Ci troviamo ai margini di una Route 66 dei giorni nostri.
La bellissima e decisa Maya (Madelaine Petsch, vista nell’horror eccentrico Polaroid) e il timido e remissivo Ryan (Froy Gutierrez, visto in un telefilm altrettanto eccentrico, Teen Wolf) sono su un’auto ibrida con in sottofondo una musica pop rock: in viaggio verso Portland, momentaneamente sulle lussureggianti e verdissime strade al margine dei boschi dell’Oregon.
Saranno i colori, saranno la maestosità e calma che infondono quei paesaggi sterminati e incontaminati, Maya afferma che sarebbe bellissimo vivere da quelle parti. Ryan sorride al suo entusiasmo, ma come per un sinistro presagio un paio di curve dopo rischia il frontale contro un pick-Up che corre come un matto in contromano.
Il viaggio prosegue e per Maya arriva il momento ideale per fermarsi nella tipica tavola calda, di un tipico paesino di poco meno di mille abitanti, per lo più tipicamente simpaticissimi e gioviali agricoltori usciti da una pubblicità di cereali degli anni ‘50.
Ryan sorride al suo entusiasmo e la coppia fa tappa in un posto ameno stile la “Taverna dell’agnello macellato” di un celebre film di John Landis, dove chiunque sembra uscito da Non aprite quella porta, li guarda malissimo, non hanno il menù vegano, chi sorride cerca un modo di derubarli, bambini inquietanti si sincerano con insistenza che i due siano interessanti a partecipare a un qualche incontro spirituale, imponendogli di prendere un volantino forse realizzato a mano.
Ma c’è comunque un’aria di festa e allegria nell’aria: per i 5 anni insieme di Maya e Ryan. Maya comunica la bella ricorrenza e in tutta la tavola calda iniziano a fioccare sorrisi autentici: almeno fino a che gli autoctoni scoprono che i due convivino more uxorio senza essere sposati e quindi senza Dio.
Seguono sguardi di biasimo e disprezzo fino a fine pasto. Si potrebbe proseguire per Portland, ma guarda caso l’auto non parte più. Guarda caso un meccanico gentilissimo si offre di ripararla, ma guarda caso i pezzi di ricambio arrivano solo domani.
C’è un albergo in zona ma guarda caso è chiuso, ma guarda caso è pure in zona un carinissimo rustico/rifugio di caccia, rinominato Air B&B per attirare i “fighetti”, che guarda caso è libero. Guarda caso la cameriera gentilissima dell’agnello macellato in franchise li può accompagnare lei, è di strada.
Ryan tira fuori tutti gli attributi: urlando pur a modo suo, cioè sottovoce, che sono davanti a una possibilissima truffa. Ma Maya, che è l’unica che prende le decisioni della coppia, lo fulmina, gli intima di calmarsi e gli allunga maternamente il suo respiratorino per l’asma, per sedare in anticipo il solito brutto attacco di panico imminente del suo moroso.
Del resto Maya decide che sarà bellissimo passare la notte in quel posto tanto simile allo chalet che profuma di “Casa”, fosse anche La casa di Sam Raimi. È il mezzo ai boschi, è tutta in legno cigolante, ha un pianoforte inquietante e scordato in soggiorno, un impianto elettrico precario con luci intermittenti e un frigo già rotto.
Maya dichiara che vorrebbe vivere lì per sempre. Ryan abbozza poco convinto e si becca la madre di tutte le ramanzine, il “rimbrotto maximo”: perché lui, da alcuni giorni, “cincischia”. Nello specifico, Ryan non ha abbastanza “palle” da mollare seduta stante la sua casa e il suo lavoro fisso e ben retribuito a New York, per trasferirsi di colpo dall’altra parte della costa americana, in affitto e ricominciando da zero, seguendo solo ed esclusivamente Maya e il suo infallibile istinto di poter trovare lì il loro futuro professionale.
Ryan incassa e allora tira fuori gli attributi come solo lui sa fare: si sottomette del tutto a Maya, giurandole che faranno tutto come vuole lei e presto, prestissimo la sposerà. Sempre che “lei e solo lei” lo voglia ancora e nonostante tutta la sua incapacità a comunicare da uomo delle caverne.
Ma visto che ci troviamo in un film horror, veniamo per un attimo sottratti dall’incubo di questo rapporto di coppia, in ragione di una ben più rassicurante e sana sequenza di mattanze e terrore: è il momento che qualcuno bussi alla porta dello chalet con forza, chiedendo con voce femminile se in casa ci sia “Tamara”.
