sempre dispersi in una sconfinata distesa di neve, alternata da pini e
poco altro, solo che ora dovranno cercare di trovare la via di casa.
Ma si può tornare a una casa quando la propria vita è già finita?
Quando tutto quello che rappresenta il proprio mondo è costituito da
una interminabile distesa di neve e i pochi effetti personali si
riducono a lettere non spedite e foto sgualcite di un tempo passato
nel portafoglio? Si può tornare a casa, quando ci si trova
circondati da un branco di lupi che, come il protagonista, svolgono
il suo stesso lavoro: delimitare un territorio anche per loro ostile?
The Grey appare superficialmente come in classico survival movie a
sterminio progressivo del cast, dove splendidi lupi digitali e
temperature artiche rappresentano le insidie maggiori.

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