sabato 12 gennaio 2013

La Collina dei papaveri


 di Goro Miyakazi


Vai Goro che ce la fai! Sì, sono un fan della prima ora di Goro Miyazaki. Quando il proprio padre è una specie di mostro sacro è difficile evitare di essere paragonati a lui. Se per di più il sommo genitore è ancora vivente e vedendo la tua opera prima scuote la testa, deve essere tremendo. L'opera in questione era il sottovalutatissimo I Racconti di Terramare: fan sdegnati, autrice del romanzo originale indignata, pioggia di proteste più o meno pretestuose. Realizzata con un budget equivalente a 3 minuti de Il castello errante di Howl, Terramare è ciononostante un'opera buona. Realizzata con grande cura di dettagli, tra paesaggi da urlo e chara design classicheggiante, in cui svetta l'ottimo personaggio di Arren, una figura complessa, quasi un eroe in rehab, decisamente originale nel piccolo pantheon dei characters Ghibli. Per di più un'opera che si adatta perfettamente alle esigenze richieste dall'autrice di Terramare, circa la sua collocazione in un determinato arco narrativo. Certo, se si partiva con l'idea di andare a vedere il Signore degli Anelli dello studio Ghibli, qualcuno immagino ci sia rimasto male a constatare quello che l'opera effettivamente è, una specie di versione dark di Heidi. Ma se uno mi avesse detto: “Guarda, fanno una versione medioevaleggiante e dark di Heidi” io sarei morto sul colpo e una volta rinvenuto sarei corso a vederla. Un progetto quindi che è uscito diverso dall'aspettato ma che per questo non può dirsi brutto, anche alla luce di certa roba meravigliosa, ma decisamente moscia che il pur lo stesso figherrimo studio Ghibli ci ha propinato negli ultimi anni, mi riferisco qui al gradevole ma decisamente poco consistente Arrietty, che comunque un suo perché ce l'ha...
Pagina girata, eccoci con la seconda pellicola di Goro, La collina del papaveri, tratta da un manga per ragazze e sfavillante contenitore dello spirito giapponese più patriottico e tradizionalista.