Del resto chiedere “è in casa Tamara?”, ripetutamente e nel pieno della notte, è il modo più veloce per iniziare un surreale gioco al gatto con il topo. La coppia apre la porta e vede questa figura spettrale femminile totalmente coperta dalle ombre, che all’improvviso come è apparsa va via senza dire una parola. Maya dichiara che ha visto di peggio in metropolitana dopo le 20:00, che si tratta di una povera squilibrata e che non è successo nulla di strano. Ryan cerca il suo respiratorino per l’asma, ma non lo trova: è probabilmente rimasto in auto e ora si trova nella locale officina, per la truffa di cui sopra.
Però c’è una moto dietro al capanno.
Ryan non è mai salito su una moto in vita sua, è agitatissimo. Ma potrebbe imparare al momento, recuperare il suo salvavita in città, guidando alla cieca, tra boschi che non conosce e il cellulare che non piglia campo. Vuole comunque farlo, ci crede. Una preoccupatissima Maya gli intima di non tornare indietro, se prima non le trova un panino vegano girovagando per tutto l’Oregon di notte.
Ryan parte. Maya rimane a rispondere alla domanda “è in casa Tamara?” un paio di volte, circondata da mille rumori, sibili e voci inquietanti che lei attribuisce, in alternanza, ai classici inconvenienti dello stare in un rustico o alla sua scarsa lucidità per il fatto di aver bevuto due birre. Ma “i tre estranei”, gli “Strangers”, nello chalet sono già arrivati.
Hanno delle maschere inquietanti, parlano pochissimo e sono armati di asce e coltelli. Sono persone semplici: “Vogliono solo entrare nello chalet e buttare fuori chi ora lo occupa”, magari non lasciandolo del tutto intero.
L’uomo del gruppo è sui due metri, indossa un completo un po’ usurato da impiegato, camicia e cravatta storta. Sulla testa un sacco di iuta su cui sono disegnarti due occhietti e una boccuccia stilizzati (ricorda il look di Jason Voorhees prima della maschera da hockey del terzo film), in abbinato una elegante ascia bipenne da boscaiolo. Dovrebbe chiamarsi (ce lo dicono i titoli di coda, siccome i tre parlano pochissimo) “Scarecrow” (lo interpreta Matus Lajcak), ossia “spaventapasseri”.
La ragazza bionda del gruppo è più minuta, veste casual, con sopra una giacchetta rosa come una Barbie. Porta una mascherina carina che la rende simile a una bambolina con gli occhi “Cartoon” e si chiama infatti “Dollface” (Olivia Kreutzova). In abbinato porta un coltellaccio da cucina.
La ragazza mora ha anche lei un coltellaccio in abbinato per non sfigurare, i suoi vestiti hanno un look più elegante, quasi vintage, indossa una mascherina femminile con un vezzoso ciuffetto nero che scende a ricciolo sulla fronte come le pin-Up degli anni venti: si chiama “Pin-Up”.
Lo scontro con la coppia inizierà in modo abbastanza pratico e inevitabile, niente di personale in fondo. Magari li spingeranno un po’ a “reagire”, per rendere il gioco un po’ più divertente, ma non se li faranno certo fuggire.
Riuscirà Maya a trovare ancora bellissima l’aria di provincia del paesino di Venus?
Riuscirà Ryan a non essere succube della sua ragazza per almeno tre minuti?
Tornano in sala i personaggi creati da Bryan Bertino, per un nuovo capitolo della saga horror, sottogenere “Home Invasion”, The Strangers, per l’occasione strutturato su tre capitoli che forse ci faranno conoscere un po’ di più della back-story di questi moderni “babau”, ancora forse poco conosciuti ma con al seguito già un piccolo stuolo di fan.
Alla regia Renny Harlin: storico regista di film action come Die Hard 2, Cliffhanger , Driven, ma anche storico regista di film horror: Nightmare 4: il signore dei sogni, The Resident, L’Esorcista: l’inizio, Devil’s Pass. Non sempre al top ma un solido artigiano del film di genere, poliedrico al punto che dal 2016 al 2019 ha diretto pure una sua personale “trilogia cinese”, coinvolgendo Jackie Chan (in Skiptrace) e Nick Cheung (in Bodies at rest).
La sceneggiatura è invece opera degli “insospettabile” Alan R.Cohen e Alan Freedland, autori per Todd Phillips di quel piccolo gioiellino di Parto con il folle, ma del resto anche l’ultima trilogia su Michael Mayers aveva ai testi degli autori comici.
Madelaine Petsch e Froy Gutierrez, tra un Polaroid e un Teen Wolf sono tuttora “giovani attori di belle speranze”, funzionalissimi per un ruolo da vittime nel florido genere horror.
Con The Strangers, un giovanissimo Bryan Bertino esordiva rocambolescamente alla regia nel 2008. Era la sua prima sceneggiatura comprata da una major, realizzata nel tempo libero mentre lavorava negli Studios di Los Angeles come addetto elettricista.
Il regista Romanek, di One Hour Photo, era diventato di colpo per la Rogue Pictures “fuori budget” e il nostro eroe sceneggiatore ha avuto la grande occasione di proporsi a rimpiazzarlo e dimostrare il suo valore: sapendo giocare tantissimo sulle “luci”, che conosceva come elettricista degli Studios, dimostrandosi bravo non solo a scrivere ma anche a dirigere.
Scommessa vinta, a cui è seguita una carriera fatta di piccoli film, ma quasi tutti interessanti. Mockingbird, del 2014, era un found footage horror sugli allora ancora poco conosciuti “filmati sadici della rete”, scritto a quattro mani con Sam “Mister Robot” Esmail. Nel 2016 è arrivato il suo “Monster movie introspettivo” The Monster, che anticipava opere come Sette minuti dopo mezzanotte. È tornato ai suoi Strangers nel 2018, con un nuovo film che riprendeva alcune tematiche ma ne stravolgeva del tutto altre, in modo originale e parecchio sarcastico. Nel 2020 arrivava l’interessante horror “diabolico” The dark and The Witch e nel 2025 è previsto un nuovo film con protagonista Dakota Fanning.
È interessante come in tutti i suoi lavori Bertino, in modo provocatorio quanto intelligente, punti a raccontarci, attraverso il genere horror, la complessità delle relazioni umane: indagando spesso sul “significato moderno di famiglia”, portando alla luce una società diventata ormai cinica, egoista e anaffettiva, esplorando temi difficili come la “maternità.” Se a prima vista, dal trailer, appaiono come pellicole assimilabili a centinaia di altre simili, che trattano scenari simili, è nelle qualità “sociologiche” delle scrittura che Bertino si contraddistingue, permettendo anche agli attori di lavorare su personaggi meno banali del solito.
E veniamo quindi a questo nuovo capitolo degli Strangers, prodotto e benedetto sempre da Bertino, che però a fine visione ci lascia von un enorme punto interrogativo nella testa.
Perché questo è un capitolo “1 di 3”,che ci racconta davvero pochissimo di nuovo e si limita per lo più a ripercorrere strade già note del brand, un po’ come la scaletta di una serata di una cover band.
Ci muoviamo all’interno delle più classiche e reiterate meccaniche dell’Home Invasion, per quanto tutto risulti ben lucidato e funzionante grazie alle mani di un esperto come Harlin, sempre in grado di creare ritmo e tensione da manuale. Il sangue scorre, le grida arrivano puntuali come i colpi di scena, ci si diverte anche se c’è un po’ il retrogusto di qualcosa di già visto.
Certo la coppia protagonista della sventurata “gita nell’Oregon” è divertente e un po’ ci racconta di come oggi le dinamiche di coppia siano mutate “anche nei film horror”: con i siparietti tragicomici che più volte mettono alla berlina il povero fidanzatino Ryan, quasi fantozzianamente fustigato da una Maya tanto prepotente quanto a volte priva di concretezza.
Gli attori sono bravi e divertenti, funzionano.
Lo scenario liturgicamente si ripete, anche se effettivamente, ancora da lontano, iniziamo a vedere qualcosa oltre il “piccolo mondo antico di Venus”. Molto da lontano.
“Chi sono” gli Strangers in realtà, per dedicargli un terzo film che ne anticipa altri due? “Quanti sono?”, considerando che nel secondo film di Bertino l’esito finale aveva decisamente cambiato le carte in tavola? Che legame hanno gli Strangers con i volantini della chiesa locale, che peraltro ricorrono dal primo film del 2008?
Ma soprattutto : Chi diavolo è Tamara??? (detta, questa ultima domanda, facendo eco alla Chi è Tatiana del comico Cirilli).
Ancora sappiamo pochissimo ma siamo in attesa di sorprese dietro l’angolo già con il capitolo 2.
Questo capitolo 1 è a conti fatti per lo più quasi un reboot del film del 2008, ma senza Liv Tyler e Scott Speedman protagonisti, con dinamiche di coppia “modernizzate”, rese bene da una giovane coppia di bravi attori, con un contesto se vogliamo più “corale” ma che alla fine rimane ancora largamente inesplorato.
Ma la cosa più importante è che i nostri ancora bellissimi tre Strangers sono ancora cattivissimi e carismatici.
Il film risulta divertente e godibile pur nuotando in un mare di cliché già noti, ma spetta prima di tutto allo spettatore decidere quanto “sia dolce naufragare in questo mare di cliché”.
Come spesso accade, il cinema horror ripete ritualmente il suo schema “rituale”, anche se a questo giro l’aderenza al prodotto originale è altissima. Aspettiamo il numero 2 e 3, godendo di questo primo capitolo come si gode di una serata revival di una cover band di un gruppo che ci piace.
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