Anno di grazia 1963, dalle radio fuoriescono canzoncine graziose e inconsistenti cariche di spirito patriottico e tradizionalista. Una ragazzina vive in una specie di pensione a conduzione familiare e tutti, in casa come per strada, invece di dare del “buon giorno” dicono (e intendo SEMPRE) una cosa tipo “le auguro un buon giorno”, perché è più fine, raffinato e pare che i giappi negli anni '60, carichi di spirito patriottico e tradizionalista, parlassero tutti così. La pensione sta in cima alla collina più alta della zona, la città sta a valle, la pendenza è pazzesca. In alcune scene in cui la ragazzina tonava a casa dalla città mi pare di aver scorto il classico tizio vestito da diavolo a incitare i ciclisti, presenza fissa in ogni tappa di montagna del Giro d'Italia. Ogni mattina la ragazzina, che si chiama Umi, come la maggior parte dei personaggi giapponesi degli anime con i capelli blu tra cui Sailor Mercury, (Umi significa letteralmente “mare”, quindi potremmo liberamente tradurla come Marina o Mara...ok, battuta orribile...), in quanto dotata di un forte spirito patriottico e tradizionalista, disponendo di un albero con carrucola come Francesco Maria Gaiardelli, issa delle bandiere marinare in ricordo di suo padre, marinaio, che risultano così visibili lungo tutta la costa. Di fatto c'è una imbarcazione che ogni giorno risponde, issando a sua volta delle bandiere, ma Umi non se ne accorge mai in quando dalla sua stanza non si vede il tratto di mare che percorre la detta imbarcazione.
Umi va a scuola, la struttura ha un edificio adibito alle attività dei club, chiamato Quartier Latin, dello stesso periodo della pensione in cui vive (da pronunciarsi necessariamente alla francese, Cahtiè Lathen, nel modo più arrogante e insopportabile di cui vi ritenete capaci), che versa in cattivo stato di conservazione. La scuola vuole ovviamente demolirlo e non ha tutti i torti, gli studenti lo trattano come un cesso a cielo aperto ritenendo che detriti e polvere siano segni di patriottismo e tradizione. Mentre Umi convivialmente degusta il pranzo al sacco con le amiche, dal tetto del Quartier Latin (avete fatto delle prove per pronunciarlo correttamente? Ricordate di metterci una punta di nichilismo...) spunta Shun, compagno di scuola, che, accompagnato a striscioni che inneggiano il patriottismo e la tradizione sventolati da festanti studenti, decide di tuffarsi dal tetto per piombare sulla sottostante piscina dell'istituto. Un gesto da Animal House o Project X che secondo i giapponesi dovrebbe essere denso di significato patriottico e tradizionalista. Umi accorre al bordo della piscina incuriosita dalla prospettiva di vedere un cadavere morto per la propria stupidità (questo fa molto Stand by me..), ma Shun è vivo e quindi lei lo ripesca porgendogli la mano. Il gesto viene immortalato in una foto e insieme alla foto di Shun che spicca il balzo dal tetto va a comporre un invitante pacchetto di marchandising di cui a frotte si impossessa tutta la popolazione studentesca, elargendo per giunta del denaro. Una amica di Umi, ritenendo che la ragazza conosca Shun e volendo l'autografo sulla foto che lo ritrae nel salto, pagata 30 yen, si fa accompagnare all'interno del Quartier Latin (come va la pronuncia? Metteteci più distacco, fate conto di rivolgervi a dei pezzenti...) e tra “le auguro un buon giorno”e l'altro sono dentro. All'interno lo stabile sembra la versione trascurata delle miniere di Moria, gli studenti tengono i loro personali club su fatiscenti impalcature di legno simili a palafitte, illuminate con strumenti di fortuna e stipate di ogni tipo di genere alimentare degradato, ma carichi di spirito patriottico e tradizionalista. Gli studenti di chimica nel frattempo ridacchiano mentre fanno esplodere intere aree della struttura per esprimere al meglio il loro amore per la ricerca. Naturalmente Shun nella struttura gerarchica è il numero due, sotto solo a un insopportabile moccioso con gli occhiali che si crede il padreterno e parla a slogan come un invasato. Siccome nel Quartier Latin (dai, ci siamo quasi con la pronuncia, giusto un po' di erre moscia..) si è in piena democrazia, l'ambiente in cui Shun e il tizio con gli occhiali risiedono è ai piani alti, spazioso, arieggiato e ben pulito e vi ha sede il giornale studentesco. Questo perché: “io so io..” (Il Marchese dei Grillo Cit.).
Ottenuta la firma, Umi si innamora perdutamente di Shun, che come primo gesto d'affetto le commissiona un lavoro pesante, continuativo e non retribuito per la causa studentesca.
Col tempo Umi prospetta la soluzione all'abbattimento dello stabile: basterebbe provare, per una volta, a pulirlo. Un'idea classista e antidemocratica che con riottosità si farà largo nei cuori degli studenti più patriottici e democratici.
Umi nella pensione ha il ruolo di cenerentola: cucina, lava, fa le compere. Le ospiti, tutte donne, si accorgono della nuova passione di Umi e invitano il ragazzetto a casa. Ne conseguirà una brutta sorpresa e un peggioramento del vitto significativo.
Ok, da qui in poi il film ve lo vedete voi, io vado a recarmi un pochino a commentare la pellicola (sì, ho scritto “vado a recarmi un pochino”, perché, non si può?).
Mio Dio, che mattonata! Ho faticato parecchio per completare la visione. Letali i primissimi minuti, ho dovuto ripartire quattro volte in cui ad una narrazione sonnolenta si abbinano tremendi antichismi letterari come il summenzionato “le auguro un buon giorno” ripetuto ad vomitum. Corrisponde a una più esatta interpretazione della lingua giapponese? Ok, ma avrei trovato meno pesante e più scorrevole se le persone si fossero salutate utilizzando il saluto vulcaniano. Poi le musichine alla radio, regolarmente in versione completa ed estesa, volte a sottolineare la dimensione quasi bucolica degli anni '60 giapponesi, accompagnate da carrellate su auto d'epoca, strade affollate ma piene di persone garbate e a modo, a sfondo di paesaggi caldi, dolci, sempre al tramonto, con i fari delle auto a fare capolino tra le tinte rosa del cielo e un mare così pulito che pare acqua del rubinetto. Perfino quando ci sono le ciminiere delle fabbriche e dei mezzi a vapore queste disegnano sfumature arcobaleno. Da questo sconfortante scenario di partenza si passa al pensiero politico-sociologico, argomento originale nel contesto di un anime Ghibli, tema di sicuro interesse, ma che deve essere comunque supportato da ricerche adeguate per essere trattato. Da quello che la mia limitata conoscenza sull'argomento mi permette di intuire, traspare la volontà di mettere un freno alla bulimica innovazione giapponese, volta a cambiare, distruggere-e-ricostruire-nuovamente, anche edifici (e per questo tradizioni) che non sono ancora da buttare. Una tendenza a riconoscersi nel passato contro una tendenza che lo esclude. Una volontà di girare pagina a tutti i costi per una imprecisata volontà di andare avanti, sempre e comunque. In casa Marvel vige una massima che si sposa benissimo con questo stile di pensiero conservatore: “se non è rotto, non buttarlo”. Allora la conservazione di un edificio diviene la conservazione anche del nostro patrimonio passato e possiamo felicemente legare questo “La collina dei papaveri” a una bella opera animata dello studio Gainax, Abenobashi, la cui visione mi sento di consigliarvi spassionatamente (mi pare che attualmente sia disponibile in dvd da Yamato video). Edifici che non sono sono mura, quindi, ma che letteralmente contengono, come il Quartier Latin, tutte le persone che lo abitano, con le loro passioni e aspirazioni e con la consapevolezza, concezione del tutto nipponica ma in molti casi esportabile, che stanno vivendo solo un momento transitorio della loro vita e per quello devono viverlo in pieno, pensando al presente con un occhio al passato, piuttosto che fiondarsi a fantasticare su un futuro che non possono necessariamente conoscere. Disfarsi del Quartier Latin equivale a cancellare la loro adolescenza. Shun è probabilmente un ottimo giornalista e ha il carisma per fare grandi cose in futuro, ma sa che la sua famiglia è di umili origini e quindi troverà un lavoro appropriato al suo “ceto” e lascerà i sogni di gloria a chi gli succederà nel giornale scolastico. Questa è la stessa, identica ottica con cui vengono concepiti i manga sportivi: lo sport è una parentesi vittoriosa legata alla giovinezza, finita la scuola non ci sarà un seguito, si finirà tutti per diventare grigi salary-man. Cinico? Forse un pelo eccessivamente realista, ma è questo che dicono i manga sul periodo adolescenziale. Frenare il futuro per vivere al meglio il presente. La collina dei papaveri non infrange minimamente questo canone e rincara la dose tragica, laddove si combatte con il patriottismo l'ingiustizia subita dal Giappone nella seconda grande guerra. Umi è orfana, Shun è a sua volta orfano, ma vivono comunque in delle realtà parafamiliari dove sebbene i rapporti di sangue siano scarsi permane lo spirito di gruppo, la voglia di aggregazione e per questo la necessità perpetrare le tradizioni: in effetti il fatto che Umi ammaini la bandiera alla mattina viene in un'unica sequenza equiparata ai gesti necessari per preparare la colazione e di conseguenza laddove, più avanti nella pellicola, vengono a cadere delle certezze sul passato, vanno a cadere anche gli automatismi della vita quotidiana e arriva la depressione. Si potrebbe quindi cogliere il diretto significato di Patria quale terra dei padri, nello specifico di questa Collina dei Papaveri, laddove sono proprio le figure paterne a mancare e per questo a venir vivificate solo attraverso il ricordo. In questo assumono peso nell'opera le foto, laddove come servono a ricordare gli affetti, nella visione politica dell'opera servono anche a rievocare la Storia. Con un azzardo potrei quasi spingermi a considerare gli edifici delle foto del passato.

Miyazaki jr confeziona quindi un'opera che pur nei limiti di una messa in scena pachidermica per lentezza come per mole degli argomenti trattati e di una bulimica e frebbicitante continua massa di personaggi in movimento, risulta ciononostante interessante e sorretta da una animazione di stampo molto classico molto gradevole. Il tutto è reso bene da una scelta stilistica volutamente retrò cui do la colpa di non riuscire al primo colpo ad entrare nei cuori dello spettatore, forse per lo stesso eccesso di preziosismi che costituisce di rimando uno dei valori più elevati della pellicola. Credo che chiunque non si scoraggi dopo i primi minuti possa trovare il classico stato di “grazia” di cui sono pregne le opere dello studio Ghibli, pertanto mi sento di consigliare a tali temerari quest'opera con l'avvertenza che può essere trovata gradevole anche per dei bambini, ma non è a loro destinata e può essere pure noiosetta. In effetti una versione semplificata di quanto esposto ne La collina dei papaveri a livello tematico c'è, ed è Ponyo, che consiglio senza alcuna riserva.
A tutti buona visione. 
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